Come ti rigiro il cliché: The Cabin in the Woods

Cabin in the woodsIl cinema horror è in crisi creativa da decenni. Nei primi anni 2000, era parso che la salvezza potesse venire dall’iniezione nel nostro cinema bolso di un po’ di sano immaginario horror giapponese, e più in generale dell’Asia orientale. Ma la nuova fonte si è esaurita in pochi anni; ci si è trovati punto e a capo e si è capito che il problema era più strutturale.
La verità è che non vorrei proprio essere nei panni del regista a cui commissionano un film horror. Chiunque tenti l’impresa, si trova stretto in un paradosso: da una parte, per spaventare l’audience (cosa che dovrebbe essere lo scopo di un horror) bisogna proporre qualcosa che esca dagli schemi, qualcosa che non si aspettano e che, prendendoli in contropiede, li metta a disagio; dall’altro, è un attimo farla fuori dal vaso, e confezionare un film che il grande pubblico non vedrà perché va troppo oltre i limiti della sua comfort zone o perché la scure dei rating di età minima o una distribuzione cinematografica ridotta (prima degli spettatori bisogna convincere i distributori…) si abbatte sulla pellicola. E per quanto i budget delle produzioni horror siano generalmente molto più bassi degli altri generi del fantastico, quanti rischierebbero di non rientrare dell’investimento per produrre un film che osa troppo?

La situazione dell’horror si è quindi polarizzata. Da una parte, piccole produzioni spesso messe in piedi da indie, che fanno film molto particolari destinati a una specifica nicchia di mercato, ma condannati a una distribuzione limitata (e che generalmente non hai molte chance di vedere al cinema). Qui troverete le cose più disgustose, o disturbanti, o semplicemente assurde, da The Human Centipede a A Serbian Film. Dall’altra, medie o grandi produzioni che riciclano all’infinito i soliti canovacci considerati “sicuri”, ogni volta miscelandoci timidamente uno o due elementi di novità sperando che bastino a trascinare la gente al cinema (“facciamo un’altra storia di attacchi demoniaci, ma con il pov da found footage“; “facciamo un’altro slasher movie ma in 3D”; “facciamo che è ispirato a una storia vera”).
Dato che il problema riguarda la struttura del mercato e l’audience stessa dei film horror (dove lo spettatore medio crede sì di voler essere messo a disagio, ma in realtà non lo vuole veramente), la situazione rimarrà sicuramente questa anche nei decenni a venire. Il risultato, è che per qualsiasi spettatore un minimo scafato guardare gli horror tradizionali diventa quasi impossibile: è tutto talmente prevedibile, codificato, lineare, che si trascorre l’ora e mezza di pellicola in totale apatia (o sfottendo quegli idioti di protagonisti che commettono ancora e ancora gli stessi errori). Cominci a vedere i fili dietro il film (“questo è il primo personaggio che muore”, “questa è la colpa che la protagonista dovrà espiare”), tutto sembra un gigantesco deus ex machina. Ma chi metterà su bianco quanto il copione dell’horror movie sia bollito e finto?

The Cabin in the Woods

Cabin in the WoodsRegista: Drew Goddard
Sceneggiatura: Joss Whedon / Drew Goddard
Genere: Horror / Commedia nera / Metafiction

Durata: 95 minuti
Anno: 2012

Dana, bella studentessa al primo anno di college, sta cercando di lasciarsi alle spalle una relazione con uno dei suoi professori. E quale modo migliore per dimenticarlo, che trascorrere un piacevole weekend coi suoi amici, in una casa nel bosco lontana dalla civiltà? Gettate le valigie in macchina, Dana è pronta a partire con Jules, la sua migliore amica, Kurt, il ragazzo di lei, l’atleta Holden e il fattone paranoico Marty.
Non sanno di essere osservati. Le loro case sono disseminate di telecamere, ogni loro movimento è seguito via satellite. Un gruppo di tecnici si sta assicurando che seguano alla lettera il copione prestabilito, e anche quest’anno celebrino il consueto, macabro rituale. E una volta raggiunta la casa nel bosco, i cinque ragazzi saranno nel loro campo da gioco. Riusciranno a sopravvivere al massacro orchestrato per loro, o saranno le ennesime vittime di questo canovaccio sempre uguale?

Se quando avete cominciato a leggere questa sinossi vi è sembrato che avessi ri-postato la recensione di Apeshit, vi capirei benissimo. The Cabin in the Woods, film d’esordio di Drew Goddard, e co-sceneggiato e prodotto nientemeno che da Joss Whedon (che tutti quelli della mia generazione ricorderanno per Buffy; i più scafati, anche per Firefly e Dollhouse), è un grande commento sarcastico sull’intero genere slasher “gruppo di adolescenti nella casa nel bosco”. Ma mentre il romanzo di Mellick ribalta le aspettative del genere pur senza uscire dal genere, la pellicola di Goddard e Whedon prende una direzione diversa: la metafiction.
Il film segue due storie parallele. Da una parte, il canovaccio ben collaudato dei ragazzi che vanno in mezzo ai boschi a trascorrere il loro weekend di paura; dall’altra,  il punto di vista dei tecnici che sta manipolando le loro vite. La questione del canovaccio horror come un grande deus ex machina privo di credibilità, prende in Cabin in the Woods la forma più esplicita: quella di un setting a là “Grande Fratello” messo in piedi da un centro scientifico col preciso intento di far morire i ragazzi di una morte atroce. Niente spoiler; Goddard mette le carte in tavola fin da subito, addirittura – scelta molto interessante – aprendo i primi due-tre minuti di film sui tecnici e non sui giovani protagonisti. Tutta la pellicola è giocata sul contrasto tra queste due storyline che corrono parallele.

Trailer italiano del film (“Quella casa nel bosco”).

Come già in Apeshit, anche Cabin in the Woods segue rigorosamente tutte le tappe del genere, dalla fermata alla stazione di benzina alla collezione di artefatti assurdi nello scantinato della casa, ma in questo caso le scene sono presentate in modo tale da sottolinearne l’improbabilità: il benzinaio redneck è stato assunto dai tecnici per parlare come un cretino, e gli artefatti dell’orrore sono stati messi lì apposta perché i ragazzi li attivino. I cliché del genere sono messi alla berlina (come l’infausto “dividiamoci!”), così come i sottintesi bigotti (la protagonista verginella o pseudo-tale, la regola non scritta: “chi scopa muore per primo”…).
E il discorso si estende ai personaggi. Kurt gioca a football, ha i capelli corti e le spalle larghe – ma nei primi minuti di film lo vediamo discutere di sociologia con la protagonista. E perché un atleta non potrebbe anche essere un tipo colto a cui piace studiare? Ma no, gli slasher movie hanno imposto dei ruoli: l’atleta arrogante e idiota, la puttanella, il fattone. E così, nel corso del film vediamo Kurt istupidirsi, manipolato dai tecnici per rientrare nel ruolo.

Ma in generale, Goddard e Whedon hanno fatto un ottimo lavoro nel disegnare i cinque protagonisti: se in Apeshit erano un gruppo di arroganti che non vedevamo l’ora di veder maciullati, in Cabin in the Woods sono tutti dei ragazzi in gamba, e non possiamo fare a meno di simpatizzare per loro e soffrire nel vederli in trappola. L’empatia verso i cinque protagonisti non fa che amplificare il senso di ingiustizia che il film vuole veicolare.
L’errore in cui si poteva cadere, tuttavia, era quello di fare dei tecnici che manovrano la vita dei ragazzi degli evil mastermind. I cliché dell’universo horror sono un argomento troppo triviale per farne qualcosa di davvero drammatico, e il film sarebbe potuto scivolare nella menata retorica. Cabin in the Woods, invece, si destreggia tra l’humor nero e momenti drammatici, confezionando un’atmosfera agrodolce piacevolissima. Mentre lavorano dall’altra parte delle telecamere, i tecnici parlano dei loro problemi coniugali, sfottono gli altri reparti, indicono scommesse, sparano minchiate. Tutto questo li rende molto umani e simpatici – in particolare i due capi-progetto Steve e Gary – il che da un lato alleggerisce il tono del film, e dall’altro crea un contrasto grottesco con la mattanza che nel frattempo avviene nella casa nel bosco.

La famosa scena del “Dividiamoci”.
Vale più di mille parole per cogliere la filosofia del film.

Grazie all’alternarsi delle due storyline, al tono ora sarcastico ora cupo, e alla regia frizzante, il ritmo del film si mantiene alto dall’inizio alla fine. Pian piano la pellicola si stacca dai cliché del genere, prende una strada nuova e si arriva al punto che lo spettatore non è più in grado di predire cosa succederà. L’ultima parte del film è estremamente spassosa – nel senso macabro del termine – e il finale è originale e controcorrente quanto basta. Insomma, si arriva alla fine del film con la sensazione di aver visto qualcosa di intelligente, oltre che di divertente.
Il problema di Cabin in the Woods, semmai, è che la sua trama – una volta interamente spiegata – ha senso unicamente come metafiction; unicamente, cioè, come commento sui difetti dell’horror tradizionale. Il rituale messo in piedi dai tecnici esiste e funziona in questo modo perché sì. Come il mondo della casa del bosco è una grande macchina pilotata dai tecnici, così anche le ragioni dietro il grande lavoro dei tecnici suona un po’ come un deus ex machina – come una scusa pigra perché al regista non era venuto niente di meglio in mente. Paradossalmente, una persona con poca pratica dei film horror e dei suoi cliché non riuscirebbe nemmeno a capire la trama di Cabin in the Woods. Certo, si potrebbe ribattere – e sarebbe vero – che questo film è rivolto esplicitamente a chi è in grado di coglierne il sottotesto; ma il fatto che la storia funzioni solamente a un livello meta-narrativo (e quindi abbia un senso solo appoggiandosi alle opere che prende in giro) è un limite oggettivo e un fattore di debolezza.

