Archivi del mese: ottobre 2012

Bonus Track: Lest Darkness Fall

Lest Darkness FallAutore: L. Sprague DeCamp
Titolo italiano: L’abisso del passato
Genere: Ucronia / Fantasy / Storico
Tipo: Romanzo

Anno: 1941
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 250 ca.

Difficoltà in inglese: **

He was in the twilight of western classical civilization. The Age of Faith, better known as the Dark Ages, was closing down. Europe would be in darkness for nearly a thousand year. […] Could one man change the course of history to the extent of preventing this interregnum? Maybe.

Martin Padway, archeologo americano, sta tranquillamente passeggiando nel Pantheon di Roma e riflettendo sulla vita, quando un fulmine si abbatte sul tempio. Un momento dopo, non si trova più negli anni ’30 del Novecento, e uomini in toga che parlano una lingua arcaica lo circondano. Padway ha viaggiato nel tempo, e ora si trova nella Roma altomedievale, tra le rovine dell’Impero Romano d’Occidente. Per l’esattezza è il 535 d.C.; l’Italia è dominata dagli Ostrogoti; sul trono di Ravenna siede il debole Teodato, nipote di Teodorico il Grande; e a est, l’imperatore Giustiniano sta raccogliendo l’esercito con cui ha intenzione di invadere l’Italia per ricomporre l’Impero.
La guerra Greco-Gotica, quei vent’anni di devastazione che avrebbero dato il colpo di grazia alla penisola e aperto le porte ai Longobardi invasori, sta per cominciare. Con in tasca pochi spiccioli di nichel e argento e la sua conoscenza accademica del latino tardoantico, Padway dovrà trovare il suo posto al sole in una Roma in rovina prima che la situazione precipiti. Ma ha almeno un vantaggio dalla sua: la conoscenza del futuro, e delle meraviglie tecnologiche dell’età moderna. Padway sa di essere l’unico a poter fermare la guerra e impedire l’avvento del Medioevo – impedire che sui resti dell’Impero possano scendere le tenebre dei secoli barbari. Finisce la storia di Martin Padway, comincia quella di Martinus Paduei…

Uno dei periodi storici che mi mandano più in fissa in assoluto è il primissimo centennio dopo il crollo dell’Impero Romano. In quel periodo si è deciso (quasi) tutto: il destino dell’Italia, i confini dei Regni barbarici, la forma dell’Europa in cui oggi viviamo. Ricordo a questo proposito una discussione con Zwei – altro grande cultore di questa fase storica – in cui io sostenevo che non tanto i Longobardi né poi gli arabi, ma la guerra greco-gotica scatenata da Giustiniano avesse condannato l’Italia. Questi vent’anni di devastazione, infatti, non solo seminarono carestie, malattie, e decimarono una popolazione già in diminuzione; ma sostituirono un governo così così con un altro debole e odioso, e soprattutto tolsero ai superstiti la voglia e l’energia per resistere a ulteriori invasioni. Se i bizantini non si fossero intromessi nel giovane regno dei Goti, forse la nostra storia sarebbe stata diversa.
Con Lest Darkness Fall, L. Sprague DeCamp si pone la stessa domanda. Scrittore oggi ben avviato sul viale dell’oblio, soprattutto in Italia, DeCamp durante la Golden Age fu uno degli autori di fantascienza e alternative histories più influenti e ammirati. Lest Darkness Fall, la sua opera prima, si colloca sulla stessa scia di A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court di Twain – con la differenza che DeCamp non vuole fare della satira fiabesca, ma della sincera speculazione storica (con giusto un pizzico di fantasy nelle premesse iniziali). Può un uomo catapultato dal ventesimo secolo sopravvivere nell’alba dell’Alto Medioevo? E può, con le sue sole forze, cambiare il corso della storia?

Europa nel VI secolo

L’Europa pochi anni prima della guerra greco-gotica

Uno sguardo approfondito
Non sono la persona migliore per giudicare e sicuramente Zwei o uno storico, se leggessero il romanzo, potrebbe dare un parere più competente; ma l’impressione è che DeCamp di storia tardoantica ci capisca. Già solo il fatto di aver scelto come momento storico il regno del misconosciuto Teodato la dice lunga. La sua fonte principale sembra essere il De Bello Gothico di Procopio di Cesarea.
Per le strade mezze sterrate della Roma altomedievale, a Romani in toga e rigorosamente disarmati si mescolano Goti chiassosi e armati di tutto punto. Nelle tavernacce si possono incontrare vagabondi Vandali reduci delle campagne di riconquista bizantine in Africa; e se ti ammali, puoi star certo che alla tua porta si affolleranno stuoli di medici, maghi e preti, ognuno con un rimedio infallibile diverso dal precedente. E una volta tanto, il passato sembra essere realistico anche negli aspetti più sgradevoli (o almeno in alcuni di questi). Ad un certo punto, la serva siciliana di Padway si infilerà nel suo letto; ma invece che gratificarlo, come vorrebbe il canovaccio standard, si rivelerà un’esperienza disgustosa: la donna è sudicia, e ricoperta di zecche e pidocchi 1.
Non manca comunque qualche nota stonata. Su tutte, l’adagiarsi di DeCamp sul vecchio pregiudizio del Medioevo come millennio di barbarie, come età uniformemente buia e retrograda – un pregiudizio che già alla fine degli altri ’30 era datato, e letto oggi suona proprio male. Ma anche alcune scene tanto dense di retardness da parere uscite da un romanzo della Troisi; tipo il fatto – e succede più di una volta – che Padway, pur non avendo mai usato una spada in vita sua, sia in grado non solamente di difendersi in duello contro un veterano, ma anche di avere la meglio. E in modo del tutto accidentale! Srsly u guys?

Se nel complesso la Roma di Lest Darkness Fall pare credibile, bisogna anche ammettere che rimane piuttosto anonima. DeCamp non è un granché come scrittore: il suo stile è un uniforme raccontato con spiragli di mostrato quando c’è una scena importante. Tutta la storia è filtrata attraverso il pov del protagonista, ma la telecamera rimane sempre piuttosto distante da Padway, sicché non ci sentiamo molto partecipi delle sue avventure; anche i suoi pensieri e i suoi stati d’animo, le sue preoccupazioni, ci vengono piattamente raccontate. La cosa si fa particolarmente sentire nelle battaglie, che si riducono quasi sempre ad anonimi riassunti di manovre e azioni di masse d’uomini: il pathos è ai minimi termini, l’immersione non pervenuta.
Altre volte, spunti interessanti vengono ridotte a macchiette comiche. Prendiamo la questione dell’intolleranza religiosa: nella Roma del VI secolo coesistevano molte religioni, dalle varie correnti del cristianesimo (i Romani cattolici, i Goti ariani, i Siriani nestoriani, e così via) alle sopravvivenze pagane. Tutte queste religioni erano ammesse, ma la convivenza non era sempre facile. Be’, DeCamp mette in scena la questione con una rissa da fumetto in un’osteria, tra esponenti di credi diversi che si tirano cazzotti e boccali. Argomento chiuso.

Nestorianesimo

Eretici!

