Qualche giorno fa, Google ha annunciato le specifiche tecniche del suo nuovo gioiellino, Google Glass.
Se qualcuno di voi non sapesse di cosa sto parlando, visualizzate questa immagine: uno smartphone che si indossa come un paio di occhiali. Definizione approssimata e un po’ imprecisa, ma rende l’idea. Google Glass funziona a comando vocale – attraverso istruzioni introdotte dalla frase “ok, glass”, come: “ok, glass, take a photo” – e permette di scattare foto o registrare video e condividerli immediatamente con i propri contatti, ma anche essere informati istantaneamente sul meteo o sugli orari degli aerei, o può fungere da GPS, e così via. Il tutto, concentrato in un dispositivo posto sopra e a lato dell’occhio.
Il Google Glass non è certo il primo tentativo di “computer oculare”; uno dei suoi illustri predecessori, l’EyeTap, risale nella sua prima versione addirittura ai primi anni ’80. Ma c’è una differenza. Il Google Glass non è solo roba sperimentale, per addetti ai lavori; è un prodotto per il mass market. L’uscita per il grande pubblico è prevista per la fine del 2013 o l’inizio del 2014, ma un numero limitato di Google Glass sarà consegnato a una cerchia selezionata di early adopters già in questi mesi. Molti di questi fortunati sono essi stessi sviluppatori, appositamente invitati da Google a provare il prodotto per poi pensare e realizzare delle app dedicate.
Insomma, di qui a poco il Google Glass dovrebbe entrare nelle nostre vite, che lo vogliamo o no. C’è già chi comincia a preoccuparsi dei pericoli per la privacy, come questo locale di Seattle; altri pensano che, nonostante le prime rassicurazioni di Google a riguardo, un giorno non lontano ci troveremo tempestati di banner pubblicitari agli angoli del campo visivo. Quanto a me, la prima e unica cosa che ho pensato la prima volta che ho sentito parlare, è stato: “Siamo nel cyberpunk!”. Conseguente scarica di adrenalina.
Un video vale più di mille parole.
Notare le furbizie da markettari, che mostrano per pochi secondi l’utilità del Glass in situazioni cruciali: il ciclista che dribbla il traffico, i ragazzi che stanno per perdere l’aereo, il padre con la figlia distante e le mani occupate dalla torta…
Pensiero ingenuo, certo. Me ne sono accorto poco dopo.
Perché se è vero che l’idea di un computer che interagisce con l’occhio è particolarmente iconica e ‘trasuda cyberpunk’ da ogni poro, è anche vero che è parecchio, ormai, che viviamo nel cyberpunk. Non saprei dire quando è cominciato. A istinto, direi che abbiamo iniziato a entrarci alla fine degli anni ’90, quando Internet e il 56k entravano nelle nostre case. Guardiamo Neuromante. Per quanto il romanzo sia molto bello, per quanto le sue atmosfere noir siano coinvolgenti, e molti dei concetti coinvolti fighi, quando si viene alla descrizione di Gibson della Rete, del cyberpsazio, viene da ridere. Quell’ambiente virtuale fatto di cubi, piramidi e filamenti di luce, in cui i navigatori si muovono con una sorta di corpo, oggi suona datato, ingenuo e improbabile. Internet è stato, credo, il primo ‘concetto’ in cui la realtà ha superato il cyberpunk.
E cos’è oggi un qualsiasi fighetto con lo smartphone e l’abbonamento Internet a 10 Euro al mese, se non un net-runner? Sempre connesso, capace di accedere all’istante a quasi qualsiasi informazione abbia bisogno. Anche il clima economico e sociale, dal 2008 in poi, sembra diventare sempre di più quello cinico e senza speranza, dominato da banche e supercorporation, del primo cyberpunk. Non siamo ancora arrivati a intonare inni aziendali o a chiudere i nostri dipendenti migliori in dei bunker, ma la dedizione e lo spirito di sacrificio richiesti agli aziendalisti verso la corporation ormai quasi ovunque ci si avvicinano molto.
Certo, non abbiamo ancora la modificazione biomeccanica di massa, né le cose più esotiche (lame che escono dalle braccia? Un mitragliatore al posto della mano?), ma la sensazione è che potremmo, se solo fosse legale e se ci fosse un mercato – guardate le protesi che siamo in grado di fare oggi. In generale, la tecnologia è stata meno invasiva e concettualmente ‘ambigua’ di come era stata dipinta dalla fantascienza – niente chip innestati nel cervello, ‘solo’ una stanghetta con le lenti finte che si appoggia sul naso – ma a livello di funzioni ci siamo arrivati. E dove non siamo arrivati, ci stiamo arrivando.
Senza dubbio il cyberpunk ha perso, almeno in parte, la sua magia; la magia di farti assaggiare cose che sono molto di là da venire. Quelle cose oggi non sono più il futuro, sono il presente, e in qualche caso – come l’Internet di Gibson – il passato. E’ una cosa che abbiamo già visto accadere a larga parte dell’Hard SF della Golden Age – quella che ti racconta come l’umanità abbia fondato colonie pure sulle lune di Giove, ma poi interagisca con computer grandi come un hangar attraverso schede perforate. Oggi, con l’eccezione di pochi titoli selezionatissimi, ormai quella vecchia fantascienza non si legge più. Non c’è più motivo per leggerla.