Cabin in the Woods è un bel film. E’ meno brillante di un Apeshit, ma vale l’ora e mezza di vita che vi costerà guardarlo più di un buon 90% dei film horror in circolazione. Nel giro di due anni l’ho visto tre volte (la prima da solo, l’altra mostrandolo ad altre persone), sempre con piacere – e questo dovrebbe dirla lunga. Inoltre, a differenza di Apeshit, c’è molta meno violenza grafica e molto meno gore; il sangue scorre a litri e di gente ne viene ammazzata un sacco, ok, ma restiamo tranquillamente nei limiti di uno Scream o di un Final Destination, cioè nel territorio della roba che esce al cinema.
Non posso quindi fare altro che consigliarlo a qualsiasi anche moderato consumatore di cinema horror; e in particolare a tutti quelli che sentono le palle che vorticano a ogni annuncio del prossimo Paranormal Activity o Insidious o troiate varie.

Bear Chainsaw Massacre

Quanto a noi, nuovo appuntamento cinematografico il prossimo lunedì.

43 risposte a “Come ti rigiro il cliché: The Cabin in the Woods

  1. Tra l’altro questo film ha un cast interessante: due “vecchie glorie” del cinema vs. molti attori che due anni fa stavano diventando sempre più famosi. Con le dovute eccezioni, si potrebbe parlare proprio di veterani contro emergenti, ma detta così sembra troppo una partita di calcio.

    Ottimo articolo! Già condiviso, per altro. Ora sono curioso di sapere quale sarà il prossimo film… 😀

  2. Adoro questo film! La prima volta che l’ho visto ho passato un’ora e mezzo a sghignazzare e a ballare per la felicità come un cretino. E’ una presa per il culo degli horror troppo grossa per lasciare indifferente chi ha una minima conoscenza del genere. Ed è tristemente vero che purtroppo il suo fascino non fa’ presa sul resto della popolazione. Il gruppo di amici con cui l’ho visto la seconda volta mi prendono ancora a pernacchie. Capre! xD

  3. @Spirito:

    due “vecchie glorie” del cinema vs. molti attori che due anni fa stavano diventando sempre più famosi

    Be’, del gruppo dei giovani, Chris Hemsworth era già diventato il nuovo volto di Thor ed era pure già stato scritturato per gli Avengers, quindi era già saldamente nel circuito.
    Ma degli altri, nessuno si può dire abbia ancora veramente sfondato (anche se la Connolly, l’attrice protagonista, ora è nel cast principale di una serie di successo come House of Cards – quindi un posto di tutto rispetto si può dire che se lo sia guadagnato).

    @Zethani:

    La prima volta che l’ho visto ho passato un’ora e mezzo a sghignazzare e a ballare per la felicità come un cretino. E’ una presa per il culo degli horror troppo grossa per lasciare indifferente chi ha una minima conoscenza del genere.

    Voglio solo fare una precisazione per chi non avesse ancora visto questo film: non si tratta, comunque, di una parodia à la Scary Movie. Cabin in the Woods non vive senza il suo universo di horror cinematografico di riferimento, ma non è neanche un film che si appoggia continuamente ad altre pellicole. Se in uno Scary Movie gli sketch e le singole scene vivono del confronto con gli altri film, qui è la filosofia di fondo ad avere bisogno del sottotesto dei cliché horror per essere capita.
    E’ un peccato che rimanga intrappolato in questo “limbo”.

  4. Ho visto il film ieri. In realtà dopo aver letto la recensione di Apeshit già mi era venuto da recuperare questo, per associazione.

    In ogni caso… l’ho trovata una pellicola simpatica, senza dubbio originale, ma anche un po’ fiacca. Sarà che la distanza che si percepisce tra team aziendale e ragazzi non permette di percepire un vero conflitto, sarà per la frettolosità della parte centrale, sarà perchè, come dice la recensione, il motivo alla base del sacrificio rituale è chiaramente pretestuoso.
    Io personalmente promuovo a pieni voti la parte fino al risveglio degli zombie per la doppia atmosfera di attesa che crea, il gioco coi clichè e la buona scrittura, boccio quella con le “esecuzioni” perchè praticamente va col pilota automatico senza nessuna sorpresa, e vorrei dire qualche parola in più sulla terza parte. (spoiler grossi di qui in avanti).

    Non capisco onestamente se l’operazione meta narrativa continua dopo che i due ragazzi sopravvissuti scoprono l’ascensore. Ovviamente l’azienda non ha più alcun controllo sulla storia, per cui non può spingere i personaggi a comportarsi in certi modi convenzionali, eppure i clichè continuano, con Dana che schiacciando tasti a caso in una cabina trovata per caso apre tutte le celle, con i sistemi di sicurezza che guardacaso non funzionano, con i protagonisti che passano attraverso un fortuito buco nel muro, la ragazzina zombie che arriva proprio quando serve, eccetera. Per un po’ di tempo ho pensato che i continui guasti avrebbero portato a una rivelazione tipo che in realtà il rituale coinvolgeva l’azienda che aveva organizzato il rituale (ritualception, un po’ alla Cube Zero), con una svirgolata meta meta narrativa. Questo avrebbe spiegato i clichè anche nella seconda parte, ma invece niente. Sono perplesso. Bello il divertissment con i mostri a piede libero, non c’è dubbio, ma è tutto qui? Se è tutto qui rimango un po’ deluso, perchè non si può iniziare un film rivoltando uno stereotipo come un calzino e poi ricadere in un altro stereotipo (sci-fi horror corportativo con elementi dark fantasy), anche perchè, per forzare le cose, a quel punto devi per forza infrangere regole dell’Evil Overlord list, e se lo fai sgraziatamente il finale diventa di cartone. Ma il punto è… sarà stato fatto apposta per dimostrare qualcosa che non ho colto? Oppure no?

  5. Chiedo scusa per il doppio post… mi è venuto in mente che l’ultima parte potrebbe essere una specie di “contrappasso cinematografico” per l’azienda che pilotava la distruzione dei ragazzi, che viene pilotata alla distruzione dal vero regista per il ludibrio dei veri spettatori. Questo spiegherebbe tutti i malfunzionamenti e luoghi comuni, sbattuti in faccia a chi guarda perchè tanto oramai abbiamo capito i meccanismi horror . Quindi c’è la seconda svolta meta narrativa, ma il burattinaio malvagio è nascosto dietro alla telecamera. Mizze che fatica però, qualche aiutino, per favore? Non so una scena dopo i titoli di coda, o qualche inquadratura sospetta… boh. Tapiro, che mi dici, sto delirando? Il film mi ha fritto il cervello?

  6. Visto questa mattina. Veramente simpatico. Grazie della segnalazione!

    >> Non capisco onestamente se l’operazione meta narrativa continua dopo che i due ragazzi sopravvissuti scoprono l’ascensore.

    SPOILER:

    I due ragazzi vengono a sapere delle regole del gioco ma decidono comunque di NON sacrificarsi e far finire il mondo. Così facendo:
    – Continuano a fare fino all’ultimo il contrario dello stereotipo del genere (dove di norma se muoiono tutti, muoiono per salvare l’umanità, dimostrando un altruismo planetario spesso spropositato rispetto ai personaggi coinvolti)
    – Includono un graffiante metalinguaggio finale, per cui: “Se questo è diventato il genere horror, meglio farlo morire e ricominciare daccapo!”

    Almeno imho

  7. Cabin in The woods è stata la sorpresa assoluta del 2012. Uno dei pochi horror degli ultimi tempi senza punti morti e costruito come Cristo comanda.

  8. @Alb:

    Tapiro, che mi dici, sto delirando? Il film mi ha fritto il cervello?

    You’re overthinking it.
    Di sicuro il regista dev’essersi divertito un sacco a progettare le scene finali e il “contrappasso” della liberazione dei mostri sugli scienziati, però no, nel film non c’è nessuna allusione all’idea di un doppio livello meta-narrativo e del fatto che ci sia un deus ex machina dietro il deus ex machina.

    La pura e semplice verità, è che la parte finale è costruita in modo ingenuo. C’è qualche tocco di intelligenza (il fatto che le guardie debbano necessariamente uccidere prima Marty di Dana li rende un po’ più lenti e inefficaci), ma cose senza senso tipo il pulsante “libera mostri” in una parte accessibilissima della base non hanno scuse.
    Il fatto è che, a voler essere rigorosi, i ragazzi non avevano speranze. Di fronte a una squadra armata stile SWAT, e che gioca in casa, sarebbero dovuti morire per forza. Il pulsante che scatena il pandemonio e i vari colpi di fortuna che hanno i due mentre si aggirano per la base sono un palese sgamuffo per farli arrivare fino in fondo alla trama e mantenere il tono di dark humor della pellicola.

    Quindi, sì: la parte finale del film è estremamente debole a livello di trama (il che è un difetto oggettivo), e non può essere salvata in extremis immaginando un doppio messaggio meta-narrativo da parte del regista. E’ pura e semplice incapacità di trovare una soluzione migliore.

    @Dago:

    Includono un graffiante metalinguaggio finale, per cui: “Se questo è diventato il genere horror, meglio farlo morire e ricominciare daccapo!”

    Non so se, arrivati a quel punto, il bersaglio siano ancora i cliché dell’horror. Io ci ho letto un più semplice: “se il mondo fa così schifo da funzionare secondo una logica simile, tanto vale che muoia”.
    E comunque anch’io ho apprezzato moltissimo il finale di scazzo totale ^-^

    In ogni caso, felice che ti sia piaciuto il film!

