Autore: Mark Twain
Titolo italiano: Un americano alla corte di Re Artù
Genere: Fantasy / Gonzo-Historical / Commedia / Picaresque
Tipo: Romanzo
Anno: 1889
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 350 ca.
Difficoltà in inglese: ***
So the world thought there was a vast matter at stake here, and the world was right, but it was not the one they had in their minds. No, a far vaster one was upon the cast of this die: the life of knight-errantry. I was a champion, it was true, but not the champion of the frivolous black arts, I was the champion of hard unsentimental common-sense and reason. I was entering the lists to either destroy knight-errantry or be its victim.
Un bel giorno Hank Morgan, giovane ingegnere del Connecticut, in seguito a una botta in testa crolla svenuto e si risveglia nell’Inghilterra del VI secolo d.C. Un cavaliere lo cattura e lo porta al castello del suo signore: il castello di Camelot, dove re Artù, il mago Merlino e i cavalieri della Tavola Rotonda gozzovigliano in allegria.
Inizialmente incredulo e convinto di trovarsi in un manicomio, a poco a poco Hank realizzerà non solo di aver davvero viaggiato indietro nel tempo, ma di poterne trarre vantaggio. Forte della sua scienza superiore, della sua capacità di costruire di tutto – pistole, cannoni, motori, eccetera – e del suo spirito pratico da yankee del Connecticut, Hank si farà largo in questo secolo barbaro, acquistando prestigio e fama di grande mago. Il suo scopo ultimo? Distruggere la cavalleria, la monarchia, la Chiesa, e portare in questi secoli bui la luce della civiltà e il bon ton del diciannovesimo secolo.
A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court è una divertente commedia giocata sul contrasto tra la razionalità pratica di uno yankee di fine Ottocento e la sognante stupidità del Medioevo feudale. Più che il Medioevo reale, a dire il vero, la satira di Twain colpisce la letteratura cavalleresca del Medioevo. La Camelot visitata da Hank non è un vero spaccato dell’Inghilterra del VI secolo, ma piuttosto il modo in cui le corti feudali del Due-Trecento – gente priva di prospettiva storica – si immaginavano quell’epoca: troviamo infatti cotte di piastre, tornei, il vassallaggio già istituito, e una Chiesa cattolica diffusa e ben organizzata.
Il romanzo ha un andamento picaresco: nel corso dei suoi viaggi attraverso quest’immaginaria Inghilterra medievale, lo yankee incontrerà una serie di personaggi e vivrà una serie di avventure. C’è una trama generale che si muove man mano che il protagonista procede nelle sue peregrinazioni, ma la maggior parte degli episodi è autoconclusiva. Ma, rispetto alla tradizione dei romanzi “di viaggio” sette-ottocenteschi, il personaggio di Hank non sarà solo uno spettatore passivo del mondo del romanzo o una vittima degli eventi, bensì diventerà il motore di un portentoso cambiamento…

Lo yankee si mimetizza nella folla.
Uno sguardo approfondito
Nello stile di Twain troviamo una giustapposizione di una prosa già moderna a residui di vekkiume.
Per esempio, anche in A Connecticut Yankee, nella tipica tradizione ottocentesca – dal Frankenstein di Mary Shelley al Lord Jim di Conrad – la narrazione principale è inserita in una cornice. In quest’ultima, l’Autore in persona conosce il protagonista della storia. Qualche bicchierino, e l’uomo si lascia andare a qualche confessione sulle sue prodigiose avventure, dopodiché lascia all’autore un diario contenente le sue memorie; e quando Twain comincia a leggere, allora inizia il romanzo vero e proprio. La cornice è poi recuperata in chiusura di romanzo, quando noi, e Twain con noi, finiamo di leggere le memorie e scopriamo cosa ne è stato del protagonista.
