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I Consigli del Lunedì #41: The Deep

The DeepAutore: John Crowley
Titolo italiano: E la bestia sorse dall’abisso
Genere: Science-Fantasy / Fairytale Fantasy / Low Fantasy / Politico
Tipo: Romanzo

Anno: 1975
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 200 ca.

Difficoltà in inglese: **

In un mondo medievale senza tempo e dalla perfetta geometria ad anello, si combatte l’infinita guerra per il trono tra i Neri e i Rossi. Little Black, il re demente, governa ormai da molti anni sulla cittadella al centro del lago che è al centro del mondo; non sa che i Rossi hanno radunato un esercito nelle pianure attorno al lago, e si preparano a riconquistare la corona con la forza. Sul conflitto vegliano i Grigi, arbitri implacabili di ciò che è ammesso e ciò che non lo è, dall’alto della fortezza di Inviolabile sulla vetta delle montagne. E intanto, tra le fila dei due eserciti, si muovono i Giusti, assassini anarchici che si mimetizzano tra gli schieramenti, e uccidono con le loro Pistole chiunque sia nella loro lista.
Per secoli, le forze tra queste fazioni si sono equivalse, e la corona è passata di mano in mano. Ma le cose cambiano una notte quando, sul campo di battaglia, piove dal cielo un uovo metallico. All’interno un essere, né uomo né donna, senza memoria e incapace di parlare. Preso in custodia da due donne del Popolo, il Visitatore apprende con una rapidità innaturale la loro lingua e i loro costumi. Dimentico delle proprie origini, sa però di essere stato mandato qui con una missione da svolgere – deve solo ricordare quale. Intanto, una forza misteriosa sembra attirarlo oltre i confini delle terre conosciute, dove si dice ci sia una Profondità senza fondo su cui poggia il pilastro che sorregge il mondo. Comincia così la storia di come il Visitatore venuto da Altrove si mischiò alla lotta dei Neri e dei Rossi, e cambiò inevitabilmente le sorti di questo mondo.

Nell’ultimo cinquantennio, il Fantasy ‘classico’ si è grossomodo consolidato in due filoni. Da una parte l’epica tolkeniana, fatta di ambientazioni pseudo-celtiche, grandi gesta, elfi e nani, e un’attenzione dell’autore al folklore medievale e pre-medievale; dall’altra lo sword&sorcery d’avventura alla Jack Vance e D&D, pieno di maghi che sparano le peggio cose, barbari che spakkano, portali dimensionali, dungeon crawling e una certa predilezione per le minchiate. E’ bello quindi trovare ogni tanto autori, come Martin o Abercrombie, che si discostano da entrambe queste tradizioni.
The Deep, in particolare, è un Fantasy che sembra scritto come se Il Signore degli Anelli non fosse mai esistito. Nato dalle ceneri di un romanzo storico sulla Guerra delle Due Rose che John Crowley lasciò incompiuto, The Deep – sua opera d’esordio – trae ispirazione più dalle cronache medievali sulle faide tra case regnanti che non dal folklore o dal mito, calandolo però in un’ambientazione da fiaba e buttandoci dentro qualche topos fantascientifico e qualche scintilla di teatro elisabettiano. Il risultato è uno strano calderone che non assomiglia davvero a niente che abbia mai letto. Vediamo perché preferisco quest’opera d’esordio di Crowley a tutto ciò che ha scritto dopo.

Medieval Meme

Ah,l’elaborato linguaggio delle cronache medievali…

Uno sguardo approfondito
Considerato che The Deep non supera le duecento pagine, è incredibile la quantità di temi, ambientazioni e personaggi che Crowley è riuscito a buttarci dentro. Tanto per cominciare il suo è un romanzo corale, senza un vero protagonista. La cosa è chiarita fin da subito all’inizio del libro, dato che, prima del primo capitolo, c’è una pagina stile “Dramatis Personae” da sceneggiatura teatrale, con un elenco di tutti i personaggi del romanzo divisi per fazione di appartenenza.
Neanche il Visitatore può essere considerato un vero protagonista. Benché sia colui che mette in moto uno dei nodi centrali del romanzo, non è il motore della storia; in diversi capitoli non compare affatto, e in molti dei capitoli in cui compare (specialmente nella prima metà del romanzo) il suo ruolo è marginale.

Questa natura corale è rispecchiata nella prosa di Crowley, che potrei definire nel bene e nel male ‘flaubertiana’. Il romanzo è scritto in terza persona con narratore onnisciente neutrale. Per la maggior parte del tempo, questo Narratore abbassa la visuale a livello dei suoi personaggi e la porta dietro la testa di uno di essi, ma si riserva ogni tanto (specialmente all’inizio o alla fine di capitolo o paragrafo) dei campi lunghi che non possono appartenere ad alcun personaggio. Chiunque può diventare personaggio-pov (ne ho contati sette principali, più una miriade di usa e getta), e Crowley transita allegramente da uno all’altro, di solito con il movimento “Pov 1 – Onnisciente – Pov 2”.
Queste transizioni, in realtà, causano di rado confusione nel lettore – ma ciò perché la telecamera, anche quando non è a volo d’uccello, è piazzata sulle spalle dei personaggi e non entriamo quasi mai nella loro testa. Di conseguenza, gli eventi ci vengono presentati da una certa distanza, come se guardassimo un film, e quindi siamo già predisposti a passare da un punto di vista a un altro senza che ci venga il mal di mare. L’effetto collaterale di questo approccio è quello che ormai conosciamo: si crea una certa distanza emotiva tra lettore e vicende narrate, e tendiamo a non identificarci nei personaggi della storia.

Gustave Flaubert

“Perché mi devi sempre tirare in mezzo?”

Il che non significa che non ci affezioniamo a loro. Anzi: anche a distanza di mesi, diversi dei personaggi principali di The Deep sono rimasti vividi nella mia memoria. Ciascuno di essi ha la propria agenda personale, il proprio subplot e i propri conflitti (esterni e interiori). Abbiamo Redhand, Protettore della Cittadella come suo padre, diviso tra la fedeltà che deve al suo Re e il suo giuramento di difendere la propria famiglia e la propria gente anche a costo di assumere una posizione impopolare nella faida; suo fratello Learned Redhand, combattuto tra l’imparzialità arbitrale a cui lo chiama la sua tonaca da Grigio e gli obblighi che lo legano a una delle parti in causa, quella dei Rossi; Red Senlin’s Son, pretendente al trono dall’ambizione sfrenata, dalla cinica diffidenza verso gli uomini e dal disprezzo verso gli antichi costumi.
E poi suo fratello Sennred, eccelso spadaccino gobbo che tutti credono un pazzo maniaco, ma che semplicemente ha votato la propria vita alla difesa della sua famiglia; l’assassina Nyame/Nod, che ha sposato la causa dei Giusti per porre fine alla lotta per il trono che tante sofferenze procura al Popolo, ma che si trova ad uccidere persone stabilite dai suoi superiori e a seguire un’agenda che non capisce; e naturalmente il Visitatore (che nel corso del romanzo cambierà nome più volte), la creatura creata su una stella lontana, con il compito di fare quante più esperienze possibili nel tentativo di recuperare la sua identità e scoprire la sua missione in questo mondo. E poi ancora tutti gli altri.