    @Zwei:

    Cabin in The woods è stata la sorpresa assoluta del 2012. Uno dei pochi horror degli ultimi tempi senza punti morti e costruito come Cristo comanda.

    Yay!

  9. Pingback: Quella Casa nel Bosco | Accidental Reviews

  10. Visto anch’io qualche mese fa in dvd e l’ho trovato divertente proprio per il suo approccio meta-narrativo e per rispondere alla domanda “perché gli horror sono tutti uguali?”.
    Oltre a spiegare l’esistenza della “final girl”, la cui morte è opzionale.

    Vero, il finale è debole, anch’io mi sono chiesto come potesse essere così facile liberare mostri così pericolosi (che oltretutto sfondano portoni blindati ma non le loro celle).

    Domanda un po’ OT: perché Insidious non ti piace?

  11. Tapi, stavo rivedendo per diletto il film.
    In paticolare, non so se avevi mai fatto caso:

  12. Ok, ho trovato questo:

    http://thecabininthewoods.wikia.com/wiki/Monsters

    Ora mi è tutto più chiaro

    >> perché Insidious non ti piace?

    Che c’è da farsi piacere? E’ il classico filmetto horror che fa (imho male) i compitini a casa e strappa il 6 politico. Il demone kattivello, il povro bimbo, i momenti BUH!, la possessione, la classica befana medium, i ghost busters de noartri, il finale che “tranqui, dopo di questo vi sucate 5 sequel”

  13. @Dago:

    Tapi, stavo rivedendo per diletto il film.
    In particolare, non so se avevi mai fatto caso

    x°D
    Ammetto che mi era sfuggito.

    Ora mi è tutto più chiaro

    Il concept di Kevin era carino.
    Peccato che poi non sia stato portato avanti.

    @Van Horstmann:

    Domanda un po’ OT: perché Insidious non ti piace?

    Più o meno come ha detto Dago.
    Aggiungo che il film è debole anche perché manca una vera risoluzione. Il climax lentamente cresce, cresce, cresce… e sfuma in un finale abbastanza brusco (benché non del tutto malvagio: non sono ostile ai bad ending).

    Più in generale, oltre a essere cliché Insidious ha poco ritmo. L’ho guardato con noia.

  14. Secondo me l’Horror risente non tanto di problemi strutturali, quanto della complessiva decadenza della narrativa. Non è l’unico genere a soffrire di manierismo terminale, la stessa tara è più o meno ovunque, perché siamo una civiltà decadente.
    Tant’é vero che ogni tanto qualche buona storia la tirano fuori. Oculus non era male e la realizzazione era interessante. Mama ha un sacco di difetti ma anche un certo numero di pregi.
    Peraltro, il rating ha un’impatto relativo a parer mio, dato che si può creare un buon film di paura senza impiegare dose massicce di sangue o sbuzzamenti o tette.
    Cabin in the woods è una festa di citazioni e riferimenti. Anche se avrei preferito mille volte i Cenobiti alla Pain Worshipping Zombie Family o come diavolo li chiamano 😀 Cavolo, avevano quasi aperto la palla-puzzle!
    Quanto a Insidious, la storia non è molto originale, ma a parer mio è molto ben realizzato… fino agli ultimi 15 minuti. Gli ultimi quindici minuti sono un let-down fenomenale, roba che nemmeno i filmetti horror degli anni ’90. Un vero peccato. E gli attori principali sono due piaghe.
    Erano molto meglio in The Conjuring. Di nuovo, storia già vista e sentita, e un paio di grossi problemi di coerenza interna sul funzionamento di demoni e possessioni, ma nell’insieme mi è piaciuto molto.
    Il problema con James Wan, IMHO, è che fa un film buono, uno nammerda, uno buono, uno nammerda. Insidious aveva dei pregi, Insidious 2 fa cagare. The Conjouring è ganzo, Annabelle pare sia na stronzata (e dal trailer promette MALISSIMO).

  15. @Tenger:

    Secondo me l’Horror risente non tanto di problemi strutturali, quanto della complessiva decadenza della narrativa. Non è l’unico genere a soffrire di manierismo terminale, la stessa tara è più o meno ovunque, perché siamo una civiltà decadente.

    E un “dove andremo a finire” no? 😛
    Aldilà delle minchiate: indubbiamente la creatività in ambito cinematografico si sta atrofizzando, soprattutto in concomitanza col lievitare dei costi delle grosse produzioni.
    Ma la situazione dell’horror è a mio avviso più grave che non in altri generi altrettanto formulaici, come i buddy cop o le commedie romantiche. E questo per una ragione strutturale del genere: nei due esempi sopracitati un canovaccio molto cliché non va più che tanto a scapito delle emozioni che quei film vogliono veicolare. Alla centesima commedia romantica che vedo, se sono quel tipo di persona, posso lo stesso emozionarmi nel vedere il tipo e la tipa che si abbracciano e si dichiarano amore, o quantomeno mi si scalderà il cuore; in un film d’azione, proverò comunque il sano divertimento scanzonato di guardare macchine e palazzi che esplodono, e magari l’occasionale botta di adrenalina.
    Il problema dell’horror, è che invece la paura nasce proprio dall’inaspettato ed è invece atrofizzata dalla prevedibilità. A differenza delle emozioni precedentemente citate, che soffrono in maniera minima della ripetizione, la paura viene del tutto uccisa. E quindi questi film finiscono per lasciare lo spettatore smaliziato completamente apatico.

    Cavolo, avevano quasi aperto la palla-puzzle!

    Lo so, non dirlo a me… u_u

    Insidious aveva dei pregi, Insidious 2 fa cagare. The Conjouring è ganzo, Annabelle pare sia na stronzata (e dal trailer promette MALISSIMO).

    Non mi ero neanche accorto che Insidious e The Conjuring fossero dello stesso regista ^-^’
    Comunque non saprei: io con Insidious mi sono annoiato dall’inizio alla fine. Apprezzavo la filosofia di fondo del “protagonista che se la va a cercare”, ma niente di più.
    E Conjuring mi è piaciuto ancora meno: nessuna scena è riuscita a scuotermi, e non riuscivo neanche sforzandomi a provare qualcosa che i personaggi. Suonava tutto molto, troppo formulaico.

    Invece non ho mai visto Oculus.

    • >>E un “dove andremo a finire” no?
      Proove me wrong 😛

      L’horror nasce dall’inaspettato, ma in buona parte dipende anche da “come è servito”. In La maschera della Morte Rossa, sappiamo fin dall’inizio che i protagonisti si sono fregati da soli e che lo sconosciuto al ballo è la morte, ma resta un eccellente racconto. La stragrande maggioranza di film giapponesi e coreani hanno un fantasma femminile come main villain, ma diversi (non tutti) restano godibili. In diversi Silent Hill il succo della trama è un personaggio costretto a far fronte ai suoi sensi di colpa. Se ben realizzato il film può essere gradevole, perché tutti hanno provato quei sentimenti negativi.
      Come le commediole romantiche fanno leva su un sentimento diffuso (il desiderio del grande ammmoreh), l’horror funziona quando fa leva su emozioni che lo spettatore conosce.
      Beninteso, senza elementi davvero innovativi il film non sarà ECCELLENTE, ma comunque può essere godibile.
      IMHO, alla fine, i racconti horror sono elaborazioni di partite.
      Un essere umano si trova in qualche maniera coinvolto in una partita con qualcosa di un altro “mondo”. Il protagonista deve riuscire a indovinare le regole del gioco e vincere, pena la perdita di cari/della vita/fine del mondo/ecc.
      Il problema di molti horror è che non ci sono regole, o non ci sono regole astringenti. In ‘Salem’s Lot i vampiri devono essere invitati per poter entrare in casa tua, ma a DUE RIPRESE King se ne scorda, e nella seconda l’irruzione del vampiro non invitato è un Major Plot-Point, per di più. Uno perde interesse perché non c’è partita.
      Ad ogni modo l’Horror ha secondo me una grande difficoltà rispetto ad altri generi: è estremamente dipendente dalla qualità dei personaggi. In un film d’azione puoi ficcarci dei G.I.Joe burini, in una commedia romantica puoi avere gente genericamente simpatica, ecc. Nell’horror (facendo eccezione dagli slasher comici tipo la serie dei Wrong Turn, che restano comunque film di serie Z) se i personaggi non sono interessanti l’intero film non sarà interessante. E un personaggio interessante in un film richiede il connubio tra buona scrittura e un buon attore, oltre che una certa dose di originalità. In The Haunting (l’Originale, non il remake di merda), buona parte del angoscia è data dal personaggio di Elanor, le sue psicosi ecc., per fare un esempio classico. Uguale in The Changeling (1980). Per riprendere Hellriser, i Cenobiti sono una figata pazzesca, ma funzionano meglio quando i protagonisti sono ben fatti (Kristy in Hellraiser I, o Joseph in Hellraiser Inferno).

  16. >>Invece non ho mai visto Oculus.

    Oculus è un bel film imho, ingiustamente snobbato dalla maggior parte della critica.
    E’ la storia di uno specchio maledetto che uccide i suoi possessori portandoli alla pazzia, e di una coppia di fratello e sorella determinati a resistere ai suoi poteri e, in un certo senso, “sconfiggerlo”.

    Senza spoilerarti troppo, ti dico un po’ di motivi per cui dovresti dargli un’occhiata:

    – E’ un horror decisamente “psicologico”. Lo specchio è potente, ma NON può interferire sulla realtà materiale delle cose (salvo piccole eccezioni). Per agire, e nutrirsi, impiega l’illusione e la manipolazione della mente delle proprie vittime (spesso mettendole l’una contro l’altra). Inoltre di lui non viene spiegato da dove nasce e cosa sia di preciso, in quanto giustamente se ne hanno solo notizie frammentarie e recenti. Ciò ne da in definiva l’idea di qualcosa di mostruoso non perchè sbava o ha gli artigli affilati, ma perchè “Insidious” (lui sì), cioè dannatemente intelligente.
    Più volte durante il film la sopravvivenza dei protagonisti dipende proprio dalla capacità di discernere cosa è reale e cosa no.