Oggi, per come siamo abituati, una cornice come questa sarebbe perfettamente inutile e anche controproducente, ma all’epoca era un’espediente quasi immancabile nella narrativa fantastica. I lettori, evidentemente meno abituati al fantastico, avevano bisogno di essere introdotti per gradi al sense of wonder, e attraverso una serie di filtri distanzianti (non è mai l’Autore a vivere in prima persona o a immaginare gli eventi della storia, ma li trae dalle parole di un’altra persona, o di un libro, e così via), perché potesse scattare la sospensione dell’incredulità. Oggi, gli svantaggi della cornice sono evidenti: sappiamo già dall’inizio che Hank non solo se la caverà, ma riuscirà anche a tornare al tempo presente per poter incontrare l’Autore. La suspence è ammazzata.
E veniamo, infatti, a un altro residuo di vekkiume che si incontra nel romanzo. Il corpo del romanzo è narrato in prima persona dallo yankee, e Twain dà alla sua voce narrante una coloratura pacata, lievemente divertita, da gentleman; una voce che ricorda romanzi come Tre uomini in barca di Jerome. Troviamo anche la tendenza, tipica dei romanzi pre-novecenteschi, di mescolare narrazione, aneddotica e pamphlettistica: in una pausa tra una situazione e l’altra, o in risposta a qualcosa che l’ha colpito, Hank non si fa problemi a lanciarsi in digressioni su questa o quell’istituzione o costume dell’Inghilterra medievale, o a fare paragoni tra il VI e il XIX secolo, o a disquisire di questioni teoriche come il giusto rapporto fra Stato e Chiesa o vantaggi e svantaggi della monarchia assoluta. Ciò che oggi chiamiamo infodump.
Una simile voce narrante, benché si sposi con i toni da commedia leggera del romanzo, distruggono la tensione e provocano nel lettore un distanziamento emotivo. Anche se, bisogna riconoscerglielo, in alcuni episodi “più sentiti” Twain riesce ad adottare toni più ravvicinati e drammatici: come il capitolo sulla casa colpita dalla peste, o quello in cui il protagonista rischia il patibolo, o i capitoli finali sulla grande guerra.
D’altro canto, Twain è un bravo mostratore, molto più di parecchi scrittori contemporanei. Nel descrivere un luogo, o una situazione o uno stato d’animo, impiega sempre dettagli concreti. Le sue descrizioni in genere sono ridotte all’osso, ma precise; Twain inserisce solo i dettagli che servono per poter seguire la storia. Per mostrare il modo in cui Hank, giorno dopo giorno, si rende conto dell’abisso apertosi tra la sua vecchia vita nel Connecticut e quella presente nel VI secolo, descrive la spartana dimora che gli è stata assegnata nel castello di Camelot e la mette a confronto, mobile dopo mobile, comodità dopo comodità, con una qualsiasi casa dei tempi moderni.
O ancora, vediamo come viene mostrato il personaggio di Sandy, damigella che segue lo yankee in alcune delle sue avventure e ha la brutta abitudine di non chiudere mai la bocca (e naturalmente, come tutte le donne, di dire solo frivolezze). Per comodità inserirò la citazione solo in italiano:
Era una creatura docilissima e di buon cuore, ma quel suo incessante macinar parole come un mulino, faceva venire il mal di testa, come il rumore di carri in città. Se avesse avuto un tappo, sarebbe stato un sollievo.
E Twain porta avanti la similitudine per diverse e righe (e pagine), infatti poco dopo:
Il suo cianciare andava avanti tutto il giorno e veniva fatto di pensare che, a un certo punto, sarebbe sicuramente accaduto qualcosa agli ingranaggi. Macché, non si guastavano mai, e non era mai costretta a rallentare per mancanza di parole. Era capace di macinare, pompare, frullare e ronzare per settimane, senza mai fermarsi per mettere un po’ d’olio o aprire lo sfiatatoio. Non avevo badato al suo mulino durante la mattinata perché mi trovavo in un vespaio di altri guai; ma in quel pomeriggio dovetti dirle più di una volta: – Riposati, bambina, se vai avanti così a consumare tutta l’aria del paese, il regno sarà costretto a importarne dell’altra per domani, e le finanze dello Stato sono già abbastanza povere senza questa spesa.