Tutto questo intrico di trame potrebbe sembrare complicato, ma Crowley riesce a gestirlo con facilità. Incidentalmente, The Deep è anche una lezione per chiunque voglia scrivere un romanzo politico – pieno di nomi di personaggi e casate e fazioni – che non costringa il lettore a chiedersi ogni due pagine: “Aspetta, chi era questo?”. Associando ogni fazione a un colore (i Neri, i Rossi, i Grigi) o a un attributo facile da ricordare (i Giusti), e il nome dei personaggi importanti a quel medesimo colore (Black Harrah, Red Senlin, Fauconred…), fin dalle prime pagine il lettore si fa un’immagine chiara della situazione politica. Ancora meglio: i vari personaggi e gli schieramenti che rappresentano acquistano – nella forma, ad esempio, dei colori – da subito dei tratti concreti, palpabili (quelli che T.S. Eliot chiamava ‘correlativi oggettivi’). I Neri si vestono di nero, i Rossi di rosso, e i Giusti si nascondono dietro abiti anonimi sotto cui celano le loro Pistole dall’origine misteriosa.
L’assenza di un vero protagonista ha inoltre un altro effetto interessante: ossia che nessuno è indispensabile, e quindi chiunque può morire in qualsiasi punto del romanzo. E succede. A lot. Fin dalle prime pagine. Quando impariamo la facilità con cui Crowley fa fuori i suoi personaggi (ma i lettori di Martin saranno abituati), ogniqualvolta uno dei nostri preferiti si trova in una situazione di pericolo cominciamo a sentire quella sana tensione a cui non siamo più abituati. Ce la farà? Non ce la farà? L’esito non è mai scontato.

George Martin kills everyone

Severo ma giusto.

 

L’uso alla Flaubert della telecamera onnisciente e la distanza dai personaggi, comunque, si trascina dietro tutta un’altra serie di problemi. Il ritmo della narrazione, per esempio, è più lento e meno avvincente, proprio per l’esistenza di questi filtri tra noi e l’azione. Non mancano gli infodump, che ci raccontano di questo o quel particolare dell’ambientazione, o della tal famiglia o della psicologia del tal personaggio; o i riassunti raccontati di avvenimenti e periodi di tempo che accadono “fuori scena”. E, cosa che mi irrita di più, queste scelte non sembrano derivare tanto dalla sciatteria stilistica tipica della narrativa fantastica degli anni ’40-’70 – Crowley anzi sembra uno scrittore ‘consapevole’ della propria prosa – ma al contrario da un modo tutto suo di fare “letteratura alta”.
Fortunatamente, queste cattive scelte sono mitigate da un altro tratto stilistico di The Deep: una prosa molto asciutta e rapida.1 Accennavo all’inizio che è incredibile come Crowley riesca a condensare in due centinaia di pagine una storia e un cast talmente ricchi. E in effetti, in The Deep succede una tale quantità di cose che un Martin ci avrebbe costruito sopra una trilogia o peggio. Ogni capitolo è costruito da una molteplicità di piccoli paragrafi, ciascuno con i suoi personaggi, e ogni paragrafo muove avanti la trama. Non si sprecano parole: ogni scena è narrata con pochi dettagli concreti, e poi via alla successiva. Prendiamo ad esempio il passaggio, ancora all’inizio del libro, in cui un membro importante di una delle fazioni viene ammazzato a sangue freddo:

The Gun she held in both hands was half as long as an arm, and its great bore was like a mouth; it clicked when she fired it, hissed white smoke, and exploded like all rage and hatred. The stone ball shattered Black Harrah; without a cry he fell, thrown against the stairs, wrapped in a shower of his own blood.

Bam! Non una parola in più. Conciso, brutale, materico (“wrapped in a shower of his own blood”), senza sbavature. Proprio questa rapidità di avvenimenti e ricchezza d’azione impedisce al lettore di cadere nella noia di un pov spesso distante e impersonale.

Okay – ma alla fine The Deep di cosa parla? Perché nel romanzo si intrecciano due filoni tematici abbastanza diversi, quello politico e quello metafisico. Il primo, nonostante la storia sia ambientato in uno strano mondo di fiaba dalla geometria artificiosa, suona realistico e mi sembra particolarmente ben riuscito. Come nelle vere dispute tra case regnanti della cara vecchia Europa, la lotta tra Neri e Rossi oscilla tra il bisogno di legittimazione legale delle proprie rivendicazioni – presso gli imparziali Grigi, presso i consessi di famiglie feudali – e l’uso della forza e degli stratagemmi più biechi (pugnalate alle spalle, inviti a pranzo che si trasformano in carneficine, re fatti sparire). Soprattutto, c’è quel gusto per la faida familiare senza fine così ben riassunta in un dialogo del paladino Black Harrah con la Regina:

‘I will kill him.’
‘If he kills you . . . ?’
‘My son will kill him. If his sons kill my son, my son’s sons will kill his. Enough?’

Il secondo filone è incarnato dal Visitatore e dalla sua quest: scoprire com’è fatto questo strano mondo, e perché c’è finito sopra. Le risposte, alla fine, non sono nulla di concettualmente rivoluzionario; ma tutte le domande principali trovano soluzione, si gusta qualche brividino di sense of wonder lungo il viaggio e si arriva alla fine del romanzo bene o male soddisfatti. E i due filoni trovano un degno punto d’incontro in quello che è uno dei miei temi preferiti, ossia quello della Storia: sarà un cerchio, destinato a ripetersi sempre uguale, o una spirale, e la nuova generazione spazzerà via le tradizioni della vecchia? In che modo il viaggio del Visitatore influenzerà le sorti di questa eterna faida per la corona?

Almeno The Deep si risparmia questi problemi.

In conclusione, The Deep è un romanzo che se la tira e che ha evidentemente l’ambizione di essere qualcosa di più di una storia di viulenza e lotta per il potere; ma, almeno per quanto mi riguarda, è un tirarsela positivo, stile Swanwick prima maniera, che non va a mettere i bastoni fra le ruote alla trama ma anzi offre (almeno a tratti) il valore aggiunto di voler dire qualcosa sull’uomo e sulla realtà. E sicuramente, con la sua commistione di elementi low fantasy, fiabeschi e sci-fi, è un romanzo insolito nel panorama del Fantasy. Il suo parente più prossimo è forse Game of Thrones, ma si tratta comunque di una parentela molto alla lontana (e non sono sicuro che gli amanti di Martin apprezzeranno questo libro).
The Deep è uno di quei romanzi che si ama o si odia. E se questo Consiglio non vi ha ancora fatto capire da che parte state, probabilmente vi chiarirete del tutto le idee leggendo le prime pagine. Provatelo – se è il tipo di libro che tocca le vostre corde, vi ricorderete dei fratelli Redhand e del furioso Sennred e della dolce assassina Nyame/Nod e dell’enigmatico Visitatore e della bestia nascosta nelle Profondità a distanza di anni.

Dove si trova?
The Deep si può scaricare su Library Genesis (pdf) o su BookFinder (pdf o rar); se siete disposti a spendere per una formattazione decente, invece, su Amazon si trova a meno di 7 Euro il kindle dell’edizione SF Masterworks.