Scopri nuovi modi di perseguitare i tuoi amici: con Google Glass.
Prendiamo Prelude to Space, del 1947. L’autore non è esattamente l’ultimo dei mongoloidi: è Arthur C. Clarke, uno dei Big Three della Golden Age, e in generale un genio visionario che ha popolato sia la narrativa fantastica che l’ingegneria spaziale e aeronautica di idee brillanti. Prelude to Space racconta, con un approccio quasi documentaristico e un po’ lirico, della preparazione del lancio del primo razzo che dovrà andare sulla Luna. Clarke racconta nel dettaglio come sia fatto questo razzo, come funzionino i suoi motori, come è stato pianificato il viaggio; le speranze di scienziati e ingegneri che lavorano al progetto, gli ostacoli sul loro cammino, fino al decollo della navicella.
Alla fine degli anni ’40, il progetto Apollo non esisteva nemmeno, e una cospicua parte della comunità scientifica era scettica circa la possibilità di andare sulla Luna. In quegli anni, un romanzo come Prelude to Space doveva essere qualcosa che faceva brillare gli occhi. Il libro riscosse anche grande successo di critica (la critica del settore, ovviamente). Ma oggi – oggi chi se lo incula più? Childhood’s End, Rendezvous with Rama, 2001: A Space Odyssey, questi sono i romanzi di Clarke che leggiamo ancora, e curiosamente sono quelli meno Hard e più fantasy. The Fountains of Paradise, anche, perché un ascensore orbitale ancora non ce l’abbiamo e forse non ce l’avremo mai. Che interesse può avere invece – se non un interesse storico, o da collezionista di Clarke – una storia tutta incentrata su come si fa a portare un razzo sulla Luna, se noi quel razzo ce l’abbiamo già portato?
Costruire un romanzo su nient’altro che un concetto o, ancora peggio, un’invenzione, è una delle strade più sicure per mettergli sopra una data di scadenza. Il che può anche andare bene, se uno sa cosa sta facendo, e soprattutto se non ha la fissa di vivere in eterno tipica dell’artista. Prendiamo Charles Stross e il suo Accelerando, un fix-up di racconti che immagina la storia futura dell’umanità a partire dal verificarsi (nella nostra epoca) di una singolarità tecnologica. L’argomento è affascinante e l’oggetto del libro di là da venire, eppure lo stile di Stross è un pout-pourri di slang contemporaneo e neologismi modellati su quest’ultimo:
Manfred holds out a hand, and they shake. His PDA discreetly swaps digital fingerprints, confirming that the hand belongs to Bob Franklin, a Research Triangle startup monkey with a VC track record, lately moving into micromachining and space technology. Franklin made his first million two decades ago, and now he’s a specialist in extropian investment fields.
Operating exclusively overseas these past five years, ever since the IRS got medieval about trying to suture the sucking chest wound of the federal budget deficit.
PDA, VC, blog, per non parlare di altri termini che alludono ai sistemi cloud, e via dicendo. Stross non parla semplicemente di queste cose, usa proprio i loro nomi. Ma se le cose restano, i nomi cambiano; e tra dieci anni chissà se sapremo ancora cos’è un PDA, o se FedEx ci sarà ancora, o se diremo ancora la parola “blog”. E la faccenda si fa particolarmente divertente se consideriamo la parola PDA, che indicava i vecchi “palmari” e che già oggi è considerata piuttosto obsoleta, sorpassata dalle ultime generazioni di smartphone. Un romanzo che parla di futuro e di singolarità, che utilizza terminologie che già oggi sono vecchie: fa ridere.
Eppure Stross lo sapeva. Secondo Stross, una storia di fantascienza (o almeno, le sue storie) dev’essere scritta per l’oggi, deve essere goduta negli anni in cui è stata pubblicata, e avrà necessariamente una life-span breve, diciamo di una decina d’anni. Non è pensata per durare di più, men che meno in eterno. Dal 2005 ad oggi ne sono passati otto, e infatti Accelerando è già visibilmente invecchiato.

Se ci pensate, la singolarità tecnologica è l’unica cosa che potrebbe sconfiggere il komunismo. Riflettiamo.
I casi di Prelude to Space e Accelerando ci dicono però qualcosa. Il fatto che il romanzo di Clarke parli di qualcosa di sorpassato è solo una faccia della medaglia. L’altra è che Clarke – l’ho detto più e più volte – scrive da cani. La debolezza del suo stile, dei suoi personaggi, del ritmo delle sue storie, sono fatti su cui critici e appassionati sono d’accordo in modo abbastanza unanime. I romanzi di Clarke si reggono unicamente sull’idea, sull’elemento speculativo, e sul sense of wonder che questo genera; il che significa che una volta che l’idea non ha più appeal, una volta che sulla Luna ci siamo andati davvero, la sua storia non ha più valore.