Stesso discorso si può fare per i comprimari. Thomasus, il banchiere siriano dal braccino corto, è un tipo simpatico: sempre pronto a lamentarsi, a contrattare sul nulla, a cercare di truffare l’interlocutore, a invocare Dio ogni volta che qualcosa non gli va a genio (“Do You hear that, God? He comes in here, a barbarian who hardly knows Latin, and admits that he has no security and no guarantors, and still he expects me to lend him money! Did You ever hear the like?”). E’ un personaggio che rimane impresso, e DeCamp riesce a costruire un sacco di dialoghi divertenti tra lui e Padway; ma Thomasus rimane sempre una macchietta, uno stereotipo, non sembrerà mai una persona vera. Stesso discorso per Fritharik, il nobile Vandalo decaduto che passa il tempo a lamentare le sue glorie passate e a fare la vittima, o Teodato, il re squilibrato e immerso in un mondo tutto suo, in cui lui è il più grande erudito che sia mai esistito. Tutti questi personaggi regalano dei momenti piacevoli, ma sempre a un livello da cabaret.
Le cose peggiorano ulteriormente se diamo un’occhiata al protagonista. Padway è un manichino senza personalità, un veicolo dell’esperimento ucronico dell’autore; non sembra avere delle vere motivazioni. La situazione in cui precipita sin dalle prime pagine è atroce: catapultato millecinquecento anni nel passato, in un mondo ostile, sporco, retrogrado, senza un amico né un parente, e con ben presto la certezza di non poter mai più tornare alla propria epoca. Ma Padway non si strappa i capelli, non nega la realtà, non tenta nemmeno di trovare una soluzione; la sua reazione emotiva è quasi inesistente. Superato lo spaesamento iniziale, Padway si darà da fare per raggranellare soldi e farsi una posizione. Il conflitto interiore è azzerato ancora prima di nascere.

Dove il romanzo dà il meglio di sé è nell’elemento ucronico. E’ interessante vedere come, gradualmente, l’Italia del VI secolo si trasformi, e prenda un corso diverso da quello da noi conosciuto, mano a mano che le innovazioni tecniche di Padway prendono piede. E’ un piacere assistere alla prematura nascita del brandy, piuttosto che della partita doppia. L’approccio di DeCamp, inoltre, è molto realistico: Padway potrà anche conoscere la moderna tecnologia e, in parte, come riprodurla, ma da qui a introdurla in pieno Alto Medioevo è tutto un altro paio di maniche! Bisogna “inventare” prima l’elettricità per poter usare il telegrafo; e già la polvere da sparo darà parecchi grattacapi al nostro protagonista.
All’ucronia tecnologica si combina quella politica, nel momento in cui Padway comincia a chiedersi quali eventi storici dovranno cambiare, e a chi dovrà andare il governo dell’Italia, per impedire il declino dell’Occidente. E non dico più niente perché se no Dunfrey mi cazzia – andate a leggervelo.

Goths

Goti. Invadiamo l’Italia dal 493.

Lest Darkness Fall è ben lontano dall’essere un capolavoro. E’ scritto male, i personaggi sono bidimensionali, la tensione rimane bassa, l’immersione scarsa; siamo a un livello molto più basso rispetto al capostipite di Mark Twain. Di certo non è all’altezza di diventare un Consiglio. Il romanzo di DeCamp è affascinante solo come speculazione fantastorica un po’ romanzata; lo consiglierei solamente agli amanti di quel periodo storico e dei what if.
E, perché no, a chi si voglia fare una cultura sui “classici” della narrativa fantastica. Molti racconti e novellas sono stati scritti su ispirazione di Lest Darkness Fall – alcuni recuperando solo l’idea del viaggio nel tempo che catapulta un uomo moderno in un mondo medievale e gli dà la possibilità di cambiare il corso della storia con l’ausilio della tecnica, altri espandendo proprio la storia di Martin Padway e del mondo che ha creato. E non è escluso che di questi racconti parli in futuro.

Dove si trova?
Non sono riuscito a trovare Lest Darkness Fall su Library Genesis né su Bookfinder, ma grazie agli avvisi di Dunseny e Wolframius sono riuscito a beccarlo sul Mulo. In lingua originale ho trovato tre referenze (rtf, pdf, lit); altre tre in italiano, cercando però “Abisso del passato” senza l’articolo.
Nel caso vogliate pagarlo, su Amazon si trovano due edizioni kindle: quella della collana Gateway della Gollancz, a 6,49 Euro, o l’edizione Phoenix, a 7,21 Euro. Quest’ultima oltre al romanzo di DeCamp contiene in appendice tre racconti ispirati a Lest Darkness Fall; ma tutti e tre i racconti sono rintracciabili aggratis online, quindi non c’è davvero bisogno di prendere questa edizione (di questa info ringrazio il buon Uriele).

Qualche estratto
Il primo estratto mostra i primi tentativi di Padway di razionalizzare ciò che gli sta accadendo dopo essere apparentemente precipitato nel VI secolo

1.
He couldn’t stand there indefinitely. He’d have to ask questions and get himself oriented. The idea gave him gooseflesh. He had a phobia about accosting strangers. Twice he opened his mouth, but his glottis closed up tight with stage fright.
Come on, Padway, get a grip on yourself. “I beg your pardon, but could you tell me the date?”
The man addressed, a mild-looking person with a loaf of bread under his arm, stopped and looked blank. “Qui e’? What is it?”
“I said, could you tell me the date?”
The man frowned. Was he going to be nasty? But all he said was, “Non compr’ endo.” Padway tried again, speaking very slowly. The man repeated that he did not understand.
Padway fumbled for his date-book and pencil. He wrote his request on a page of the date-book, and held the thing up.
The man peered at it, moving his lips. His face cleared. “Oh, you want to know the date?” said he.
Sic, the date.”
The man rattled a long sentence at him. It might as well have been in Trabresh. Padway waved his hands despairingly, crying, “Lento!”
The man backed up and started over. “I said I understood you, and I thought it was October 9th, but I wasn’t sure because I couldn’t remember whether my mother’s wedding anniversary came three days ago or four.”
“What year?”
“What
year?”
“Sic, what year?”
“Twelve eighty-eight
Anno Urbis Conditae”
It was Padway’s turn to be puzzled. “Please, what is that in the Christian era?”
“You mean, how many years since the birth of Christ?”
“Hoc ille-that’s right.”
“Well, now-I don’t know; five hundred and something. Better ask a priest, stranger.”
“I will,” said Padway. “Thank you.”
“It’s nothing,” said the man, and went about his business. Padway’s knees were weak, though the man hadn’t bitten him, and had answered his question in a civil enough manner. But it sounded as though Padway, who was a peaceable man, had not picked a very peaceable period.

Srsly

La reazione amorfa di Padway fa inarcare qualche sopracciglio.