Su Crowley
Crowley è un altro di quegli scrittori che, pur avendo da quarant’anni nel business, hanno prodotto un numero abbastanza ridotto di libri. Oltre a The Deep, ne ho letti un altro paio:
Engine Summer  Engine Summer (La città dell’estate) è un romanzo post-apocalittico sui generis, in quanto non è una distopia ma un’utopia new-age. Secoli dopo un’imprecisata catastrofe, la gente di Little Belaire vive una vita spensierata e comunitaria, seguendo una filosofia animista che ricorda quella degli indiani d’America. Il giovane irrequieto Rush-that-Speaks, della tribù della Corda, si imbarcherà in un viaggio attraverso il continente per ritrovare sé stesso e il perduto amore della propria infanzia. Con la semplicità di una fiaba, Crowley mescola una normale ambientazione post-apocalittica con stramberie aliene e tecno-magia arcana; tutto purtroppo si annacqua in un romanzo barocco, pieno di autocompiacimento letterario e scarso di trama. Geniale e odioso al tempo stesso.
Little, Big  Little, Big, il suo romanzo più famoso, è un fantasy delicato che segue la storia della misteriosa famiglia Drinkwater e i suoi ambigui rapporti col regno di Faerie e i suoi piccoli abitanti. Partendo dalla storia del mite Smoky Barnable, che per uno scherzo del destino si trova a sposare la misteriosa Alice Drinkwater, il narratore salta avanti e indietro nel tempo per mostrarci passato e futuro della famiglia. Le fatine sembrano uscite dai saggi di Conan Doyle sul piccolo popolo; nel romanzo appaiono di rado ma è come se la loro presenza fosse ovunque. Nonostante le idee di fondo siano interessanti, il tono literary, la costruzione barocca delle frasi, l’abuso sistematico di raccontato, il ritmo lento, l’atmosfera rarefatta e le dimensioni (600 pagine circa!) rendono Little, Big una lettura faticosa. Un libro per vecchie signore e per accademici con tanto tempo libero.

Sarei tentato di leggere qualcos’altro di Crowley in futuro, ma la sua tendenza al manierismo letterario e la sua crescente passione per i tomi logorroici (come la sua quadrilogia Aegypt, talmente grossa da far impallidire Il Signore degli Anelli) mi fanno un po’ passare la voglia. Vedremo.

Qualche estratto
Il primo brano è incentrato sul Visitatore, e sul suo passare dall’ebetismo del suo risveglio a quando, in tempo brevissimo, impara a parlare e ragionare con le sue soccorritrici; il secondo ci introduce alla Cittadella reale al centro del mondo e ai personaggi di Black Harrah e della Regina, poco prima dell’irruzione dei Rossi e dell’inizio della guerra. Entrambi mostrano, credo, il peggio e il meglio della prosa di Crowley: il narratore onnisciente e gli infodump da una parte, la vividezza dei dettagli e i dialoghi serrati dall’altro.

1.
They called him the Visitor. His strange wound healed quickly, but the two sisters decided that his brain must have been damaged. He spoke rarely, and when he did, in strange nonsense syllables. He listened carefully to everything said to him, but understood nothing. He seemed neither surprised nor impatient nor grateful about his circumstances; he ate when he was given food and slept when they slept.
The week had been quiet. After the battle into which the Visitor had intruded, the Just returned to the Nowhere they could disappear to, and the Protector’s men returned to the farms and the horse-gatherings, to other battles in the Protector’s name. None had passed for several days except peat-cutters from the Downs.
Toward the close of a clear, cold day, the elder Endwife, Ser, made her slow circular way home across the Drumskin. In her wide basket were ten or so boxes and jars, and ever she knelt where her roving eye saw in the tangle of gray grass an herb or sprout of something useful. She’d pluck it, crush and sniff it, choose with pursed lips a jar for it. When it had grown too dark to see them any more, she was near home; yellow lamplight poured from the open door. She straightened her stiff back and saw the stars and planets already ashine; whispered a prayer and covered her jars from the Evening Star, just in case.
When she stepped through the door, she stopped there in the midst of a ‘Well . . .’ Fell silent, pulled the door shut and crept to a chair.
The Visitor was talking.
The younger Endwife, Norin, sat rapt before him, didn’t turn when her sister entered. The Visitor, motionless on the bed, drew out words with effort, as though he must choose each one. But he was talking.
‘I remember,’ he was saying, ‘the sky. That – egg, you call it. I was placed. In it. And. Separated. From my home. Then, descending. In the egg. To here.’
‘Your home,’ said Norin. ‘That star.’
‘You say a star,’ the Visitor said blankly. ‘I think, it can’t have been a star. I don’t know how, I know it, but, I do.’
‘But it circled the world. In the evening it rose from the Deep. And went overhead. In the morning it passed again into the Deep.’
‘Yes.’
‘For how long?’
‘I don’t know. I was made there.’
‘There were others there. Your parents.’
‘No. Only me. It was a place not much larger than the egg.’
He sat expressionless on the edge of the bed, his long pale hands on his knees. He looked like a statue. Norin turned to her sister, her eyes shining.
‘Is he mad now?’ said Ser. Her sister’s face darkened.
‘I . . . don’t know. Only, just today he learned to speak. This morning when you left he began. He learned “cup” and “drink,” like a baby, and now see! In one day, he’s speaking so! He learned so fast . . .’
‘Or remembered,’ Ser said, arising slowly with her eyes on the Visitor. She bent over him and looked at his white face; his eyes were black holes. She intended to be stern, to shock him; it sometimes worked. Her hand moved to the shade of the lamp, turned it so the lamplight fell full on him.
‘You were born inside a star in the sky?’ she asked sharply.
‘I wasn’t born,’ said the Visitor evenly. ‘I was made.’

Ziggy Stardust

Né uomo né donna, venuto dalle stelle con una missione… Ok, inutile continuare a girarci intorno: il Visitatore è chiaramente Ziggy Stardust.

2.
There are seven windows in the Queen’s bedroom in the Citadel that is the center of the City that is on the lake island called the Hub in the middle of the world.
Two of the seven windows face the tower stones and are dark; two overlook inner courtyards; two face the complex lanes that wind between the high, blank-faced mansions of the Protectorate; and the seventh, facing the steep Street of Birdsellers and, beyond, a crack in the ring of mountains across the lake, is always filled at night with stars. When wind speaks in the mountains, it whispers in this window, and makes the fine brown bed hangings dance.
Because the Queen likes light to make love by, there is a tiny lamp lit within the bed hangings. Black Harrah, the Queen’s lover of old, dislikes the light; it makes him think as much of discovery as of love. But then, one is not the Queen’s lover solely at one’s own pleasure.
If there were now a discoverer near, say on the balcony over the double door, or in the curtained corridor that leads to the servants’ stairs, he would see the great bed, lit darkly from within. He would see the great, thick body of the Queen struggling impatiently against Black Harrah’s old lean one, and hear their cries rise and subside. He might, well-hidden, stay to watch them cease, separate, lie somnolent; might hear shameful things spoken, and later, if he has waited, hear them consider their realm’s affairs, these two, the Queen and her man, the Great Protector Black Harrah.
‘No, no,’ Black Harrah answers to some question.
‘I fear,’ says the Queen.
‘There are ascendancies,’ says Black Harrah sleepily. ‘Binding rules, oaths sworn. Fixed as stars.’
‘New stars are born. The Grays have found one.’
‘Please. One thing at a time.’
‘I fear Red Senlin.’
‘He is no new star. If ever a man were bound by oaths . . .’
‘He hates me.’
‘Yes,’ Harrah says.
‘He would be King.’
‘No.’
‘If he . . . ?’
‘I will kill him.’
‘If he kills you . . . ?’
‘My son will kill him. If his sons kill my son, my son’s sons will kill his. Enough?’

