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Gli Italiani #11: Alieni coprofagi dallo spazio profondo

Alieni coprofagi dallo spazio profondoAutore: Marco Crescizz
Genere: Commedia Nera / Fantasy / Bizarro Fiction
Tipo: Romanzo breve

Anno: 2015
Pagine: 100 pg. circa
Editore: Antonio Tombolini Editore
Collana: Vaporteppa

A nessuno piacciono i ciccioni.
Lo impara ogni giorno a sue spese Nunzio, trentenne impiegato delle poste, talmente grasso che non riesce a vedersi il pisello e fa fatica a passare dalla porta. I colleghi lo deridono e si approfittano di lui, il capo lo copre di insulti. Fuori dal lavoro, si nasconde in casa dove affonda i suoi dispiaceri nelle vaschette di gelato e nei pacchetti di nachos. Da anni, per la vergogna, non va a trovare i genitori, ai quali ha raccontato di essere dimagrito. E a nulla valgono le esortazioni a fare attività fisica e a scuotersi dal torpore di Schwarzy, l’amico immaginario che si è creato sul modello dell’attore culturista.
Be’, direte voi, la vita di Nunzio non potrà certo diventare più miserabile di così, giusto? Può, può. Perché da qualche tempo, in città, si registrano sparizioni di obesi. E se gli escrementi degli esseri umani fossero, per le creature di un altro pianeta, una potente droga dal valore inestimabile? E se esistesse un traffico intergalattico di ciccioni, schiavizzati per l’abbondanza della merda che possono produrre? Nunzio scoprirà a sue spese che il passaggio da una vita di umiliazioni a quella di una “mucca mungi-merda” può essere sorprendentemente breve. Riuscirà a sopravvivere e a riscattare la dignità perduta, o diventerà l’ennesima vittima della tratta degli obesi?

Ultimamente ho cominciato un po’ troppi dei miei articoli con toni da barbogio: non sono un amante dell’high fantasy, non mi piacciono le storie di supereroi, non sono un fan delle Cronache di Martin… Basta! Oggi voglio riscattarmi ed esordire con un messaggio positivo: adoro i b-movie, tanto quelle pellicole vintage “so bad it’s good”, tanto gli omaggi volontari ai filmacci di genere (sullo stile dei film di Rodriguez). Inevitabilmente i miei occhi si sono illuminati quando ho scoperto che Vaporteppa, la collana di narrativa fantastica gestita dal Duca, aveva pubblicato un titolo che pareva un incrocio tra un filmaccio pseudo sci-fi degli anni ’50 e un’opera di Carlton Mellick.
Alieni coprofagi dallo spazio profondo – romanzo breve dell’esordiente Marco Crescizz – è una strana scommessa. Da una parte, per il modo in cui si presenta, rischia di attirare solo lo sparuto numero di amanti italiani della Bizarro Fiction (come me). Al contempo, vuole essere – pur senza prendersi troppo sul serio e senza assumere, vivaddio, toni da Pubblicità Progresso – una storia sull’obesità, su cosa significhi essere obesi e su quanto sia difficile superarlo. Due anime apparentemente distanti, che rischierebbero di non rivolgersi allo stesso pubblico – ma che nella storia di Crescizz collimano in modo interessante. Cercherò di dimostrarvi come.

It Came From Outer Space

Le pellicole anni ’50 a cui Crescizz dichiara di essersi ispirato. Sublime!

Uno sguardo approfondito
È molto raro, soprattutto nella narrativa di genere, trovare storie con protagonisti dalle condizioni fisiche non standard. L’unico altro romanzo letto negli ultimi anni con un protagonista obeso che mi venga in mente, per esempio, è The Morbidly Obese Ninja di Mellick. Ancora più raro, poi, è che la storia in questione riesca a trasmettere al lettore, a livello sensoriale, la diversità di questo corpo che sta abitando durante la lettura. Di recente ho letto Il padiglione d’oro (Kinkaku-ji) di Mishima, tratto dalla storia vera del giovane accolito buddista che negli anni ’50 diede inspiegabilmente fuoco al famoso tempio di Kyoto, radendolo al suolo. Il protagonista è balbuziente dalla nascita, e questo tratto è la chiave del suo essere un asociale e un misantropo – tuttavia, nel corso della lettura continuavo a dimenticarmi della sua balbuzie, ricordando solamente il suo essere genericamente uno ‘sfigato’ con problemi relazionali. Un po’ per la tendenza di Mishima a usare il discorso indiretto piuttosto che quello diretto, un po’ per l’uso del narratore onnisciente, la disabilità del protagonista, pur così rilevante (e interessante da vivere, del resto) rimaneva un dato astratto, privo di concretezza per il lettore.
Tutto il contrario in Alieni coprofagi. Scritto in terza persona ravvicinata, con il pov unico di Nunzio, il romanzo di Crescizz ci fa avvertire ad ogni riga l’obesità del suo protagonista – l’ingombranza, la pesantezza del suo corpo. La difficoltà di passare dalle porte, le sedie troppo strette per il proprio culone, la difficoltà di chinarsi, l’impossibilità di vedersi l’uccello o le scarpe a causa della trippa, i fiumi di sudore che colano continuamente da ogni orifizio e rimangono intrappolati nella tuta… La condizione di Nunzio, ossia l’elemento che più di ogni altro lo caratterizza nei suoi rapporti col mondo e determina i suoi conflitti (esterni e interiori), ci è continuamente davanti agli occhi, e la viviamo nella nostra pelle: “Tirò il freno a mano e aprì la portiera. Le cosce rimasero schiacciate contro la parte bassa del volante. Oddio non riesco a uscire! Oddio… devo stare calmo...” Diventiamo dei cicciomerda con Nunzio.

Ma Nunzio è un tipo passivo, che si culla nei sensi di colpa e nell’autocommiserazione, un vigliacco che si fa mettere i piedi in testa e mente a sé stesso – per cui, sarebbe stato facile per il lettore provare insofferenza nei suoi confronti. L’autore riesce invece a farci sviluppare empatia nei suoi confronti. È vero, Nunzio non è un personaggio particolarmente positivo, ma quelli che lo circondano sono delle merde assai peggiori; i tanti piccoli imbarazzi che Nunzio prova nel corso della sua giornata toccano delle corde dentro di noi (come il senso di vergogna di presentarsi in cassa con quantità di cibo per un esercito e dover sostenere gli sguardi del cassiere…); e la figura immaginaria di Schwarzy, coi suoi incitamenti macchiettistici a tirare fuori le palle e cambiare vita, oltre a risolvere il problema della solitudine del protagonista – senza nessuno con cui parlare e scontrarsi, le scene non lavorative potevano diventare velocemente noiose – ci fa capire che in fondo in fondo Nunzio vorrebbe realmente cambiare. È la prima scintilla che fa capire al lettore che la storia non rimarrà statica, che Nunzio avrebbe dentro di sé il coraggio per fare qualcosa e che deve solo tirarlo fuori.
Noterete che non ho ancora nominato gli alieni. Nonostante il titolo del romanzo, infatti, il plot fantascientifico appare piuttosto tardi nella storia, all’incirca nella seconda metà del libro. Benché siano un pezzo fondamentale della storia, infatti – e indizi sono disseminati fin dall’inizio – gli alieni non sono il focus tematico del romanzo, che invece è centrato sulla lotta personale di Nunzio contro la sua inerzia esistenziale e quindi contro la ciccia. Gli alieni di Crescizz sono creature macchiettistiche, tra il cartone animato e l’omaggio alla fantascienza di serie b degli anni ’50; svolgono bene il loro doppio ruolo – come fonte di gag, e come antagonisti fisici del protagonista – ma rimangono caratterizzati in modo abbastanza superficiale. Non essendo il centro della storia, questo va bene; ma è un peccato che Crescizz non abbia speso qualche energia in più per creare un po’ di sense of wonder. La fisionomia degli alieni, l’astronave, la tecnologia aliena – è tutto molto citazionistico e a tratti divertente, ma anche abbastanza piatto e privo di reali sorprese.

Schwarznegger Personal Trainer

In generale, ho avvertito una certa scollatura tra la prima parte del romanzo, di vita quotidiana, e la seconda più improntata all’azione. La prima è assolutamente brillante, nel suo rendere i rapporti interpersonali, le piccole meschinità dell’ufficio (la collega opportunista, il capo a cui importa solo di pararsi il culo, la generale mediocrità intellettuale); la seconda è un po’ più convenzionale, benché il ritmo rimanga rapido. In questa seconda parte, soprattutto, si gioca la vera trasformazione del protagonista da perdente in vincente – per sfuggire alla prigionia Nunzio dovrà cambiare atteggiamento e superare i propri limiti – ma il cambiamento è troppo rapido. Da pavido cicciomerda che ha paura persino della propria collega a leader carismatico, capace di infondere coraggio nei compagni di sventura e di affrontare a muso duro gli alieni, il passo è molto lungo e andava a mio avviso scandito meglio. Complice anche il fatto che trascorre un lungo lasso di tempo nel corso della prigionia (lasso di tempo che non viviamo), la transizione dal vecchio Nunzio al nuovo Nunzio è troppo repentina per essere del tutto credibile.
Qua e là c’è qualche altra scelta poco felice. Ancora all’inizio del romanzo, Nunzio viene punito a lavorare due settimane al turno di notte: mi sarei aspettato che questo nuovo setting, con in più l’introduzione di un nuovo personaggio che per la prima volta menziona gli alieni, avesse un ruolo importante nel portare avanti la trama. Invece l’episodio rimane inconsequenziale sullo sviluppo della trama, e il personaggio di Tazzi riappare solamente alla fine del romanzo. Ancora: poco dopo aver introdotto gli alieni, Crescizz si affretta a spiegarci perché si esprimono in italiano anziché nella loro lingua – il che è apprezzabile. Ma lo fa in un As you know, Bob? terribilmente artificioso. Forse sarebbe stato più elegante posticipare la spiegazione di qualche capitolo ma farla emergere in modo più naturale, per esempio in un dialogo tra Nunzio e i suoi compagni di prigionia.

Ma si tratta di problemi tutto sommato marginali. Nel complesso la storia scorre bene: sia nella prima che nella seconda parte accadono continuamente cose, e quindi non si vivono mai momenti di stanca. Soprattutto, la lettura è resa piacevole dall’umorismo che pervade tutta la narrazione – un umorismo ora più drammatico (Nunzio che non passa dalle porte), ora più buffonesco (gli alieni che si sballano con la merda), senza il quale la quest del protagonista di ritrovare la propria dignità sarebbe risultata decisamente depressiva. La figura di Schwarzy, che volta a volta assume le sembianze di uno dei personaggi dei suoi film, è carinissima; Chen, il cinese, è un personaggio assolutamente esilarante.
Certo, è un umorismo nero e spesso scurrile, che deve piacere. Come questa battuta che introduce il personaggio di Chen: “«Tu sta celcando belo uomo, eh?» Le labbra si allargarono in un sorriso: un incisivo d’oro spiccò in mezzo ai denti bianchi. «Tu volele vedele mio piseeeelo, eh?» Si sventolò l’orecchio.” O la viscida parlantina di Talenti, il capo di Nunzio: “Talenti si risedette alla scrivania e accarezzò le biglie di ferro con la delicatezza che si usa per i testicoli. «Esistono dei posti, Becchi, dove è possibile andare a sfogare quello che un mio caro amico di Roma chiama Er Pacciani. È dentro ogni uomo e noi dobbiamo tenerlo sotto controllo…“. Squisito. Ma soprattutto, prima di approcciarsi alla lettura bisogna essere preparati a essere letteralmente sommersi da un mare di merda. Leggete questo breve brano per palati raffinati e valutate da voi se manda in tilt il vostro personale disgustometro:

Il contenitore di plastica attendeva tra le sue gambe. Lo stomacò brontolò.
Dio, che situazione. Devo solo superare il provino e tutto sarà finito…
Nunzio si abbassò le mutande e si sollevò sui talloni. Allargò i piedi per trovare equilibrio e la stoffa si tese tra le caviglie. Lo scoppio di una scoreggia rimbombò nella cantina. Fece strisciare il contenitore sotto di sé e ci poggiò il sedere scoperto. Spinse e tirò su col naso del moccio freddo. Spinse ancora.
Alla puzza del primo peto seguì un concerto di flaccidi stronzi e virtuose pernacchie. L’orchestra si fermò. Nunzio strizzò gli occhi e contorse il viso in una smorfia.
Arriva il caricoooooo! Oddio mi scoppia il cuore!
Nunzio sentì come se un melone avesse abbandonato il suo stomaco.
Tre flatulenze secche e concise sancirono la fine dell’evento, come un arbitro che fischi la fine di un incontro di calcio.
Non ho nulla per pulirmi.
Fece spallucce e si tirò su i mutandoni.

Cacca di Arale

La cacca: la grande discriminata della letteratura mondiale. Sogno una società più consapevole e libertaria, che abbandoni i bigottismi del presente, dove la cacca sia ovunque. Viva la cacca.

Alieni coprofagi dallo spazio profondo è una delle storie più originali mai pubblicate da Vaporteppa, e in generale è una delle cose più divertenti che abbia letto nell’anno appena trascorso. Aldilà del titolo – che comunque è delizioso – il romanzo breve di Crescizz racconta, con tono scanzonato, una storia seria capace di commuovere. Grazie al suo ritmo e alla brevità, si può leggere in una serata o due. E il finale è assolutamente geniale. Solo, non aspettatevi una storia improntata sul sense of wonder o sulle idee – restereste delusi – ma piuttosto una storia di crescita personale.

Bizarro sì o no?
Resta da capire se Alieni coprofagi sia classificabile come Bizarro Fiction. Il Duca stesso, nell’articolo di Baionette Librarie dedicato al romanzo, si mostra scettico: “Qui potrei sbagliami, ma non credo che Alieni Coprofagi dallo Spazio Profondo sia Bizarro Fiction: conteggiando gli elementi direi che è Fantascienza umoristica classica. L’autore è concorde con me che non sia Bizarro.” A voler essere rigorosi, in base alla definizione del genere di Rose O’Keefe dovremmo poter individuare almeno tre elementi ‘weird’ indipendenti a formare il telaio della storia. Se uno è sicuramente l’idea che esista un traffico intergalattico di stronzi umani col potere di sballare gli alieni, un altro potrebbe essere il fatto che il protagonista ha un amico immaginario con le sembianze di Schwarznegger; ma dovremmo metterci di buzzo buono per trovare un terzo elemento. Inoltre, come ho già sottolineato, gli elementi bizzarri non sono il centro tematico della storia.
Al contempo, però, se andiamo a sfogliare il catalogo di Bizarro Central troveremo diversi romanzi catalogati come ‘Bizarro’ con altrettanta, o anche minore enfasi sul fantastico e l’assurdo. E se è vero che Alieni coprofagi non è così bizzarro, sicuramente tocca una serie di corde che tutte insieme in genere piacciono ai consumatori di Bizarro mentre rivoltano altri: la volgarità, l’amore per i liquidi corporei e le cose schifose, un approccio low-brow alla commedia nera, il citazionismo pop. Può quindi essere utile classificare il romanzo come tale, pur con tutti i caveat del caso.