2.
“Let’s drink to—” Thomasus started to say “success” for the thirtieth time, but changed his mind. “Say, Martinus, we’d better buy some of this lousy wine, or he’ll have us thrown out. How does this stuff mix with wine?” At Padway’s expression, he said: “Don’t worry, Martinus, old friend, this is on me. Haven’t made a night of it in years. You know, family man.” He winked and snapped his fingers for the waiter. When he had finally gotten through his little ceremony, he said: “Just a minute, Martinus, old friend, I see a man who owes me money. I’ll be right back.” He waddled unsteadily across the room.
“A man at the next table asked Padway suddenly: What’s that stuff you and old one-eye have been drinking, friend?”
“Oh, just a foreign drink called brandy,” said Padway uneasily.
“That’s right, you’re a foreigner, aren’t you? I can tell by your accent.” He screwed up his face, and then said: “I know; you’re a Persian. I know a Persian accent.”
“Not exactly,” said Padway. “Farther away than that.”
“That so? How do you like Rome?” The man had very large and very black eyebrows.
“Fine, so far,” said Padway.
“Well, you haven’t seen anything,” said the man. “It hasn’t been the same since the Goths came.” He lowered his voice conspiratorially: “Mark my words, it won’t be like this always, either!”
“You don’t like the Goths?”
“No! Not with the persecution we have to put up with!”
“Persecution?” Padway raised his eyebrows.
“Religious persecution. We won’t stand for it forever.”
“I thought the Goths let everybody worship as they pleased.”
“That’s just it! We Orthodox are forced to stand around and watch Arians and Monophysites and Nestorians and Jews going about their business unmolested, as if they owned the country. If that isn’t persecution, I’d like to know what is!”
“You mean that you’re persecuted because the heretics and such are not?”
“Certainly, isn’t that obvious? We won’t stand- What’s your religion, by the way?”
“Well,” said Padway, “I’m what in my country is called a Congregationalist. That’s the nearest thing to Orthodoxy that we have.”
“Hm-m-m. We’ll make a good Catholic out of you, perhaps. So long as you’re not one of these Maronites or Nestorians—”
“What’s that about Nestorians?” said Thomasus, who had returned unobserved. “We who have the only logical view of the nature of the Son-that He was a man in whom the Father indwelt—”
“Nonsense!” snapped Eyebrows. “That’s what you expect of half-baked amateur theologians. Our view- that of the dual nature of the Son-has been irrefutably shown—”
“Hear that, God? As if one person could have more than one nature—”
“You’re all crazy!” rumbled a tall, sad-looking man with thin yellow hair, watery blue eyes, and a heavy accent. “We Arians abhor theological controversy, being sensible men. But if you want a sensible view of the nature of the Son-” “You’re a Goth?” barked Eyebrows tensely.
“No, I’m a Vandal, exiled from Africa. But as I was saying” -he began counting on his fingers—“either the Son was a man, or He was a god, or He was something in between. Well, now, we admit He wasn’t a man. And there’s only one God, so He wasn’t a god. So He must have been—”
About that time things began to happen too fast for Padway to follow them all at once. Eyebrows jumped up and began yelling like one possessed. Padway couldn’t follow him, except to note that the term “infamous heretics” occurred about once per sentence. Yellow Hair roared back at him, and other men began shouting from various parts of the room: “Eat him up, barbarian!” “This is an Orthodox country, and those who don’t like it can go back where they—” “Damned nonsense about dual natures! We Monophysites-” “I’m a Jacobite, and I can lick any man in the place!” “Let’s throw all the heretics out!” “I’m a Eunomian, and I can lick any
two men in the place!”
Padway saw something coming and ducked, the mug missed his head by an inch and a half. When he looked up the room was a blur of action. Eyebrows was holding the self-styled Jacobite by the hair and punching his face; Yellow Hair was swinging four feet of bench around his head and howling a Vandal battle song. Padway hit one champion of Orthodoxy in the middle; his place was immediately taken by another who hit Padway in the middle. Then they were overborne by a rush of men.

Tabella riassuntiva

Un uomo moderno nella Roma altomedievale! Il protagonista è un manichino, gli altri personaggi sono macchiette.
Ricostruzione credibile di un periodo storico interessante e poco sfruttato. Descrizioni approssimative e scenario sottosfruttato.
Elementi ucronici introdotti in modo realistico. Stile raccontato e ritmo piatto che immergono poco.
Qualche scena di combattimento clueless.

(1) Soprattutto, mi è piaciuta la visione disillusa dell’amore tra un uomo moderno e una donna del mondo antico [seguono spoiler in bianco].
Nel corso del romanzo, Padway incontra più di una bella donna; ma non riuscirà a concludere con nessuna di loro. La regina Amalaswentha, che all’inizio aveva affascinato il protagonista, si rivelerà talmente sanguinaria e vendicativa da farlo scappare. Le cose sembrano andare meglio con la dolce Dorotea, figlia di un colto e posato senatore romano; ma non dureranno: quando le riforme promosse da Padway porteranno alla liberazione degli schiavi, la famiglia di Dorothea finirà sul lastrico e la ragazza non lo perdonerà mai più.Torna su

Scalette che se ne vanno affanculo, e altre amenità

Spiderman hayCome avrete notato, fra Settembre e questo inizio di Ottobre non è che sia riuscito a postare granché. Purtroppo, come temevo e avevo accennato nel corso dell’estate, non ho più il tempo per scrivere articoli con regolarità.
Non che mi manchino gli argomenti. Anzi – avrei abbastanza materiale per andare avanti un paio di mesi a cadenza bisettimanale: tra i 5 e i 7 Consigli (devo ancora decidere se alcuni di questi sono “degni”); 3 o 4 Bonus Tracks; 3 articoli di Saggistica; e vari altri articoli minori. Molti di questi articoli sono già abbozzati o persino scritti a metà (in totale ho 16 bozze! LOL!).
Il problema? Per scrivere uno dei miei articoli – a parte le brevi comunicazioni di servizio come questa – impiego in media fra le 4 e le 8 ore. Di più per quelli particolarmente lunghi o difficili da scrivere. Un bel casino.

Tranquillizzo subito le mie orde di fan. Non ho nessuna intenzione di chiudere il blog; scriverlo mi diverte troppo. E poi, che me ne farei di tutto il materiale che ho già preparato? Solo che non fisserò più tabelle di marcia: so già che non riuscirei a rispettarle (a meno di, chessò, smettere di dormire). Coscienza si strapperà le vesti per questo, ma toglierò anche la finestra sulle “Chiavi di Ricerca Weird”: come avrete notato non riesco più a tenerla aggiornata.
I Consigli del Lunedì continueranno a uscire di lunedì – solo, non ogni lunedì, ma quando mi sarà possibile. Gli altri articoli usciranno completamente a random, qualsiasi giorno della settimana; quindi continuate a tenere d’occhio il blog. Parlerò di tutto ciò che avevo promesso quest’estate – prima o poi.

Ninjas can't catch you

Ma veniamo a cose più allegre.
Prima ho accennato al fatto che sono in dubbio su alcuni Consigli. Be’, visto che l’ultimo Consiglio, The End of Eternity, è stato il risultato di un compromesso tra me e i miei lettori, mi son detto: perché non chiedere di nuovo?
Nell’ultimo anno sono andato in fissa con le ucronie; ne avrò lette una decina o quasi, e altre ne leggerò in futuro. Ma ad oggi, non ho ancora trovato un’alternative history bella come la prima che ho letto – The Man in the High Castle di Dick (qui in Italia più conosciuto col brutto titolo “La svastica sul sole”). E’ oggettivamente un gran bel romanzo, che non sfigurerebbe accanto agli altri Consigli di questo blog – anzi, sarebbe forse uno dei migliori. Tuttavia, proprio come nel caso dei libri di Asimov, si tratta di un romanzo estremamente famoso – anche in Italia – e facile da trovare in libreria. Dedicarci un Consiglio sarebbe forse superfluo.