Tabella riassuntiva

Un insolito blend di low fantasy medievale, fiaba e fantascienza. Narratore onnisciente e gestione dei pov alla cazzo.
Un vastissimo cast di personaggi interessanti e sempre a rischio morte. Infodump e raccontati che rallentano il ritmo.
Quando vuole la prosa di Crowley è secca, concreta e precisa. Crowley se la tira.
In 200 pagine succede di tutto!


(1) Nei romanzi successivi Crowley imboccherà purtroppo la strada opposta, adottando uno stile sempre più verboso e barocco. Se Engine Summer è literary, Little, Big è talmente pomposo e naif da prendere a testate il muro.Torna su

Bonus Track: Something Wicked This Way Comes

Something Wicked This Way Comes

Autore: Ray Bradbury
Titolo italiano: Il popolo dell’autunno
Genere: Horror / Fantasy / Fairytale Fantasy / Literary Fiction / Young Adult
Tipo: Romanzo

Anno: 1962
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 270

Difficoltà in inglese: ***

First of all, it was October, a rare month for boys. Not that all months aren’t rare. But there be bad and good, as the pirates say. Take September, a bad month: school begins. Consider August, a good month: school hasn’t begun yet. July, well, July’s really fine: there’s no chance in the world for school. June, no doubting it, June’s best of all, for the school doors spring wide and September’s a billion years away.
But you take October, now…

Un legame speciale unisce William Halloway e Jim Nightshade. Will, dai capelli color del grano e gli occhi chiari come la pioggia d’estate, è nato il 30 Ottobre, un minuto prima di mezzanotte; Jim, dai capelli selvatici e gli occhi verdi come l’erba, è nato il 31 Ottobre, un minuto dopo mezzanotte. Vicini di casa dalla nascita, nella sonnacchiosa cittadina di Green Town, Illinois, sono amici inseparabili, e tutto quello che sanno l’anno imparato l’uno dall’altro. Ma ora, a quattordici anni, sul finire del mese di Ottobre, la loro infanzia sta per finire.
Perché a Green Town sta arrivando il carnevale. Un carnevale itinerante che porta con sé le più bizzarre meraviglie, da un labirinto di specchi che non sembra avere fine a una vecchia cieca dai poteri sovrannaturali, e soprattutto Mr. Dark, l’impresario – un uomo dagli occhi di fuoco e con tatuaggi che gli coprono tutto il corpo, tatuaggi che sembrano vivi e si muovono con lui. Gli abitanti di Green Town cominciano a comportarsi in modo strano dopo l’arrivo del carnevale, e nonostante le proteste di Will, Jim rimane stregato da Mr. Dark e dalle energie che sembrano spirare dalle sue attrazioni. Cosa ne sarà del loro rapporto? Al compiersi del quindicesimo anno d’età, Will e Jim non saranno più gli stessi.

Di tutti gli autori associati al fantastico e soprattutto alla fantascienza, Ray Bradbury è forse il più famoso in assoluto. Ma se romanzi come Cronache Marziane e Fahrenheit 451 sono celebri anche in Italia, e se molti dei suoi racconti migliori si sono fatti largo fino nelle antologie scolastiche, questo Something Wicked This Way Comes rimane ampiamente ignorato dalle nostre parti. E dire che negli States è considerato un’opera seminale, la fonte di ispirazione dichiarata di una pletora di scrittori di horror e urban fantasy come King e Gaiman. Mi sembrava giusto, quindi, far conoscere questo romanzo e di passaggio dire la mia.
La premessa di Something Wicked This Way Comes è classica: qualcosa di caotico e maligno irrompe nella vita quotidiana, e due ragazzini si trovano soli ad affrontarlo, mentre gli adulti non sembrano rendersi conto del pericolo. Ma combattere la minaccia è anche un rito di passaggio dall’infanzia all’età adulta. La storia di Bradbury ha molto del romanzo per ragazzi, ma si capisce che vuole essere qualcosa di più; una di quelle storie di formazione che può essere letta a tutte le età e con più livelli di lettura. Vedremo se gli è riuscito.

Ray Bradbury quotes

Stanno arrivando.

Uno sguardo approfondito
Basta leggere le prime righe per rendersi conto che a Bradbury non gliene può fregare di meno dell’immersività totale, e che piuttosto appartiene alla scuola di Vonnegut e Calvino. Ecco come ci parla di Will e Jim, nel secondo capitolo, quando si incamminano verso la biblioteca pubblica: “Like all boys, they never walked anywhere, but named a goal and lit for it, scissors and elbows. Nobody won. Nobody wanted to win. It was in their friendship they just wanted to run forever, shadow and shadow.” Il suo narratore è un narratore onnisciente e invadente, che va ora da questo e ora da quel personaggio, li commetta, racconta le loro emozioni, si lancia in flashback e flashforward, snocciola raffinate metafore.
Ma se Vonnegut lo faceva per ottenere l’effetto comico, e per trasmettere un’atmosfera satirica ai suoi romanzi, Bradbury punta a fare della poesia in prosa. Sotto la sua penna, una sensazione sgradevole diventa una nuova Era Glaciale, la madre di Will diventa una rosa in una serra in una giornata d’inverno, la voce del padre una mano che si agita delicatamente in aria e il volo di un uccello bianco. Tutta una serie di personaggi – da Mr. Fury, il misterioso venditore di parafulmini fenici, a Mr. Dark, il maligno impresario del carnevale – si esprimono come poeti. Ecco il padre di Will, che di mestiere fa il bibliotecario, che saluta i ragazzi quando vengono a trovarlo alla biblioteca:

‘Is that you, Will? Grown an inch since this morning.’ Charles Halloway shifted his gaze. ‘Jim? Eyes darker, cheeks paler; you bum yourself at both ends, Jim?’
‘Heck.’ said Jim.
‘No such place as Heck. But hell’s right here under ‘A’ for Alighieri.’
‘Allegory’s beyond me,’ said Jim.
‘How stupid of me,’ Dad laughed. ‘I mean Dante. Look at this. Pictures by Mister Doré, showing all the aspects. Hell never looked better. Here’s souls sunk to their gills in slime. There’s someone upside down, wrong side out.’

In conseguenza di questo stile, tutti i movimenti e i gesti dei personaggi appaiono stilizzati, come delle coreografie, tutti i dialoghi suonano sagaci, ma artefatti. A volte così facendo, lo devo ammettere, Bradbury riesce a creare dei begli effetti; ad esempio la scena in cui Will e Jim, circondati da poliziotti nel tendone da circo del carnevale, si vedono arrivare di fronte, introdotto da Mr. Dark, il grottesco Mr. Electrico: un uomo talmente vecchio che pare morto, legato a una sedia elettrica da cui sta per partire una scarica da centomila volt. O il misterioso Mr. Fury, il venditore ambulante di parafulmini magici con iscrizioni fenicie che parla per enigmi. O la Strega della Polvere, capace di togliere la voglia di vivere agli individui con la sua sola presenza…
Certo, chi ormai si è abituato alla Bizarro Fiction o al New Weird troverà abbastanza innocue le invenzioni di Bradbury. Eppure, inserite nel contesto di tranquilla normalità di Green Town, alcune di queste colpiscono davvero. E la prosa ornata di Bradbury, benché il più delle volte non faccia altro che distrarre dalla storia, talvolta riesce ad aggiungere fascino alle sue creature.