Rose O'Keefe

Rose O’Keefe. Una tipa di cui ci si può fidare.

Meanwhile, on Vaporteppa…
L’ultima volta che abbiamo parlato di Vaporteppa era stato un annetto fa, quando ho raccolto una sintesi dei tre racconti italiani a tema Steampunk in occasione del mio Consiglio su Infernal Devices. Nel frattempo, nel corso del 2015 la collana del Duca ha pubblicato un po’ di roba interessante. Non ci dedicherò degli articoli appositi, ma vediamo molto brevemente di che si tratta:
BlestematBlestemat, inedito italiano di 120 pagine circa di Federico Russo (anche noto sul web come Taotor). È una storia semiseria e rocambolesca, che si svolge quasi tutta nel corso di un’unica, sventurata notte, e vuole rispondere alla domanda: cosa saresti disposto a fare per un po’ di figa? Uno studente fuoricorso, senza prospettive e cornificato dalla tipa, per tirarsi su di morale partecipa a un appuntamento al buio con due sexy slave; ovviamente, si ritroverà invischiato in una faida tra clan rumeni, tra magia nera, inseguimenti e demenza assortita. Divertente e ben scritto (anche se pure qui di sense of wonder ce n’è poco), sono contento che Taotor sia riuscito a pubblicare una sua storia!
Il Grande StrappoIl Grande Strappo, altro inedito italiano di poco meno di 300 pagine, dello stesso autore che a fine 2014 aveva pubblicato il romanzo d’esordio Abaddon, Giuseppe Menconi. Devo ancora leggerlo, ma avendo a suo tempo apprezzato il primo libro di Menconi, ho buone aspettative anche per questo. E poi sembra space opera militare, e di space opera militare non ne abbiamo mai abbastanza.

La Marcia CarnaleTre novelle e un romanzo di Mellick. Le novelle Marcia Carnale (The Handsome Squirm) e Pugni di Armadillo (Armadillo Fists) sono entrambe ottime; le ho lette in lingua originale e ne ho già parlato nella mia guida Mellick for Dummies. Non ho invece mai letto l’altra novella, I cannibali di Candyland (The Cannibals of Candyland… duh), né il romanzo breve Apocalisse Peluche (Cuddly Holocaust); non escluderei, a questo punto, di leggerli direttamente in traduzione.

Qualche estratto
Per i due brani in anteprima, ne ho scelto uno deprimente e uno divertente. Il primo ci mostra un episodio di vita quotidiana – e quotidiana umiliazione – di Nunzio; il secondo introduce lo splendido personaggio del cinese Chen mentre intavola una tirata da venditore degna di Mastrota.

1.
Cassa 5… donna… 6, donna… 7, un uomo!
Nunzio spinse il carrello vicino alla cassa sette. Calò le braccia nelle buste della spesa e poggiò cinque sacchetti di patatine al bacon, cinque pacchi di pop-corn per microonde, bastoncini di pesce, patatine fritte surgelate, cordon bleu, due secchielli di gelato gusto mou, bruschette surgelate, tre pacchi di biscotti al cacao, quattro bottiglie di succo di mela, ketchup piccante, maionese, salsa barbecue, salsa worcester, salsa rosa, tre pacchi di costine, due di hamburger, un merlot e un cabernet, tre salami, un pezzo di gorgonzola, un triangolo di grana padano, una boccetta di aglio in polvere, tre pesti e cinque sughi pronti, due burrate, tre pacchi di caramelle acide, sei spiedini, del succo di limone, un vaso di Nutella da 825 grammi, sette buste di risotti pronti, olio aromatizzato al rosmarino, quattro scatole di cereali al cioccolato, arachidi, burro di arachidi, cinque pacchi di caffè, quattro confezioni di budino alla vaniglia, tre pacchi di spaghetti, due di rigatoni, tre di pennette rigate, uno di fusilli, un kit per la preparazione dei burrito, due chili di burro, sciroppo d’acero, tre scatole di sofficini, olio per friggere, dentifricio e spazzolino, schiuma da barba e lamette, due pacchi maxi di carta igienica.
«Qu-qui ci sono due casse di birra.» Nunzio indicò nel carrello.
«Basta che mi passi una bottiglia. Amico, devi dare proprio una gran festa.» Il cassiere prese la birra e il blip! confermò la lettura.
«Già… una festa…»
Invece le tue colleghe lo sanno che sono uno sfigato e che mangerò tutto questo schifo solo come un cane!

2.
«Io no vedele te qui mai.» Chen incrociò le braccia, sembrava ancora più grosso così.
«È la prima v-volta e sarà l’ultima.» Sospirò.
«Tu volele peldele peso, volele questo.» Sfilò la canotta da dentro i jeans e mise in mostra addominali scolpiti sopra i quali Nunzio avrebbe potuto grattugiarci del grana padano.
«No-non potrò mai essere così.» Nunzio si risedette.
«Lamentale no selve, belo ciccione, io era come te…» Chen gli mise una mano sulla spalla e si sedette accanto a lui.
«I-impossibile.»
Chen infilò una mano nella tasca dei jeans e tolse il portafogli, lo aprì a metà, con un due dita a pinza sollevò una foto ingiallita di un bambino cinese obeso seduto in un prato.
«Io avele otto ani e ola gualda me.» Gonfiò un bicipite, le vene grosse come lombrichi. Lo baciò.
«Tu, davvero, pu-puoi aiutarmi? Mi a-allenerò ogni giorno.»
Chen si alzò e gli si piazzò davanti alla faccia. «Ehi, belo ciccione, io non vuole dile bugia, ma tu può fale tuto attlezzo di palestla che vuole, ma non potele mai avele questo.» Sollevò ancora la canotta e col pugno picchiò sui cubetti degli addominali. «Pel diventale come loccia dula te deve plendele medicina di Chen. Io ha in macchina se vuole vedele.»
«È doping?»
Chen scoppiò a ridere. «No dloga. Essele medicina olientale natulale, licetta segleta di Chen. Segui me.»
Nunzio si alzò e seguì le spalle larghe del cinese fino a una macchina sportiva gialla.
«Una Porsche Cayman che io avele pelchè tlasfolmo bei ciccioni come te in muscolosi come me.» Aggirò la vettura e aprì il bagagliaio.
[…] Chen rimise a posto la borraccia e sollevò la tuta di Nunzio scoprendo l’ombelico. Si aggrappò a un rotolo di ciccia e lo tirò. «Più massa tu avele e più muscolo glosso avele dopo. E quando tu avele muscolo glosso, può entlale in palestla Wolkout e fottele Gianna in culo.» Scoppiò a ridere e il dente d’oro mandò un bagliore. «Io scopale tanto-tanto con Gianna nelo spogliatoio e nela macchina.» Strizzò l’occhio a mandorla. «Plima venile muscoli glossi, poi belle donne e alla fine lispetto di tutti uomini.»

Tabella riassuntiva

Si prova sulla propria pelle cosa significa essere obesi. Evoluzione del protagonista troppo brusca.
Ottima resa del conflitto interiore del protagonista.  Gli alieni e tutto ciò che li riguarda rimane un po’ superficiale.
 Personaggi esilaranti e setting demente al punto giusto.
La cacca è bella. Vogliamo più storie sulla cacca.

Le fatine di Luca Tarenzi

Absinthe FairyA differenza di molti di coloro che si avvicinano al fantasy, non sono mai stato un grande appassionato di mitologia e folklore – le antiche credenze dei popoli mi sono sempre parsi poca cosa rispetto ai fatti della Storia e alle meraviglie della tecnica moderna, e i mondi alla Tolkien mi hanno sempre annoiato. Di conseguenza, tra le altre cose me ne ero sempre sbattuto delle fatine.
Finché nell’estate 2011 non è uscito Assault Fairies, il romanzo steam-fantasy di Gamberetta che immaginava un’Inghilterra vittoriana alternativa in cui il mondo degli uomini e quello delle fatine erano in comunicazione, e queste ultime svolgevano tutta una serie di incarichi particolarissimi per il governo britannico. Aldilà di tutti i suoi problemi, Assault Fairies aveva un worldbuilding veramente figo, ed era interessante vedere il modo in cui questi piccoli esserini petulanti interagivano con le cose del nostro mondo. Concettualmente, la fatina – oltre a essere indiscutibilmente sexy – pone al lettore un cambio di prospettiva che la maggior parte delle razze magiche della tradizione non vantano.
Purtroppo il romanzo è incompiuto. Con la promessa di poter leggere presto il seguito, abbiamo aspettato e aspettato, ma in quattro anni non è mai arrivato. Sicché – non so voi – ma a me un certo languore di fatine è rimasto. Peccato che sul mercato, nonostante abbiamo avuto vampiri, licantropi, angeli, zombie e tra un po’ pure ghoul innamorati, le fatine non siano mai diventate la next big thing. In assenza di Gamberetta, insomma, sono rimasto a bocca asciutta.

Finché, a fine 2014, un altro scrittore italiano ha deciso di cimentarsi nell’impresa: Luca Tarenzi con la serie di Poison Fairies. Tarenzi rimane fedele alla sua passione per l’urban fantasy, e a questo giro ci mostra la sorte delle fatine del folklore nel mondo moderno. La piccola Cruna, sorella del re, vive con tutta la sua tribù sulla collinetta di una discarica, dove i rifiuti degli uomini vengono riciclati per farne utensili per tutti i giorni. Ma la sopravvivenza della tribù è minacciata dalla vicinanza dei Boggart, fatine più grosse e meglio organizzate, e solo una tregua faticosamente negoziata da re Albedo li tiene al sicuro.
Un nuovo evento rischia però di rompere l’armistizio e trascinare le due tribù in una nuova guerra. La batteria di un auto è stata appena abbandonata sul fianco della collina controllata dai Boggart, vicino al confine tra i due territori – un’arma che potrebbe assicurare un netto vantaggio strategico a una delle due parti. Cruna è stata la prima ad accorgersene, e ora con i suoi compagni Verderame e Disgelo vuole appropriarsene. Ma per farlo dovrebbe invadere i territori nemici, rompendo i termini della tregua e rischiando di venire avvistata dai famelici gabbiani che pattugliano senza sosta la discarica… Le sue azioni impulsive cambieranno le sorti del suo popolo.

Poison Fairies

La copertina dell’edizione italiana di Poison Fairies – La guerra della discarica.

Aldilà della mia recente passione per le fatine, leggere Poison Fairies per me è come prendere due piccioni con una fava. Il primo motivo è l’autore: pur conoscendo il suo nome da anni, non ho mai letto nulla di Luca Tarenzi. I suoi urban fantasy alla American Gods, con angeli, demoni, spiriti e dèi che camminano tra di noi (Quando il diavolo ti accarezza, Godbreaker), mi sono sempre parsi roba vista e rivista e non ho mai avuto voglia di verificare. Al contrario, la discarica umana dove tribù di piccole fatine incattivite si sono accampate e si fanno la guerra sembra un setting dal sapore “fresco”.
Il secondo motivo è la casa editrice: Tarenzi ha infatti pubblicato con Acheron Books, un nuovo progetto editoriale molto insolito. Acheron pubblica esclusivamente in digitale, lo fa a dei prezzi onesti (il libro più costoso viene a 4,25 Euro, la media è tra i 3 e i 4 Euro), e – che io sappia – senza uso di DRM. Fin qui tutto bene. La cosa strana è che, pur essendo un progetto interamente italiano, Acheron pubblica tutti suoi i titoli simultaneamente in italiano e in inglese, e pare orientato principalmente al mercato internazionale: il sito è scritto in inglese, la currency impostata di default è il dollaro, e così via. La ragion d’essere di Acheron Books, infatti, pare proprio quella di esportare inediti italiani per far conoscere la nostra narrativa fantastica all’estero. Come riportato sul sito:

Acheron’s distinctive quality is that it selects the best speculative fiction written by Italian authors who take inspiration from the rich Italian historical and folkloristic tradition.

Sul piano teorico l’iniziativa è più che lodevole; resta da capire come potrà essere sostenuta economicamente. Far tradurre in inglese ogni opera del proprio catalogo costa, e al tempo stesso, il mercato anglosassone è un oceano gigantesco in cui farsi notare è molto difficile. Ci lamentiamo sempre che l’Italia è uno stagno e che gli italiani leggono poco, il che è vero – ma l’altra faccia della medaglia è che, poiché il bacino di narrativa fantastica in lingua italiana è più piccolo, risaltare in mezzo alla concorrenza diventa molto più facile. In un’intervista, il direttore editoriale di Acheron Books ha precisato di puntare a una nicchia specifica, ossia lettori non italiani alla ricerca di narrativa fantastica di sapore italiano: “Il presupposto di partenza è che se il meglio di questa produzione viene tradotta in inglese, può raggiungere una readership decisamente più ampia e con numeri che abbiano un senso economico. […] Contiamo anche sul fatto che la specificità dell’ambientazione e della storia italiane si rivelerà interessante, dato che l’Italia rimane un luogo ancora considerato affascinante per storia culturale e artistica a livello internazionale”.
Rimane da capire se questa nicchia di anglofoni appassionati di fantastico italiano non sia ancora più piccola e difficile da raggiungere di, poniamo, i malati di Bizarro Fiction (tipo me). Il fatto che il direttore in questione sia Adriano Barone – un uomo che ha all’attivo una brutta raccolta di racconti, Carni (e)strane(e), e un brutto romanzo, Il ghigno di Arlecchino – non mi fa esattamente ben sperare sui criteri di selezione e di editing. Il fatto che tra i primi autori pubblicati ci sia Davide Mana, persona che – esattamente come Girola – ha più e più volte sostenuto che le regole in narrativa sono un ostacolo e una ‘vivisezione’ delle opere letterarie, rinforza questa sensazione.

Acheron Books

Il banner della pagina FB di Acheron Books.

Ma cerchiamo di essere liberi dai pregiudizi.
Di tutto il catalogo di Acheron Books – che al momento in cui scrivo conta sei titoli – Luca Tarenzi è sicuramente il nome più conosciuto, e l’unico ad aver pubblicato con case editrici di medio-grandi dimensioni. Due sono i libri che ha pubblicato con Acheron: Poison Fairies, per l’appunto, e il thriller fanta-storico in odore di serialità Demon Hunter Severian (sotto lo pseudonimo di Giovanni Anastasi). La lettura di Poison Fairies può essere quindi il banco di prova per capire, se non altro, la qualità dell’offerta di Acheron Books e la serietà del progetto editoriale.

Prime impressioni
Nei giorni scorsi mi sono scaricato da Amazon l’anteprima del libro – tutto il primo capitolo e una parte del secondo, per un totale di 20 pagine circa – e me la sono letta. E devo dire che le mie speranze sono state realizzate: Tarenzi scrive bene. Il libro comincia in medias res, con le fatine protagoniste che pattugliano il confine tra le due tribù rivali e meditano il furto della batteria, il McGuffin che metterà in moto la vicenda. Il mondo della discarica, il rapporto che le fatine hanno con i rifiuti degli esseri umani non è infodumpato al lettore ma emerge a poco dalle osservazioni, dai dialoghi, dai gesti dei personaggi. Le stesse dimensioni del piccolo popolo sono mostrate al lettore in modo naturale da uno scambio di due personaggi, a poche righe dall’inizio del capitolo:

“Sono sceso fino al torrente. Non è profondo: cinque o sei centimetri al massimo”.
Verderame mandò un sibilo. “Basta anche meno per annegarci”.