Quindi lancio la palla a voi: vi piacerebbe leggere un articolo su The Man in the High Castle? O lo avete letto già tutti e quindi posso risparmiarmelo? Volete approfittarne per chiedermi un post su un altro romanzo di Dick? O non ne potete più di articoli su quello squilibrato di un californiano? Ho aperto un altro sondaggio nella colonna destra. Votate, ma ricordatevi di articolare il vostro voto con un commento – un voto commentato pesa molto di più.
Anche se dovesse vincere il “sì”, comunque, non aspettatevi un Consiglio dall’oggi al domani. Sono passati più di tre anni da quando ho letto il romanzo, e inoltre non l’ho mai provato in lingua originale. Lo rileggerei volentieri, non solo per verificare com’è stato tradotto (la traduzione di The End of Eternity mi traumatizza ancora), ma anche per vedere quanto il romanzo mi si sia addolcito nel ricordo, e se mi piacerà altrettanto dopo tutte le cose che ho “imparato” sulla narrativa negli ultimi anni. La preparazione di un articolo sarebbe un’ottima scusa per rileggerlo; ma ci vorrà il suo tempo…

The Man in The High Castle Copertine

Due varianti della copertina dell’edizione SF Masterworks. Fikissime.

In futuro potrei organizzare altri sondaggi simili. Per il momento, dato che la maggior parte dei Consigli sono sicuri, mi limiterò a questo.
E speriamo di riuscire a sfornare presto nuovi articoli ^_^’

I Consigli del Lunedì #29: The End of Eternity

La fine dell'eternitàAutore: Isaac Asimov
Titolo italiano: La fine dell’eternità
Genere: Science Fiction / Mystery
Tipo: Romanzo

Anno: 1955
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 250 ca.

Difficoltà in inglese: **

L’Eternità: una struttura fuori dal tempo che si estende dal ventisettesimo secolo, quando è stata costruita, sino alla fine dell’esistenza del pianeta Terra. Quei pochi eletti che possono accedervi e viverci, gli Eterni, devono abbandonare per sempre la loro epoca, rinunciare a vivere nel Tempo, e consacrare la propria vita a servire l’Eternità. Il loro scopo? Guidare il genere umano verso un futuro di felicità e sofferenza minima, modificando la Realtà ogni volta che imbocca una direzione pericolosa.
Andrew Harlan è un Tecnico dell’Eternità: il suo scopo è quello di incaricarsi personalmente di modificare la Realtà quando necessario e valutare quale sia il Minimo Mutamento Necessario. Sulle sue spalle porta il peso di tutti i futuri cancellati, di tutte le persone mai nate o alterate dai suoi cambiamenti; le sue responsabilità l’hanno isolato, ma l’hanno anche indurito. Ma un giorno, Harlan conosce l’amore; e quando rischierà di perderlo, comincerà a mettere in discussione le sue scelte e la sua vita, e si renderà conto di avere nelle sue mani il destino di tutta l’Eternità.

Asimov è lo scrittore di fantascienza per antonomasia; e se negli Stati Uniti, quanto ha popolarità, ha un minimo di concorrenza, in Italia è di sicuro il più famoso, il più letto, quello che si prende più spazio negli scaffali di qualsiasi libreria. Quando ho aperto Tapirullanza, mi ero ripromesso di non parlare di Asimov: era mia intenzione portare alla luce autori o libri poco noti (o addirittura mai portati in Italia), non certo uno che conoscono tutti. Se oggi infrango questa promessa, è per venire incontro, una volta tanto, alle richieste dei miei lettori; d’altronde questo blog lo faccio anche per loro. Mi sono però riservato di scegliere uno dei romanzi meno noti di Asimov, un romanzo al di fuori dei suoi cicli più conosciuti (Cicli dei Robot, dell’Impero e della Fondazione). Un romanzo ingiustamente poco conosciuto, dato che è forse il suo più bello.
Non solo The End of Eternity parla di viaggi nel tempo, uno degli argomenti più fiki e difficili della sci-fi; è anche uno di quei pochi romanzi che cerca di spiegare la logica dei viaggi nel tempo, come si potrebbero fare, come si risolverebbero i paradossi. Non oserei chiamarla hard sci-fi, dato che c’è ben poco di fondato sulla fisica moderna; ma certo ci si avvicina quanto più possibile. Come molti altri romanzi di Asimov, inoltre, The End of Eternity è un mystery: un complicato rompicapo, pieno di colpi di scena e di indizi disseminati capitolo dopo capitolo fino all’allucinante risoluzione finale.

Viaggi nel tempo

Uno sguardo approfondito
Cominciamo con una nota di merito: nonostante l’intenzione di fare della speculazione seria sui viaggi nel tempo, e nonostante l’incredibile difficoltà concettuale dell’argomento, Asimov è riuscito a non trasformare il romanzo in un trattatone raccontato. Al contrario: al primo posto ci sono sempre il ritmo e la storia. Il romanzo comincia in medias res, con un Harlan incazzatissimo, che si è già macchiato di una serie di crimini nei confronti dell’Eternità, e che si appresta a ricattare un Sociologo dell’organizzazione per piegarlo ai suoi loschi fini. A partire dal secondo capitolo Asimov apre un flashback per spiegarci cosa sia successo al nostro eroe e come funzioni l’Eternità. Le due timeline continuano ad alternarsi fino a ricongiungersi attorno alla metà del libro; quindi la storia procede a ritmo serrato verso il finale.
La difficoltà principale del romanzo stava nel mantenere viva la storia senza spaesare il lettore con la complessità dell’ambientazione, e Asimov c’è riuscito almeno a metà. Innanzitutto, ha evitato la facile trappola della valanga di infodump e degli As you know, Bob. Gli infodump ci sono, è vero, ma quasi sempre vengono somministrati in piccole dosi e intervallati da scene mostrate e/o momenti d’azione. Inoltre non sembrano quasi mai innaturali, ma appaiono filtrati dai pensieri del protagonista-pov. Molte altre informazioni vengono fornite attraverso i dialoghi tra i personaggi, anche se alcuni di questi – e soprattutto il primo – sembrano a una prima lettura la fiera del technobabble, tra “complessi tensori alternati”, “cronocircoli” e Minimo Mutamento Necessario. Ma tenete duro, e capitolo dopo capitolo, tutta la terminologia e la logica dell’Eternità si chiariranno.