Ray Bradbury quotes

Chi esce meglio da questo modo di scrivere, comunque, sono i personaggi. Nonostante Bradbury li presenti come degli archetipi ambulanti e li carichi di simboli (basti solo pensare ai protagonisti: il ragazzo dai capelli chiari e in ordine nato un minuto prima di mezzanotte, il ragazzo dai capelli scuri e disordinati nato un minuto dopo mezzanotte, così diversi eppure così uniti; più yin e yang di così…), hanno una loro tridimensionalità, e un carattere coerente che ci viene mostrato dai loro comportamenti, oltre che raccontato dal Narratore Onnisciente. Jim è un ragazzo impulsivo suo malgrado, prova un’attrazione incontrollabile per le ambiguità e le stranezze del mondo adulto, ma al tempo stesso se ne vergogna e vorrebbe ‘addomesticarsi’; Will invece è terrorizzato all’idea di rimanere indietro, vede Jim che si allontana verso il mondo dei grandi e si chiede perché a lui non succeda lo stesso.
Ancora più riuscito, a mio avviso, è il rapporto padre-figlio tra Will e Charles Halloway. Mentre molto del setting iniziale di Something Wicked This Way Comes sembra un idillio bucolico, la vita perfetta e stereotipica da piccola borghesia di una cittadina di campagna, il legame di Will con suo padre parte già strano. Charles è un tipo umile, stralunato, dall’aria fragile, il genere di padre per cui non puoi provare rispetto ma imbarazzo, perché sai che non sarebbe in grado di difenderti (per mancanza di coraggio o di attenzione); e lui e Will non hanno un gran rapporto. Ma gli eventi messi in moto dall’arrivo del Carnevale li avvicineranno. E il discorso di Charles Halloway a suo figlio, sul Bene e sul Male, e sul rapporto tra moralità e felicità personale, è molto più ambiguo e realista, molto più cinico di quel che mi aspettassi. Bradbury riesce a evitare di essere melenso e fasullo, e il risultato è bello.

Peccato che non duri. Il conflitto centrale del romanzo alla fine non è altro che la lotta tra il Bene e il Male; le istanze positive e negative vengono personificate, e questo lascia ben poco spazio all’ambiguità morale. I buoni non vincono con la forza, o con l’astuzia, ma per superiorità etica; e alla fine la forza per trionfare sui nemici verrà dalle emozioni. In questo si riconosce subito l’influenza che il romanzo ha avuto su scrittori come King, in cui è onnipresente il concetto di Male assoluto, e dove spesso e volentieri lo strumento per vincere il suddetto Male sono le istanze psicologico-filosofiche del protagonista piuttosto che metodi concreti. Cioè la cosa che amo di meno tanto in King quanto in Bradbury e negli altri suoi epigoni.
Uno potrebbe obiettare però che ogni scrittore nella sua opera può adottare il sistema di valori che preferisce. Per carità. Non si può negare, invece, che il plot del romanzo soffra di alcune incoerenze strutturali e occasioni sprecate. Bradbury dissemina la storia di hook che poi si dimentica di usare, e che lasciano il lettore con un palmo di naso. Il primo capitolo, per esempio, si apre (in modo abbastanza riuscito) col personaggio di Mr. Fury, che fa rivelazioni profetiche ai due ragazzi e dona loro un parafulmini dai poteri misteriosi. Tutto farebbe pensare che, per dove sono collocati e per l’enfasi che gli viene data, Mr. Fury e il suo parafulmine siano la chiave di volta della storia. Niente del genere: Mr. Fury sparisce per poi ritornare in un ruolo del tutto marginale, e il parafulmine ancestrale non servirà praticamente a nulla. Al che uno si chiede: perché sprecare un’idea così interessante? E se fin dall’inizio non aveva intenzione di utilizzarla, perché metterla in apertura del romanzo? Bradbury si rivela incapace di maneggiare i suoi stessi simboli.

Horatio Kane on Bradbury

Un anno e mezzo fa questa battuta era una figata.

Volendo sintetizzare il mio discorso in poche righe, Something Wicked This Way Comes è un moral play sul passaggio dall’infanzia all’età adulta. E’ un romanzo che urla ad ogni capoverso: ‘Sono una finzione! Sono un’allegoria!’, è una di quelle storie che piacciono tanto alla sinistra umanista perché suona come una parabola, e ti fa sentire così intelligente e sensibile perché la capisci. E del resto, se lo epurassimo di tutti questi elementi decorativi, quel che rimarrebbe sarebbe una storia esile e strutturata male.
Molta gente adora questo tipo di storia. Ma – benché alcune scene, dialoghi e personaggi mi abbiano colpito positivamente – io non sono tra questi. Pur riconoscendo il valore storico di Something Wicked, come fonte di ispirazione di numerosi scrittori americani contemporanei, lo trovo largamente sopravvalutato. Quanto a Bradbury, una sola delle cose che ha scritto è davvero grande: Cronache marziane. Il resto è mediocrità.
Buon Halloween!

Una considerazione su Bradbury
Mi sono sempre chiesto come mai Bradbury fosse diventato uno dei più celebrati scrittori di narrativa fantastica del Novecento. Anche il suo ruolo nella storia della fantascienza mi pare dubbio. Scrittori come Wells e Stapledon prima, e Orwell, Huxley, Asimov, Heinlein, Clarke, Dick, Ballard poi, hanno gettato nel calderone della science fiction idee che sono diventati veri archetipi del genere; delle idee di Bradbury invece, che cosa ci rimane? Lo rileva anche David Pringle, critico e direttore editoriale di riviste di fantascienza, che nel suo Science Fiction: The 100 Best Novels 1949-19841 scrive, a proposito di The Martian Chronicles: “In fact, that definition [cioè che Cronache Marziane sia un romanzo di sf] has often been disputed, since Bradbury shows no interest in science as such. His space rockets are like firecrackers; his Mars people are Halloween ghosts; while his Martian landscape is an arid version of the American mid-west”.
Forse la soluzione dell’enigma sta in questo: Bradbury ha conquistato notorietà non tanto presso i veterani della narrativa di genere, quanto presso il pubblico mainstream. E’ uno di quegli scrittori che chi non mastica fantascienza o fantasy in genere conosce benissimo. Uno di quelli che vengono lodati per la ‘potenza delle idee’, da parti di chi romanzi di idee non ne legge mai (e quindi non ne conosce gli standard). E dato che il pubblico mainstream è il Grande Pubblico, Bradbury è diventato infinitamente più celebre dei suoi colleghi rimasti nel ghetto della fantascienza. Anche se molti di quelli erano più bravi e più inventivi di lui.