Allo stesso modo, Accelerando prende idee ancora oggi pregne di sense of wonder ma le affoga in un gergo che è prepotentemente ancorato a un’epoca, un’epoca che se ne sta andando. E questo stridore ci butta fuori dalla storia, e renderà Accelerando, forse, del tutto illeggibile tra cinque o dieci anni (già adesso è un bel pugno in faccia, e non solo per il gergo).
Una dimostrazione? Prendiamo un terzo romanzo – Make Room! Make Room! di Harry Harrison1. L’ho scelto proprio per l’assurdità, oggi manifesta, della sua premessa. Harrison, che scrive nel 1966, parte da questa considerazione: se il genere umano continuasse a moltiplicarsi al ritmo della sua epoca, come sarebbe il mondo al volgere del terzo millennio? Il romanzo è ambientato nella New York del 1999 – una città di quindici milioni di abitanti, immersa nella miseria e nella sporcizia, dove le auto non vanno più, non c’è più cibo, né acqua corrente nelle case, non c’è lavoro, la gente si ammazza per una crosta di pane e si vive accalcati sui marciapiedi, nei tunnel della metropolitana, sotto i cavalcavia, ovunque.
Visto con gli occhi di oggi, Make Room! Make Room! è ingenuo da impazzire. Non solo perché non si è nemmeno lontanamente avverato, ma perché le premesse sono doppiamente sbagliate: non si tiene conto del fatto che nel nostro sistema economico-produttivo, fino al completo esaurimento delle risorse non rinnovabili, la crescita della capacità produttiva globale è più rapida della crescita della popolazione; né si considera che fattori come l’innalzamento del livello culturale, la diffusione di contraccettivi a basso costo e la cultura individualistica orientata alla carriera sono tutte barriere che scoraggiano naturalmente la tendenza ad avere figli. Eppure è un romanzo che, letto ancora oggi, coinvolge. Commuove, fa disperare, ti innalza e ti abbassa con l’umore dei protagonisti. Ci interessa il destino di Andy, poliziotto malpagato e costretto a fare turni doppi per la carenza di personale, e che aggirandosi per le strade della sua New York cerca un senso alla propria vita.
La differenza, tanto per cambiare, la fa lo stile. La prosa di Harrison è ben lontana dalla perfezione e ha tante ingenuità (dal POV ballerino a stralci di raccontato), ma riesce ad avvicinarti ai suoi personaggi, a immergerti nel suo mondo sporco e deprimente, nonostante sia un 1999 che palesemente non è accaduto e non poteva accadere. Prelude to Space, invece, ha solo il concetto, e quindi non è più interessante.
Io, del resto, uso un trucco mentale un po’ da borderline: ogni volta che leggo della vecchia fantascienza, faccio finta che sia un’ucronia. Uno strano mondo in cui la tecnologia si è evoluta in modo differente, e quindi un tipo può andare a trovare sua figlia su Marte con un viaggio di tre ore, ma poi quando fa una chiamata interurbana deve chiamare il centralino. Se la storia è appassionante, se è scritta bene, se segue i principi della narrativa, è godibile anche se è invecchiata male. Questa, purtroppo, è una cosa che molti grandi della fantascienza degli anni ’30-’60 non hanno mai capito, e che alcuni continuano a non capire.
Lo stesso ragionamento vale per il Cyberpunk. Neuromante lo leggiamo ancora oggi, e ci piace ancora oggi – io l’ho letto solo l’anno scorso! – per lo stesso motivo. Per la sporcizia delle strade in cui si aggira Case, per il suo cinismo, per il ricatto con cui Armitage e l’IA Wintermute lo costringono a lavorare per loro in una missione assurda, per le cose che Sally ha dovuto fare per potersi permettere tutti i suoi innesti da ninja urbano, per la morsa delle supercorporation, per il senso di libertà e di rivalsa degli hacker – e magari a qualcuno piaceranno anche quei cubotti di luce virtuale che fanno molto Tron e quindi sono vintage. Il buon cyberpunk – quelli che sono anche bei romanzi e non solo bella speculative fiction – sopravviverà perché è affascinante a prescindere dal realizzarsi o meno del mondo che immagina2. Perché un libro immersivo ti fa dimenticare per qualche ora qual’è il mondo vero, e puoi davvero vivere come se Google non stesse per lanciare Google Glass e i motori di ricerca fossero piramidi filamentose immerse nel cyberspazio. Mi sento ottimista sul futuro del genere, o almeno su quelle poche opere (non solo libri) che gli danno dignità.
Ciò detto, Google Glass è figo. Per carità, farà diventare i mongoloidi ancora più mongoloidi, e sarà invaso di social network da ogni lato. Ma in teoria è figo. Datemi pure dell’hipster ma è così.
Un’interpretazione un po’ più libera di come potrebbe essere la vita con Google Glass. C’è pure qualcosina di inquietante.
(1) Make Room! Make Room! è candidato a diventare uno dei prossimi Consigli; ma se la gioca, tra gli altri, anche con un altro romanzo dello stesso Harrison, quindi non ho ancora deciso cosa farò.Torna su
(2) Un esempio di cyberpunk che a mio avviso continuerà ad essere interessante anche tra dieci, venti e trent’anni è un romanzo di Sterling su cui sto preparando un articolo… Aspettate e vedrete!Torna su
Comunque a livello privacy non mi sembra che i Google Glass siano molto diversi da un qualunque smartphone. Ormai anche lo smartphone più patacca ti chiede se vuoi condividere la tua posizione, e per le foto penso che sia molto più sgamabile uno che dice ad alta voce: “Ok, Glass, fai una foto!” di uno che fa finta di messaggiare e poi si sente CLICK, ma ormai è già tutto su Facebook.