Aldilà dei flashback, la struttura di The End of Eternity è molto semplice. Il romanzo è scritto in terza persona ravvicinata e segue l’unico pov del protagonista. Lo stile è il solito “senza infamia e senza lode” di Asimov, semplice, senza fronzoli né lunghe descrizioni, e a metà tra il mostrato e il raccontato. Le emozioni del protagonista, il suo mondo interiore e i suoi obiettivi sono spesso raccontati, ma anche riflessi nei gesti, nelle azioni, nelle parole.
I dialoghi, in particolare, fanno la parte del leone; interi capitoli, soprattutto verso la fine del romanzo, sono composti interamente di botta e risposta tra due personaggi. Di norma non sopporterei un tale abuso del dialogo; ma i personaggi di Asimov sono sempre dei geni, e hanno così tante cose interessanti da dire e così tanti segreti e plot twist da svelare, che si leggono che è un piacere. Asimov eccelle in particolare nei battibecchi tra scienziati, un mondo che evidentemente conosceva bene – le piccole invidie, i tiri mancini, la lotta per gli avanzamenti di carriera – ma tutti i dialoghi del romanzo sono animati dal sacro fuoco del conflitto.

Complesso tensorio

Complesso tensorio. Non alternato.

Purtroppo non si può dire lo stesso dei personaggi. Harlan, come protagonista, aveva un grandissimo potenziale: un forte conflitto interiore (la lotta tra il rispetto per l’Eternità e le sue regole, il senso del dovere, e il bisogno di libertà, l’odio sotterraneo che gli fa venire voglia di infrangerle) e molteplici conflitti con i suoi colleghi e le autorità dell’Eternità. I Tecnici come Harlan sono condannati dalla società ipocrita dell’Eternità all’isolamento, perché nessuno vuole avere a che fare con chi si macchia personalmente le mani sovrascrivendo le vecchie Realtà con la nuova. E tuttavia Harlan non brilla, non vive di vita propria, ma rimane un protagonista funzionale.
Oltre all’approccio “raccontato” di Asimov, questo è probabilmente colpa del suo modo di scrivere, talmente plot-driven da eliminare praticamente tutto ciò che non muova l’intreccio principale o non porti alla risoluzione del rompicapo. Non vediamo mai Harlan in un momento intimo, quotidiano. Sappiamo dai suoi flashback che è un appassionato di Storia Primitiva – cioè di quella parte della storia umana precedente l’invenzione dell’Eternità, quell’unica parte che non può essere modificata – e la cosa tornerà utile più avanti nella storia (Asimov non inserisce mai un elemento per caso), ma non lo vediamo mai chiudersi nella sua stanza per sfogliare un National Geographic o una tragedia di Shakespeare.
Così anche gli altri personaggi, che esauriscono la loro umanità nel ruolo che hanno nella storia. Su tutti Noys, la bellissima donna del 482° Secolo per il cui amore Harlan si ribellerà contro l’Eternità, è piatta oltre ogni dire; la loro storia d’amore è meccanica e banale. L’unico personaggio davvero tridimensionale è forse Twissell, il venerabile Calcolatore Anziano, nonché mentore di Harlan: la sua mania di fumare sigarette, il suo nervosismo, il contrasto tra la sua aria senile e l’energia che ancora possiede, i suoi sbalzi d’umore nel corso del romanzo, lo rendono una persona viva. Menzione d’onore anche per un altro personaggio, estremamente secondario: Neron Feruque, il cinico Manipolatore di Vite che si lascia andare a considerazioni amare sulla cura anti-cancro.

Su tutto, però, trionfa la fantasia di Asimov; la sua abilità nel creare un’ambientazione carica di sense of wonder ma anche internamente coerente. Una delle assunzioni base del mondo di The End of Eternity, è che la Realtà sia dotata di inerzia: se apporto una piccola modifica, per esempio, al 50° secolo, questo cambiamento si ripercuoterà ed espanderà per un certo periodo di tempo – per esempio fino al 52° secolo – dopodiché si riappianerà gradualmente fino a che, raggiunto il 55° secolo, le due timeline si saranno reallineate. Questo rende possibile operare cambiamenti (miglioramenti!) circoscritti che non crescono esponenzialmente fino alla fine dei tempi, ma che rimangono “controllabili”. Un’altra assunzione, che ricorda la psicostoria della Fondazione e che mi fa letteralmente andare in fibrillazione, è che i comportamenti umani e le variazioni della Realtà siano studiabili matematicamente.
Di qui l’organizzazione dell’elite intellettuale dell’Eternità, che si divide in cinque gruppi: i Sociologi, che studiano la popolazione dei vari Secoli, confrontando fra loro le varie Realtà possibili, e valutano quando sarebbe desiderabile intervenire per migliorare la Realtà; i Calcolatori (Computers), che calcolano dove, quando e come operare per produrre il Minimo Mutamento Necessario; gli Osservatori, che visitano i secoli interessati per confermare empiricamente le analisi di Sociologi e Calcolatori; i Tecnici, che lo eseguono materialmente; e infine i Manipolatori di Vite (Life-Plotters, lett. Pianificatori di Vite, che mi piace anche di più), che studiano la vita di singoli esseri umani particolarmente importanti, per decidere come modificare la Realtà per migliorarli, dargli un destino diverso, o “salvarli” da un cambiamento della Realtà.

Ritorno al futuro

A viaggiare nel tempo va a finire sempre male.

I membri dell’Eternità devono vivere al di fuori dal Tempo perché devono interferire il meno possibile con la Realtà; sanno che ogni piccolo cambiamento può, in potenza, avere ripercussioni su tutta l’umanità per molti secoli a venire. Anche quando un Osservatore o un Tecnico devono entrare nel Tempo, i loro percorsi sono rigidamente pianificati per ridurre al minimo la loro influenza; devono tenere un bassissimo profilo, la loro libertà è nulla. Quando uno di loro viene prelevato dalla sua epoca – rigorosamente in tenera età – per essere addestrato a diventare un Eterno, la Realtà dev’essere modificata retrospettivamente per rimuovere la sua esistenza e quindi provocare il minimo trauma possibile. E’ come se l’Eterno non fosse mai esistito. Anche se reggono le sorti dell’umanità, gli Eterni vivono come degli esiliati, come dei monaci.
Di qui, Asimov trae tutta una serie di interrogativi filosofici che costituiscono il cuore pulsante del romanzo. Si va dai quesiti più tecnici-fantascientifici – come la risoluzione dei paradossi, dal “paradosso del nonno” alle conseguenze dell’incontrare sé stessi, all’inversione del rapporto causa-effetto – a interrogativi morali, come: è giusto che un pugno di geni diriga le sorti dell’umanità? E’ lecito giocare con la vita delle persone, riscrivendo intere epoche e ricreando infinite volte le storie e le vite del genere umano nel tentativo di migliorarle? Come fanno gli Eterni a sapere cosa è meglio per l’umanità? Il filosofo che è in voi (spero) qui troverà pane per i suoi denti.