    – Il film si ambienta su due piani temporali intrecciati, il presente e l’infanzia dei protagonisti (cioè quando la loro famiglia viene casualmente in possesso dello specchio, con effetti che vedrai).
    Che per carità, non è Cechov, ma rispetto al classico horror estivo che fa il compitino traghettando lo spettatore dal punto A al punto B questo è grasso che cola.
    Inoltre il fatto che entrambi i piani temporali si svolgano nello stesso ambiente (la casa della loro infanzia), tende imho a dare al tutto un senso di orrore “domestico”, dove alla fine l’elemento centrale del film più che lo specchio sembra proprio quello della lenta, graduale, e per questo più angosciante, distruzione della famigliola felice (tranquillo, niente supercazzole sull’horror metafora della modernità)

    – I due protagonisti sono CREDIBILI. Da una parte c’è lei, convinta che lo specchio sia veramente soprannaturale, e intenzionata a dimostrarlo per riscattare il nome della famiglia. Ma niente fotografie spettrali, tavolette comecazzosichiama e altre chincaglierie comprate alla Fiera del Disagio, come in Insidious. Solo telecamere, computer, termostati, più un meccanismo di autodistruzione dello specchio che però…vedrai.
    Dall’altra c’è il fratellino, che ha passato l’infanzia imbottito di prozac a convincersi che babbo ha accoppato mamma, e che almeno all’inizio fa da voce critico-razionale a tutto l’esperimento. Quando la sorella attacca il pippone sulla storia dello specchio, lui la ferma e per la prima volta in un horror le dice qualcosa tipo: “QUANTI CASI HAI SCARTATO PERCHE’ NON SI ADATTAVANO ALLA TUA TEORIA??” . Lì ho avuto un’erezione.

    Poi, intendiamoci, non è un capolavoro. Il film ha qualche scivolone (LOL, la storia dei cani), e nel momento in cui ingrana e cerca di mostrare di più, di spaventare invece di angosciare, mostra i suoi limiti soprattutto tecnici. Inoltre parte del cast non è decisamente all’altezza.

    Yet, imho merita un’occhiata.

  17. @Tengi:

    Come le commediole romantiche fanno leva su un sentimento diffuso (il desiderio del grande ammmoreh), l’horror funziona quando fa leva su emozioni che lo spettatore conosce.
    Beninteso, senza elementi davvero innovativi il film non sarà ECCELLENTE, ma comunque può essere godibile.

    Suppongo che questo dipenda anche da quanto uno sia esigente: per esempio ho trovato insulsi anche horror che a te sono piaciuti, come The Conjuring o la prima parte di Insidious.
    Ciò detto, sono anche d’accordo con tutto quello che tu dici su importanza della caratterizzazione dei personaggi, presentazione, coerenza dell’elemento sovrannaturale.

    @Dago:

    Oculus è un bel film imho, ingiustamente snobbato dalla maggior parte della critica.

    Me l’hai venduto bene: tempo permettendo, vedrò di darci un’occhiata^^

  18. Io non amo l’horror, ma questo è puro genio.

  19. @ Tengrrrl

    la stessa tara è più o meno ovunque, perché siamo una civiltà decadente.

    a questo mi sono capottato ed ho smesso di leggere il W.O.T. perché avevo le lacrime agli occhi ^_^
    ….
    ora che m’è un po’ passata la crisi, però, osservo che nella tua lucidissima e approfondita disamina sul crepuscolo dell’Occidente hai dimenticato di aggiungere che “non ci sono più le mezze stagioni, signora mia, dove andremo a finire, che qui una volta era tutta campagna” 😛

  20. @Tengrrrl:
    per cominciare, Anal-croma tua sorella 😛

    tanto premesso, per darti una risposta seria, il problema non è la “decadenza” (reale o presunta) della civiltà Occidentale (che queste geremiadi mi fanno sempre scompisciare, cmq ^_^). Semplicemente, a mio dire, la questione non è (solo) culturale, bensì (soprattutto) economica.

    Mi spiego meglio: fare un film, o cagare fuori (inteso come “distribuire e promuovere) un “prodotto editoriale” è una questione di costi e di ricavi che l’operazione commerciale connessa potrà portare.

    Ergo, il principio di chi dovrà (finanziare e/o) distribuire la tua opera è: ma il tuo “bliximo film/libro rivoluzionario che sbaraglia tutti i cliches, pieno di sensouonder e sciodontell” quanto mi costa, in termini di (produzione e) distribuzione e pubblicità? E (soprattutto) quanto ne posso ricavare in concreto? Se non si crede alla tua idea (e, in tempi di crisi come questi, diventa difficile essere “di manica larga” con qualche esordiente, ovvero con idee balzane che escano dal solco del “gia visto” e che destabilizzino gli spettatori) la stessa non riceverà ovviamente cash per la produzione, e se mai riuscissi a realizzarla uguale incontrerà le stesse difficoiltà nella distribuzione, col risultato che non la cagherà nessuno in un circolo vizioso.

    Pertanto, c’è la (sgradevole) tendenza a puntare sulle certezze, a non uscire dal solco di quanto già fatto/visto sinora, che sia l’ennesimo sequel del film “che ha fatto il botto” ovvero l’ennesimo libro di Stephen King (scritto oramai con il pilota automatico).

    My two cents, ovviamente 😉

  21. Ma se invece di tirarvi i pizzicotti e spararvi le palline di carta con la cerbottana allo sputo provaste a ragionare sui concetti?

    Che intendete per civiltà e che intendete per decadente?

    Poniamo che per “nostra civiltà” si intenda l’Occidente aka il classico USA+UE (e il Giappone? e il Brasile?)

    Poniamo che per “deacadenza” si intenda un trend decrescente (ma quanto decrescente? anche solo il -0.1%? almeno il 10%? 20%? 30%?)

    Un trend in che intervallo? famo 2000-2010? 1995-2015? 2005-2008?

    ma in che ambito? ce ne sono innumerevoli. economia, difesa, ambiente, qualità della vita, ecc.

    famo un esempio, ovvero il trend USA+UE tra il 2000 e il 2012 in ambito economico.

    se si considera il trend del GDP mondiale

    allora sì, USA+UE passano tra 2000 e 2012 a controllare dall’iniziale 51% al 39%. Un tonfo del 12%. Basta a parlare di decadenza? dipende sempre dalla definizione.

    Prendiamo il settore militare?

    tra il 2000 e il 2012

    la spesa in armamenti USA è aumentata del 70%, quella della Cina del 325, quella della Russia del 179

    peccato che nel 2012 la spesa militare degli USA in valuta fosse comunque ancora superiore a tutti gli altri competitor MESSI INSIEME

    Questa è decadenza? Se una mosca diventa grande il triplo mentre l’elefante rimane uguale, l’elefante è in decadenza??

    prendiamo un dato ambientale, la percentuale di aree protette nel mondo, che nel 1990 era

    e 2000 era

    Col Brasile che quindi passa dal 33% al 59%. Ora, a parte che bisognerebbe vedere se quelle aree sono protette davvero o solo sulla carta (ahimè, la seconda), il Brasile cos’è? Occidente o non-occidente?

    Se invece prendiamo la lista delle città più inquinate al mondo, nel 2010 erano tutte in Asia

    http://www.dailyfinance.com/2010/11/29/10-cities-with-worlds-worst-air/

    e nel 2014

    http://www.news.com.au/travel/world-travel/countries-with-the-worst-air-pollution-ranked-by-world-health-organisation/story-e6frfqai-1227040198863

    IDEM.

    E potrei continuare per ore, considerando il trend del numero di star-up, della percentuale di traffico marittimo, dell’inquinamento nucleare, delle morti sul lavoro, per obesità, per malaria, del tasso di libri pubblicati, della forbice sociale fra segmenti più ricchi e più poveri, dei prezzi dei beni al consumo, del petrolio estratto e dell’energia verde prodotta, fino a farvi venire bisogno di un grafico a torta solo per illustrare quanto vi abbia sfracellato i maroni.

    Questo per dire che parlare (o litigare) sulla decadenza della nostra civiltà ha senso solo quando si decide cos’è la nostra civiltà, e cos’è la decadenza. Basta cambiare un elemento fra i tanti (chi, quando, in che settore) e si può dire che la civiltà è a un passo dal baratro, o che siamo talmente fighi che i Grandi Antichi ce lo possono sukare coi tentacoli. Quindi decidete di che diamine state parlando.

    Oppure si può tornare a parlare di film con gente sbudellata.

  22. parlare (o litigare) sulla decadenza della nostra civiltà ha senso solo quando si decide cos’è la nostra civiltà, e cos’è la decadenza

    this
    che, peraltro, era il concetto che volevo esporre io (ossia la mia tesi), ma che è stato (assai più brillantemente, devo dire) sviscerato ed argomentato da Dago.

  23. quello che volevo dire io è che la presunta “decadenza” della “nostra Civiltà” (che poi ci sia o non ci sia è tutt’altro argomento, che esula completamente dall’articolo) secondo me è stata chiamata in causa del tutto a sproposito da Tengrrl: la percepita “perdita di qualità” dell’horror in realtà, a mio dire, è spiegabile molto più semplicemente su tangibili ragioni economiche (come peraltro ho già scritto sopra).