Secondo me da questo punto di vista, soprattutto all’inizio, non potranno permettersi troppe stronzate, o non li compra nessuno. E figurati se nel giro di qualche anno non ci saranno millemila altri modelli a fargli concorrenza, quindi non potranno permettersi stronzate nemmeno dopo.
Spero.
Perché li desidero tanto.
Posto che appena pesco un tizio con i google glass gli urlerò forte “ok glass, spanich gay porn!” e correrò via, sono anche io uno di quelli che li vorrebbe.
Detto questo il tuo discorso non fa una piega, la fantascienza, quando la realtà in cui viviamo la sorpassa da destra e gli fa anche il dito, perde molto appeal.
Sto rileggendo i primi numeri di Nathan Never, un universo dove ci sono le astronavi ma i dati si scambiano tramite floppy, ci sono gli ologrammi ma non il touchscreen, realtà virtuale ma niente wi-fi e così via.
E, come dici giustamente tu, se una storia si appoggia solo sul sense of wonder la puoi anche buttare.
Un paio di mesi fa avevo recensito Bartorstown in cui il colpo di scena era basato su una “setta” che possedeva un immenso computer e con il quale cercava di indagare i segreti della reazione atomica.
Il libro è degli anni ’60, lo leggevo sul mio Nexus 10.
Capisci che ho giusto sollevato il sopracciglio dinanzi all’eccitazione di un computer grosso come un palazzo in grado di risolvere equazioni.
Poi io sono un precisino della fungia (cit.) e se ci sono incoerenze tecniche perdo gusto per il libro.
So che la fantascienza scade e quindi basta leggere solo gli ultimi libri.
Un simpatico escamotage è usare la fantascienza per far rivivere epoche passate, tipo come in Player One (libro meh ma con citazioni molto carine).
In ogni caso giustifico con una certa benevolenza gli scrittori di fantascienza i cui racconti scadono, molto peggio quelli fantasy i cui racconti sono pieni di incoerenza.
(Sto leggendo Perdido Street Station: un mondo dove ci sono automi a vapore senzienti grazie a cervelli analogici e in cui si usano armi a pietra focaia? Srsly Mieville? Srsly?)
Sarò strana, caro Tapiro, ma a me la fantascienza “invecchiata male” non dispiace.
Tra i quattordici e i diciotto anni ho avuto il mio periodo “fantascientifico”, nel corso del quale ho letto molti dei vecchi Urania di mia madre. C’erano due cose che mi divertivano moltissimo: la prima era constatare come queste presunte visioni del futuro fossero, a conti fatti, proiezioni di paure e speranze tutte presenti. La seconda era proprio confrontare il loro futuro con quello effettivamente realizzatosi.
Mi riempiva di meraviglia tenere tra le mani, sfogliare, leggere la prova di come quello che abbiamo (tecnologicamente) ottenuto sarebbe stato un tempo inimmaginabile per chiunque, perfino per un professionista dell’immaginazione.
Il commento di fos87 avrei potuto scriverlo io 😉 La penso esattamente cosi’
Pazzeschi questi aggeggi O_O Pensavo fosse una di quelle cose che non sarebbero mai arrivate dalla fantascienza alla realtà.
Bella l’idea di leggere la vecchia fantascienza come un’ucronia! Io devo dire che già prima non mi facevo particolari problemi, ma adesso ho anche una giustificazione psicologica figa.
@nicholaswolfwood:
>appena pesco un tizio con i google glass gli urlerò forte “ok glass, spanich gay porn!” e correrò via
LOL, mi associo.
>So che la fantascienza scade e quindi basta leggere solo gli ultimi libri.
con questa frase hai appena demolito non solo la fantascienza classica ma anche il cyberpunk e lo steampunk.
Non concordo su questo. La fantascienza non è una previsione del futuro (anche se gli editori spesso hanno spinto a credere a questo) è semplicemente un genere letterario per lo più di massa, si scrive ciò che la gente vuole leggere, sei negli anni 50? robot e viaggi sulla luna, sei negli anni 70? mutanti e radiazioni, sei negli anni 80? computer e modem, sei nel 2000? weird, perchè hai visto già tutto . Può essere sorprendente come alcuni autori di fantascienza abbiano anticipato scoperte tecnologiche (Wells con wikipedia, star trek con i floppy ecc) e altri abbiano totalmente sbagliato ma non è questo che conta. Conta se nel momento in cui lo leggi ti gratifica oppure no. Questo, oltre che dalla qualità della storia narrata, dipende sicuramente da come sei fatto, quali sono i tuoi interessi e le tue idiosincrasie e anche dai gusti della tua epoca. Il cyberpunk come previsione del futuro è stato sorpassato dalla realtà già nei primi anni 90, il cyberpunk come genere letterario rimane valido tuttora in alcune opere divenute ormai dei classici, primo fra tutti il Neuromante.