La stessa Eternità è affascinante. E’ divisa in una serie di “stazioni”, una per ogni Secolo, e ciascuna adibita allo studio di quel Secolo; ci si sposta tra le stazioni tramite un veicolo azionato nientedimeno che attingendo all’energia sprigionata dal Sole quando nel remoto futuro sarà diventata una nova. Anche se l’Eternità si estende sino alla fine dell’esistenza della Terra, non tutti i secoli sono colonizzabili: quelli tra il 70.000 e il 150.000, chiamati Secoli Nascosti, sembrano essere stati sigillati dall’esterno. Dopo il 150.000 i Secoli sono di nuovo esplorabili, ma sulla Terra non c’è più vita umana. Ma gli Eterni, gravati dai problemi pratici del miglioramento dell’umanità e afflitti dai propri sensi di colpa, preferiscono non pensare a questi misteri.
Certo, anche qui Asimov si sarebbe potuto impegnare di più. Si vede sorprendentemente poco dell’Eternità e delle varie epoche visitate da Harlan. Le sue descrizioni sono quasi sempre minimaliste, e spesso si ha l’impressione che i personaggi si muovano in un ambiente “vuoto”. Allo stesso modo, Asimov si sofferma davvero poco sulla vita di Harlan e sulle sue occupazioni da Tecnico precedenti gli eventi centrali del romanzo. Gli anni che Harlan trascorre da Cucciolo, quando viene iniziato ai misteri dell’Eternità e prima che diventi un Osservatore, potevano essere interessantissimi; ma Asimov ci dedica una manciata di pagine riassunte. Uno dei pezzi meno ispirati del romanzo.

Time travel cat

Non è paradosso se lui non ti vede.

Questo è lo scotto della prosa “onesta” e funzionale di Asimov: da un lato abbiamo la centralità della trama e un ritmo veloce, e ci vengono risparmiati i manierismi letterari; ma dall’altro, i personaggi non emergono e un sacco di possibilità di fare bella narrativa vengono sprecate. The End of Eternity funziona alla perfezione su due piani: quello della risoluzione dell’enigma (che è molto elegante, con tutte le pistole di Ceckov disseminate da Asimov) e quello della speculazione filosofica; funziona poco invece su quello dell’immersività.
Fa niente. The End of Eternity rimane un romanzo geniale, e in assoluto la più bella storia sui viaggi nel tempo che abbia mai letto. E se in quasi sessant’anni questo romanzo, nel suo campo, rimane ancora imbattuto – be’, ci sarà un motivo. E poi, cazzo – tra i colpi di scena, Asimov è riuscito a infilarci pure Enrico Fermi!

Dove si trova?
The End of Eternity in lingua originale si trova in epub sia su Bookfinder che su Library Genesis. In italiano… be’, che ve lo dico a fare? E’ ovunque.

Su Asimov
Dedicare uno spazio ai libri di Asimov sembra stupido, ma in realtà c’è una manciata di libri di quest’autore che meritano, ma che vengono poco letti. Ecco allora una breve carrellata dei libri asimoviani che non appartengono ai cicli più famosi (Cicli dei Robot, dell’Impero e della Fondazione):
The Complete RobotThe Complete Robot (Tutti i miei robot) è una gargantuesca antologia che raccoglie tutti i racconti mai scritti da Asimov sul tema dei robot (ma che, con l’eccezione di un racconto, non appartengono al ciclo di Elijah Baley e Daneel R. Olivaw). Ci sono diversi racconti brutti o mediocri, specialmente all’inizio, ma anche un sacco di storie geniali – specialmente i racconti con Powell e Donovan e quelli con la robotologa Susan Calvin. Si tratta in genere di storie-rompicapo: dei gialli, enigmi, o problemi che ruotano attorno a un robot; il gusto di leggerli è il puro piacere intellettuale di scoprire la soluzione.
The Gods ThemselvesThe Gods Themselves (Neanche gli dei) è un fix-up di tre novelle vagamente correlate che ruotano attorno a un’ipotesi: come sarebbe fatto un universo in cui sia possibile l’esistenza dell’isotopo plutonio-186, e cosa succederebbe se entrasse in contatto col nostro mondo? Il risultato è la creazione di una delle razze aliene più affascinanti che abbia mai letto, creature a tre sessi che vivono in costante unione a tre a tre. La storia di una di queste triplette costituisce la novella centrale del romanzo; la prima tratta dell’accidentale scoperta in un laboratorio dell’esistenza dell’universo parallelo, mentre la terza trasporta l’azione sulla Luna. Il primo e il terzo racconto sono carini, ma non eccezionali come il secondo (anche se adoro il personaggio di Lamont!), e la distanza fra le tre storie rende la lettura sfilacciata e non del tutto soddisfacente. Vale comunque la pena di leggerlo.
NemesisNemesis parte dal presupposto che il nostro Sole abbia una stella compagna – una nana rossa chiamata appunto Nemesis – che in un remoto futuro passerà vicino al Sistema Solare, causandone la distruzione. Mentre, sotto la guida dell’autocrate Janus Pitt, una piccola colonia spaziale abbandona l’orbita della Terra per spostarsi nel sistema solare di Nemesis e avviare una nuova civiltà, i terrestri, guidati dal fisico Fisher, lavorano a un nuovo tipo di motore che renda possibile i viaggi interstellari. La storia – che intreccia minacce cosmiche, utopie isolazioniste, poteri esp, e un pianeta dotato di coscienza collettiva – sarebbe anche molto interessante, ma l’esecuzione è tiepida, e sembra che Asimov voglia tenere al minimo il livello di conflitto. Carino ma dimenticabile.

Qualche estratto
Ho scelto due brani del primo capitolo, per il semplice fatto che in quelli successivi l’ambientazione diventa sufficientemente complicata da non valere la pena di leggerli a muzzo. Il primo è l’incipit, e dà i dettagli essenziali sul protagonista e l’ambientazione mediante infodump; il secondo è il dialogo tra Harlan e il Sociologo Voy a cui avevo accennato nel corso della recensione. Non fatevi spaventare dal gergo!
La traduzione italiana tanto per cambiare sembra scritta da un dislessico.

1.
Andrew Harlan stepped into the kettle. Its sides were perfectly round and it fit snugly inside a vertical shaft composed of widely spaced rods that shimmered into an unseeable haze six feet above Harlan’s head. Harlan set the controls and moved the smoothly working starting lever.
The kettle did not move.
Harlan did not expect it to. He expected no movement; neither up nor down, left nor right, forth nor back. Yet the spaces between the rods had melted into a gray blankness which was solid to the touch, though nonetheless immaterial for all that. And there was the little stir in his stomach, the faint (psychosomatic?) touch of dizziness, that told him that all the kettle contained, including himself, was rushing upwhen through Eternity.
He had boarded the kettle in the 575th Century, the base of operations assigned him two years earlier. At the time the 575th had been the farthest upwhen he had ever traveled. Now he was moving upwhen to the 2456th Century.
Under ordinary circumstances he might have felt a little lost at the prospect. His native Century was in the far downwhen, the 95th Century, to be exact. The 95th was a Century stiffly restrictive of atomic power, faintly rustic, fond of natural wood as a structural material, exporters of certain types of distilled potables to nearly everywhen and importers of clover seed. Although Harlan had not been in the 95th since he entered special training and became a Cub at the age of fifteen, there was always that feeling of loss when one moved outwhen from “home.” At the 2456th he would be nearly two hundred forty millennia from his birthwhen and that is a sizable distance even for a hardened Eternal.
Under ordinary circumstances all this would be so.
But right now Harlan was in poor mood to think of anything but the fact that his documents were heavy in his pocket and his plan heavy on his heart. He was a little frightened, a little tense, a little confused.
It was his hands acting by themselves that brought the kettle to the proper halt at the proper Century.
Strange that a Technician should feel tense or nervous about anything. What was it that Educator Yarrow had once said:
“Above all, a Technician must be dispassionate. The Reality Change he initiates may affect the lives of as many as fifty billion people. A million or more of these may be so drastically affected as to be considered new individuals. Under these conditions, an emotional make-up is a distinct handicap.”
Harlan put the memory of his teacher’s dry voice out of his mind with an almost savage shake of his head. In those days he had never imagined that he himself would have the peculiar talent for that very position. But emotion had come upon him after all. Not for fifty billion people. What in Time did he care for fifty billion people? There was just one. One person.
He became aware that the kettle was stationary and with the merest pause to pull his thoughts together, put himself into the cold, impersonal frame of mind a Technician must have, he stepped out. The kettle he left, of course, was not the same as the one he had boarded, in the sense that it was not composed of the same atoms. He did not worry about that any more than any Eternal would. To concern oneself with the mystique of Time-travel, rather than with the simple fact of it, was the mark of the Cub and newcomer to Eternity.