    … e comunque, Maestro Dago, ha cominciato Tengy 😛

  24. >> … e comunque, Maestro Dago, ha cominciato Tengy

    Questo è verissimo.
    Ed è altrettanto vero che tu invece di partire subito all’assalto frontale come i Russi e gli Zulù “ROTFL MA KOSA AI SKRITTO AHAHAHA NN KAPISHI NIENTE !!!!11”, avresti potuto chiedere:
    “Scusa Clio, precisamente che intendi per decadenza della civiltà?”

    Quindi smettetela di cagare il cazzo e non costringetemi a…no aspè, ma sto blog non è mio, vero? Ogni tanto me ne dimentico.

    Ok, Tapi. Vo a studiare. Ti lascio comandare per qualche ora. Non mi deludere!

  25. Ragazzi, non vi si può lasciare da soli un attimo.

  26. A parte i vari settori di interesse da sviscerare e analizzare, io stavo parlando di narrativa (visto che di quello tratta l’articolo) 😀 E la narrativa mainstream è in fase decadente (non solo in Italia). E la ragione è principalmente culturale secondo me, visto che ci sono esempi di paesi che in condizioni economiche molto peggiori delle nostre tiravano fuori opere più che dignitose (le prime produzioni di Kurosawa erano in pieno sfacelo economico).
    Il costo di un’opera demmerda e il costo di un’opera decente (non sto dicendo il nuovo Citizen Kane, parlo di roba semplicemente decente) non è sensibilmente diverso. Ma un “produttore di cultura” (produttore/editore/ecc.) nemmeno ci prova a fare un buon lavoro, perché l’idea è che “tanto vendrà, tiriamoci su il più possibile”. Il che, specie in narrativa scritta, è il sistema migliore per rallevarsi una clientela numerosa ma che fruisce poco del prodotto. In 5 milioni comprano l’ultimo romanzo di Daphne Gabrielle Reddington, ma ne comprano solo uno l’anno, quindi alla fine della fiera il bilancio è negativo.
    A parer mio puntare su lammerda per sistema è indice di decadenza culturale.

  27. Ok. A me “la stessa tara è più o meno ovunque, perché siamo una civiltà decadente” pareva un commento generale.
    Detto questo:

    >> E la narrativa mainstream è in fase decadente (non solo in Italia). E la ragione è principalmente culturale secondo me

    Clio, imho qui stai di nuovo ipersemplificando. Dai un giudizio categorico sulla narrativa mainstream:
    1- nelle sue varie diramazioni (o comunque, per lo meno letteratura e cinema)
    2- per tutti i suoi vari centri di produzione mondiali (oppure si parla solo di Occidente? e di nuovo, Occidente come?)
    3- Adducendone fantomatiche ragioni culturali (perdita dei valori tradizionali? oppure l’opposto, oscurantismo e tradizionalismo? o ancora, analfabetismo di ritorno? oppure si tratta di smarrimento eistenziale?)
    4- SOPRATTUTTO, non specifichi COSA INTENDI PER MAINSTREAM. E’ mainstream quello che fa i soldi? è mainstream quello che esce al cinema/libreria? è mainstream quello di cui parlano i giornali/TV?

    Prendiamo anche la definizione più restrittiva e tradizionale possibile, almeno per il cinema: è mainstream ciò che finisce in sala.
    Cinema italiano: milioni di persone vanno a vedere Boldi e De Sica che fanno scureggie, ma altrettanti milioni di persone vanno a vedere La Grande Bellezza.
    CInema francese: tra una perla e l’altra, il film che ha incassato di più nella sua storia è Intouchables, una commedia che è stata osannata anche dalla critica (malgrado a me abbia alquanto fatto cagare).
    USA: Hollywood scagazza ormai solo film su tizi in calzamaglia, è vero. Ma secondo me non si tratta di una decadenza, ma di una trasformazione epocale del mezzo. Il cinema americano si va sempre più dedicando all’intrattenimento puro perchè la funzione di costruire grandi archi narrativi è oggi stata quasi totalmente abdicata a favore della SERIE TV. Produzioni come House Of Cards (un vero e proprio Macbeth moderno), Breaking Bad, The Wire e Spartacus (scherzo!) riescono a raggiungere sia per i tempi più dilatati a disposizione ma soprattutto per la genialità raggiunta da molti autori collaudati, delle vette narrative che imho, poste le ovvie differenziazioni, non hanno nulla da invidiare ai vari Scarface, Pulp Fiction o Shining (giusto per citare qualche nome illustre a caso). E spesso lo fanno con budget che sono un centesimo di quello del nuovo filmone KABUUUM!! sull’uomo ragno, e comunque un decimo del budget che a Bollywood (teoricamente i poveri ma con qualità) impiegano per metter su un altro musical demmerda dove l’amore trionfa sulle inimicizie delle famiglile e tutti e due vissero per sempre felici e contenti (almeno finchè lui non comincia a sfracagnarla di mazzare. Lo so, RACIST DAGO!)

    Questo breve excursus era volto esprime il parere (opinabilissimo) che anche nella definizione ordinaria di “mainstream” ci sono spesso e volentieri spazi per la qualità.

    Ma in realtà imho la verità è un altra. Il fatto è che le nuove tecnologie (lo so, sto termine fa tanto 2001 e modem 56k) stanno totalmente cambiando il concetto di mainstream. Mainstream non è più ciò che esce in libreria o al cinema, o sul giornale.
    Mainstream è ciò che è accessibile. Punto.
    Non c’è più bisogno che il libro/film debba arrivare al cinema o in libreria perchè tu ne possa goderne, perchè lo puoi scaricare da internet. Non hai più bisogno di radio, giornali, tv per sapere che tale libro esiste, perchè ci sono forum e blog appositi (il tuo per esempio).
    Ormai imho TUTTO è accessibile. Tutto è mainstream.

    Cosa succede a questo punto? Succede che, come nel già detto caso del deragliamento cinema/tv serie, i prodotti si specializzano. Al cinema, in Tv, in libreria vedi comparire porcherie come Transformers, Troisi, Elisa di Rivombrosa, che diventano sempre più porkate abominevoli, perchè il prodotto televisivo o cinematografico o librario, che una volta puntava un po’ al pubblico alto un po’ alla massa, punta solo alla massa.
    Ed essendo questi i prodotti più visibili, perchè i media tradizionali sono ancora quelli più direttamente accessibili, ne desumi che la qualità media della narrativa si vada sempre più abbassando per garantire il sollazzo (pagato) del popolino.
    Ma non ti accorgi che nel frattempo su internet, vengono pubblicate, scaricate e consumate migliaia di opere più di nicchia, nonchè di ben più alta qualità. Così come non ti accorgi di quanta gente accede al via cavo per guardarsi una serie tv come i Soprano o Homeland.
    Scambi le pile di Nihal in libreria con la totalità del mercato editoriale, e il nuovo film di twilight con la totalità del mercato televisivo/cinematografico.

    Il mercato della cultura esiste per il raggiungimento del profitto economico, è vero. Non potrebbe essere altrimenti, visto che vi è dietro il lavoro di persone che devono sostenere se stessi e la propria famiglia.
    Ma ciò imho NON costituisce un problema. Perchè come c’è l’editore che intende mettere insieme pranzo e cena pubblicando la Strazzulla, e compiancendo il suo pubblico di 14enni beoti, così da qualche parte in giro per il mondo c’è quello che punta a un mercato colto, attento, e per questo, di norma, benestante e disposto a spendere. E per farlo pubblica Martin, Barker, Pratchett o l’inedito e futuro best seller di Clio Simonetta.

    Tutto imho ovviamente.

    Ah, ultimo ma non ultimo: cazzo hai contro Daphne Gabrielle Reddington???

  28. e soprattutto ma chi è Daphne Gabrielle Reddington?

  29. @Tengi e Dago:

    Non voglio neanche cominciare a impelagarmi in un discorso sullo “stato della cultura”, dato che per farlo con un minimo di esaustività e senza cadere nella memoria ci vorrebbero minimo 300 pagine di saggio e un assortimento di tabelle statistiche.
    Faccio solo qualche precisazione al volo, tenendo fermo da subito che dovrò giocoforza rimanere un po’ superficiale:

    1. Che la causa delle scelte delle industrie dell’intrattenimento siano strettamente economiche è un fatto oggettivo. Prendiamo l’industria cinematografica e quella videoludica: i titoli delle major costano molto. L’unico modo per fare profitto è che incassino più di quanto costino. Perché ciò sia possibile, devono vendere tantissimo. Ergo, devono raggiungere il più vasto pubblico possibile. E l’unico modo per farlo è proporre qualcosa che sia accessibile e godibile dalla maggior parte del pubblico, compresi i trogloditi e i fan di Fabio Volo.
    Titoli di grande spessore infatti, come faceva notare Dago, non mancano in nessuno di questi settori, ma sono relegati alle produzioni indipendenti o comunque a basso budget (vedi l’esplosione di videogiochi indie bellissimi negli ultimi quattro-cinque anni, o il discorso sull’horror indie di nicchia che ho fatto questi giorni). Lavorando con budget ridotti – e spesso pure con i soldi dei fan, attraverso il crowdfunding – questi progetti possono vivere anche con incassi minori, e rivolgersi a nicchie specializzate e più “colte”. E di questi prodotti di alta qualità ce ne sono, anche oggi, davvero tanti. Solo che sono poco pubblicizzati – va da sé, data la scarsità di mezzi e il pubblico ridotto a cui sono destinati – e per trovarli bisogna sbattersi un po’.
    Come al solito: materialismo storico explains it all, yo dawg.