Certo, ogni tanto un accesso di pigrizia si fa largo nel mostrato di Tarenzi e qualche infodump poco elegante ce lo becchiamo: “Cruna fissò di nuovo la montagna e poi i gabbiani. Tecnicamente quello era territorio dei Boggart, la tribù rivale. Il confine passava proprio nella valle tra le due pareti di spazzatura, due metri e mezzo sotto di lei […]. E questo piazzava in territorio nemico la ragione per cui lei e i suoi compagni erano venuti di nascosto fin lì: la batteria.”
Altre volte la pigrizia danneggia anche le scene d’azione (grassetto mio): “Con un grugnito il Boggart si voltò e le scaricò addosso una tempesta di colpi che Cruna parò con la velocità della disperazione, finché un fendente centrò di taglio la spada e la spezzò in due.” Ma questi passaggi non sono la norma, e il grosso della narrazione procede con un solido mostrato. Lo stesso combattimento che conclude il primo capitolo è dinamico, non è cliché e si conclude in modo interessante.

Fatina anime

Le fatine non sono tutte delle creaturine pucciose (o delle allusioni sessuali semoventi) come vogliono farci credere i giappi…

Il problema principale del libro è forse la gestione del pov. La storia è raccontata in terza persona dal punto di vista di Cruna, la sorella del re della tribù di fatine; è lei la vera protagonista di Poison Fairies. Tuttavia, il tono neutro della voce narrante e una telecamera un po’ vacillante fanno sì che all’inizio, quando le fatine sono tutte insieme, non si capisca bene dal punto di vista di chi si stia guardando la vicenda. Il problema si risolve in fretta dopo le prime pagine, quando le protagoniste si dividono e continuiamo a seguire solo Cruna; ma all’inizio, quando non si conoscono ancora bene i personaggi e non si sa bene chi faccia cosa o chi sia il protagonista, questo approccio può essere un problema per l’immersione. Io stesso ci ho messo un po’ prima di imparare a distinguere Cruna, Verderame e Disgelo – nomi e azioni dei personaggi mi si mischiavano insieme.
Prese come razza, le fatine di Tarenzi sono molto interessanti. Come le fatine di Gamberetta sono brutali e short-tempered, ma a differenza di quelle di Assault Fairies appaiono meno civilizzate, più animalesche – più vicine in questo alla tradizione. Il glamour è un alone magico che le circonda e che possono concentrare attorno a sé per celarsi alle creature non fatate – come i terribili gabbiani che volteggiano sopra la discarica – oppure concentrare in parti specifiche del proprio corpo per potenziarne le prestazioni o per attutire i colpi. Ma la cosa che più ho gradito di queste fatine, è il modo in cui – vivendo nella discarica – si sono appropriati dei rifiuti del nostro mondo per farne gli strumenti della loro vita, dai pezzi di lamiera che diventano spade, ai cassetti che diventano slitte, alle scarpe da bimbo che diventano divani.

Il pretesto che mette in moto la vicenda, per contro, mi sembra un po’ debole. Cruna e le sue compagne violano espressamente l’ordine di re Albedo, violando la tregua e mettendo a repentaglio il destino della loro gente, per rubare una batteria e l’acido solforico al suo interno. Pare insomma un oggetto di importanza inestimabile. E per farne che? Veleno con cui intingere le proprie armi bianche: “Quanto veleno si poteva distillare da lì? Cruna strinse le labbra. Tanto da avvelenare almeno cento armi Goblin. Tanto da vincere solo con quello una battaglia. E non una piccola.” Tutto qui? Un po’ debole come ragione per mettere in moto una guerra, soprattutto considerando – come spiega Cruna nel capitolo successivo – che il vantaggio strategico che la tribù nemica sta guadagnando su di loro (più territorio, più uomini, più risorse) difficilmente potrà essere controbilanciata dall’avere armi avvelenate.1
Ora, a questo punto della storia non possiamo sapere che ruolo rivestirà l’acido della batteria per le sorti del conflitto – e certo io, avendo letto solo l’estratto, non posso sbilanciarmi in quel senso. Qui però il punto è un altro, ossia la capacità dell’autore di persuadere il lettore dell’importanza cruciale dell’evento. Tarenzi mi deve convincere che questa batteria, se davvero è ciò che mette in moto le azioni del protagonista, sia la cosa più importante mai accaduta dalla crocifissione di Gesù. Non è lo strumento che aiuterà a vincere una battaglia ‘non piccola’; dev’essere la chiave per vincere la guerra, per ribaltare le sorti tra fatine e Boggart. Tarenzi stesso, a giudicare dalla costruzione della frase, non sembra del tutto convinto dell’escamotage che ha orchestrato per iniziare il romanzo. Ma se l’autore non è convinto, allora trovare una situazione iniziale alternativa che gli funzioni meglio e che sia poi in grado di venderci.

Car Battery

Può cambiare le sorti di una guerra. O quantomeno di una battaglia non piccola.

Al netto di tutte queste considerazioni, comunque, l’inizio di Poison Fairies sembra promettere un bel romanzo. E lo stile di Tarenzi è decisamente sopra la media degli scrittori italiani di fantastico. Come mai allora non mi sono fiondato a leggere il resto del romanzo? Perché come per Assault Fairies, anche Poison Fairies – La guerra della discarica è solo la prima parte di una storia più ampia; il progetto completo sarà una trilogia di cui il secondo e il terzo libro devono ancora uscire. Insomma – per il momento mi dovrei accontentare anche questa volta di una storia incompiuta; come infatti sembrano precisare le recensioni su Amazon, è che La guerra della discarica sembrerebbe terminare con un cliffhanger, lasciando la storia tronca.2 E i miei dubbi sulla solvibilità futura di Acheron Books non mi tranquillizzano di certo.
Rimango fedele alla mia politica di non iniziare una saga fino a che non sia compiuta (saggia idea che mi ha tenuto alla larga dalla Ruota di Jordan e dalla Song di Martin, che probabilmente rimarrà incompiuta, almeno nella versione cartacea). Leggerò Poison Fairies solo quando e se uscirà l’ultimo capitolo della trilogia.

Quel che è certo, è che ho voglia di leggere Poison Fairies. Tarenzi è bravo, e con questo ciclo sembra aver trovato un’ambientazione originale e ricca di possibilità. Incrociamo le dita.3

Luca Tarenzi

Luca Tarenzi: una piacevole sorpresa.


(1) Tra l’altro, la sinossi su Amazon dice qualcos’altro: “…Ma Cruna ha deciso che le cose devono cambiare: convince i suoi amici Verderame e Disgelo a rubare la batteria di una macchina, in modo che il suo acido possa fornire energia alla sua gente, visto che l’inverno è alle porte.”
Mettetevi d’accordo.Torna su


(2) “La trama, invece, mi ha colpito meno del resto non perché non sia buona, anzi, ma perché è tronca. Pur sviluppandosi attorno a una vicenda che vede un inizio e una fine la maggior parte delle premesse e il grosso degli eventi, appassionanti, che vengono messi in moto troveranno continuazione solo nel libro successivo lasciando il lettore con quel misto di attesa e delusione a fine lettura da “E adesso?”
(dalla recensione di Marco Parini)

“Se proprio devo trovare un difetto a questo romanzo è la sua brevità (I want more pages! Give me more!) e il fatto che non si concluda. Si chiude con un bel cliffhanger che mi ha fatta indispettire, lo ammetto, ma mi è piaciuto talmente tanto il romanzo che glielo perdono.”
(dalla recensione di Angharad)

Il concetto è ribadito anche da altre recensioni, questi sono solo due esempi.Torna su


(3) EDIT: Segnalo un errata corrige. Nei commenti all’articolo ho scritto che tutti i libri presenti nel catalogo di Acheron Books sono unicamente i sei pubblicati al momento del lancio. Sono però stato informato da Acheron Books dell’esistenza di un settimo libro, Eternal War – La guerra dei santi di Livio Gambarini, pubblicato il 2 Giugno. Potete vedere la pagina del libro qui su Amazon.
Il mio è stato comunque un errore in buona fede, dato che, “per precisa strategia editoriale”, il romanzo di Gambarini non è presente sul sito di Acheron Books (è invece presente un box dedicato a Gambarini nella sezione Authors, ma sotto la sua bio sono segnalati “0 ebooks“). Riporto a proposito uno stralcio del commento di Lorenzo dello staff di Acheron:

Eternal War, per precisa strategia editoriale, per ora è pubblicata solo su Amazon Italia. Seguirà a breve pubblicazione sul sito, sugli altri stores, e in pod. E’ per questo che non la si vede ancora sul sito di Acheron.

Eternal War - Livio Gambarini

La copertina di Eternal War – Gli eserciti dei santi

Ringrazio Lorenzo per l’informazione e la correttezza.
Non posso purtroppo dire lo stesso delle conversazioni apparse sulla pagina FB di Tarenzi,  ma uno giustamente sulla propria pagina può fare quello che vuole. Spero solo che Tarenzi si renda prima o poi conto che quanto ho scritto era privo di cattiveria (per cosa poi?) e riportava semplicemente le mie reazioni di lettore; se i miei post gli facciano vendere più o meno copie non mi riguarda, è la qualità del suo lavoro che deve fargli vendere copie.Torna su

Gli Italiani #10: Tripletta di racconti steampunk

Steampunk BatmanNon ho mai avuto un amore particolare per lo steampunk; era solo un’ambientazione tra le tante. E’ quindi merito del Duca se negli ultimi anni è riuscito a farmi appassionare a tante opere di questo genere. Ho conosciuto grazie a lui l’opera di K.W. Jeter e il suo classico Infernal Devices, di cui vi ho parlato lunedì scorso; così come è grazie a lui se esistono sul mercato i tre racconti di cui vi parlerò oggi.
Tra Maggio e Settembre 2014, su Vaporteppa sono stati pubblicati tre inediti italiani. Altro non sono che le versioni riviste e corrette di tre dei quattro racconti finalisti del famoso concorso steampunk indetto dal Duca nel lontano 2010: L1L0, La maschera di Bali e Piloti e nobiltà. Ho monitorato per anni il destino di quei racconti – che nelle intenzioni originali del Duca, prima della nascita di Vaporteppa, avrebbero dovuti essere editati e raccolti in un’antologia autopubblicata – e mi ero ripromesso di parlarne una volta usciti. Ammetto di essere arrivato in ritardo: dall’uscita dell’ultimo dei tre sono passati alcuni mesi, e altri – come Taotor e Tenger – ci hanno già speso sopra degli articoli.

Ma una promessa è una promessa, e se posso aggiungere un minimo di pubblicità a qualcosa di bello sono più che contento. I tre racconti che seguono sono acquistabili gratuitamente su Amazon o Ultima Books.

L1L0
L1L0Autore: Pippo Abrami
Genere: Science-Fantasy / Steampunk
Tipo: Racconto

Anno: 2014
Pagine: 34 pg.
Editore: Antonio Tombolini Editore
Collana: Vaporteppa

L1L0 è un automa senziente, e ha una missione: irrompere in una caserma tedesca e salvare la figlia del suo geniale creatore, il dottor Loew, dalle grinfie dei soldati. Fin qui niente di nuovo, giusto? Se non fosse che L1L0 è l’automa più retard che si sia mai visto – composto da un bollitore e tre cervelli di scimmia, due tubi montati sulla testa che lo fanno sembrare un coniglio, l’unico motivo per cui non si è ancora suicidato dalla tristezza è che il dottore l’ha dotato del witz, l’umorismo fatalista ebraico. Riuscirà a mettersi in pace con sé stesso e completare la missione?
L1L0 è il racconto vincitore del concorso steampunk del Duca, e il primo dei tre finalisti ad essere pubblicato su Vaporteppa. Ridotto all’osso, il racconto di Abrami è una storia d’azione lineare, dal canovaccio visto mille volte: il protagonista deve irrompere in una base nemica, menare gli automi di guardia, portare in salvo la bambina e tornare indietro tutto intero. L’unica cosa che distingue L1L0 da altri cento racconti, è il protagonista, nonché voce narrante in prima persona. Ed è qui che Abrami ha fatto centro.

L’idea dietro il personaggio di L1L0, infatti, è talmente retard da essere geniale: un automa così atroce che si autodistruggerebbe piuttosto che contemplare la propria bruttezza, e l’umorismo giudaico utilizzato come strumento di sopravvivenza. Hmm, makes sense. Filtrato dal suo timbro vocale sarcastico e autoironico, tutto il racconto scorre in modo divertente senza veri momenti di noia. A questa idea si aggiungono tanti altri piccoli tocchi di classe, come il sistema gerarchico che governa i tre cervelli di scimmia, o il fatto che l’automa non abbia corde vocali, ma parli sputando strisce di carta con su stampate le sue risposte in CAPS LOCK.
Le parti dialogate, e in particolare gli scambi col dottor Loew, sono i momenti migliori del racconto; le battute di L1L0 non sono al livello di un Woody Allen, ma si lasciano leggere. Per contro la seconda metà del racconto, con i suoi combattimenti, è molto meno memorabile. La narrazione si fa più seria, scompaiono perlopiù le battute sarcastiche che erano il sale di questa storia; gli automi nemici tendono a sprofondare nell’anonimato, e la storia segue talmente il canovaccio collaudato delle trame d’azione che possiamo anticipare cosa succederà.
Peccato: se la componente d’azione fosse stata altrettanto originale e sopra le righe delle premesse, questo racconto sarebbe stato un piccolo capolavoro e il migliore dei tre. Anche così, comunque, è un close second; e vale sicuramente il tempo speso per leggerlo.

La Maschera di Bali
La Maschera di BaliAutore: Francesco Durigon
Genere: Fantasy / Horror / Steampunk
Tipo: Racconto

Anno: 2014
Pagine: 41 pg.
Editore: Antonio Tombolini Editore
Collana: Vaporteppa

Siamo nella Londra vittoriana, e il Dipartimento per le Scienze Oscure svolge degli esperimenti segreti con delle maschere tribali che pare abbiano poteri magici. Tutto procedere per il meglio, finché i ricercatori costringono un prigioniero a indossare la maschera della divinità Rangda: perché la maschera prende vita, trasformando l’uomo in un orribile demone divorauomini! Nel giro di poche ore, Londra è letteralmente invasa da orde di demoni e l’apocalisse sembra imminente. Ma chi può salvare la città dal totale annientamento? La veggente Abigail Murray, a cui i tarocchi hanno parlato: dovrà trovare un soldato, un automa e un vecchio lord, e solo allora avranno una speranza…
Dei tre racconti, questo è quello con la trama meno originale. La maschera di Bali si sviluppa come un horror d’azione, con il nostro pugno di eroi che deve mettersi in salvo dai mostri e trovare il modo di fermare l’invasione. Il racconto è narrato in terza persona con due POV che si alternano, quello di Abigal e quello di John Plye, soldato d’élite; ogni cambio di punto di vista coincide con un cambio di paragrafo, quindi non c’è mai il rischio di fare confusione, benché le due voci narranti tendano a parlare nello stesso modo.