E, giusto per sottolineare che non sono l’unico a pensarla così, ecco di nuovo le parole di David Pringle, questa volta in un commento a Fahrenheit 451:

“It is a rather simple-minded dystopia which Bradbury creates. […] Fahrenheit 451 is a very straightforward book, a scream of rage against the mass media and the whole 20th-century communications landscape. Television, pop music, comic books, digests, theme parks, spectator sports – Bradbury is against ‘em all, and if he had been writing this book thirty years laters he would no dobut have included video games, home computers and role-playing fantasies in his tirade. It is the litany of the old-fashioned, puritanical moralist; small wonder that the message of this novel has fallen sweetly on the ears of schoolteachers and other Guardians of Culture the world over. […] As a tract for teenagers, Fahrenheit 451 still has considerable merits, but it is scarcely a classic of adult science fiction”.

Ray Bradbury vecchio

A noi piace ricordarlo così: vecchio, incazzato e un po’ rincoglionito.

Dove si trova?
Something Wicked This Way Comes è un romanzo celeberrimo, almeno nei paesi anglofoni: non avrete difficoltà a trovarlo su Library Genesis né su BookFinder, nei formati pdf e epub. Per l’edizione italiana, invece, cercate “Il popolo dell’autunno” su Emule; ma non chiedetemi chi diamine sia il genio che ha scelto il titolo italiano.

Qualche estratto
Per questo articolo, ho voluto mostrare il meglio e il peggio dello stile di Bradbury: il primo pezzo è tratto dal primo capitolo, e ci mostra l’incontro di Will e Jim con l’ambiguo Mr. Fury, e la contrattazione per dare loro un parafulmine e proteggersi dalla tempesta imminente; il secondo pezzo un lungo monologo interiore di Charles Halloway, quando nel terzo capitolo vede i due ragazzi andarsene verso casa. Se la prosa di Bradbury non vi nausea, questo libro potrebbe essere fatto per voi.

1.
‘Halloway. Nightshade. No money, you say?’
The man, grieved by his own conscientiousness, rummaged in his leather bag and seized forth an iron contraption.
‘Take this, free! Why? One of those houses will be struck by lightning! Without this rod, bang! Fire and ash, roast pork and cinders! Grab!’
The salesman released the rod. Jim did not move. But Will caught the iron and gasped.
‘Boy, it’s heavy! And funny-looking. Never seen a lightning-rod like this. Look, Jim!’
And Jim, at last, stretched like a cat, and turned his head. His green eyes got big and then very narrow.
The metal thing was hammered and shaped half-crescent, half-cross. Around the rim of the main rod little curlicues and doohingies had been soldered on, later. The entire surface of the rod was finely scratched and etched with strange languages, names that could tie the tongue or break the jaw, numerals that added to incomprehensible sums, pictographs of insect-animals all bristle, chaff, and claw.
‘That’s Egyptian.’ Jim pointed his nose at a bug soldered to the iron. ‘Scarab beetle.’
‘So it is, boy!’
Jim squinted. ‘And those there – Phoenician hen tracks,’
‘Right!’
‘Why?’ asked Jim.
‘Why?’ said the man. ‘Why the Egyptian, Arabic, Abyssinian, Choctaw? Well, what tongue does the wind talk? What nationality is a storm? What country do rains come from? What colour is lightning? Where does thunder go when it dies? Boys, you got to be ready in every dialect with every shape and form to hex the St Elmo’s fires, the balls of blue light that prowl the earth like sizzling cats. I got the only lightning-rods in the world that hear, feel, know, and sass back any storm, no matter what tongue, voice, or sign. No foreign thunder so loud this rod can’t soft-talk it!’
But Will was staring beyond the man now.
‘Which,’ he said. ‘Which house will it strike?’
‘Which? Hold on. Wait.’ The salesman searched deep in their faces. ‘Some folks draw lightning, suck it like cats suck babies’ breath. Some folks’ polarities are negative, some positive. Some glow in the dark. Some snuff out. You now, the two…I – ‘
[…] ‘But which house, which!’ asked Will.
The salesman reared off, blew his nose in a great kerchief, then walked slowly across the lawn as if approaching a huge time-bomb that ticked silently there.
He touched Will’s front porch newels, ran his hand over a post, a floorboard, then shut his eyes and leaned against the house to let its bones speak to him.
Then, hesitant, he made his cautious way to Jim’s house next door.
Jim stood up to watch.
The salesman put his hand out to touch, to stroke, to quiver his fingertips on the old paint.
‘This,’ he said at last, ‘is the one.’

2.
Watching the boys vanish away, Charles Halloway suppressed a sudden urge to run with them, make the pack. He knew what the wind was doing to them, where it was taking them, to all the secret places that were never so secret again in life. Somewhere in him, a shadow turned mournfully over. You had to run with a night like this, so the sadness could not hurt.
Look! he thought. Will runs because running is its own excuse. Jim runs because something’s up ahead of him.
Yet, strangely, they do run together.
What’s the answer, he wondered, walking through the library, putting out the lights, putting out the lights, putting out the lights, is it all in the whorls on our thumbs and fingers? Why are some people all grasshopper fiddlings, scrapings, all antennae shivering, one big ganglion eternally knotting, slip-knotting, square-knotting themselves? They stoke a furnace all their lives, sweat their lips, shine their eyes and start it all in the crib. Caesar’s lean and hungry friends. They eat the dark, who only stand and breathe.
That’s Jim, all bramble-hair and itchweed.
And Will? Why he’s the last peach, high on the summer tree. Some boys walk by and you cry, seeing them. They feel good, they look good, they are good. Oh, they’re not above peeing off a bridge, or stealing an occasional dime-store pencil sharpener; it’s not that. It’s just, you know, seeing them pass, that’s how they’ll be all their life; they’ll get hit, hurt, cut, bruised, and always wonder why, why does it happen? how can it happen to them?
But Jim, now, he knows it happens, he watches for it happening, he sees it start, he sees it finish, he licks the wound he expected, and never asks why; he knows. He always knew. Someone knew before him, a long time ago, someone who had wolves for pets and lions for night conversants. Hell, Jim doesn’t know with his mind. But his body knows. And while Will’s putting a bandage on his latest scratch, Jim’s ducking, waving, bouncing away from the knockout blow which must inevitably come.
So there they go, Jim running slower to stay with Will, Will running faster to stay with Jim, Jim breaking two windows in a haunted house because Will’s along, Will breaking one instead of none, because Jim’s watching. God how we get our fingers in each other’s clay. That’s friendship, each playing the potter to see what shapes we can make of the other.
Jim, Will, he thought, strangers. Go on. I’ll catch up, some day…

Tabella riassuntiva

Una parabola sovrannaturale sul diventare grandi. Atmosfera moraleggiante con tanto di Male personificato.
Personaggi principali ben tratteggiati. Prosa ornata che rende impossibile l’immersione.
Alcune delle creature di Bradbury sono affascinanti. Sotto tutti i fronzoli la storia è esile.
Hook inutilizzati e struttura della trama pencolante.