    2. Noterete che ho parlato di cinema e videogiochi, ma non di libri – dove in teoria questo problema del budget non esisterebbe. Ma c’è un problema: l’editoria ricopre un ruolo molto particolare rispetto a qualsiasi altra industria. Ossia, è il rifugio di tutta la feccia del management internazionale; è quel mercato che viene gestito da gente a cui non affideresti nient’altro al mondo. Non si fanno soldi con i libri (più di tanto neanche coi megaseller), ergo vengono affidati a minchioni e immanicati.
    In genere inoltre, come raccontavo in un vecchio articolo sulla vita degli scrittori, il ruolo delle case editrici non è neanche di marginare. In genere fanno parte di holding che traggono i loro profitti da altri settori, e servono piuttosto per altri scopi: pierraggio selvaggio, controllo (parziale) dei mezzi d’informazione, politica e clientelismo. Ergo, a chi dirige le grosse case editrici in genere non importa molto quel che viene pubblicato; le loro politiche sono dettate da tutt’altri fini, che hanno a che fare più col potere che coi guadagni. Ma questa è una regola che valeva già nell’Ottocento – vedasi Illusioni perdute di Balzac per reference.

    3. Il termine “mainstream” in narrativa ha un significato ben preciso che lascia poco spazio alle interpretazioni: è tutto ciò che non è narrativa di genere né Literary Fiction. Da questo punto di vista, Cado dalle nubi (sì, quello di Checco Zalone), La solitudine dei numeri primi e Le fate ignoranti sono tutti Mainstream. Scream non è mainstream: è horror, anche se l’hanno visto tutti.

    4. Dago, se dopo tre anni che segui il mio blog, gli autori più di spessore che ti vengono in mente sono quelle fighette inflazionate di Martin, Barker e Pratchett, puoi anche purificarti nel fuoco.

    @Reno:

    e soprattutto ma chi è Daphne Gabrielle Reddington?

    Su certe cose, è meglio rimanere nell’ignoranza.

  30. @Dago
    >>Non c’è più bisogno che il libro/film debba arrivare al cinema o in libreria perchè tu ne possa goderne, perchè lo puoi scaricare da internet.

    Non sono d’accordo. Sembra che stia diventando sempre più vero, sure, ma resta il fatto che una stragrande maggioranza di italiani (e di francesi) continua a conoscere quello che passa al cinema e quello che passa in libreria. E la qualità media di quello che passa al cinema e quello che passa in libreria fa piangere i conigli.

    >>Ah, ultimo ma non ultimo: cazzo hai contro Daphne Gabrielle Reddington???

    Una cosa molto semplice: l’infingarda non scrive più e io e le mie amiche del Salotto Culturale non abbiamo più nulla da leggere!

    @Tapiro
    1- Fanno per vendere, ok, bene, ma resta il fatto che con una spesa molto simile si potrebbero produrre cose decenti. Lasciamo perdre poi quello che potrebbe fare una grossa produzione. Vogliono vendere a tutti, ok. Ma chi comprerà i DVD di Troy tra vent’anni? Mentre I duellanti (sì, lo so, meglio il libro) vende ancora. Restiamo su Scott: Blade Runner lo guardano ancora oggi, mentre Prometheus è tanto se oggi qualcuno se lo caga. Non dovrebbe essere in teoria più redditizio fare il meglio possibile col budget disponibile invece che na boiata a cazzo con CGI e lucine al LED?
    2- Funzionerà così dall’Ottocento (da prima, se quel troll di Swift fa fede) e non siamo certo noi i primi a produrre un sacco di boiate, la cosa che trovo decadente del nostro periodo è che in una libreria si trovano quasi esclusivamente boiate. Se Pan di Dimitri è uno dei migliori romanzi che si riesce a mettere insieme, I rest my case, il settore è in decadenza.
    Last but not Least:
    Il buon Clive ha delle idee fighissime anche se scrive a sega, e Pratchett NON SI TOCCA. Guai a te, ora lava la tastiera e pentiti dellle tue colpe.

    @reno
    >>e soprattutto ma chi è Daphne Gabrielle Reddington?
    La più emblematica scrittrice donna per le donne che mai abbia calcato il patrio suolo. Il suo immortale best-seller “Blood, sand and passion” è ormai un pilastro della letteratura mondiale, e il suo più recente “Sotto il kilt nulla” sta rivoluzionando non solo il romanzo rosa, ma l’intera storiografia scozzese.

  31. Produzioni come House Of Cards (un vero e proprio Macbeth moderno), Breaking Bad, The Wire e Spartacus (scherzo!) riescono a raggiungere […] vette narrative che […] non hanno nulla da invidiare ai vari Scarface, Pulp Fiction o Shining (giusto per citare qualche nome illustre a caso) […] con budget che sono un centesimo di quello del nuovo filmone KABUUUM!!

    Dago, ti ga rason, tutto vero e tutto bellissimo, ma permettimi una domanda: di tutti questi prodotti, di presumo TU abbia fruito (né parli con passione e cognizione di causa, che fa presumere tu non ti sia limitato a “leggere la trama su wikipedia” [cit.]): quanti ne hai PAGATI ?
    Il problema del “prodotto di nicchia” (come potrebbe essere “il nuovo romanzo di Clio Simonetta” [cit.], o una delle serie che hai citato) è che i due terzi (ad essere generosi) del pubblico è costituito da gente che semplicemente se lo scarica . Ergo: il “baget” [cit.] potrà anche essere ridottissimo, la serie fichissima e tutto quello che vuoi, ma alla fine dell’anno contano i bilanci. Per poco che sia costato il prodotto, alla lunga se non mi porta profitto (e non basta rientrare delle spese per parlare di profitto, ricordiamolo) si finisce a portare i libri contabili in Tribunale.
    Stesso discorso per i prodotti “indie”: ok, possono anche costare poco o pochissimo, ma se i due terzi se li scaricano “aggratise” o se li vedono in streaming su un sito pirata bulgaro, ne può parlare bene il vostro amico Duca, Sgomberetta, Girola e pure il Papa, io autore/regista/sceneggiatore che devo pagarmi comparse, attori e affitto di casa alla lunga finisco comunque a mandare curriculum al McDonald, alla faccia dell’accessibilità.
    Tutto questo per dire che non basta che un prodotto sia in astratto “accessibile” perché “tutto oramai è mainstream”. Non basta che un prodotto raggiunga potenzialmente un pubblico vasto, e che magari costi poco svilupparlo: serve anche che qualcuno PAGHI per quel prodotto (e che quel qualcuno non siano i soliti mamma, papà, la zia e la fidanzata e gli amici che ci dovevano dei soldi).

    @Tengrrl:

    In 5 milioni comprano l’ultimo romanzo di Daphne Gabrielle Reddington, ma ne comprano solo uno l’anno, quindi alla fine della fiera il bilancio è negativo.

    N O !!!! : a casa mia, ammesso e non concesso che il “romanzo” di D.G.R. si venda a € 1,00 a copia, 5 milioni di copie vendute fanno esattamente 5 MILIONI di incasso. Tolte spese, royalities all’autore e pagata la segretaria, direi che alla fine il bilancio è positivo.
    Sans blague, se dovessi scegliere fra pubblicare Daphne o “Il Nuovo Romanzo Sciodontell Poinoviu” dell’esordiente dell’anno, con una trama raffinatissima e 8 differenti P.O.V. ambientato in una versione alternativa del Nepal con dinosauri a propulsione nucleare, scritto come cristo comanda e ligio ad ogni paragrafo del “Manuale della Perfetta Narrativa” non ci penserei un secondo.
    Anche perché l’esordiente può andare bene o andare male (e facilmente, in un paese dove la media dei cittadini legge al massimo un libro all’anno facilmente andrà male, con buona pace del Nepal e dei dinosauri a reazione nucleare), ma il target di Vabio Bolo, o del Calciatore, o dell’Harmony Pseudostorico è a colpo sicuro.

    Ok, magari li vendo una volta sola, ma stai certo che se li trovo distribuiti così capillarmente da coprire pressoché ogni superficie commerciale (edicole, stazioni, supermercato e/o autogrill) vuol dire che il mercato c’è.

  32. @Anacroma, nei fatti chi pubblica solo (o quasi solo) cagate sta andando sotto, quindi l’investimento non è poi così redditizio. Peraltro, io parlo di pubblicare opere decenti, non la trovata geniale di nicchia ma impeccabile ultra-documentata nuova rivelazione della storia della letteratura. Romanzi dove non ci siano contraddizioni di trama, strafalcioni storici colossali o periodi di 28 righe senza un punto fermo. Sarebbero romanzi appetibili anche dalla fetta più “colta” e continuerebbero a essere a portata dei fan di Fabio Bolo. A parer mio, più riempi gli scaffali di merda, più la gente si abitua che è normale che i libri siano nammerda, meno legge, meno vendi, perché alla resa dei conti un romanzo senza nulla di buono resta un romanzo senza nulla di buono, e la gente non tornerà a filarserlo perché non c’è niente da filare.
    Quando le quindicenni emo sono cresciute in venticinquenni normali, Licia Troisi è colata a picco. Quando i trentenni sfavati diventeranno cinquantenni frustrati, Fabio Volo sparirà dalla circolazione. Il ricambio non sarà sufficiente perché, se ci saranno sempre trentenni sfavati, tra vent’anni il loro stile sarà differente, e dato che certi libri non hanno nessuna sostanza ma solo colore, non se li cagheranno di striscio (avranno magari ALTRI autori che scrivono roba senza sostanza e solo colore).

  33. @tengrrrrl

    Non sono d’accordo. Sembra che stia diventando sempre più vero, sure, ma resta il fatto che una stragrande maggioranza di italiani (e di francesi) continua a conoscere quello che passa al cinema e quello che passa in libreria. E la qualità media di quello che passa al cinema e quello che passa in libreria fa piangere i conigli.