Il grosso del racconto è occupato dai combattimenti contro le creature demoniache. La forza e la ferocia dei nemici sono rese molto bene – spesso l’unica speranza di salvezza durante uno scontro è la fuga – e i protagonisti appaiono qui molto più vulnerabili rispetto alla media delle storie d’azione. Alcune scene sono particolarmente adrenaliniche, come lo scontro sul vagone ferroviario. Tuttavia, dopo un po’ la formula diventa ripetitiva: in fondo questi mostri sono tutti uguali, un oceano di anonimi expendables, e l’investimento emotivo tende a calare mano a mano che si procede nella storia. Alcune scelte infelici nella gestione dei destini “individuali” dei personaggi completano il quadro.
Il plot twist che chiude la storia è piacevole e richiede un minimo sforzo intellettivo per essere colto. Tuttavia, quando si chiude La maschera di Bali, il finale intelligente non cambia l’impressione globale: ossia che non rimane molto, di quello che si è letto. Nessuna idea forte, nessun concetto o personaggio memorabile. Solo un pezzo di bravura sul tema dell’invasione mostruosa. Il racconto di Durigon è piacevole e adrenalinico, ma certamente è il più debole dei tre finalisti.

Piloti e Nobiltà
Piloti e NobiltàAutore: Diego Ferrara
Genere: Science-Fantasy / Steampunk
Tipo: Racconto

Anno: 2014
Pagine: 35 pg.
Editore: Antonio Tombolini Editore
Collana: Vaporteppa

Elsa è una pilota donna in un mondo di uomini. E se difendere le sue capacità non fosse già abbastanza difficile tutti i giorni, oggi il cavalier Sinisa ha portato a bordo del suo eligibile un gruppetto di tronfi nobili, per mostrar loro le doti del mezzo e sperare di vendere un po’ di pezzi. Ma per costoro, rimettere la propria vita nelle mani di una donna, anche solo per un giorno, sembra un affronto intollerabile. Riuscirà Elsa a farli arrivare sani e salvi alla fine della giornata, o la faranno uscire di testa prima?
Piloti e nobiltà era a mio avviso il migliore dei racconti del concorso già prima della revisione, e lo è ancora. La storia, narrata in prima persona da Elsa, è un concentrato di humour nero, tutto giocato sul conflitto tra la protagonista e i suoi insopportabili passeggeri. Da una parte, i nobili che deve scarrozzare in giro mostrano aperto scetticismo e un certo disprezzo all’idea che sia una donna alla guida; dall’altro, lei non fa molto per rendersi simpatica. In un’escalation di richieste assurde, insulti e sabotaggi involontari, la situazione precipiterà fino alla cinica – ma spassosa – conclusione.

Il racconto di Diego Ferrara ha tutto: ritmo – succede qualcosa di nuovo ogni poche righe – personaggi divertenti – i nobili passeggeri sono tutti delle macchiette, e anche Elsa non è certo una santa – conflitto. Si legge che è un piacere, senza mai sentire il bisogno di posarlo.
Ma sono soprattutto due i motivi per cui lo amo. Primo, a differenza degli altri due racconti, non serve un canovaccio convenzionale da storia d’azione: a tutti gli effetti, non si riesce a prevedere cosa succederà dopo o come andrà a finire. Secondo: non ci sono buoni o cattivi, non c’è un antagonista se non la stupidità umana. Il crescendo di disastri che travolgerà la gita in eligibile è il risultato di una serie di persone che fanno cose idiote piuttosto che un atto di malizia deliberata, e quindi è tanto più simile alla vita reale. A questo si aggiungono poi una serie di belle idee, come il sistema di alimentazione dell’eligibile.
L’autore, Diego Ferrara, è una vecchia conoscenza per chi segue Tapirullanza: avevo già dedicato un articolo al suo Soldati a vapore, novella ucronica steampunk autopubblicata, ed edita dal Duca ai tempi in cui Vaporteppa non esisteva manco sulla carta. La novella era piacevole, ma la compattezza e il ritmo di questo racconto lo rendono il migliore dei due. Un paio di riferimenti inseriti in Piloti e nobiltà, comunque, mi fanno pensare che racconto e novella condividano la stessa ambientazione ucronica; a questo punto spero che Ferrara faccia trentuno e scriva un vero e proprio romanzo ambientato in questo universo, o magari espanda l’originale Soldati a vapore.

Donna pilota

Questa è follia!

Dei tre, Diego Ferrara è di sicuro l’autore più completo, e a mio avviso potrebbe tranquillamente buttarsi a capofitto in un romanzo, mentre Durigon è quello più acerbo; ma tutti e tre i racconti valgono la pena di essere letti. Sommati assieme fanno poco più di un centinaio di pagine (e sto contando note dell’autore e tutto il resto!): vuol dire che si possono leggere tutti e tre nell’arco di un pomeriggio.
Oppure no. Ci sono tante cose che si possono fare in un pomeriggio. Come guardarsi in loop per sei ore Serbia Strong in versione ragtime. Ora che ci penso… quali modi migliori ci sono mai al mondo per occupare un pomeriggio?

Che poi il ragtime è stato inventato alla fine dell’Ottocento, quindi con lo steampunk ci sta pure bene.

Qualche estratto
Ho selezionato un brano per ciascuno dei tre racconti; li metto tutti in fondo per evitare confusione nel corpo dell’articolo. Have fun!

L1L0
Stiamo costeggiando il fiume, anche se non possiamo vederlo: una fila interminabile di mulini generatori ne precludono la visuale. La lanterna di uno scambio si avvicina. Doc Loew diminuisce la velocità e si sporge con l’arpione da manovra. Non ho bisogno di leggere il cartello per sapere di che bivio si tratta.
Scambio N.41: direzione Lhotka, Kamyk e Libus.
Il Nucleo possiede a memoria tutta la ragnatela ferroviaria di Praga e dintorni.
“HAI RIEMPITO LE SCIMMIE DI NOTIZIE INUTILI, DOC.”
La Fornarina prende la via sulla sinistra, ci allontaniamo dal fiume.
«Prima di mesmerizzare la tua personalità e il registro tattico dovevo prendere confidenza col suggestore ipnotico: ho fatto pratica con i testi che avevo sottomano.»
“IL COMPENDIO ENCICLOPEDICO IMPERIALE?”
«Solo i volumi dal primo al nono… tranne il numero sette. Il settimo volume l’ho prestato mesi fa e non è più tornato. Però l’ho rimpiazzato col catalogo postale Trocéro-Printemps, dovevo testare la tua capacità di calcolo.»
Fantastico. Ho stipato nel Nucleo circa novantamila pagine di cultura generale con i relativi prezzi (spedizione inclusa sopra le venti corone), l’equipaggiamento indispensabile per ogni macchina assassina. Sto per assaltare un comando operativo dell’esercito prussiano armato di consigli per gli acquisti.
Strano, la cosa non mi disturba quanto dovrebbe.
“PERCHÉ TUTTO QUESTO MI SEMBRA SOLO UN PESSIMO SCHERZO?”
Doc Loew si alza in piedi, si massaggia una tempia, passeggia nella cabina della locomotrice. Impiega quasi un minuto a trovare le parole.
«È… è il Witz, l’umorismo ebraico…»
Visto le parole che trova, poteva sforzarsi un po’ di più.
«Il Witz è il fondamento della tua personalità indotta. Impregna ogni tuo processo mentale e… ogni tuo messaggio. Purtroppo.»
“MI HAI FATTO IRONICO E FATALISTA?”
Doc Loew si guarda le scarpe.
«Una definizione corretta…»
Si gratta dietro un orecchio.
«Era l’unico archetipo caratteriale che poteva accettare la tua condizione esistenziale senza… senza…»
“DAR FUORI DI MATTO?”
«Porre fine volontariamente alla propria situazione… in maniera irreversibile.»
Credo di capire: quando uno scopre di essere composto da tre cervelli di scimmia e un bollitore, deve poterla buttare sul ridere, o il primo istinto che avrà sarà quello di farsi saltare il Nucleo con un colpo di moschetto.

La maschera di Bali
Lord Fairfax […] infilò la maschera sul volto insanguinato del soggetto, calcandola per bene con il palmo della mano.
Il Soggetto 37 cadde a peso morto, sorretto dalle catene ai polsi. Il pianto cessò con un sibilo aspirato, la luce delle lampade a gas s’affievolì tremando.
Abigail trattenne il fiato.
Qualcosa è fuori posto.
Nella penombra Lord Fairfax passò con gli occhi da Abigail al soldato Parson, la fronte corrugata.
La pendola a muro scandì l’una di pomeriggio. Il suono riecheggiò sordo nella stanza, come rallentato.
La luce tornò stabile.
Lord Fairfax si lisciò i capelli all’indietro e aggiustò il panciotto tirandolo da sotto. «Bene.» Tossì imbarazzato. «Possiamo riprend—»
Il Soggetto 37 scoppiò a ridere, la risata stridula di una vecchia. Alzò la testa di scatto e il corpo si sollevò da terra, fluttuando a mezz’aria.
Abigail si portò una mano al petto. Mio Dio!
Lord Fairfax arretrò di un passo, le braccia a schermare il volto.
La pelle ai lati della maschera si sciolse come cera e colò a terra, sostituita da una rete di vene blu. Il volto di legno penetrò nella faccia col sibilo della carne che brucia. Gli occhi si spalancarono, piansero sangue. La bocca scattò in un ghigno divertito e i capelli crebbero lunghi e folti, ondeggiando assieme al corpo sospeso in aria. Tra le fauci si srotolò una lingua blu, lunga fino al petto.
Lord Fairfax si avventò sul Soggetto 37 e gli strinse le mani ai lati della maschera. Il mostro lo spinse via, mandandolo a sbattere di testa contro la gabbia.
«Milord!»
Lord Fairfax si aggrappò alle sbarre, le palpebre socchiuse percorse da un tremolio, e si accasciò sul pavimento.
Parson fece fuoco tre volte col revolver. Il mostro tornò con i piedi per terra, le ferite in pieno petto che chiazzavano a malapena la camicia a righe bianche e nere. Afferrò le catene che lo imprigionavano e le strappò dalle sbarre della gabbia. Parson tremava. Il revolver gli scivolò di mano e cadde a terra. Il mostro si strappò le catene dai piedi, raggiunse il soldato con un balzo e gli trafisse lo stomaco con una mano artigliata.
Lo fissò.
Rise.
Inclinò la testa e gli soffiò del fumo viola sul volto.
Abigail afferrò la borsa e si fiondò fuori dalla stanza.
La creatura scoppiò di nuovo a ridere, la risata di una vecchia strega. Nel corridoio Abigail premette le mani sulle orecchie e gridò a pieni polmoni.

Piloti e nobiltà
«In questa bara non c’è nemmeno un finestrino. Come diavolo facciamo a vedere qualcosa?»
La voce proveniva dall’interfono di collegamento con il vano posteriore. Elsa e Cesare si scambiarono un’occhiata.
«Signori, vi prego.» Questa era la voce di Sinisa. Attraverso la distorsione dell’interfono suonava ancora più untuosa. «Vi ricordo che questo apparecchio è solo un prototipo. Il progetto di prima generazione prevedeva un impiego militare. Voi sedete in effetti nell’alloggiamento che doveva ospitare una squadra di fanti di marina, è normale che non ci siano finestre. Ma i modelli ad uso civile sono tutti dotati di oblò panoramici.»
«Comunque a me sembra più un carro bestiame che un velivolo,» disse un’altra voce, «inoltre non pensi che mi sia scordato chi c’è di là ai comandi, Cavaliere.» Una breve pausa, come per prendere fiato. «Io ho combattuto quei dannati austriaci a Sommacampagna. Abbiamo respinto per un giorno intero quei maledetti Krebs e tutte le diavolerie che ci tiravano addosso. E non ricordo che ci fosse una sola donna nel mio reparto. Non una!»
«Ecco… tecnicamente questo non è più un velivolo militare, signor Conte. Appartiene all’aviazione civile, e—»
«Me ne frego! Nessuna donna può pilotare una macchina volante. È contro natura!»
Qualcuno pronunciò delle parole in una lingua straniera.
«Sua Eccellenza el Marqués domanda quando sarà possibile vedere qualcosa,» tradusse una voce dall’accento marcato, «o se passeremo tutto il viaggio rinchiusi aquì.»
«Ma certo che no. Dica a Sua Eccellenza che lo condurrò in cabina di pilotaggio tra un minuto, in modo che possa ammirare uno scorcio della nostra meravigliosa città.»
Elsa alzò gli occhi al soffitto.

I Consigli del Lunedì #45: Infernal Devices

Infernal DevicesAutore: K.W. Jeter
Titolo italiano: Le macchine infernali
Genere: Fantasy / Proto-Steampunk / Commedia
Tipo: Romanzo

Anno: 1987
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 290 ca.

Difficoltà in inglese: ***

For me, London’s grey veil, smoke and fog, has been brushed aside. Happy are those who mistake the painted curtain for the reality behind…

Questa è la triste storia di George Dower, artigiano e gentiluomo della Londra del XIX secolo, e di come il suo nome è caduto per sempre nell’infamia.
Suo padre era una delle più grandi menti della sua epoca, un orologiaio capace di costruire qualsiasi sorta di complicato meccanismo, da astrolabi ad automi musicisti a strutture gigantesche dalla funzione incomprensibile. Ma Dower senior non ha trasmesso nulla della sua arte al figlio, e a due anni dalla sua morte, George ha ereditato la sua bottega e un mucchio di creazioni lasciate a metà di cui non capisce il senso. Con l’aiuto del servo Creff, prova a mandare avanti il business di famiglia, facendo le riparazioni più semplici, ma ha ormai cominciato a diffondersi la voce che il figlio non è all’altezza del padre.
La vita di Dower cambia il giorno che nella sua bottega entra un uomo dalla pelle nera come l’ebano, che gli chiede di riparare uno dei misteriosi aggeggi del padre, e gli lascia come anticipo un’assurda moneta con un viso di pesce inciso sopra. Dower commette l’errore di accettare ignaro che sono in molti a desiderare il marchingegno che l’uomo gli ha lasciato in custodia. Strani individui cominciano a frequentare il negozio; presto Dower si troverà invischiato in una rete di intrighi e malaffare, e scoprirà l’esistenza di un’altra Londra, una Londra sordida e occulta che non poteva immaginare…

Ci sono due modi, stringi stringi, per fare steampunk. Uno è l’approccio serio: immaginare un mondo, o un futuro alternativo, in cui la tecnologia ha imboccato una strada diversa rispetto alla nostra. Le premesse possono essere improbabili o assurde, ma l’autore sviluppa il mondo conseguente in modo rigoroso e mira alla credibilità. Questo è l’approccio di The Difference Engine, il romanzo scritto a quattro mani da Gibson e Sterling che presentai su Tapirullanza un paio di anni fa, e di altre opere di cui ho parlato sul blog nel corso del tempo (come le italiane Soldati a Vapore o Caligo, che però scelgono un approccio meno spocchioso e danno più spazio all’umorismo). C’è poi l’altro approccio, cosiddetto gonzo-historical: commedie più o meno dementi che ci buttano in un mondo di automi a vapore, razzi su Marte e ipocrisia vittoriana senza alcuna pretesa di credibilità – così, per ridere. Le prime opere identificate come ‘steampunk’ erano quasi tutte molto più vicine a questo spirito che non all’ucronia seria di Gibson e Sterling 1; ed è sicuramente a questo filone che appartiene il divertentissimo Infernal Devices.
Era da parecchio tempo che volevo parlare del romanzo di K.W. Jeter. Abbiamo già incontrato questo autore con il Consiglio dedicato all’affascinante – ma negletto – Farewell Horizontal, ma il suo nome in realtà è apparso su questo blog molto più spesso; vuoi perché è l’involontario coniatore del termine ‘steampunks’ (quindi, vuoi non tirarlo in mezzo ogni volta che sei in argomento?), vuoi come esempio negativo di carriera letteraria sfortunata, vuoi perché a mio avviso, per la sua immaginazione assurda, è una specie di precursore della Bizarro Fiction. Era solo questione di tempo, prima che decidessi di dedicare un intero articolo a uno dei suoi romanzi giustamente più celebri.