(1) Di questa antologia, che ambisce a raccogliere i cento migliori romanzi di fantascienza in lingua inglese scritti tra l’uscita di 1984 e quella di Neuromante, mi piacerebbe parlarvi in un articolo futuro. Può essere un utile punto di riferimento per scoprire la narrativa del periodo, e ormai la lista di Pringle è diventata un classico.Torna su

Bonus Track: Clockwork Girl

Clockwork GirlAutore: Athena Villaverde
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Fairytale Fantasy / Bizarro Fiction
Tipo: Raccolta di tre novellas

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 143

Difficoltà in inglese: **

Cat è una ragazza bruco. Un giorno diventerà una bellissima farfalla, ma nel frattempo conduce una vita da emarginata nel suo liceo, derisa dalle tiratissime ragazze-coccinella e segretamente innamorata di Lilith, stupenda ragazza-ragno che chiunque vorrebbe nel proprio letto. Finché, un bel giorno, Lilith sembra accorgersi di lei. Peccato che le ragazze-ragno abbiano questa sgradevole tendenza a uccidere e mangiare i loro amanti nel bel mezzo del rapporto.
Pichi invece è una ragazza a molla: hanno preso il cervello di una bambina sfortunata e l’hanno messo in un corpo meccanico. I genitori di Marisol gliel’hanno regalata per Natale, perché imparasse a prendersi delle responsabilità; ogni giorno, infatti, Pichi dev’essere ricaricata, altrimenti i suoi ingranaggi smettono di girare e muore. Per ora, Pichi e Marisol sono grandi amiche e si vogliono bene. Ma cosa succederà se la padroncina dovesse stufarsi di lei?
Maya, infine, è una ragazza alveare. E’ la più bella e la più brava ballerina di tango di Buenos Aires, e danzare con lei è il più grande dei privilegi. Ma anche la più pericolosa delle prove: basta il più piccolo errore, e le api che vivono tra i capelli e nei pori della pelle di Maya cominciano a innervosirsi – e una corsa all’ospedale potrebbe non essere il destino peggiore per il malcapitato.

“Caterpillar Girl”, “Clockwork Girl” e “Beehive Girl” sono i tre racconti lunghi che compongono questa raccolta di Bizarro al femminile. Tre storie che uniscono un’ambientazione abbastanza normale e realistica a una vena fantastica, immerse in un’atmosfera e in un timbro fiabesco. Tre storie d’amore, anche se un po’ insolite (e un filino morbose, come piacciono a me).
Mi vengono in mente un sacco di ragioni per leggere Clockword Girl. Perché la Villaverde è una ragazza carina che scrive Bizarro. Perché è raccomandato da Mellick, suo mentore e content editor. Perché è pieno di lesbicate. Perché Gamberetta ha parlato in modo (abbastanza) positivo del suo romanzo d’esordio. Perché la Villaverde scrive bene, e i tre racconti volano in una giornata. Se queste ottime (?) argomentazioni non vi hanno ancora persuaso, entriamo nel dettaglio.

Athena Villaverde

Awwww! Ma non è carina?

Uno sguardo approfondito
L’influenza di Mellick nello stile della Villaverde si riconosce subito: dalla costruzione dei capitoli, che sono tanti e molto brevi (da una a sei pagine), al timbro narrativo leggero e scanzonato, sia che si parli di cose quotidiane, sia che si parli di gente ammazzata o stupri e via dicendo, al gusto per il sesso strano. Entrambi condividono anche l’approccio ‘libero’ allo “Show, don’t Tell”: a scene descritte in modo concreto e preciso si alternano molti passaggi raccontati, in cui la Villaverde spiega la vita quotidiana delle sue protagoniste e il loro mondo. L’uso della terza persona invece che della prima in due dei tre racconti (contrariamente a quel che fa di solito Mellick) rende questi infodump un po’ meno eleganti, e talvolta il ritmo ne risente; ma devo ammettere che il raccontato non stona troppo con l’approccio fiabesco della raccolta. Quanto alla gestione del pov, a parte qualche sporadico passaggio confuso la Villaverde lo tiene sempre ancorato alla sua protagonista.
Fatto questo preambolo, diamo un’occhiata più da vicino ai tre racconti.

“Caterpillar Girl” è sicuramente il più debole della raccolta, nonché il meno bizzarro. Stringi stringi, è una storia romantica-scolastica adolescenziale, di quelle che rievocano nella nostra mente decine e decine di teen movie o telefilm americani. Il gioco di reimmaginare i ragazzi della scuola come insetti antropomorfi e di associare a ogni tipo di insetto un gruppo sociale è carino – e alcuni sono bellissimi: le mantidi religiose, per esempio, sono il gruppo cristiano militante – ma si tratta solo di fronzoli, perché il canovaccio è quello classico e il 90% della storia avrebbe funzionato identica anche con personaggi completamente umani. Non aiutano nell’immersione i continui riferimenti a marchi e mode del nostro mondo, dalle carte Magic ai gruppi goth-punk, passando per le citazioni “colte” tipo quelle dei libri di Anais Nin (di cui a quanto pare Cat e Lilith sono avide lettrici).
In tutto questo, l’unico elemento davvero alieno è l’istinto assassino di Lilith: una ragazza normale non potrebbe mai estroflettere un arto dall’addome per trafiggere il petto dell’amante e succhiargli via la vita. Le scene di sesso sono anche quelle meglio riuscite – materiche, appiccicose, con la giusta miscela di eccitazione e orrore – e in particolare quella finale vale da sola la lettura del racconto, benché un po’ melodrammatica. In generale, purtroppo, “Caterpillar Girl” mi è parso un racconto adolescenziale, non solo nell’ambientazione ma anche nella sostanza.

Caterpillar

Un giorno diventerà una bellissima farfalla.

La qualità della raccolta si impenna però col secondo racconto, il “Clockwork Girl” che dà il nome al libro. E’ il più lungo – 55 pagine – e anche quello più bello. Il racconto gioca tutto sul contrasto tra il mondo di fiaba della ragazza a molla e la dura realtà: da una parte Pichi, il cui amore assoluto per la padroncina Marisol e la volontà di essere come lei ricorda l’imprinting delle papere di Lorenz, “programmata” per voler sempre giocare e divertirsi e non crescere mai, e dall’altra la triste verità che nessun giocattolo dura per sempre.
Ho molto apprezzato che Marisol venisse presentata come una brava bambina – sinceramente indignata dallo scoprire che trasformino le ragazzine in giocattoli e che i suoi genitori le abbiano appioppato una tale responsabilità senza interpellarla – invece che come il solito cliché della ragazzina viziata. Se fossimo in un racconto di Gamberetta, forse il loro rapporto avrebbe subito preso una piega sadica e grottesca. Invece, seppure meno violento, è molto più triste vedere come si sfaldi il rapporto, cominciato nel migliore dei modi, tra giocattolo e padroncina.
Smettere di leggere questo racconto è praticamente impossibile, dato il continuo crescendo di tensione e di pericolo per la protagonista. Peccato che le ultime dieci-quindici pagine siano invece sottotono, e del tutto anticlimatiche.
Il finale vero e proprio, in particolare, stona col resto del racconto e sa un po’ di fregatura: se tutta la storia verteva sulla progressiva presa di coscienza che la realtà non è come le fiabe, allora la conclusione puzza un po’ troppo di bella fiaba.