@Tapiro
>“Siamo nel cyberpunk!”. Conseguente scarica di adrenalina
conseguente toccamento dei gioielli di famiglia direi! E’ come dire siamo nella merda: niente lavoro, megacorporazioni senza scrupoli che dominano le nostre vite e i nostri pensieri, cybercops nella rete globale che bloccano siti nella perenne lotta contro gli hackers, cibi di dubbia origine, pontefici e politici che dialogano con i loro seguaci mediante la matrice… oh shit ! ^___^
@Siò:
Be’, dipende. Immagina un locale affollato, dove c’è casino. Vuoi immortalare un tipo a tradimento. Il comando vocale dato a un paio d’occhiali è molto più discreto che sollevare lo smartphone ad altezza occhi. I modelli successivi probabilmente saranno ancora più camuffati come un paio d’occhiale, ma già se hai i capelli lunghi occultare il Glass può essere fattibile.
Comunque, provare per credere: solleva troppo uno smartphone e tutti penseranno che tu stia facendo una foto o un video (e del resto avrebbero ragione: che senso ha sollevarlo altrimenti?).
@Nicholas:
LOL.
Non parlare di Perdido tra i miei lettori o aprirai un vaso di Pandora x°D
E’ quasi come citare Altieri o il suo immortale capolavoro Magdeburg.
@Coniglietto:
E’ che sono pazzo.
@Dunseny:
Una parte della fantascienza è anche questo. Il che non significa che sia un trattato di futurologia; ma è speculative fiction, ossia un tentativo di immaginare come sarà o potrebbe essere il nostro futuro a partire da quello che è oggi, magari esagerando o portando alle estreme conseguenze uno o pochi fenomeni.
Una parte dell’appeal di opere come Prelude to Space o Accelerando è proprio questo. E d’altronde Clarke stesso ha ammesso di aver scritto Prelude, in parte, proprio come arringa in difesa di un’esplorazione spaziale possibile.
@Tapro:
>speculative fiction, ossia un tentativo di immaginare come sarà o potrebbe essere il nostro futuro a partire da quello che è oggi, magari esagerando o portando alle estreme conseguenze uno o pochi fenomeni.
esattamente. non è una previsione del futuro, ma la creazione di una storia ambientata nel futuro e basata (più o meno) su speculazioni scientifiche. Ecco quindi l’esagerazione e l’estremizzazione che sono utili per creare una trama e una ambientazione in grado di interessare il lettore ma che in genere portano a previsioni errate. Il vero futuro è in genere banale e sorprendente allo stesso tempo, cioè non leggibile.
Una storia di SciFi non è da buttare perché basata su qualche previsione del futuro che non si è avverata. Trovo difficile leggere un romanzo di Jules Verne non perché ambienta molte sue storie in un futuro non avvenuto ma per altri motivi (è logorroico come solo uno scrittore dell’ottocento può essere), ma voglio iniziare a leggere “The War in the air” di Wells e sono fiducioso: ornitotteri asiatici che combattono zeppelin tedeschi sopra le montagne rocciose per la spartizione degli stati uniti. Puro steampunk involontario ^__^
>>Non parlare di Perdido tra i miei lettori o aprirai un vaso di Pandora x°D
E’ quasi come citare Altieri o il suo immortale capolavoro Magdeburg.
Posso bashare entrambi?
Pensare che il cyberpunk sia Gibson è molto limitativo. A parte che a me Neuromante non riesce proprio ad andar giù, mi sembra anche che l’abbia scritto quasi per caso. Sterling è già molto meglio, e anche come autore, oltre che ideologo del gruppo… Lui cosa fosse (cosa sarebbe stata) una rete globale l’aveva chiaro davvero, e basta leggere Isole nella Rete per capirlo… Ma non era questa differenziazione tra Gibson e Sterling che volevo far notare.
Se cerchi un vero “precognitore” degli occhiali di Google e di molto altro che dovrà essere sviluppato in quella direzione, devi rivolgerti a Vernor Vinge, l’inventore della Singolarità Tecnologica molto usata da Stross (che però secondo me esagera molto nel tentativo di raccontarla). Vinge l’ha teorizzata in un famoso saggio, recuperabile in rete, ma ha sempre evitato di scrivere racconti su cosa succede DOPO, perchè cosciente che con la nostra mentalità non è possibile nemmeno immaginare il dopo-singolarità…
Ma nel suo credo ultimo romanzo, Alla Fine dell’Arcobaleno, la interconnessione completa, non solo con un paio di occhiali, e le sue conseguenze sono ben esaminate. A parte i fortissimi tagli fatti da Urania che ha reso il romanzo quasi illeggibile, io in ogni caso preferisco la Novella “Tempi Veloci a Fairmont High” dalla cui ambientazione il romanzo prende spunto, che secondo me è un vero e proprio gioiello e riesce a rendere la sensazione della connessione globale molto più “sensoriale”, pur nella relativa brevità di una novella. Se non l’hai ancora letto, leggilo subito… E’ nel secondo volume di Tutti i Racconti di Vinge pubblicati dalla Nord nel lontano 2007. Ma lo puoi trovare a dorso di mulo in originale…
Forse, ma se il locale è affollato ci sarà casino, e perché venga fuori un comando chiaro dovrai urlare. Non si può certo dare un comando dello stesso volume del casino, altrimenti dubito che gli occhiali capiscano U.U
E in ogni caso uno che ti fissa con il glass sugli occhiali, e che muove la bocca un’aria da ‘ti sto scattando una foto’ ce l’ha. E non puoi coprirlo, o la foto non viene.