Steampunk meme

Per essere uno dei classici dello steampunk di prima generazione, Infernal Devices appare da subito anomalo; ed è sicuramente molto diverso da tutto ciò che è arrivato dopo. Tra le sue pagine non troverete dirigibili, né lotte sindacali per i diritti dei lavoratori, né ucronie politiche, né macchine analitiche – in effetti, non troverete proprio macchinari alimentate dal Vapore. Le macchine infernali del titolo, e che rappresentano il centro e il “motore” della storia, le macchine inventate dal padre di Dower e che gli renderanno la vita un incubo – sono tutte meccaniche, meccanismi a orologeria. Il romanzo è ambientato intorno alla metà dell’Ottocento 2, quindi in un periodo anteriore rispetto a quello ‘classico’ dello steampunk (che in genere è ambientato durante la belle époque), più vicino a Dickens che non a Wells. Quindi cos’è, clockpunk?!
Aldilà delle etichette, ecco cos’è Infernal Devices: una commedia farsesca che riprende e prende in giro tutti gli stilemi della narrativa e dell’immaginario vittoriano. Scritto in prima persona da Dower, con il suo aplomb da londinese della piccola classe media, come se fossero le sue memorie, è una serie di avventure più o meno idiota che ci catapulterà tra uomini pesce, quartieri segreti di Londra, automi senzienti dall’impareggiabile potenza sessuale, uomini che vedono il futuro, macchinari titanici in grado di distruggere il mondo e la Lega delle Donne per la Soppressione dei Vizi Carnali. Non ci chiede di prenderlo sul serio, solo di divertirci.

Uno sguardo approfondito
Essendo scritto in prima persona, Infernal Devices è strutturato come la più classica delle pappardellone vittoriane sia nello stile che nella struttura. Il romanzo si apre con una cornice in cui Dower, rifugiato in un’anonima casupola in un sobborgo di Londra dove conduce una grigia esistenza, dichiara che ci racconterà come, vittima di un fato avverso e della malvagità degli uomini, la sua reputazione sia stata distrutta per sempre. Anche quando entriamo nel vivo della storia, la cornice aleggia sempre su di noi: il Dower posteriore interviene spesso e volentieri con digressioni, flashforward, e commenti inutili (ma squisitamente ottocenteschi), tipo che le sue mani tremano mentre scrive al solo pensiero di ciò che sta per raccontare!
Questa ampollosità intenzionale contagia tutti gli aspetti della prosa di Infernal Devices. Dower parla un inglese ottuso e che puzza di vecchio, pieno di termini caduti in disuso. Ecco un esempio dall’incipit: “Reader, if the name George Dower, late of the London borough of Clerkenwell, is unfamiliar to you, I beg you to read no further. Perhaps a merciful fate – merciful to the genteel reader’s sensibilities, even more so to the author’s reputation – has spared a few souls acquaintance with the sordid history that has become attached to my name.” O: “When I at last roused myself from my thoughts, what remained of my breakfast had passed from unattractive to inedible.” Il timbro di Dower dilata le scene, riempiendole di commenti e digressioni, e di conseguenza il ritmo della storia rimane sempre modesto.

Clerkenwell

Uno scorcio dell’ameno quartiere di Clerkenwell, dove si trova la bottega di Dower e dove è ambientata una grossa parte del romanzo.

Illeggibile? Nient’affatto. Le prime pagine possono lasciare perplessi, ma una volta capito come funziona ci si lascia catturare in fretta dagli ingranaggi della storia. E questo per tre motivi.
Primo, l’elemento mystery. Jeter è molto bravo a sollevare, fin dal primo capitolo, una serie di enigmi per il lettore. Chi è e da dove viene lo strano uomo dalla pelle bruna che si è presentato nel suo negozio? Cosa significa la moneta con su il profilo di un pesce e l’incisione “Saint Monkfish”, con cui l’uomo l’ha pagato? E a cosa servirà il misterioso marchingegno che gli ha chiesto di riparare? La massa di macchine dal funzionamento misterioso ma dai poteri fantastici costruite dal padre di Dower, che aleggia costantemente sulla narrazione, è un motore costante per la curiosità del lettore. Come in una buona serie tv, nei primi capitoli le domande continuano ad accumularsi (e solo ogni tanto Jeter ci getta qualche risposta per tenerci buoni), mentre solo verso la fine del romanzo tutti i vari misteri trovano una soluzione. Alla fine della storia, tutte le domande avranno risposta, anche se non tutti i tasselli del puzzle si inseriscono in modo elegante. E lo stesso aplomb di Dower si rivelerà essere non soltanto una divertente trovata stilistica, ma un elemento di trama che si incastra alla perfezione con gli altri.

In secondo luogo, Infernal Devices è divertente. I misteri del romanzo non sono una roba cupa alla Lost, ma una serie di vicende idiote in cui Dower viene pestato, insultato, stordito, rapito, ingannato, o combina qualche disastro che mette in fuga una popolazione sconvolta. Non solo la prosa ampollosa non rema contro questo andamento da commedia, al contrario: il bello della storia è proprio il contrasto tra il tono pacato e un po’ melodrammatico di Dower e le disgrazie che gli capitano.
In terzo luogo, di cose in questo romanzo ne succedono veramente tante. La prosa pseudo-vittoriana che si trascina e allunga il brodo è controbilanciata (soprattutto dopo i primi capitoli, un po’ più lenti) da una serie continua di situazioni rocambolesche, inseguimenti, scoperte, apparizioni di strani personaggi. Dower viene spedito da una parte all’altra della Gran Bretagna, e poco alla volta farà la conoscenza con una serie di macchine impossibili del padre – dal gigantesco ordigno che affonda nelle viscere della Terra e, si dice, sia in grado di farla esplodere, al Paganinicon, un automa capace di riprodurre alla perfezione tutti i talenti del fu Niccolò Paganini (e le nobildonne di tutte le grandi corti europee sono pronte a giurare che la sua abilità col violino non fosse né l’unica né la principale delle sue doti…).

Rondò “La Campanella”, terzo movimento del Concerto per Violino e Orchestra No.2 di Paganini, una delle sue composizioni più celebri.

Altro piccolo tocco che aiuta a immergersi nella vicenda, tutti i personaggi hanno la propria voce. Accanto allo stile pesante di Dower, troviamo l’inglese semplice e diretto del servo Creff (“Lord, Mr Dower, it’s an Ethiope!” whispered Creff. “And crazed – a murderous savage!”), il rude cockney dei cocchieri dei bassifondi, degli scaricatori di porto, dei furfanti (“More ‘n likely, she’ll say it’s your own bloody fault, for being such a gawp.”), la parlata stile Yoda dell’uomo dalla pelle bruna (” “Your warning I accept,” he said at last. “Nevertheless, worthwhile will I make it to attempt what you can.”). Ma su tutti, arriva come un fulmine a ciel sereno, in mezzo a tutti questi personaggi che sembrano usciti da una brutta parodia della Londra vittoriana, la parlata di Scape: “Jesus H. Christ,” I heard him whisper to another figure behind him. “Sure gotta deal with a lot of dim bulbs around here”.
Scape, lo strano e burbero omaccione dagli occhiali dalle lenti azzurre, che parla come se fosse uscito dai nostri anni ’70 (“Shit – did Bendray send you here? That sonuvabitch; never tells me a goddamn thing”) e sembra trovarsi al centro della rete di intrighi del romanzo, è forse uno dei migliori personaggi mai usciti dalla penna di Jeter. Ma non scherzano neanche lo svaporato nobile decaduto Lord Bendray, la ninfomane Miss McThane – compagna di scorribande di Scape – o la nevrotica Mrs. Wroth. Certo, sono tutte delle macchiette, senza vera profondità psicologica. Ma dato il tono umoristico del romanzo, e la costruzione a sketch delle scene, svolgono la loro funzione più che bene.

Certo, Infernal Devices è ben lontano dalla perfezione.
L’ultima parte del romanzo, in particolare, sembra scritta un po’ di fretta, come se Jeter avesse avuto bisogno di concludere per incassare l’assegno. E’ vero che arrivano tutte le risposte ai misteri sollevati, e si ottiene un senso di chiusura; ma queste risposte arrivano affastellate, buttate una in fila all’altra, e soprattutto, arrivano quasi tutte attraverso dialoghi invece che attraverso avvenimenti reali. Sono, cioè, spiegate, raccontate, e non mostrate. Non tutte le spiegazioni inoltre sono convincenti, e in particolare il legame tra i due temi fondamentali della trama (quello biologico della razza degli uomini pesce, e quello meccanico delle invenzioni del padre geniale) rimane debole.
Se quindi la nostra razionalità è soddisfatta che la trama abbia un senso e che non ci siano plothole, dal punto di vista emozionale siamo tutto meno che soddisfatti: non si riceve, nella rivelazione, un piacere pari all’investimento che avevamo fatto nel mistero iniziale. Ed è un vero peccato, perché con un po’ di sforzo e non molte pagine in più, Jeter avrebbe potuto ristrutturare l’ultima parte in modo da farci avere la soluzione in modo molto più appassionante. Per converso, il finale vero e proprio è assolutamente geniale e mi ha fatto sganasciare.

Jesus H. Christ

Né questo è l’unico limite di Infernal Devices. Quello principale sta nella natura stessa del romanzo: e cioè di non voler essere nient’altro che una lettura divertente e scanzonata. La storia è della lunghezza giusta per appassionare senza diventare ripetitivo; ma se lo si chiude con un sorriso, è anche vero che si tende a dimenticarlo in fretta (se non per alcuni particolari particolarmente immaginifici e divertenti). Non è certo una di quelle letture che ti cambiano la vita. Né è materiale particolarmente formativo per chi voglia scrivere narrativa steampunk, dato che, per come intendiamo oggi il termine, di steampunk non ha molto.
Ciò detto, vale la pena di leggere Infernal Devices? Sì, e per la stessa ragione per cui consiglio tutto ciò che passa per questo blog: perché è insolito, originale, e perché è piacevole da leggere senza essere stupido. E, nel modo vivace in cui tratteggia le relazioni tra i personaggi e mette gli eventi della storia uno in fila all’altro, anche una buona lezione di storytelling. Scorretevi il primo capitolo, giudicate se potete digerire lo stile bislacco, e in caso andate avanti, che non ve ne pentirete. E poi, che diamine, c’è l’automa di Paganini con il cazzone a orologeria! Che cosa volete di più?

E se ne volete ancora: Fiendish Schemes
Fiendish SchemesAnno: 2013
Pagine: 350

Sono passati decenni da quando Dower è fuggito da Londra in cerca della pace e dell’anonimato, dopo che la sua reputazione è stata completamente distrutta dagli avvenimenti di Infernal Devices. Ma non si può dire che da allora la vita gli abbia sorriso. Ormai raggiunta la mezza età, rifugiato in totale miseria in un remoto paesotto della Cornovaglia, sta contemplando il suicidio con la rivoltella del padre, quando dal mare arriva un uomo con una proposta d’affari. Un affare che potrebbe renderli entrambi ricchissimi.
L’unico problema? Che, ancora una volta, l’impresa coinvolge il ritrovamento e la messa in funzione di un’invenzione del suo dannato padre. Dower si dovrà imbarcare in una nuova avventura senza senso, tra balene parlanti, oceani senzienti, fari con le gambe e uomini locomotiva, il tutto mentre nella terra d’Albione è ormai arrivata l’età del Vapore e le sue macchine infernali.

Fiendish Schemes puzza di operazione a tavolino da due chilometri di distanza. A quasi trent’anni dall’uscita del romanzo originale, e proprio negli anni di apice della febbre steampunk, Jeter se ne esce con un seguito pubblicato dalla stessa casa editrice – la Angry Robot – che due anni prima gli aveva ripubblicato Infernal Devices. Ora, ignoro da chi sia partita l’idea, se da Jeter o dall’editore. Forse era una clausola del contratto originale: Angry Robot si sarebbe impegnata alla ripubblicazione dei romanzi steampunk di Jeter (oltre a Infernal Devices, anche Morlock Night), a patto che lui avesse scritto un sequel di quello di maggior successo. O forse hanno visto che la riedizione di Infernal Devices vendeva bene e si son detti: perché no? Elementi sufficienti, comunque, per prendere il mano il nuovo romanzo con estremo scetticismo.
Be’, mi sbagliavo – almeno in parte. Apparentemente, Fiendish Schemes riprende fedelmente gli elementi fondativi del suo predecessore: la prosa ampollosa (ma ho la sensazione che qui sia ancora più esasperata che non in Infernal Devices), la sequela picaresca di avvenimenti grotteschi, la sfiga perenne che aleggia sopra Dower, il tono semiserio. Ma in realtà i due romanzi sono piuttosto diversi.

Rivoluzione industriale

Dilettanti: noi abbiamo locomotive che fanno sesso!

In primo luogo, Fiendish Schemes è uno steampunk vero e proprio, secondo la definizione corrente del termine. Se Infernal Devices ci mostrava una Londra nascosta e ignota ai più, calata però nel vero mondo del primo Ottocento, nei decenni che intercorrono tra i due romanzi l’Inghilterra si trasforma in un vero mondo ucronico, con macchine alimentate a vapore e marchingegni impossibili ovunque. Quella di Fiendish Schemes è un’Inghilterra con pistoni e stantuffi a ogni angolo di strada, una follia collettiva per i prodigi del Vapore, e pure una pratica underground di modificazioni corporee in vero stile “cyberpunk-fatto-con-lo-steampunk”. Per non parlare delle degressioni sul meatpunk e sul coalpunk! E’ tutto assolutamente idiota, ma in una maniera molto consapevole e meta-letteraria, e comunque nell’atmosfera umoristica del romanzo funziona.
In secondo luogo, la struttura del romanzo è meno improntata all’azione e più al worldbuilding. Il grosso del romanzo consiste in un Dower sballottato dai suoi “compagni d’avventura” in giro per l’Inghilterra e Londra, a scoprire cos’è cambiato nel mondo durante i suoi decenni di eremitaggio e quali assurdità ci riservi il Futuro. Insomma: si parla e si vede molto, ma al tempo stesso succede poco.