    Ripeto, imho ti concentri sulla stragrande maggioranza sbagliata.
    Cinema, libreria e certa tv sono medium di una forma di fruizione culturale SUPERATA. Quel modello di fruizione centenario in cui io mi becco Moccia o Don Matteo perchè esiste solo quello, o perchè anche se esistesse altro non vorrei a saperlo.
    Questo modello esiste ancora e continuerà ad esistere perchè ci sarà sempre il vecchietto che “gira sull’1 che c’è Lino Banfi !!”, e ci sarà sempre la casalinga di Novara che si mette a leggere 50 sfumature di piscio perchè gliene parlano tutte le sue amiche, o l’adolescente brufolosa che compra la Troisi perchè vede una copertina FIKISSIMA in cima a una colonna di due metri di copie, simbolo inequivocabile che quel libro è OK.
    Ma -lo dicevi anche tu- è un segmento di mercato che per quanto grosso è (questo sì) in decadenza. Io sono personalmente convinto che, vuoi per l’avanzare inesorabile dell’alfabetizzazione informatica, vuoi per effetto della crisi che tende a promuovere gli acquisti mirati, vuoi perchè daje e daje finalmente i vecchi dovranno skiattare, il segmento di coloro che prima di vedere un film o una serie tv o leggere un libro si informano, guardano le recensioni, giudicano sulla base di elementi fondati PREMIANDO LA QUALITA’, si farà sempre maggiore. Ciò aprirà un mucchio di opportunità in più rispetto a un passato tutt’altro che roseo in cui se volevi essere pubblicato dovevi passare da Immondadori o Filtrinelli, previa modifica del tuo libro onde non urtare la sensibilità della FIOM o del parlamento della regione Sicilia.
    I nuovi canali supereranno mai quelli tradizionali? E allargandosi continueranno comunque a far crescere la qualità media? Vedremo. Io son fiducioso.

    @analcroma:

    Dago, quanti ne hai PAGATI ?

    Grazie per avermi implicitamente dato del morto di fame ^_^

    Il problema del “prodotto di nicchia” (come potrebbe essere “il nuovo romanzo di Clio Simonetta” [cit.], o una delle serie che hai citato) è che i due terzi (ad essere generosi) del pubblico è costituito da gente che semplicemente se lo scarica.

    Questo tu lo identifichi come un problema, semplicemente perchè anche tu sei legato a un modello di produzione culturale alquanto antiquato del TU DARE MONETA IO FAR VEDERE CAMMELLO.
    Non consideri che ci sono oggi modelli nuovi, assolutamente capitalisti, in cui la costruzione del brand, del prodotto, del filone, ha molta più importanza della capacità di scucire 10 euro al poveraccio di turno. Mentre Mondadori sta ancora lì a vendere gli hardcover della Troisi a 18 euri, e mentre gli impiegati RAI stanno ancora lì che cercano di entrarmi in casa modello Splinter Cell per controllare se ho pagato il canone, esistono moltissime serie TV che vengono, dopo poche ore dalla premiere, messe in streaming direttamente dai produttori. Così come esistono scrittori più o meno affermati che mettono in versione digitale le proprie opere abbattendo districamente le barriere economiche (oltre che geografiche) alla loro fruizione, e, col tempo, alla fidelizzazione del pubblico. E potremmo buttarci poi dentro anche crowdfunding, sponsorizzazioni e compagnia cantante e suonante, ma evito perchè finisce che il Tapirla per la disperazione si suicida gettandosi in un’enorme cisterna di galak.
    E se tutto questo esiste, e anzi prospera (almeno, sicuramente è quello che succede nel comparto TV SHOW), significa che funziona. Anche se io non sgancio niente perchè notoriamente ho le tarme nel portafoglio.

    @tapirla

    Ho citato Martin, Barker e Pratchett come esempi di scrittori che pur scrivendo narrativa di qualità (spero che almeno su questo ci si trovi), riescono non di meno a fare soldi a palate.
    Poi, intendiamoci, ognuno ha diritto a vedere le cose a modo proprio, e non nego che su molti punti la tua conoscenza sia al contempo più vasta e specifica della mia. Ciò non di meno…SE PARLI DI NUOVO MALE DI PRATCHETT TI SPAKKO LA FACCIA !!!

    @ tizio di cui non ho voglia di cercare il nick

    Daphne Gabrielle Reddington è una giovane scrittrice inglese di 27anni nata a Baskerville, e laureata presso la prestigiosa università di Sherwood in “Letteratura Inglese e Studi di Genere Generali”, con tesi su “La repressione oscurantista-sessuofobo-machista nel personaggio di Wendy di Peter Pan: da giovane militante marxista a madre insoddisfatta minacciata di femminicidio da Uncino”.
    In seguito Daphne si impegnata con grandissimo successo di pubblico e critica nella scrittura dei primi romanzi harmony femministi, rivoluzionari in quanto il protagonista maschile, quando stupra la protagonista, dopo le regala sempre dei fiori. Ha inoltre introdotto nel genere argomenti di scottante attualità quali discriminazioni, violenza sulle donne, aborto, quote rosa, file alle poste, pelucchi nell’ombelico.
    Ha recentemente rifiutato la candidatura al Nobel della letteratura come protesta contro il proprio amministratore di condominio.

  34. @Dago

    Non consideri che ci sono oggi modelli nuovi, assolutamente capitalisti, in cui la costruzione del brand, del prodotto, del filone, ha molta più importanza della capacità di scucire 10 euro al poveraccio di turno.
    […]
    E se tutto questo esiste, e anzi prospera (almeno, sicuramente è quello che succede nel comparto TV SHOW), significa che funziona. Anche se io non sgancio niente perchè notoriamente ho le tarme nel portafoglio.

    non metto in dubbio che esistano, ma ricordati la prima massima degli economisti: “non esistono pasti gratis “(che fa il paio con “se non paghi per quello che stai consumando, sei TU il prodotto”), e dunque qualcuno sta pagando, altrimenti credo sia difficile per chi finanzia il prodotto riuscire a pagare regista, impiegati e pornosegretarie (o anche e più semplicemente “fare andare avanti e indietro la porta del cesso”).
    Ti faccio un esempio concreto:
    se io leguleio senza pregi scrivo a te una “lettera dell’avvocato” [cit.] aggratis (o ti faccio un “parerino telefonico al volo che ti prego ho urgenza e non so dove sbattere la capa” etc. etc. etc. ) è vero, sto facendo branding per consolidare la reputation della mia law firm… e lungi da me quella brutta cosa che è il vil denaro, sterco del dimonio etc. etc.
    ma resta il fatto che quell’attività qualcuno la sta pagando: nella migliore delle ipotesi gli altri clienti, per i quali la mia attività “di beneficenza” viene a costituire un’ esternalità negativa , in caso contrario mamma e papà che si ritrovano sul groppone il figlioletto da mantenere perché “sta facendo branding”.

  35. @Dago:

    intendiamoci, quando ho chiesto se tu avessi pagato qualcuno di questi prodotti, non cel’avevo ovviamente con te nello specifico (e non volevo certo censurarti per questo o darti del morto di fame). Tuttavia, sapevo di andare a colpo sicuro: non sei l’unico fra i miei conoscenti ad essere appassionato di serie TV (e di altri prodotti di intrattenimento) e, nell’ipoteso in cui tu li avessi pagati, credo saresti stato il solo .

  36. Onestamente ho perso il filo di ciò che ciascuno di voi vuole dimostrare.

    Come dicevo prima, non voglio entrare più che tanto nella questione perché manca sia lo spazio fisico per discuterne, sia dati statistici per fare un discorso scientifico (e dunque serio). Mi limito a una risposta sintetica su ciò su cui ero stato interpellato:

    1- Fanno per vendere, ok, bene, ma resta il fatto che con una spesa molto simile si potrebbero produrre cose decenti. Lasciamo perdre poi quello che potrebbe fare una grossa produzione. Vogliono vendere a tutti, ok. Ma chi comprerà i DVD di Troy tra vent’anni? Mentre I duellanti (sì, lo so, meglio il libro) vende ancora. Restiamo su Scott: Blade Runner lo guardano ancora oggi, mentre Prometheus è tanto se oggi qualcuno se lo caga. Non dovrebbe essere in teoria più redditizio fare il meglio possibile col budget disponibile invece che na boiata a cazzo con CGI e lucine al LED?

    Con Prometheus, Tengi, hai scelto un esempio infelice.
    La produzione del film è costata circa 130 milioni di dollari. L’incasso di botteghino worldwide è stato di circa 400 milioni di dollari, e ha fatturato bene pure nell’home video, con un totale incassi (DVD + blu-ray) di 42 milioni di dollari solo negli Stati Uniti. Ora, non ho idea degli altri costi del film (es. distribuzione), ma possiamo dire con una certa sicurezza che Prometheus, che pure è un film per mongoloidi, ha marginato bene. Fonte: http://www.the-numbers.com/movie/Prometheus#tab=summary
    E se pensi ai vari Transformers e ai film di supereroi degli ultimi anni, la cui qualità oscilla generalmente tra il decente e il pessimo, i numeri sono ancora più impressionanti.
    Mi spiace contraddirti, ma la merda vende ancora molto bene. E con un film dal canovaccio stra-abusato il “rischio imprenditoriale” è minore rispetto a un film che osi anche poco, come fu ai tempi Blade Runner (che tra l’altro non è neanche lui ‘sto capolavoro, checché se ne dica).

    2- Funzionerà così dall’Ottocento (da prima, se quel troll di Swift fa fede) e non siamo certo noi i primi a produrre un sacco di boiate, la cosa che trovo decadente del nostro periodo è che in una libreria si trovano quasi esclusivamente boiate. Se Pan di Dimitri è uno dei migliori romanzi che si riesce a mettere insieme, I rest my case, il settore è in decadenza.