PS – Credevo davvero impossibile che tu non conoscessi perfettamente Vernor Vinge, ma poi mi sono detto che con la tua passione per autori di nicchia (e di nicchie anche abbastanza nicchiose) e/o del tutto sconosciuti ai più, magari ti poteva essere sfuggito un glorioso pluriHugato esponente della SF mainstream… 😛
Vabbè… volevo solo giustificare in modo nobile ed alto un banale processo di autopubblicità. Se ti interessa sapere cosa penso dei romanzi di Vinge, incomincia da qui:
http://www.webalice.it/michele.castellano/SF_Fantasy/mese/Ottobre2010.html
Ma se conosci a memoria i romanzi di Vinge, puoi anche lasciar perdere…
😉
@Mikecas:
Citavo Neuromante perché è l’esempio più noto, ma Gibson non è certo l’unico autore che abbia letto. Anch’io preferisco Sterling – tant’è vero che ho accennato nella nota (2) alla possibilità di scrivere un Consiglio su uno dei suoi romanzi!
E’ vero, negli ultimi mesi è saltato il link automatico nelle note e devo capire come rimetterlo, però sta scritto lì!
Mi pareva avessimo già avuto una discussione su Vernon Vinge.
E’ un autore che mi affascina molto ma che purtroppo non ho ancora avuto il tempo di leggere. In compenso ho già letto quel breve saggio sulla singolarità di cui parli, non è male e potrei anche decidere di parlarne sul blog in futuro.
Vergogna u.u
@Siò:
Non so. A questi dubbi avremo risposta solo quando potremo mettere le mani su Glass.
@Tengi:
As you please ^-^
Sempre in tema di “augmented reality” e relativi occhiali, anime consigliatissimo : http://it.wikipedia.org/wiki/Denno_Coil
@dunseny
Quello che dici tu ha senso ma in realtà io intendo le cose in maniera un po’ diversa.
Prendiamo il cyberpunk (di cui ammetto di aver letto solo la trilogia di Gibson ma sto per affrontare “Addio Orizzontale” grazie ai consigli di Tapiro), è vero che abbiamo decisamente superato il cyber, è anche vero che ci muoviamo veloci verso il punk (bande che si affrontano tra le strade, megacorporazioni etc.) ma siamo lontani dal cyberpunk, nel senso che non mi vedo gli scagnozzi di Apple e di Google darsi battaglia per le strade, non c’è ancora un potere politica delle multinazionali sulle nazioni, eserciti privati, gente che vende parti di se stessa per essere più funzionale etc.
Per questo mi godo tranquillamente un romanzo cyberpunk, perchè, se separatamente i due elementi possono non stupirmi (il cyber men che nulla, il punk è cmq un’ambientazione di avventura quindi non ha età) il loro connubio mi dà ancora un senso of wonder piacevole (nonostante Gibson scriva da cani).
Ma se io leggo Bartorstown in cui l’elemento su cui fa leva il romanzo è una misteriosa comunità in possesso dell’ultimo computer esistente dopo un’olocausto nucleare, e grazie a quello cerca di risolvere complesse operazioni nel campo della meccanica quantistica, allora la mia sospensione di incredulità crolla miseramente.
Mi spiace ma non sono un tizio degli anni ’60 che non ha mai visto un pc e che non ha idea di cosa sia la fisica, non mi stupisci così.
Per questo appoggio Tapiro, se punti tutto sul sense of wonder di una buona trovata tecnologica allora il tuo libro ha una data di scadenza.
Ribaltando il discorso è come se una persona oggi scrivesse un romanzo su un’incredibile invenzione: una barca a vapore capace di collegare New York al Congo Belga in appena 1 mese (semicit.).
Se il romanzo è basato sulla costruzione di questa barca, sui calcoli di carbone e atm necessarie, sulle riparazioni, i fondi e il diametro dei tubi lo getterei nel cestino (del pc).
Se mi raccontasse di Bob l’intrepido spadaccino in fuga da un triangolo amoroso con una liceale e un vampiro, e di Luke la sua nemesi ma anche il suo amante omosessuale che nasconde un segreto alieno e di come i loro percorsi si incroceranno sulla nave a vapore in un mondo dominato dalle corporation dell’alluminio e dell’albume delle uova beh, allora al diavolo la nave a vapore, il romanzo me lo godo lo stesso anche senza il sense of wonder della barca 🙂
Uh, Thanks Tapiro ^_^
Partendo con Perdido Street Station. Lo avrei tirato nel muro a più fiate, ma era sul mio lettore ebook e non volevo far danni.