C’è una serie di ovvie ragioni per cui Fiendish Schemes non è un romanzo interessante come il suo predecessore. In primo luogo, been there done that: Infernal Devices era interessante perché era una novità, perché era diverso da tutto il resto. Ora che prendiamo in mano questo sequel, abbiamo capito come funziona e la scintilla di curiosità e sorpresa si è bell’e che spenta. A questo c’è poi da aggiungere che Fiendish Schemes è troppo lento. Già il primo romanzo aveva uno stile tendente ad allungare il brodo, ma almeno era pieno di scontri, inseguimenti, misteri, colpi di scena; qui le lungaggini sono ancora più estese, di azione ce n’è pochina e le digressioni infinite.
Nonostante questo, però, devo ammettere che il romanzo è meglio di quanto mi aspettassi al momento dell’acquisto. Idee geniali e trovate grottesche non mancano, e alcune sarebbero degne della miglior Bizarro Fiction. Il problema è che la struttura in cui queste belle trovate sono inserite è ripetitiva e insulsa. Fiendish Schemes non è un romanzo che mi sentirei di consigliare; ma se avete già letto il libro originale e vi manca la sua atmosfera ampollosamente retard, buttateci un occhio. Magari vi piace.

Altro che quella troiata di Steamed! Jeter ha inventato il vero sesso steampunk, ed è in Fiendish Schemes!

Dove si trovano?
Entrambi i romanzi si trovano in lingua originale su Library Genesis , mentre su Bookfi.org (il nuovo nome di BookFinder) si trova solo Infernal Devices, sia nella prima edizione che nella riedizione di Angry Robot (interessante per la prefazione di Jeter stesso e la postfazione di VanderMeer). Per la traduzione italiana del romanzo originale, cercate “Le macchine infernali” su Emule; mentre non mi risulta che Fiendish Schemes sia mai stato tradotto in italiano.

Qualche estratto
Non è facile scegliere gli estratti per Infernal Devices, perché gli sketch di questo libro si sviluppano nel corso di pagine, come accumulo di assurdità su assurdità fino a raggiungere le proporzioni di una valanga. Alla fine ne ho selezionati un paio che spero ben sintetizzino stile e atmosfera del libro.
Il primo brano è preso dall’inizio del romanzo, ed è la captatio del narratore al lettore in cui sono sintetizzati gli avvenimenti che accadranno nel corso della storia ed è steso una specie di umoristico “piano dell’opera” – una cosa molto ottocentesca, di cui avevamo visto l’inizio già nel corpo dell’articolo. Il secondo è tratto uno degli episodi più demenziali e grotteschi del romanzo: Lord Bendray che spiega a Dower lo scopo di una delle più grandi invenzioni del padre…

1.
Reader, if the name George Dower, late of the London borough of Clerkenwell, is unfamiliar to you, I beg you to read no further. Perhaps a merciful fate – merciful to the genteel reader’s sensibilities, even more so to the author’s reputation – has spared a few souls acquaintance with the sordid history that has become attached to my name. Small chance of that, I know, as the infamy has been given the widest circulation possible. The engines of ink-stained paper and press spew forth unceasingly, while the even more pervasive swell of human voice whispers in drawing room and tenement the details that cannot be transcribed.
Still, should the reader be such a one, blessedly ignorant of recent scandal, then lay this book down unread. Perhaps the dim confines of the sick-room, or the wider horizons of tour abroad, far from English weather and the even darker and more permeating chill of English gossip, have sheltered your ear. There can be only small profit in hearing the popular rumours of that dubious scientific brotherhood known as the Royal Anti-Society, and the part I am assumed to have played in its resurrection from that shrouded past where it had lain as mythological shadow to Newton’s Fiat live.
Such happy ignorance is possible. Only the sketchiest outline has been made public of Lord Bendray’s investigations into the so-called Cataclysm Harmonics by which he meant to split the earth to its core. Even now, the riveted iron sphere of his Hermetic Carriage lies in the ruins of Bendray Hall, its signal flags and lights tattered and broken, a mere object of speculation to the attendants who listen patiently to the tottering grey-haired figure’s inquiries about his new life on another planet.
The discretion that sterling can purchase has saved the heirs of the Bendray estate further embarrassment. Not for the purposes of spite, but to remedy the damage done to my own and my father’s name, will I render a complete account of Lord Bendray’s fateful musical soiree in these pages.
The rain begins, spattering on the panes of my study window. Before the heaped coal-grate, the dog sleeping on the rug whines and scratches the floor. An apprehensive tremor blots the ink from the pen in my hand, and in my waistcoat pocket a coin of no value, save as a dread keepsake, grows cold through layers of cloth against my flesh. No matter; I press onward.

2.
  Lord Bendray led me further into the laboratory’s reaches. “Steady on, there,” he cautioned after a few minute’s wavering progress.
“Pardon? Christ in Heaven!” I leapt back from the edge of a circular chasm; another step would have precipitated me into its inky depths. A fragment of stone fell from the stone lip; no sound came back of it reaching bottom.
Lord Bendray stationed himself before the hole. It curved round in either direction for some distance, appearing large enough to have swallowed a small village such as the loathsome Dampford beyond the Hall’s gates. The far edge was hidden from view by rough stone pillars that descended into the pit, their lower ends lost to sight in the darkness. Above them, an intricate arrangement of cross-beams, great geared wheels taller than a man, chains thick enough to suspend houses by, and other machinery looped and dipped to make connection with the pillars.
My host gazed raptly at the stone. “They go down,” he pronounced solemnly, “straight to bedrock. And beyond – hundreds of feet.” He looked back at me. “Your father’s last creation. Such a tragedy that he died before this – his masterpiece – could be set into operation.”
[…] The hairs at the back of my neck began to stand up, as I sensed a madness even greater than I had at first suspected.
Glancing over his shoulder, Lord Bendray read the awful surmise visible in my face. “Yes – you’ve got it – you’ve got it, my boy! Exactly so! The senior Dower was a master of that Science properly known as Cataclysm Harmonics. Just as the marching soldiers transmit the vibrations that bring the bridge tumbling into bits, so this grand construction–” He gestured towards the stone pillars stretching down into the pit. “Your father’s greatest creation – so it is designed to transmit equally destructive pulsations into the core of the earth itself. Pulsations that build, and reinforce themselves – marching soldiers! Hah! Yes – until this world is throbbing with them, and shakes itself to its component atoms!” The vision set him all a-tremble. “The bridge collapses; the world disintegrates… Just so, just so.” He nodded happily.
I stared up at the construction, appalled by the old gentleman’s fervour. Could it be? I was struck with a dread certainty that he had spoken the truth. My father’s creation… Surely there could be no doubting it. If such a thing were the product of his genius, then, for good or ill, it very likely was as potent as all else that had come from his hand and mind.
“But–” I looked to him, baffled. “What would be the purpose of such a destruction?” A terrible vision centred itself in my thoughts, of mountains splitting in twain, deserts shivering as the oceans welled up in their midst, the grinding of splintered stone and the shrieking of women. “What cause would it serve?”
He gazed at me with patient benevolence. “Why, that of which we were just speaking,” he said. “That of contacting those wise, advanced beings on the other worlds. What possible signal could be better? Surely, creatures that are capable of shattering the world on which they live, would be perceived by those intelligences as beings worthy of respect and attention. It stands to reason.”

Tabella riassuntiva

Follia pseudo-vittoriana raccontata alla maniera del romanzo d’appendice dell’800! La prosa ampollosa e le digressioni continue possono stufare.
Dialoghi esilaranti e personaggi surreali.  Divertente, ma privo di “profondità”.
Crescendo di misteri che stimola ad andare avanti. L’ultima parte sembra scritta un po’ di fretta.
Le invenzioni di Dower senior sono una più geniale dell’altra.


(1) Le due eccezioni che mi vengono in mente sono The Warlord of the Air (1971) di Michael Moorcock e A Transatlantic Tunnel, Hurray! (1972) di Harry Harrison. Entrambe le opere precedono di una decina d’anni quelle del triumvirato Powers-Jeter-Blaylock, e pur non avendo manco alla lontana il rigore speculativo di The Difference Engine, sono a tutti gli effetti delle ucronie con qualche pretesa di serietà.Torna su


(2) Nel romanzo non viene mai detto con precisione in che anno ci troviamo, ma alcuni indizi permettono di collocarlo tra il 1841 e il 1850.
Il più importante di questi indizi è il riferimento al violinista Niccolò Paganini. Nella scena in cui Dower viene raccattato dalla carrozza di Mrs. Wroth, e il protagonista fa conoscenza con il Paganinicon, ci viene detto che l’artista è scomparso da poco (Mrs. Wroth è rammaricata di non averlo potuto “provare”, mentre alcune sue amiche hanno avuto nel recente passato questo privilegio). Paganini è morto nel 1840. Considerato che la signora è ancora giovane e bella, sembra sensato collocare l’azione non più di pochi anni dopo la morte del violinista.
Un altro indizio che conferma questa tesi viene invece dal seguito di Infernal Devices, Fiendish Schemes (di cui parlo a fine articolo). In quest’ultimo si fa riferimento alla Guerra di Crimea, come qualcosa di avvenuto dopo la fine del primo, ma prima dell’inizio del secondo romanzo (tra l’uno e l’altro, infatti, trascorrono alcune decine di anni). La Guerra di Crimea è scoppiata nel 1853: significa che l’azione di Infernal Devices si è svolta interamente prima di quella data.Torna su

Mellick for Dummies

Carlton MellickAmo la Bizarro Fiction. Ne amo le premesse weird, la voglia di innovare, l’uscire dai soliti canovacci. Sono stati uno dei pochi, in Italia, a occuparsi di Bizarro, non solo come curiosità occasionale ma con continuità negli anni. Sono contento di aver sponsorizzato, nel mio piccolo, una corrente letteraria e un “modo di fare” narrativa che nel tempo ha prodotto un piccolo numero di autori in gamba.
Non potevo che essere felicissimo, quindi, quando il Duca ha cominciato a far tradurre in italiano le novelle di Carlton Mellick e a pubblicarle per Vaporteppa. Il Duca è una persona precisa, che ama il suo lavoro e che soprattutto non edulcorerebbe un’opera solo per renderla più marchettabile (a differenza di quell’editore che aveva trasformato Help! A Bear is Eating Me di Mykle Hansen nel triste “Missione in Alaska”) – non posso quindi pensare a una persona migliore di lui per far arrivare Mellick in Italia. Nel corso del 2014, ben quattro dei suoi libri sono stati pubblicati in italiano – Puttana da guerra, Il ninja morbosamente obeso, La vagina infestata, Kill Ball – e altri sembrano essere in cantiere.

Ma gli editori di Bizarro Central sfornano libri a un ritmo troppo elevato perché io possa stargli dietro con i miei Consigli e le mie Bonus Track. Da un paio d’anni a questa parte poi – come raccontavo in un mio vecchio articolo – Mellick ha deciso che per pagarsi il mutuo doveva accelerare i tempi e quindi ha adottato la politica di pubblicare un libro ogni quadrimestre (ogni Gennaio, Aprile, Luglio, Ottobre). Troppa roba! Ho quindi deciso deciso di sintetizzare le mie impressioni sull’opera di Mellick in un grande “articolo-catalogo” da consultazione. E quale momento migliore per pubblicarlo che il primo lunedì del 2015, come auspicio per un nuovo anno all’insegna del weird e del disagio?
Oltre a questo articolo, che pubblico nella sezione Risorse in modo tale da lasciargli maggiore visibilità, terrò una pagina parallela che sarà periodicamente aggiornata in modo da far posto alle nuove opere meritevoli di Mellick mano a mano che escono, e segnalare nuove uscite di traduzioni in italiano. Un lavoro in tutto e per tutto analogo, insomma, a quello de La Mia Classifica. Se invece volete sapere quello che penso degli altri autori di Bizarro Fiction, potete dare un’occhiata a questo mio vecchio articolo su cinque opere Bizarro, o farvi un giro nella sezione Bonus Tracks (dove ho parlato della Villaverde, di Mykle Hansen, Alan Clark e Patrick Wensink).

Panda Arcobaleno

Oggi come nel 2011: il mondo ha ancora bisogno di panda che vomitano arcobaleni.

Come funzionerà questo catalogo? Prenderò in considerazione le opere, tra quelle che ho letto, scritte tra il 2003 e il 2013 compreso – lasciando fuori per ora il 2014. Preciso “tra quelli che ho letto”, dato che non ho letto l’opera omnia di Mellick (chi può dire di averlo fatto?), ma soltanto una metà abbondante della sua produzione (28 opere su 45 al momento in cui scrivo – cazzo, hanno ampiamente superato i romanzi di King e tallonano da vicino quelli di Dick…). Inoltre, non troverete una rassegna completa delle opere che ho letto, ma solo una cernita delle più interessanti.
Uno dei meriti di Mellick è di saper spaziare, da un romanzo all’altro, nei generi e nelle ambientazioni più diverse – dal post-apocalittico alla commedia trash-romantica, dallo sperimentale lynchiano al camp horror di serie B, passando per l’urban fantasy. Ciononostante, i libri di Mellick possono tutti ricondursi a mio avviso a un numero limitato di categorie. Perciò, invece di fare una classifica o un elenco, ho pensato di presentarvi le sue opere suddivise in gruppi tematici: a voi decidere quale o quali categorie preferite, e quindi su che libri buttarvi.
Per ciascuna categoria, ho scelto i tre o quattro libri più rappresentativi tra quelli che ho letto, mettendoli poi in ordine in base a quanto li ho trovati interessanti. I miei commenti a ciascun libro saranno giocoforza sintetici, ma linkerò la recensione completa per tutte le opere a cui ho dedicato un articolo.

Nota: i ‘Mellick-starter’
Quando un autore ha prodotto tanta roba, succede spesso che i suoi fan, quando devono consigliare chi si avvicina per la prima volta all’autore, selezionino uno o più libri “da cui cominciare”. Questo è tanto più vero quando lo scrittore in questione scrive roba strana. Ci penserei due volte, prima di consigliare a un novizio di Bizarro Fiction di provare il racconto The Baby Jesus Butt-Plug, pieno com’è di gore e blasfemie (in senso buono) – anche se a volte quelli più assurdi sono anche i migliori.
Alcune opere, insomma, sono meglio di altre per “tastare il terreno” e capire se il lettore può essere interessato all’offerta. Segnalerò quindi con l’avviso ‘Mellick-starter’ i libri più adatti a chi non avesse mai letto Mellick in vita sua.

Mario Martinez

Mario Martinez: un altro artista che è entrato nello spirito giusto.