 Andrew Harlan entrò nel veicolo sferico inserito in un pozzo verticale fatto di sbarre regolarmente distanziate, che più in alto, a circa due metri sulla sua testa, sembravano tremolare in un alone sfuocato. Harlan mise in moto i comandi e azionò la leva d’avviamento, facendola scivolare facilmente.
Il veicolo non si mosse, e del resto Harlan non se lo aspettava. Non si aspettava nessun movimento, né a sinistra né a destra, né in alto né in basso, ma lo spazio fra una sbarra e l’altra si trasformò in un grigiore indistinto, solido al tatto e tuttavia immateriale. Poi Harlan sentì un leggero senso di nausea, una vertigine (psicosomatica?) indice che la sfera e tutto ciò che conteneva – lui compreso – stava sfrecciando in avanti lungo il flusso dell’Eternità.
Harlan era salito a bordo nel 575° Secolo, che era la base di operazione assegnatagli due anni prima, massimo punto da lui raggiunto nell’Eternità, ma ora doveva salire al 2456°.
In circostanze normali si sarebbe sentito forse un po’ smarrito a quest’idea. Il suo secolo natale era molto più indietro, il 99° per essere precisi, un secolo rustico in cui l’energia atomica era proibita: un secolo che preferiva il legno naturale come materiale da costruzione e che esportava ovunque alcuni tipi di liquidi potabili distillati, importando semi di trifoglio. Sebbene Harlan non fosse più tornato nel 95° dopo che era stato arruolato per la sua istruzione e che era diventato Cadetto a quindici anni, provava sempre una sensazione di nostalgia quando si allontanava millenni dal punto natale: era una distanza considerevole anche per un Eterno incallito.
Già, in circostanze normali sarebbe stato proprio così… Ma, in quel momento, Harlan non era in grado di pensare ad altro se non ai documenti che gli pesavano in tasca.
Era un po’ spaventato, un po’ teso e confuso, e le sue mani mossero macchinalmente le leve adatte perché il veicolo si fermasse nel secolo voluto.
Era davvero strano che un Tecnico si sentisse teso o nervoso, perché, come aveva detto una volta l’istruttore Yarrow, “un Tecnico deve sopra ogni cosa essere privo di sentimenti. I cambiamenti di Realtà che egli attua possono incidere sulla sorte di cinquanta miliardi di individui, un miliardo o più dei quali possono venire danneggiati così gravemente da non potersi più considerare le stesse persone. In tali condizioni il sentimento è un ostacolo gravissimo.”
Harlan scosse la testa con forza, come per scacciare il ricordo della voce dell’istruttore. A quei tempi non avrebbe mai pensato di essere vulnerabile alle emozioni… e invece ne era stato sopraffatto. E non per quello che aveva o non aveva fatto a cinquanta miliardi di individui, no. Per il Tempo, a lui che gliene importava? Quello che gli capitava era dovuto a una sola persona. A una sola1.
S’accorse che il veicolo era fermo, e, dopo aver indugiato la frazione di secondo che era necessaria ad assumere la personalità fredda e distaccata del Tecnico, uscì. Naturalmente, l’apparecchio da cui era sceso non era lo stesso su cui era salito, nel senso che non era composto degli stessi atomi, ma Harlan non perse neppure un attimo a soffermarsi su quest’idea. Del resto, nessun Eterno si sarebbe mai sognato di farlo, perché meditare sulla mistica del Viaggio nel Tempo, piuttosto che sui nudi fatti, era il marchio del Cadetto, del novizio dell’Eternità.

2.
Harlan kept one arm across the back of his chair, the other in his lap. He must let neither hand drum restless fingers. He must not bite his lips. He must not show his feelings in any way.
Ever since the whole orientation of his life had so changed itself, he had been watching the summaries of projected Reality Changes as they passed through the grinding administrative gears of the Allwhen Council. As Senior Computer Twissell’s personally assigned Technician, he could arrange that by a slight bending of professional ethics. Particularly with Twissell’s attention caught ever more tightly in his own overwhelming project. (Harlan’s nostrils flared. He knew now a little of the nature of that project.)
Harlan had had no assurance that he would ever find what he was looking for in a reasonable time. When he had first glanced over projected Reality Change 2456–2781, Serial Number V-5, he was half inclined to believe his reasoning powers were warped by wishing. For a full day he had checked and rechecked equations and relationships in a rattling uncertainty, mixed with growing excitement and a bitter gratitude that he had been taught at least elementary psycho-mathematics.
Now Voy went over those same puncture patterns with a half-puzzled, half-worried eye.
He said, “It seems to me; I say, it seems to me that this is all perfectly in order.”
Harlan said, “I refer you particularly to the matter of the courtship characteristics of the society of the current Reality of this Century. That’s sociology and your responsibility, I believe. It’s why I arranged to see you when I arrived, rather than someone else.”
Voy was now frowning. He was still polite, but with an icy touch now. He said,
“The Observers assigned to our Section are highly competent. I have every certainty that those assigned to this project have given accurate data. Have you evidence to the contrary?”
“Not at all, Sociologist Voy. I accept their data. It is the development of the data I question. Do you not have an alternate tensorcomplex at this point, if the courtship data is taken properly into consideration?”
Voy stared, and then a look of relief washed over him visibly. “Of course, Technician, of course, but it resolves itself into an identity. There is a loop of small dimensions with no tributaries on either side. I hope you’ll forgive me for using picturesque language rather than precise mathematical expressions.”
“I appreciate it,” said Harlan dryly. “I am no more a Computer than a Sociologist.”
“Very good, then. The alternate tensor-complex you refer to, or the forking of the road, as we might say, is non-significant. The forks join up again and it is a single road. There was not even any need to mention it in our recommendations.”
“If you say so, sir, I will defer to your better judgment. However, there is still the matter of the M.N.C.”
The Sociologist winced at the initials as Harlan knew he would. M.N.C.–Minitnum Necessary Change. There the Technician was master. A Sociologist might consider himself above criticism by lesser beings in anything involving the mathematical analysis of the infinite possible Realities in Time, but in matters of M.N.C. the Technician stood supreme.
Mechanical computing would not do. The largest Computaplex ever built, manned by the cleverest and most experienced Senior Computer ever born, could do no better than to indicate the ranges in which the M.N.C. might be found. It was then the Technician, glancing over the data, who decided on an exact point within that range. A good Technician was rarely wrong. A top Technician was never wrong.
Harlan was never wrong.
“Now the M.N.C. recommended,” said Harlan (he spoke coolly, evenly, pronouncing the Standard Intertemporal Language in precise syllables), “by your Section involves induction of an accident in space and the immediate death by fairly horrible means of a dozen or more men.”
“Unavoidable,” said Voy, shrugging.
“On the other hand,” said Harlan, “I suggest that the M.N.C. can be reduced to the mere displacement of a container from one shelf to another. Here!” His long finger pointed. His white, well-cared-for index nail made the faintest mark along one set of perforations.
Voy considered matters with a painful but silent intensity.
Harlan said, “Doesn’t that alter the situation with regard to your unconsidered fork? Doesn’t it take advantage of the fork of lesser probability, changing it to near-certainty, and does that not then lead to–”
“–to virtually the M.D.R.” whispered Voy.
“To exactly the Maximum Desired Response,” said Harlan.