La storia è originale e non manca di fantasia. Avrebbe tutti i numeri per essere uno dei libri più ganzi che abbia mai letto. Non fosse che:
-Mièville ci sotterra ogni due per tre di infodump alla cazzo. Ok ciccio, lo so che ti sei fatto il mazzo per creare ‘sta città troppo spackkosa, ma non puoi scaricarmi tutto addosso come una camionata di ghiaia!
Tizio e Caio vanno nel tal quartiere per indagare una roba troppo importante -parte Piero Angela con la storia del quartiere; Tizio e Caio incontrano Sempronio, della razza tale, per discutere di una roba di vita o di morte -parte Piero Angela con la storia della razzza di Semrponio e del suo ruolo nella macchina socioeconomica della città
Eccheccazzo, abbozza!
-Mièville ci tira addosso scene inutili. Tipo la lunghissima discesa del panierino, all’inizio. Stavo cominciando a credere che il canestro fosse il protagonista e l’intonaco scrostato il villian. Ce la farà il paniere a risalire, o lo spago si spezzerà? Racconti di una vita sospesa nel vuoto!
O la scena della mercenaria Penge che se ne va. Mièville tira tre personaggi nel mucchio (e fin qui nessun prob lema, se non che paiono usciti da un giochino di ruolo). Due schiattano. Li ho incontrati tre pagine fa, quanto vuoi che me ne importi? Poco. Anche perché non sono poveri vecchini che davano da mangiare ai piccioni quando la tragedia li colpisce, sono tre mercenari, crepare morti ammazzati fa parte degli incerti del loro lavoro: loro se lo aspettano e IO me lo aspetto. E che mi importa di seguire per pagine la terza rimasta che nuota via, lasciandosi tutto alle spalle? Avrà aperto bocca tre volte! E tra l’altro, i protagonisti sono alle prese con roba leggermente più interessante di una tizia che nuota >_<
Durante tutte queste scene avevo voglia di scotere il registe: "cut… cut… WOULD YOU FUCKING CUT?!"
-I personaggi.
Non sono da buttare, beninteso, ma non li ho trovati nemmeno sopraffini. Isaac è passabile, ma come professorone di zoologia è poco credibile. Lui è un luminare che vive in un mondo pieno di bestie strane e roba bizzarra, gli danno un bruco con poteri psichici e che cresce come un fungo, e di cui non c'è traccia nei libri di scienza.
Adotterà delle precausioni?
Ovvio che no, lo tiene nella gabbia del criceto. E ha anche la faccia tosta di restarci male quando succede un casino.
Notare poi che per tutta la storia lui continua le ricerche per aiutare un Garuda. 'Sto Garuda è andato da lui dicendo: sai, ho fatto una roba bruttissima e mi hanno punito a ragione, mi spiace, puoi aiutarmi?
E Isaac ci sta. Lungo tutta la storia il Garuda si rende utile e salva la pellaccia alla sua fidanzata.
SPOLER
Alla fine, quando Isaac è a un passo da trovargli una soluzione, arriva un altro Garuda, che Isaac non conosce e non ha mai visto, e gli fa "non lo aiutare perché la roba orribile che ha fatto è stato violentarmi".
"Oh, no!" fa Isaac "io ho ucciso con crudeltà un povero vecchino innocente e provocato un casino che ha portato alla dannazione un numero incalcolabile di persone, ho più morti sulla coscienza che denti in bocca, ma uno stupratore? No, no, non lo tollero".
E fanculo a tutti i debiti che ha con lui, gli lascia un bel bigliettino dove gli spiega che è troppo puro per aiutare i cattivi.
Ok, è credibile, perché ci sono un sacco di esseri umani imbecilli, stronzi e ipocriti. Ma non è esattamente il genere di personaggio di cui mi piace leggere.
Infine, Mièville non ci risparma nemmeno il più becero dei Deus ex machina. I nostri sono in una situazione senza uscita, arriva un supereroe e li salva, per poi andarsene. Così, perché sì. E non sto scherzando.
Hm, visto il WoT, Altieri lo sbologno alla svelta: non c'è UNA SOLA FOTTUTA PAGINA che non contenga una contraddizione, un anacronismo, una scemenza o un vocabolo errato. Altieri non sa la storia, non sa scrivere scene d'azione e non sa l'italiano (potete indignarvi solo se riuscite a spiegarmi cosa cazzo vuol dire "un simbolo simile a un simulacro").
@tenger ti quoto tutto, in più aggiungo: le coincidenze!!
Cioè perchè ovvio, in una città di centinaia di migliaia di persone è chiaro che il boss della droga che ha le farfalle di Isaac sia lo stesso che assume la sua ragazza per fare una statua.
Poi lo stile è anche carino però ogni tanto ho visto avvitamenti di POV che stavo per cadere dal sedile, una scena il pov passa da Isaac al tizio che aggiusta gli automi e poi all’automa stesso.
Cmq ammetto che non l’ho finito, same on me.
Vidi il GG project sul web tipo un anno e mezzo fa o forse più, ma avevo letto in giro che si trattava di un pesce d’aprile, poi ultimamente ho visto i video che li pubblicizzavano sul serio, e su qualche blog/forum si diceva che per provare i GG, i “fortunati” dovessero comunque sborsare per comprarli.