A. Storie surreali
Le storie di questo gruppo sono ambientate nel nostro mondo – o in una versione leggermente modificata – e hanno come protagonista una persona normale. Qualcosa di strano irrompe nella vita del protagonista, trascinandolo in una spirale di bizzarrie crescenti. Narrate generalmente in prima persona da persone che potremmo anche essere noi, sono molto immersive e inquietanti, e rispetto ad altri libri di Bizarro Fiction sono in genere più abbordabili. L’azione è scarsa, e quando c’è rimane nel territorio del verosimile – non ci sono gli eccessi pirotecnici da film di cui Mellick abbonda in altri libri. Come genere, sono catalogabili generalmente nell’Horror.

The Handsome Squirm Titolo: The Handsome Squirm
Tipo: Novella
Anno:
2012
Pagine:
 140 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Cosa succederebbe, se ad andare al potere negli Stati Uniti fosse l’equivalente ammerigano del MOIGE? Se “proteggere i bambini” da qualsiasi possibile turbamento diventasse l’origine di tutte le leggi, e nel giro di pochissimo tempo l’aborto, il divorzio, avere figli fuori dal matrimonio o anche solo dire parolacce in pubblico diventasse illegale? E cosa succederebbe, se in questa società un povero cristo mettesse per errore incinta una donna aliena con il costume di divorare vivi i propri consorti?
The Handsome Squirm è la storia inquietante di un uomo normale che si trova solo contro tutti, in un mondo in cui il bene dei bambini e la preservazione della famiglia tradizionale sono così importanti che la vita del singolo non conta più niente. Del resto, cosa non saresti disposto a sacrificare per i tuoi figli?L’atmosfera del libro è un po’ troppo improbabile e sopra le righe perché il destino del protagonista faccia davvero paura, ma una sottile inquietudine attraversa tutta la storia e il ritmo si mantiene sempre altro. Forse un po’ troppo disgustoso e borderline per chi non si sia mai avvicinato al Bizarro.

The Haunted VaginaTitolo: The Haunted Vagina
Tipo: Novella
Anno:
2006
Pagine:
 120 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: La Vagina Infestata
Su Tapirullanza: I Consigli del Lunedì #04

Steve ha un problema. Ama alla follia Stacy, la sua sexy ragazza dai lineamenti asiatici, ma da quando ha scoperto che di notte dalla sua vagina escono sussurri e altri suoni inquietanti, non riesce più a fare sesso con lei. Stacy dice che la sua vagina è abitata da un fantasma, e che è sempre stato così – ma questo non lo tranquillizza. La situazione peggiora quando cose ben più strane cominciano a uscire dalla sua vagina, e nel momento peggiore! Steve sarà costretto a entrare di persona nella patata infestata per scoprire cosa diavolo sta succedendo, e proteggere così la sua Stacy.
Le premesse sono idiote quanto basta, ma in realtà The Haunted Vagina è molto di più: nello spazio di un centinaio di pagine, sa essere di volta in volta inquietante, demenziale, erotico, deprimente. E’ una storia di esplorazione di un mondo assurdo e apparentemente impossibile, ma in realtà è soprattutto una storia d’amore; una delle più strane che abbia mai letto, ma, devo dire, anche una delle più sincere, e delle più coinvolgenti. E grazie al fatto che l’assurdo si inserisce in una cornice di normalità, è un approccio dolce alla Bizarro Fiction. Assolutamente consigliato.

Village of the MermaidsTitolo: Village of the Mermaids
Tipo: Novella
Anno:
2013
Pagine:
 120 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Pensate che gli animalisti di Greenpeace siete dei pazzi? Perché non avete ancora conosciuto quelli dell’ESS, l’Endangered Species Security! Nel mondo di Village of the Mermaids, le specie a rischio di estinzione contano più degli esseri umani, e ucciderne anche solo un esemplare può costare la condanna a morte. Questo anche se la specie in questione sono sirene mangiauomini. Vestiremo i panni del dottor Black, un uomo con una malattia terminale che sta trasformando il suo corpo in argilla, mentre compie la sua ultima missione prima di morire: visitare Siren Cove, remota isola di pescatori dove vivono alcuni degli ultimi esemplari di sirena, e scoprire perché hanno cominciato a comportarsi in modo strano.
Con il titolo insolitamente mite di Village of the Mermaids, Mellick ci presenta un horror rurale che richiama il celebre The Shadow over Innsmouth di Lovecraft. La sua consueta rivisitazione degli stereotipi di genere stavolta tocca le sirene, trasformate da fanciulle di fiaba in ferali e ottusi (ma bellissimi) mostri divoratori di uomini. L’assenza di un narratore in prima persona e l’ambientazione avvicinano questa novella ad altre categorie della narrativa mellickiana, ma lo sviluppo pacato della vicenda e l’assenza di scene d’azione pirotecniche lo avvicinano a Haunted Vagina e Handsome Squirm. Il finale è un po’ brusco (per essere ben sviluppata, a mio avviso la storia avrebbe richiesto il doppio delle pagine) e le sirene si vedono poco, ma nel complesso è una lettura interessante. La sua impostazione classica e l’assenza di scene ‘estreme’ lo rendono un ottimo primo approccio alla Bizarro.

B. Storie fantasy-horror drammatiche
Storie ambientate in universi alternativi, o su pianeti lontani, o in un futuro remoto e quasi irriconoscibile – ovunque sia, il Bizarro impregna queste ambientazioni da capo a piedi. Possiamo avere un unico protagonista che narra in prima persona (The Egg Man, Warrior Wolf Women) o pov multipli; ma in ogni caso, come per i protagonisti del gruppo precedente, si tratta di persone abbastanza “normali” – per gli standard della loro ambientazione – che si trovano invischiati in situazioni pericolose. L’azione c’è e può anche essere intensa, ma in genere è periferica al protagonista, che non ha poteri sovrumani.
Insomma, potremmo anche chiamare queste storie, “storie di sopravvivenza in mondi assurdi”. Il genere prevalente rimane l’Horror, spruzzato però di fantascienza o fantasy; le dimensioni sono spesso (ma non sempre) quelle del romanzo. La maggior parte dei miei libri preferiti di Mellick sono in questa categoria; ma la quantità elevata di bizzarre richiede un minimo sforzo di accettazione da parte del lettore.

The Egg ManTitolo: The Egg Man
Tipo: Novella
Anno: 2008
Pagine: 180 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: I Consigli del Lunedì #34

In un futuro distopico in cui le persone nascono come insettoni simili a mosche ed evolvono gradualmente in esseri umani schiavi delle corporazioni, Lincoln, un Odore, si mantiene come pittore e deve dimostrare all’azienda che lo possiede di essere in grado di produrre tele creative, o verrà gettato in mezzo alla strada, senza diritti e senza un soldo. E ora c’è una donna disgustosa e incinta, Luci, una Vista, che lo perseguita; e il suo ragazzo, che crede che Lincoln se la voglia portare a letto e ha giurato che lo ammazzerà; e una faida che si sta preparando nel suo palazzo tra gli uomini della OSM e quelli della MSM. E Lincoln sente di essere spacciato: non ha un briciolo di talento.
Questo è il mio romanzo preferito in tutta la produzione di Mellick. Rispetto al resto della sua produzione, in The Egg Man non c’è un briciolo della leggerezza e dell’umorismo grottesco tipiche mellickiane. La depressione, la crudeltà e il cinismo avvolgono ogni situazione, ogni personaggio e i rapporti tra di loro; e il protagonista stesso – ben lungi dall’essere semplicemente una vittima del sistema con cui empatizzare – riserverà qualche colpo di scena. Con la scusa che Lincoln è un individuo dall’olfatto iper-sviluppato, inoltre, Mellick ne approfitta per costruire una prosa affascinante in cui gli odori danno forma alle cose. Una storia vivida e che non può lasciare indifferenti; per molti però potrebbe risultare eccessivamente depressiva e sgradevole.

Quicksand HouseTitolo: Quicksand House
Tipo: Romanzo
Anno: 2013
Pagine: 220 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

In tutta la loro vita, Tick e Polly non sono mai usciti dalla nursery. Aspettano il giorno in cui saranno abbastanza grandi da incontrare i loro genitori. Non possono andare a cercarli da soli: la casa è troppo grande, e i corridoi fuori dalla nursery sono infestati di strani mostri che si muovono nelle ombre. La loro tata continua a ripetergli che, quando sarà il momento, i loro genitori verranno a prenderli. Perciò aspettano. Ma quando le macchine della nursery cominceranno a malfunzionare e la loro sopravvivenza sarà in pericolo, saranno costretti a trasgredire le regole – e avventurarsi nell’ignoto dell’immersa casa dei loro genitori.
Quicksand House è un romanzo atipico nella produzione di Mellick. Il ritmo pacato, il silenzio e l’ansia sottile che si respira nelle pagine, la tenerezza che spira dai pochi personaggi e dalla loro storia. Per dire, non c’è neanche una scena di sesso assurdo! Uno dei libri più intimi ed emotivamente coinvolgenti della produzione di Mellick, tranquillamente accostabile a diverse opere del New Weird.

Warrior Wolf Women of the WastelandTitolo: Warrior Wolf Women of the Wasteland
Tipo: Romanzo
Anno:
2009
Pagine:
 300 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: I Consigli del Lunedì #23

Cosa succederebbe se ad ogni orgasmo, una donna perdesse un poco della sua umanità per trasformarsi gradualmente in un licantropo? E’ quello che succede nel mondo post-apocalittico di Warrior Wolf Women of the Wasteland. Daniel Togg conduce una vita infelice a McDonaldland – l’ultimo bastione di civiltà in un mondo devastato – costretto a lavorare sedici ore al giorno e a mangiare cibo McDonald’s tutto il tempo. In questo mondo, per il terrore di trovarsi un lupo mannaro in casa, qualunque donna venga sorpresa a fare sesso o a masturbarsi senza aver ricevuto l’autorizzazione dal governo viene immediatamente esiliata aldilà dei confini di McDonaldland, e condannata così a finire in pasto ai licantropi là fuori. Ma a essere esiliati sono anche i mutanti, e le cose si mettono male per Togg, al quale sono appena spuntate due braccia in più…
Warrior Wolf Women of the Wasteland è la folle storia dell’esilio di un uomo nelle terre selvagge, delle spaventose creature che troverà la fuori, dell’infinita battaglia delle lupe mannare contro McDonaldland, e dell’impossibilità di un rapporto d’amore tra un uomo e una donna sotto il peso della maledizione della licantropia. Con questo romanzo, Mellick ha creato una delle sue ambientazioni più complesse e affascinanti, con conflitto a palate, personaggi memorabili e sviluppi imprevedibili. La parte finale non è all’altezza del precedente worldbuilding, ma nel complesso si tratta comunque di un romanzo molto bello (benché non adatto ai palati di tutti, con la sua abbondanza di splatter e idee disgustose). Se vi piace, date un’occhiata anche ai tre racconti di Barbarian Beast Bitches of the Badlands, che espandono l’ambientazione del romanzo; Mellick sta inoltre lavorando da un paio d’anni a un seguito, Pippi of the Apocalypse, anche se non è chiaro quando uscirà.

Tumor FruitTitolo: Tumor Fruit
Tipo: Romanzo
Anno:
2013
Pagine:
 290 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Perché non prendiamo una storia di naufraghi sbattuti su un’isola misteriosa alla Lost, ma spostiamo il fulcro della trama dall’esplorazione dei misteri alla pura e semplice sopravvivenza? Detto fatto. Tumor Fruit non si svolge sulla Terra ma su un pianeta assurdo, dalle tinte rosa e una certa tendenza a essere tossico per l’uomo. Una navicella spaziale precipita, e solo in otto sopravvivono sulle coste bianche di un’isola in mezzo a un oceano corrosivo e inavvicinabile. Ora gli otto dovranno sopravvivere a un ambiente che chiaramente non è fatto per l’uomo, e che tenterà di ucciderli in ogni modo. Tocchi l’acqua e ti corrode fino a ucciderti. Mangi il cibo che cresce sull’isola e sarai sconquassato dalle malattie.
Mellick confeziona un romanzo corale d’avventura che ricorda vagamente Zombies and Shit, ma con un timbro narrativo più serio, tinte molto più fosche, una certa dose di misteri (con tanto di rivelazione sconcertante finale) e una maggiore attenzione all’analisi psicologica dei personaggi rispetto all’azione pura e semplice. Una storia violenta e delicata, tra le migliori di Mellick. Gli amanti di Lost dovrebbero apprezzare.

C. Storie fantasy-horror d’azione
Come le storie del gruppo precedente, anche queste sono ambientate in mondi assurdi che potrebbero essere una versione alternativa del nostro, o essere nel nostro futuro. Ma in questo caso, Mellick getta al vento ogni parvenza di credibilità. Queste storie si leggono come film d’azione folli, pieni di esplosioni, inseguimenti e colpi di scena, e spesso sono tributi espliciti a qualche pellicola o sottogenere cinematografico (Armadillo Fists è una tarantinata, Zombies and Shit è Battle Royale con gli zombie). Il che non significa che non ci si immedesimi nei protagonisti, anzi. Solo che questi protagonisti sono in genere individui eccezionali che fanno cose pirotecniche – e, spesso, muoiono orribilmente.
Proprio grazie a questi richiami al cinema di genere, i libri appartenenti a questa categoria sono spesso tra i più accessibili per chi si avvicini al Bizarro per la prima volta.

Zombies and ShitTitolo: Zombies and Shit
Tipo: Romanzo
Anno: 2010
Pagine: 310 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

L’apocalisse zombie incontra Battle Royale. In un mondo in cui i superstiti del genere umano hanno ricostruito la civiltà su isole artificiali al largo della costa, lasciando il continente in mano a orde di non-morti quasi indistruttibili, ogni anno il governo rapisce dagli slums una ventina di malcapitati per farli partecipare al più fiko dei reality. Un percorso attraverso le rovine di una vecchia metropoli, un elicottero sul punto d’arrivo, tre giorni di tempo per arrivarci. E un sacco di zombie! Ma l’elicottero è monoposto: solo uno dei contendenti potrà salvarsi, a costo di ammazzare gli altri con le sue stesse mani.
Questo è uno dei romanzi più divertenti e scorrevoli da leggere di Mellick. I personaggi sono quasi tutti spettacolari – ci sono nazisti, robot, punkettoni, super-guerrieri bioingegnerizzati, e l’immancabile scrittore disperato – l’intreccio è imprevedibile, il ritmo frenetico. Ma le risate e l’adrenalina sanno lasciare il posto, all’occorrenza, a momenti drammatici. Non sapere quali personaggi moriranno e quali sopravviveranno genera un’ansia inusuale nei confronti dei nostri preferiti: arriveranno sani e salvi fino al prossimo capitolo? Questo libro non si legge, si divora.