    Be’, nell’Ottocento (e pure nel Settecento, duh) le librerie erano dei bugigattoli, perché la popolazione era analfabeta. Ora, tralasciando la retorica dell’analfabetismo di ritorno, è oggettivo che la situazione culturale sia migliorata rispetto all’epoca. Meno di quanto sarebbe auspicabile, ma è migliorata.
    A essere onesti, non riesco a immaginare un’epoca in cui i libri per il grande pubblico non fossero merdaccia. E se vogliamo parlare di fantasy italiano di qualità, Pan fa tristezza, ma potrei sapere quando mai abbiamo avuto un’età dell’oro rispetto alla quale ora saremmo in decadenza? Aldilà di qualche sporadico esempio (un Dino Buzzati qui, un Calvino là; che peraltro, più che narrativa di genere, scrivevano Literary o narrativa surreale o realismo magico, con qualche spruzzata di fantastico), non abbiamo mai e dico mai avuto della narrativa decente.

    E se tutto questo esiste, e anzi prospera (almeno, sicuramente è quello che succede nel comparto TV SHOW), significa che funziona. Anche se io non sgancio niente perchè notoriamente ho le tarme nel portafoglio.

    Dago, quello che dici è corretto, ma questa volta devo dare ragione all’Avvocato: non basta dire che in qualche modo funziona, bisogna capire perché.
    A differenza di un libro, che si scrive a costo zero (l’unico costo è il tempo che ci mette l’autore a scriverlo, e gli eventuali, bassi costi di editing, copertina, etc.), le serie che tu citi costano e molto. Sarebbe interessante capire come si finanzino. Io frequento poco quell’ambiente, e quindi in tutta onestà non lo so.
    So come funziona nel mercato dei videogiochi e dei film indie: e cioè quasi invariabilmente mediante crowdfunding (Kickstarter, Patreon, Steam Greenlight). In questi casi vengono raccolte cifre considerevoli – 30.000 dollari o anche più sono considerate proprio le cifre minime, anche per un team di due/tre persone, per mantenersi mentre si sviluppa il gioco. Cioè vengono finanziati dai fan – l’esempio antitetico di chi si scarica una serie aggratis.

    Su Barker e Pratchett: sparavo a zero per divertimento, lasciatemi fare il radical chic suvvia ^-^

  37. @tapirla

    >> Mi spiace contraddirti, ma la merda vende ancora molto bene. E con un film dal canovaccio stra-abusato il “rischio imprenditoriale” è minore rispetto a un film che osi anche poco, come fu ai tempi Blade Runner (che tra l’altro non è neanche lui ‘sto capolavoro, checché se ne dica).

    Se ho ben capito la sua opinione, intendeva dire che nel breve periodo il prodotto di massa A farebbe più incassi di quello di qualità B, ma che nel lungo periodo la continua fruizione del prodotto di qualità B permetterebbe a questo di raggiungere e superare quanto a redditività economica l’ormai sconosciuto prodotto di massa A.

    >> le serie che tu citi costano e molto.

    Costano relativamente pochissimo se comparate sia al pubblico che raggiungono sia al blockbuster sul supereroe di turno. House Of Card è costata 100 milioni di $ per 13 puntate, ed è una cifra altissima per il settore. Mentre quella cagata di Men in Black 3, il solito filmetto di 90 min stiracchiati, neanche fra le produzioni più costose, aveva un budget di 215 milioni.

    @ Anal-croma

    Ovvio che qualcuno paga. Nel modello di riferimento di cui sopra, quello dell’economia della fidelizzazione, pago IO, che vado sul sito di streaming ufficiale, mi vedo la puntata, e faccio acquisire guadagni pubblicitari al sito stesso. Non ho pagato in denaro, ho pagato in tempo trascorso sulla loro piattaforma piuttosto che su un’altra della concorrenza.

    >> (e non volevo certo censurarti per questo o darti del morto di fame).

    Sono così povero che se mi va a fuoco la casa invece di telefonare ai pompieri gli devo fare uno squillo.

    Comunque ha ragione il Tapirla. Stiamo parlando di tutto e niente.

  38. @Tapiro
    1-Dago l’ha capita 😛 Prometheus avrà fatto il botto subito, ma mentre Blade Runner (che siamo d’accordo, non è un capolavoro) vende dopo trent’anni, sarei sorpresa se tra 3 decadi qualcuno ancora si ciuccia quella cagatona inutile di Prometheus.
    2-L’editoria italiana non avrà mai brillato per genialità o qualità, ma di lì a dire che una delle maggiori case editrici avrebbe pubblicato trent’anni fa un romanzo come quello del Vanni Santoni… well, non penso fosse possibile. Mi sbaglierò, eh ^_^

  39. Prometheus avrà fatto il botto subito, ma mentre Blade Runner (che siamo d’accordo, non è un capolavoro) vende dopo trent’anni, sarei sorpresa se tra 3 decadi qualcuno ancora si ciuccia quella cagatona inutile di Prometheus.

    Ho citato anche i dati dell’home video per mostrare che Prometheus fatturava anche a distanza dall’uscita al cinema e nel corso degli anni (benché di anni ne siano passati due). Chi acquista il DVD o il blu-ray nella maggior parte dei casi è un fan che vuole il pezzo da collezione, il che significa che la cagatona di Ridley Scott è per molti un piccolo cult.
    Poi, certo: se Prometheus sarà ricordato ancora fra tre decadi lo scopriremo, be’, fra tre decadi.

    Vorrei comunque aprire una parentesi sui long seller: e cioè che all’industria tradizionale non interessano molto. La logica della grande industria, infatti, è: “meglio un uovo oggi che una gallina domani” (e questo per ragioni strutturali più che culturali). Spiego perché.
    1. Avviare una produzione fa uscire soldi dalle casse. Spesso inoltre le aziende, e soprattutto quelle grosse, contraggono debiti con le banche (semplifico) per fare i propri investimenti. E’ importante, quindi, che l’investimento paghi nel tempo più ridotto possibile. Un long seller che nel corso di 30 anni fa guadagnare all’azienda 10 volte l’investimento iniziale, ma ci mette i primi cinque anni a ripagare la spesa iniziale è quindi di norma meno desiderabile di un film che fa fare subito 3 volte l’investimento iniziale e poi non guadagna più un cazzo.
    2. Tutte le società per azioni, inoltre, hanno una brutta cosa che si chiama bilancio trimestrale. Vuol dire che ogni trimestre bisogna far vedere al gruppo dei grandi azionisti come sta andando la tua azienda. E i tuoi azionisti vogliono che vada BENE. Se guardano i libri contabili e vedono che hai speso una cifra che sta venendo ripagata molto lentamente, non sono contenti. Il top management fa una figuraccia e le azioni dell’azienda perdono valore. Se tu sei un manager dell’azienda, non vuoi questo.
    3. Infine, anche per quelle fortunate aziende che non sono quotate in borsa o che comunque hanno una visione più a lungo termine, c’è una brutta cosa che si chiama carriera. Chi per professione fa il manager, vuole fare carriera. Fare carriera significa ottenere tante promozioni e, spesso, cambiare diverse aziende in modo da crescere più velocemente. Questo significa che, anche se l’azienda ha una visione di lungo periodo, i suoi manager non ce l’hanno: vogliono fare bella figura per due-quattro anni, collezionando rapidi e scintillanti successi, per poi andarsene da un’altra parte, completamente incuranti di cosa si lasciano alle spalle. Le aziende sono fatte di persone così: gente che per il proprio vantaggio pensa solo sul breve periodo. Anche se l’azienda beneficerebbe da un long seller, guadagnando 30 volte tanto, chi quell’azienda la dirige non ne beneficerebbe: a costoro interessano best seller che brucino rapidamente e li propellino altrove.

    Da ultimo, bisogna dire che alcune major ci hanno visto lungo: la nascita dell’universo cinematico condiviso della Marvel (che ora le altre stanno copiando) è un meccanismo proprio per creare long seller a prescindere dalla qualità della singola opera. Poiché ogni film è un pezzo di un puzzle più grande (che si completa solo guardando tutti i film), e questo puzzle potrebbe continuare ad allargarsi nei prossimi decenni, uno spettatore appassionato finirà per vederseli e spesso collezionarli tutti; anche a distanza di anni e anni da adesso.

    L’editoria italiana non avrà mai brillato per genialità o qualità, ma di lì a dire che una delle maggiori case editrici avrebbe pubblicato trent’anni fa un romanzo come quello del Vanni Santoni… well, non penso fosse possibile. Mi sbaglierò, eh ^_^

    Riguardo il catalogo da libreria, non ne ho idea; ma Siobhàn ha casa ha un mobile carico di Urania dagli anni ’60 a oggi, e porca puttana quanta merda…
    Inoltre ricordo quanto ci andasse giù pesante Damon Knight negli anni ’50 sul suo In Search of Wonder… sono sicura che se ti studi un po’ la storia dello sword & planet, di degni precursori del Vanni Santoni ne trovi.

    @Dago:

    Costano relativamente pochissimo se comparate sia al pubblico che raggiungono sia al blockbuster sul supereroe di turno.

    E’ costata poco rispetto al blockbuster hollywoodiano, ma è comunque un costo proibitivo per chiunque non sia una major: questo intendevo dire con “costi elevati”. Questo intendevo dire.
    Chiarito questo, non sto dicendo che il modello non sia sostenibile (deve esserlo, altrimenti non sarebbe così diffuso); sto dicendo che non mi è davvero chiaro come facciano i soldi e che mi piacerebbe approfondire.
    Parli di spazi pubblicitari sulla loro piattaforma streaming? Sarebbe interessante scoprire quanta parte dei loro ricavi derivi da questo.

    Comunque ha ragione il Tapirla. Stiamo parlando di tutto e niente.

    Dawg.

  40. non ho capito niente, ma ho la soluzione al dibattito :
    “d’altronde è così”

  41. Pingback: Tre film per samhain | Fortezza Nascosta

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