OMG, io assumo lo stesso punto di vista ma dandolo per scontato, senza “far finta”. Non so, è grave? O_O
Immagino che non sia tanto sbagliato: se le cose fossero andate diversamente, dal momento in cui il romanzo è stato scritto, la realtà narrativa non sarebbe poi tanto inverosimile. Basti pensare al design delle tecnologie: negli anni ’70-’80 erano spigolose e dai colori smorti (moda dell’epoca), poi si sono smussate (senza andare lontano, basti pensare alle auto, bombate e stilose negli anni ’40, poi aguzze nei ’70-’80, poi diventate nuovamente smussate e logicamente più aerodinamiche, interni inclusi). La moda “vintage” di un determinato periodo, di conseguenza, andrebbe considerata l’equivalente di qualcosa di ucronico? Per esempio, Odissea nello spazio di Kubrik, con l’estetica ani ’60, non sarebbe poi così “ridicolo”. Ma vabe’, capisco che l’estetica sia una cosa e l’ingegneria un’altra. (sto divagando e ho perso il filo, ignora quello che dico)
P.S: Typo: “… per qualche ora qual’è il mondo vero”.
Non si può pensare al cyberpunk senza pensare alla realtà virtuale, e non si può parlare di realtà virtuale senza citare l’imminente Oculus Rift… e chissà se a un certo punto anche il Rift e Google Glass convergeranno come il telefono e la macchina fotografica?
Immagino tu citi singolarità e komunismo insieme per via delle teorie di Stross in Accelerando riguardo un’economia post-scarsità. O c’è di più?
@Taotor:
Molto.
Io andrei da uno psicologo.
Grazie!
@Giovanni:
Ehm… no, niente di così raffinato.
La teoria è che, mano a mano che il sistema capitalistico si avvicina al suo punto di saturazione, e quindi diventa più invivibile per la maggior parte della popolazione, il passaggio a un sistema più avanzato (il komunismo!) diventa più probabile. Ma la singolarità (a parte una guerra termonucleare?) è l’unica cosa che potrebbe cancellare la civiltà umana così come la conosciamo prima che questo punto di saturazione venga raggiunto! Riflettici! \o/
Ah, quindi tu vedi la Singolarità come un evento apocalittico in stile Terminator. Pensavo anche io che fosse una cosa del genere, ma leggendo Stross mi sono abituato a una visione diversa (anche se quella “vecchia” mi sembra ancora quella più sensata, poiché trovo poco credibile la trasmigrazione delle anime in un paradiso cibernetico). Quindi non ti riferivi al destino del glorioso Partito Comunista Italiano guidato verso il futuro da Gianni Vittoria… Essì che mi aspettavo che almeno quel dettaglio ti avrebbe gasato.
Stross, volendo rappresentare quello che viene dopo la singolarità ha ovviamente una visione molto ridotta della stessa, a differenza di Vinge…
Ma che il capitalismo potesse “aggiustarsi in corsa” ed evitare le sue “singolarità” poteva sicuramente sfuggire al buon Marx che lo analizzava nel suo momento di sviluppo… mi stupisce che sfugga anche a chi lo osserva oggi, dopo tutte le trasformazioni che ha già subito… 😉
@Giovanni:
Apocalittico in un certo senso sì, anche se non nel senso di Terminator. Apocalittico nel senso che le macchine diventerebbero autosufficienti e potrebbero riplasmare la nostra società secondo le loro priorità. Non avremmo più il controllo del pianeta oO
WUT? Mi stai facendo ritornare voglia di leggerlo…
@Mikecas:
Non so in che mondo viva tu, ma oggi il capitalismo non è stia funzionando troppo bene, e ormai tutti o quasi quelli del settore si sono accorti dei suoi problemi di struttura… Nell’ultimo secolo si è trasformato ben poco, aumenta per quantità e capillarità ma qualitativamente è sempre uguale.
LOL! Pensavo che almeno al terzo racconto ci fossi arrivato. Tra i personaggi secondari che contribuiscono alla realizzazione della singolarità c’è anche un vecchio esponente del PCI. Il suo ruolo rimane comunque marginalissimo.
Tema interessante, Avete visto William Gibson “Mr. Cyberpunk” indossare
i google glass?http://2013.digitalfestival.net/relatori/alberto-longo/?area=creativity
I am a living interface: dallo smartphone al wearable computer
Oltre il corpo. Dal Cyberpunk al Corpo Post Organico.
Mutazioni e Affecting Computing attraverso Virtual Reality e Wearable Computers.
“È necessario che anche il corpo si evolva e perciò è necessario che la tecnologia lo supporti.”
I notevoli progressi condotti nella realizzazione di componenti tecnologiche wearable, “indossabili”, unite dalla raffinatezza tecnica e alle dimensioni ridotte arricchiscono il corpo umano di devices computerizzati sempre meno invasivi per l’ utente. I Wearable Computers paradigma del sesto senso indossabile?
Sono stato molto contento di aver trovato questo sito. Voglio dire grazie per il vostro tempo per questa lettura meravigliosa! Io sicuramente mi sto godendo ogni post e ho gi salvato il sito tra i segnalibri per non perdermi nulla!
Adesso fanno gli spambot anche in italiano?