Una bella illustrazione, un quadro, possono essere una delle più grandi fonti di ispirazione per lo scrittore. Il nostro cervello non funziona secondo le regole della logica aristotelica, ma per associazioni di idee; cosicché non solo ci è possibile visualizzare immagini illogiche come il famoso Cascata di M.C. Escher, ma addirittura esserne suggestionati al punto da costruirci attorno delle storie.
Seguendo gli articoli di Bizarro Central mi sono imbattuto nel blog di Alan M. Clark, The Imagination Fully Dilated, e nei suoi settimanali Dilation Exercises. Clark è un illustratore del fantastico piuttosto famoso oltreoceano; ha realizzato le copertine per autori come Stephen King o Ray Bradbury, ma soprattutto per scrittori horror come Richard Laymon, Edward Lee e Brian Keene (i preferiti di Zwe, insomma). Dato il suo mestiere, ha disegnato roba di tutti i tipi e con molti stili diversi, ma le illustrazioni che preferisco, quelle più surreali, sembrano uno strano incrocio tra René Magritte, Max Ernst e certe litografie di Escher (quelle “metamorfiche”, dove c’è qualcosa che si trasforma gradualmente in qualcos’altro). Tutto questo per dire che Alan Clark è un tipo in gamba.
Che cosa sono questi “esercizi di dilatazione”? Una volta alla settimana, sul suo blog e su Bizarro Central, Clark propone un’immagine fatta da lui accompagnata da poche righe ambigue. Lo scopo non è certo “spiegare” l’illustrazione, ma al contrario, ispirare nello spettatore una scena, una storia. Ecco cosa dice Clark nella pagina di spiegazione sul suo blog:
To engage my audience, I try to create images that are compelling on a storytelling level. With my choice of subject matter, I try to present more questions than answers; give three out of five elements of a story and then depend on my audience to fill in the rest. If my audience participates in the creative process in this way, they carry the experience beyond the picture plane, and I’ve succeeded in creating something more than just a portrait, landscape, still-life or frozen action scene. Hopefully I’ve helped to create something much more memorable and rewarding.
Many years ago, unaware that I engaged in this practice within my work—or at least having never thought it through and articulated it—I was surprise to discover that a writer, Gary A. Braunbeck, had seen a piece of my artwork and been so inspired by the story it suggested to him that he had written a story based on it and that the story had been published. I met two other writers who had done the same with other images of mine. […] This gave me the idea of producing anthologies of stories based on my artwork.
Clark sostiene che nella sua professione ci sono due tipi di esercizi per migliorarsi. Il primo tipo di esercizi consiste nell’affinare la propria tecnica e nello studio delle regole di composizione, per riuscire così a dare la forma appropriata alle proprie idee; il secondo tipo consiste nel lasciarsi andare alla propria ispirazione per esplorare nuove idee e immagini1. E’ interessante, perché troviamo la stessa cosa in narrativa: da una parte bisogna lavorare sul proprio stile, sulla propria tecnica, per immergere il nostro lettore e comunicargli al meglio le nostre idee (la forma); dall’altra parte bisogna coltivare la propria immaginazione per sviluppare storie originali (il contenuto). Serve l’una e serve l’altra.
Se per affinare il proprio stile servono lo studio dei manuali e della prosa dei migliori scrittori, per migliorare la propria creatività tutto potenzialmente fa brodo. Anche se le immagini non sono storie, suggeriscono delle storie. Chi, guardando un quadro particolarmente accattivante, non si è mai chiesto cosa accadesse aldilà della cornice, come continuassero l’azione o il mondo immobilizzati nell’immagine? Per questo sono sempre a caccia di nuove immagini, navigando su 4chan (dove, fatto curioso, non c’è solo il pr0n) o spulciando tra gli archivi di Siobhàn, che è un’assidua visitatrice di DeviantArt.
Per quanti anni possano trascorrere, credo che non riuscirò mai a dimenticare L’isola dei morti, la serie di dipinti del pittore simbolista Arnold Bocklin. La prima volta che lo vidi su un libro – dovevo avere quattordici o quindici anni – mi mise addosso un’ansia terribile. Dovetti voltare pagina per rallentare il battito cardiaco. Esagerato? Forse. Ma ancora oggi, a guardare quegli scogli squadrati, sotto quel cielo greve, pesante, con i pioppi che schizzano verso l’alto, con quell’atmosfera di immobilità, entro in agitazione. L’immagine mi ha così colpito che per diverso tempo mi sono gingillato con l’idea di scriverci sopra un romanzo o un racconto; e non è escluso che tenti di farlo in futuro. Col tempo ho imparato a preferire la terza versione del dipinto – più pulita, più fantasy, più animata, più piacevole alla vista – ma ancora oggi credo che sia la prima versione a entrare più in risonanza col nostro inconscio.
Del resto, non sono l’unico. L’isola dei morti fu uno dei dipinti più popolari nei primi decenni del Novecento, suggestionando scrittori, artisti, gente normale. Pare che lo stesso Hitler fosse un grande estimatore dell’opera. Nel corso del secolo diverse opere letterarie sono state ispirate da questa location; anche Roger Zelazny ha ceduto al suo fascino, scrivendo nel 1969 il romanzo Isle of the Dead (che purtroppo non ho letto; ma lo farò, giuro).
Ma il quadro più inquietante che abbia mai visto l’ho scoperto grazie a Ballard, che lo citava a più riprese nel suo La mostra delle atrocità. Parlo di L’occhio del silenzio di Max Ernst. Perché così inquietante? Non saprei, né mi aspetto che abbia lo stesso effetto su altre persone… Il bello di queste immagini è che possono ispirare un’atmosfera e una storia diversa a ciascuno di noi.

L’occhio del silenzio.
Per questo vi consiglio di aggiungere il blog di Alan M. Clark al vostro feed reader. Perché non provare, una volta a settimana, a fare anche voi gli esercizi di dilatazione?
Per parte mia, aggiungerò questo articolo alla sezione “Risorse”, perché possiate raggiungerlo facilmente anche tra mesi.
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(1) Cito testualmente, dalla stessa pagina del blog di Clark:
Sometimes I think of my imagination as a muscle that when exercised regularly will perform better and better. […] There are two kinds of exercises for it; those that condition it to flex and those that condition it to relax. The flexing type involves things like developing technique and learning about composition that help me to shape ideas. The relaxing types are more meditative exercises that help me to get out of my own way so that the curious, exploring, giddy child artist within can try new things, take risks, and hopefully offer up creations that are fresh and unselfconscious.Torna su