Harlan appoggiò un braccio sullo schienale della sedia, l’altro in grembo. Doveva impedirsi di tamburellare le dita, di mordersi le labbra, di mostrare insomma i suoi sentimenti.
Da quando la sua vita era cambiata, si era fatto scrupolo di esaminare tutti i progetti di Mutamento di Realtà che passavano attraverso il pesante filtro amministrativo del Consiglio di Tutti i Tempi. In qualità di Tecnico assegnato personalmente al Calcolatore Anziano Twissell, Harlan era in grado di guardare quei documenti con una leggerissima forzatura dell’etica professionale, specie ora che Twissell era tutto preso nel suo colossale progetto. (Le narici di Harlan si dilatarono, perché aveva appena scoperto qualcosa sulla natura del progetto.)
Tuttavia non aveva nessuna certezza che sarebbe riuscito a trovare quello che gli premeva in un tempo ragionevole. La prima volta che aveva guardato il progetto di Mutamento della Realtà 2456-2781, numero di serie V-5, aveva pensato che le sue facoltà mentali fossero appannate dal pregiudizio. Per un’intera giornata aveva controllato e ricontrollato equazioni e rapporti con crescente incertezza, mista a eccitazione e all’amara soddisfazione di aver studiato almeno un po’ di psicomatematica.
Ora Voy esaminava gli stesi schemi temporali con un’aria fra il sorpreso e il corrucciato.
Alla fine disse: “Mi sembra, dico mi sembra, che sia tutto in perfetto ordine.”
Harlan replicò: “Alludo in modo particolare alla questione del corteggiamento secondo i costumi di questo secolo. La sociologia è il tuo campo, credo, e per questo ho fatto in modo di parlare con te appena arrivato.”
Voy aveva la fronte aggrottata. “Gli Osservatori assegnati alla nostra Sezione” ribatté sempre educato, ma più freddo di prima, “sono abilissimi, e sono certo che quelli assegnati alla questione dell’innamoramento hanno inviato dati precisi. Hai le prove del contrario?”
“No, Sociologo Voy. Accetto per buoni i loro dati. La mia perplessità si riferisce alla loro elaborazione. Se le informazioni sul corteggiamento vengono prese nella giusta considerazione, non si profila un complesso tensorio alternato?”
Voy parve subito sollevato: “Certo, certo, Tecnico, ma si risolve in un’identità. Siamo in presenza di un cronocircolo vizioso di piccole dimensioni, senza tributari nell’una o nell’altra direzione. Spero che scuserai il mio linguaggio pittoresco al posto delle equazioni…”
“Lo apprezzo” disse seccamente Harlan, “perché non sono un Calcolatore, proprio come non sono un Sociologo.”
“Molto bene, allora. Questo secondo complesso-tensorio, che potremmo paragonare a una biforcazione, è insignificante. Poco dopo, la diramazione storica sfocia di nuovo nella strada maestra. Perciò non è stata menzionata nei nostri dati.”
“Molto bene, mi inchino di fronte al tuo parere. Tuttavia c’è ancora la questione del M.M.N.”
Il Sociologo fece una smorfia nel sentir pronunciare quelle iniziali, e Harlan se l’era aspettato. M.M.N., Minimo Mutamento Necessario, la formula che spalancava le porte al regno dei Tecnici. Un Sociologo poteva sentirsi superiore a molti, per cò che riguardava l’analisi matematica delle infinite Realtà possibili nel Tempo, ma in materia di M.M.N. il Tecnico era l’autorità suprema.
I computer non servivano a niente, in questo campo: il più grande Computaplex che fosse mai costruito, ideato dal più intelligente ed esperto Calcolatore Anziano, non poteva far altro che indicare la portata in cui era possibile trovare il M.M.N. Ma era il Tecnico che, dopo aver esaminato i dati, decideva il punto esatto. Un buon Tecnico sbagliava di rado, un Tecnico ottimo, mai.
Harlan non sbagliava mai.
“Ora, il M.M.N. prospettato dalla vostra Sezione” disse Harlan, pronunciando con fredda esattezza le parole in Lingua Standard Intertemporale, “comporta un incidente nello spazio seguito dalla morte orribile e immediata di una dozzina di uomini, forse più.”
“Inevitabile” disse Voy, stringendosi nelle spalle.
“E invece io dico che le conseguenze del Mutamento possono essere ridotte allo spostamento di un recipiente da uno scaffale all’altro. Tutto qui!” Harlan puntò il dito indice, e l’unghia ben curata sfiorò una serie di forellini sul documento aperto sopra il tavolo.
Voy considerò la questione in silenzio e con serietà.
Harlan disse: “Non vedi come cambia la situazione? Non ti accorgi che c’è una diramazione che non avete considerato? E tutto questo, non si risolve in un cambiamento veramente infinitesimale, non ci avvicina alla quasi-certezza del…”
“…M.R.P.” finì per lui il Sociologo.
“Proprio così, il Miglior Risultato Possibile” disse Harlan.

Tabella riassuntiva

Il viaggio nel tempo affrontato in modo rigoroso e affascinante. Personaggi piatti e troppo raccontati.
Ritmo serrato e narrazione plot-driven. Descrizioni approssimative e poco immersive.
Acchiappante costruzione ‘a enigma’ e colpi di scena a non finire. Intrighi politici “raccontati” e difficili da seguire.

(1) In genere me ne sto zitto sulle traduzioni, ma questa frase è troppo. L’originale dice semplicemente: “There was just one. One person”, ossia “Ce n’era solo una. Una persona”. Vale a dire che a Harlan importava solo una di una persona (e non dei miliardi sopraddetti), non che “quello che gli capitava era colpa di una sola persona”.Torna su