Armadillo FistsTitolo: Armadillo Fists
Tipo: Romanzo breve
Anno:
2012
Pagine:
 150 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

June Howard è la migliore pugile sulla piazza; nessuno è in grado di resisterle sul ring, e questo soprattutto grazie al fatto che si è fatta impiantare degli armadilli vivi al posto delle mani. Ma adesso è in fuga, perché l’organizzazione criminale per cui lavorava vuole farle la pelle. Il motivo? Una sciocchezza: ha inavvertitamente fatto fuori il loro capo! Con l’aiuto di Mr. Fast Awesome, il più veloce autista della città – benché non abbia né mani né piedi – June dovrà sfuggire ai membri dell’organizzazione; o ammazzarli uno dopo l’altro.
Armadillo Fists è un buffo incrocio tra Pulp Fiction e One Piece, e per la precisione quella saga di One Piece in cui i protagonisti devono combattere un’organizzazione di mentecatti che usano numeri al posto dei nomi. La storia salta continuamente tra più timeline parallele, caso unico nella narrativa di Mellick: da una parte assistiamo alla lotta tra June e l’organizzazione, dall’altra a una serie di flashback che ci mostreranno come June sia entrata nel mondo della boxe, com’è diventata quello che è, e perché abbia ucciso il capo. Data la semplicità della trama questi salti avanti e indietro non confondono più che tanto, ma in compenso danno un ritmo sostenuto alla vicenda. Una storia agrodolce, e piena d’azione pirotecnica a metà tra Tarantino e uno shonen – merita sicuramente di essere letta.

War SlutTitolo: War Slut
Tipo: Novella
Anno: 2006
Pagine: 110 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: Puttana da Guerra
Su Tapirullanza: No

In un futuro prossimo, tutti gli abitanti del mondo sono reclutati dall’esercito per partecipare all’ultima di tutte le guerre: la guerra contro i renitenti alla leva. Un pugno di soldati si trova isolato nell’Artico, dove parrebbe celarsi l’ultima roccaforte dei renitenti alla leva. Ma gli ufficiali sembrano entrati in uno stato catatonico, e i soldati si trovano senza una missione né ordini, mentre le provviste vanno esaurendosi. Cosa fare, come uscire dallo stallo?
War Slut parte come una storia surreale, per poi dare gradualmente spazio alle scene d’azione e all’introspezione psicologica. Il fascino della novella è dato dalla bizzaria della situazione di partenza – una guerra senza senso, l’attesa infinita di un evento imprecisato, stile Deserto dei Tartari – e da una piccola galassia di trovare geniali (come la puttana da guerra del titolo). Purtroppo le due metà della storia – la parte iniziale, e quella più di “azione” ambientata nella città di ghiaccio – non si integrano troppo tra loro, e ho l’impressione che Mellick abbia sottosfruttato le possibilità creative della premessa iniziale. Rimane comunque una lettura suggestiva.

D. Storie trash-demenziali
Con questo gruppo di storie entriamo nel territorio della parodia grottesca e della comicità nera. Non è facile tracciare un confine netto tra questa categoria e le due precedenti, ma mi sembra che tutte le storie di quest’ultima abbiano un elemento in comune: essere più divertenti (in un modo strano e spesso disgustoso) che drammatiche o tensive. Il che non significa che non possano esserci, a sorpresa, momenti da occhio lucido e lacrima che cola sulla guancia.
L’ispirazione sono anche in questo caso film o anime di serie B, reinterpretati in salsa Bizarro. I libri di questo gruppo sono quasi sempre novellas intorno al centinaio di pagine, letture ad alto ritmo da consumare nel giro di un pomeriggio.

ApeshitTitolo: Apeshit
Tipo: Novella
Anno: 2008
Pagine: 170 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Si presenta come il tipico horror movie di serie b, con una comitiva di sei fikissimi studenti liceali che vanno a trascorrere in una casetta nei boschi un tranquillo week-end di paura. Orribili maniaci mutati e disumani li aspettano per fargli la festa. Ma più si va avanti nella novella, più la storia diventa grottesca, e gli stessi protagonisti prendono a comportarsi in modo strano, violando i cliché del genere. Fino a una serie di colpi di scena conclusivi che ribaltano il tavolo. No: questa non è proprio la classica storia horror.
Apeshit ricorda il cinema trash auto-parodico di Rodriguez, solo più Bizarro – e non tutte le scene fanno ridere. Una delle più belle rivisitazioni dello stereotipo horror della casa nel bosco, accanto al film prodotto da Joss Whedon Cabin in the Woods. Per stomaci forti.
E se Apeshit vi è piaciuto, date un’occhiata anche al seguito Clusterfuck, romanzo lunfo che riprende l’ambientazione della novella originale, ma calandola sottoterra e con protagonisti dei frat boy del college. Meno geniale del predecessore e più orientato al divertimento duro e puro, è un simpatico omaggio al sottogenere dello spelunking horror.

The Morbidly Obese NinjaTitolo: The Morbidly Obese Ninja
Tipo: Novella
Anno: 2011
Pagine: 100 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: Il Ninja Morbosamente Obeso
Su Tapirullanza: No

In un mondo in cui le grandi corporazioni assoldano ninja per custodire i propri prodotti e rubare quelli altrui, Basu, un ninja di 450 chili, deve proteggere un bambino-salvadanaio dalle grinfie di un’azienda avversaria. Ma se smette di mangiare maionese morirà di una morte atroce.
The Morbidly Obese Ninja è una novella scritta come se fosse la puntata di uno shonen alla Naruto, anche se con molta più intelligenza e originalità. Premessa, ambientazione e idee sono geniali, anche se poi lo sviluppo e la conclusione seguono i canoni classici della narrativa d’azione. Scontri all’arma bianca, inseguimenti ed esplosioni sono la linfa vitale di questa storia, ma l’atmosfera sopra le righe lo trasforma in una commedia dal ritmo indiavolato. Una delle opere di Mellick più accessibili a chi è a digiuno di Bizarro Fiction.

Sausagey SantaTitolo: Sausagey Santa
Tipo: Novella
Anno: 2007
Pagine: 130 ca.

Mellick-starter: Sì
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: Bonus Track Natalizia

Lo sapevate che Babbo Natale non era un vecchio bonario, ma un crudele tiranno con l’accento da pirata che odiava i bambini, e che li voleva tutti morti o in schiavitù, finché il buon Dio non decise di punirlo condannandolo a consegnare doni ai bambini per il resto dell’eternità? E sapete che ora Babbo Natale – a causa di un increscioso incidente – è fatto di salsicce legate insieme tra loro? E’ la vigilia di Natale a casa di Matthew Fry, e l’incontro con Sausagey Santa cambierà la sua vita per sempre…
Sausagey Santa è la versione mellickiana del classico tema “dobbiamo salvare il Natale”. Mellick innesta i suoi personaggi bizzarri e trovate creative su un impianto narrativo classico e abbastanza prevedibile, fatto di rapimenti, inseguimenti, combattimenti. Matt è un personaggio simpatico – con una moglie iperviolenta che sogna di diventare un Transformer malvagio, una figlia viziata con una disgustosa escrescenza sul lato della faccia, e un lavoro schifoso alla Nintendo – e il suo destino alla fine della vicenda è insolito per le storie di questo tipo. Una storia divertente e leggera, senza troppe pretese, da leggere sotto l’albero con in sottofondo l’album di Natale di Michael Bublé.

E. Storie sperimentali
Il Mellick ventenne aveva l’ambizione di diventare uno scrittore avanguardista. Il che vale a dire: libri in cui prima vengono le immagini grottesche, i contrasti assurdi, i dettagli vividi, e poi la trama. Le storie sperimentali di Mellick sono più una raccolta di scene e situazioni fuori di testa, alla David Lynch, che narrazioni con un inizio, un centro e una fine (anche se in alcuni di questi libri c’è almeno una parvenza di trama).
I libri di questo gruppo sono tutte brevi novellas, di genere Horror e/o Fantasy. Quasi tutti appartengono al ‘primo’ Mellick, prima che scrivesse The Haunted Vagina e War Slut e virasse verso storie più plot-driven. Ciononostante, ogni tanto gli capita ancora di scrivere storie sperimentali, come Ugly Heaven nel 2007 e The Tick People nel 2014.

Adolf in WonderlandTitolo: Adolf in Wonderland
Tipo: Novella
Anno: 2008
Pagine: 170 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

In un mondo alternativo in cui l’utopia nazista ha conquistato il mondo, un giovane ufficiale ariano delle SS con le parvenze di Adolf Hitler è mandato in missione in una terra sperduta, a trovare ed eliminare l’ultimo essere imperfetto sulla Terra. Ma il mondo nel quale sta entrando è quanto di più lontano dalla perfezione possa esistere, e lo precipiterà da un’assurdità all’altra.
Malgrado il plot promettente e un protagonista interessante, la trama è solo un pretesto per precipitare il lettore – attraverso gli occhi del suo malcapitato protagonista – in una spirale di situazioni e incontri grotteschi. Le idee carine non mancano, e questa versione dark di un paese delle meraviglie crea in effetti una certa atmosfera; ma il libro sembra composto di tanti episodi slegati più che di un tutt’uno coerente e non va a parare da nessuna parte; L’argomento della “perfezione” è un po’ il pretesto della storia ma non viene davvero approfondito. Adolf in Wonderland è un libro che va letto per il gusto dell’immaginario bizzarro – perché in tutto il resto delude.

Razor Wire Pubic HairTitolo: Razor Wire Pubic Hair
Tipo: Novella
Anno: 2003
Pagine: 80 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Una delle primissime opere di Mellick, e di sicuro la sua più strana opera di Mellick che abbia mai letto. In un futuro post-apocalittico in cui l’intero genere maschile si è estinto, e gli esseri umani superstiti vivono in palazzi fatiscenti di città in rovina, vestiamo i panni di un dildo ermafrodita mutante dotato di autocoscienza. Il nostro protagonista è stato dato in “pasto” a Celsia, una donna vorace e completamente egocentrica, che se ne servirà per i suoi giochetti. Questo, finché l’appartamento in cui vive non sarà attaccato dai barbari stupratori delle wastelands, precipitando la vita del povero dildo nel caos più completo.
Nonostante la parvenza di trama, Razor Wire Pubic Hair è più che altro un susseguirsi di scene vivide e bizzarre, che colpiscono l’immaginazione e ogni tanto lo stomaco – un romanzo più affine alla Literary Fiction e al surrealismo che non alla narrativa di genere. Il risultato è molto lynchiano (chi ha mai visto Eraserhead può avere un’idea di cosa aspettarsi); le immagini evocate da Mellick sono estremamente vivide, materiche. Si visualizza senza difficoltà tutte le stranezze e le nefandezze che il povero dildo si trova a subire per opera di Celsia, e il contrasto tra la voracità di Celsia e la riluttanza del protagonista è resa molto bene. Non sono molte le storie in cui ci immedesimiamo in uno strumento sessuale vivente, e soprattutto viviamo il lato oscuro e grottesco dell’essere “vittime” di una completa ninfomane feticista. Unico.

Sea of the Patchwork CatsTitolo: Sea of the Patchwork Cats
Tipo: Novella
Anno: 2006
Pagine: 110 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Un bel giorno, l’intero genere umano decide di suicidarsi senza alcun motivo. L’intero genere umano ad eccezione di Conrad, vecchio ubriacone, che rinviene dall’ultima sbornia per scoprire di essere l’unica persona rimasta sulla Terra. La sua quest per capire cosa sia successo e cosa debba fare ora della sua vita verrà ulteriormente complicata quando un’inondazione di origine sconosciuta si abbatte sul mondo. A bordo di una casa galleggiante, Conrad entrerà in un mondo onirico e surreale, fatto di ville al centro dell’oceano, donne mostruose dagli insaziabili appetiti, e ovviamente un sacco di gatti.
Per ammissione dello stesso Mellick, Sea of the Patchwork Cats è la prima (e unica, grazie al cielo) storia ispirata direttamente da un sogno. Pur avendo all’apparenza l’andamento della normale narrativa di trama, questa novella è in realtà un susseguirsi di scene bizzarre senza un vero nesso logico tra di loro. La premessa del suicidio di massa e dell’ultimo uomo rimasto sul pianeta è terribilmente affascinante, ma tutti gli avvenimenti successivi non hanno nessuna relazione con questo avvenimento. E’ vero, il libro è tempestato di immagini affascinanti e di scene che colpiscono come un quadro di Magritte e Dali; ma è anche vero che si arriva all’ultima pagina pensando: “Ma che minchia ho appena letto?”. Il materiale di partenza si sarebbe potuto sviluppare in direzioni molto più interessanti, invece Mellick ha deciso di lasciarlo allo stato di sogno, una pennellata di bizzarria liberamente interpretabile. Da leggere a proprio rischio e pericolo.

Ugly HeavenTitolo: Ugly Heaven
Tipo: Novella
Anno: 2007
Pagine: 90 ca.

Mellick-starter: No
Edizione italiana: No
Su Tapirullanza: No

Due uomini si risvegliano, dopo la morte, in Paradiso; ma l’aldilà è ormai diventato un luogo spaventoso, colmo di sofferenza e pericoli, e Dio sembra scomparso o morto. Tree e Salmon – completamente dimentichi di quella che era la loro identità e la loro vita sulla Terra – si incammineranno alla ricerca di un senso e di un luogo che possano chiamare casa. Lungo la strada incontreranno una compagna di viaggio e i resti di quello che era un tempo il Paradiso.
Ugly Heaven – storia che nasce come prima metà di un libro scritto a due mani con Jeffrey Thomas – è un’altra novella di esplorazione di un mondo assurdo. Il Paradiso di Mellick è pieno di idee interessanti – soprattutto quelli inerenti alla trasformazione dei corpi umani e dei nuovi sensi. Rispetto agli altri libri di questa sezione, inoltre, la vicenda ha meno la forma di una carrellata di immagini bizzarre e più quella di una storia compiuta. Il problema di Ugly Heaven è che sembra un’opera incompiuta – non solo non troverete risposta alle stranezze che pervadono il Paradiso, ma avrete proprio la sensazione che manchi il finale. O meglio, che Mellick si sia fermato a un terzo o a metà della storia. Una trama promettente, insomma, ma che delude – potreste volerci dare un’occhiata per trarne ispirazione per qualcosa di vostro, e nulla più.

E per finire: la mia classifica di Mellick!
Non poteva ovviamente mancare una conclusione prettamente personale. Ecco, in ordine, i miei dieci libri di Mellick preferiti. Inutile dire che questa classifica rispecchia unicamente i miei gusti, e prescinde dai criteri oggettivi che adotto di solito:

1. The Egg Man
2. Quicksand House
3. Zombies and Shit
4. Warrior Wolf Women of the Wastelands
5. Apeshit
6. Tumor Fruit
7. The Handsome Squirm
8. The Haunted Vagina
9. The Morbidly Obese Ninja
10. Razor Wide Pubic Hair

A ben quattro di questi dieci titoli ho già dedicato, nel corso di questi anni, un intero Consiglio – ma ovviamente non mi è stato possibile farlo per tutti. Se per caso sareste interessati a farmi approfondire uno di questi titoli (o anche un altro che non compare in questa lista, volendo) fatemi sapere.
Quanto ai miei programmi per il futuro: riprenderò da lunedì prossimo coi Consigli del Lunedì, sperando di riuscire a mantenere una scaletta un po’ più rigorosa (ah, beata ingenuità!). Buon 2015 gente!