“Beehive Girl”, l’ultimo racconto, è di sicuro quello scritto meglio, benché l’abbia trovato meno affascinante di “Clockwork Girl”. La storia è raccontata in prima persona da un ballerino di tango senza nome, e tutta l’azione della novella si svolge nel breve spazio di una serata al club di tango. Gli infodump ci sono ancora, ma sono filtrati dalla voce narrante del protagonista, e sono ben inframezzati con le scene d’azione nel presente. La tensione interiore del protagonista è palpabile: da una parte il desiderio di chiedere a Maya di ballare, di dimostrare di essere un bravo tanguero e di far colpo su di lei prima che qualcuno gliela soffi; dall’altro, il terrore di commettere un errore nella danza, di essere sfigurato dalle api e perdere per sempre il rispetto di Maya.
La sfida di tango (se così possiamo chiamarla) è scritta molto bene: le figure sono semplici da seguire anche per chi, come me, non le conosce; ogni momento la tensione sale; e la Villaverde riesce a trasmetterci alla perfezione l’odio feroce che il protagonista prova per Rachel. Pensate che a me del tango non me n’è mai fregato di meno – ciononostante, “Beehive Girl” è riuscito ad appassionarmi!
Unica nota dubbia: il finale. Non posso dire che sia brutto, però diciamo che è un po’ sfasato rispetto al resto del racconto; sembra che la Villaverde non sapesse come concludere.

Tango

In conclusione, Clockwork Girl è una bella raccolta di Bizarro soft, benché afflitta da una certa ingenuità e da una certa indulgenza verso i sogni adolescenziali. Lo stile non è perfetto, ma per essere una quasi-esordiente si tratta di un ottimo risultato; soprattutto se lo paragoniamo agli esordienti nostrani. In ogni caso, funziona nei punti importanti: ci si immerge subito nella vicenda e ci si fa trascinare dagli eventi. C’è sempre qualcosa a impegnare la mente del lettore, e difficilmente viene voglia di chiudere il libro. Le tre storie della Villaverde emozionano e qualche volta eccitano. Non so se me le ricorderò ancora tra cinque anni, ma penso di sì.
Sono anche facili da leggere: l’inglese è abbastanza semplice (forse un attimo più complesso dello Young Adult medio), l’ambientazione è più realistica che fantastica, e attinge molto al quotidiano, perciò chiunque dovrebbe immedesimarsi e orientarsi con facilità. Di certo io continuerò a tenere d’occhio la Villaverde, di cui la Eraserhead dovrebbe pubblicare presto un nuovo romanzo.

Dove si trova?
Ahimé, bisogna penare per leggere Clockwork Girl: non solo non si trova sui circuiti pirata, ma la Eraserhead non ha neppure pensato di rilasciarne una versione digitale. Tocca comprare quella di carta – che se, per essere cartacea, costa pure poco (solo 8,40 Euro), è comunque una bella spesa per chi come me si è ormai abituato ai prezzi bassi dell-ebook.
Quelli della Eraserhead dovrebbero seriamente rivedere le loro strategie di vendita.

Chi devo ringraziare?
Ho scoperto dell’esistenza della Villaverde leggendo l’articolo di Gamberetta dedicato al Bizarro, in cui recensisce il suo romanzo d’esordio Starfish Girl – sì, questo articolo devo averlo linkato fino alla nausea, ma mettete caso che uno si “colleghi” solo adesso…
Continuo a rimanere scettico su Starfish Girl e non l’ho ancora letto, ma potrei farlo in futuro. Magari dipenderà da come troverò il prossimo romanzo della Villaverde.

Imprinting

Non va mai a finire bene.

Qualche estratto
Con il primo estratto, preso da “Caterpillar Girl”, ho cercato di ingraziarmi il pubblico: una bella scena di sesso morbosa + voyeurismo bonus! Il secondo estratto, tratto da “Clockwork Girl”, mostra lo stile fiabesco, volutamente infantile del secondo racconto (d’altronde il punto di vista è di una bambina-giocattolo…).

1.
Lilith wrapped her hands around his shoulders and jumped up onto him, her strong thighs gripping his torso. He stumbled back a little, before regaining his balance as Lilith crushed her berry-colored lips against his black lipstick mouth.
She thrust her hips against his while he gripped her ass. Then she forced him down to thew ground, his blue wings spreading wide beneath them like a blanket.
She fumbled with the zipper to his jeans before yanking his pants down around his ankles.
Lifting her skirt, her legs intertwined with his as she straddled him. Her long black hair veiled his face like a spider web. She gripped the back of his throat and tugged on the clasp of the dog collar, tightening it.
His indigo eyelids fluttered, his long eyelashes tickling her cheek. She kissed him on his lipstick-smeared mouth and he let out a deep moan and slid his hands up her firm belly to stroke her breasts underneath her shirt.
Cat had never seen two people have sex before. It made her feel weird, but while watching the two of them she found herself wondering what it would feel like to kiss Lilith.
She inhaled smoke slowly from her cigarette and let it roll around on her tongue imagining it a kiss.
The boy closed his eyes. Lilith pushed hwer stomach harder against him and extended a long pointed appendage from her abdomen. Without the boy being aware, she gently pierced him in the chest. A thick red liquid pumped through the sharp tip and under the boy’s skin.
Cat stood there motionless. The ash on the end of her cigarette grew longer and then dropped off and landed on the top of her boot. She couldn’t tear her eyes away from Lilith. It was the most intimate thing she’d ever witnessed. She wasn’t grossed out or afraid, even though Lilith’s body was covered in blood. Lilith wore a smile unlike any Cat had ever seen her make before. There was an ecstatic look in her eyes, her skin glistened.
The blue boy’s chest heaved as he struggled to breathe. His chest pulsed from navel to neck. His massive wings withered.
His body started to shrivel, drying up as all of the liquids were sucked out of him. His life drained away, into Lilith’s abdomen. His eyes bulged out of his head. A thin line of dust outlined where his wings had been, a small husk like an empty chrysalis where his body was, his clothes in a heap.

2.
“Keep your eyes closed,” Marisol said. The clockwork girl sat still while Marisol wound her up. “I’m almost done.”
Pichi could feel the springs inside herself tightening like a corset as Marisol turned her key. The turning slowed and the clockwork girl felt Marisol brace her feet against something on the floor in order to gain the leverage necessary to complete the final few turns.
This was the game that they played each morning. Marisol would come to the toy room after breakfast to wind Pichi up. She had to keep her eyes closed until she felt the final click of her key. Then Marisol would spin her around and scramble out through the labyrinth of the play rooms, playing hide and seek. Pichi was always fastest when first wound up so it was fun for Marisol to see if she could outrun her and hide before she got caught.
Pichi sped through the rooms, on little wheels that she could pop out of the bottom of her feet like roller skates. It was easy for Marisol to tell where Pichi was because of the whirring of her skates and the clatter of things she carelessly knocked over in her wake. Marisol held back her giggles and crept on tip toes through the rooms managing to avoid Pichi at every turn. Sometimes when they played this game, Marisol would climb to the glass level and watch Pichi spin through the labyrinth for a long time, unable to find her. Pichi never liked it when Marisol played that way.

Tabella riassuntiva

Tre storie d’amore in equilibrio tra normale e bizzarro. C’è una certa ingenuità adolescenziale di fondo.
Stile scorrevole, accattivante, immersivo. Tanti piccoli infodump che interrompono la narrazione.
Ci sono le lesbicate! La prima storia è un po’ troppo cliché.