Come da tradizione per questo genere di romanzi, il protagonista ha una psicologia semplice e ridotta all’osso. Poche le linee guida che lo muovono, e che rimangono coerenti per tutto il romanzo: pratico, moderatamente puritano, amante dell’uguaglianza, con una visione del mondo estremamente razionale, imprenditore nato – insomma, lo yankee ottocentesco per antonomasia! In realtà, nel corso del romanzo, avviene in lui una certa evoluzione psicologica; ma si tratta di cambiamenti marginali, che vengono sottolineati solo in alcuni episodi circoscritti, e che non intaccano le linee guida della sua personalità né l’andamento generale della trama.
La cosa bella, è che Twain non ha fatto dei Hank il veicolo delle proprie opinioni, né un muro bianco su cui proiettare le stramberie dell’Inghilterra feudale; no, lo stesso yankee, e il mondo che rappresenta, diventano un oggetto comico. Hank prende in giro l’ingenuità dell’uomo medievale, ma poi spera di poter migliorare i costumi del VI secolo mandando alla ventura cavalieri con indosso réclame di saponi o dentifrici da lui stesso inventati, da diffondere nelle corti e da far indossare a tutti gli altri cavalieri che dovessero “catturare”! Ed è sempre lui a sognare di fare di ogni cavaliere un lavoratore modello di una delle sue nascenti aziende, e a far svalutare le monete che una volta all’anno il re elargisce ai sudditi per raggirare i postulanti e far risparmiare soldi alle casse dello Stato.
Proprio per questo, è un peccato quando Twain fa lanciare il suo personaggio in invettive morali sulla bruttura dello schiavismo e dell’aristocrazia, sulla necessità dell’uguaglianza e del suffragio universale. Essendo un uomo che viene dal New England della fine dell’Ottocento, non è difficile che possa avere delle idee del genere; ma è il modo didattico e grave in cui le enuncia a dare fastidio, un po’ perché sono cose che abbiamo letto e sentito chissà quante volte, un po’ perché sembrano fuori tema rispetto al carattere alla buona del personaggio. Non so; non conosco abbastanza né Mark Twain né la mentalità degli intellettuali dell’epoca per sapere se in quei passaggi effettivamente Hank diventi il veicolo delle idee dell’autore, o piuttosto non sia un ulteriore effetto comico (lo yankee fa tante concione morali, ma poi quando si tratta di soldi e di affari che lo riguardano direttamente, è peggio di un brianzolo!).
Il succo del romanzo, però, è naturalmente il ritratto della cavalleria. Che è divertentissimo. I Cavalieri della Tavola Rotonda sono come degli eterni bambini; si sfidano a duello, fanno a chi ha ucciso più giganti con un pugno solo, poi quando gli gira partono “alla Ricerca del Graal” e vagano più o meno a caso per anni e anni, vivendo avventure, e puntualmente bisogna mandare delle spedizioni di altri cavalieri a recuperarli. Gli uomini della corte di Camelot, e Artù stesso, sembrano in uno stato di allucinazione perenne – vedono avventure in ogni dove, trasformano un porcile in un castello incantato, i suini in principesse rapite, e i fattori in perversi orchi da sventrare.
Allo stesso modo Twain prende in giro la noiosissima letteratura cavalleresca, e le sue infinite ripetizioni di duelli in cui puntualmente le lance si rompono contro gli scudi, e i cavalieri vengono gettati giù da cavallo e il cavallo gli cade sopra, e i prodi più valorosi sbaragliano anche venti avversari uno dopo l’altro. I dialoghi tra lo yankee e la trasognata Sandy sono spassosissimi, e ho dovuto resistere alla tentazione di spammarne pagine e pagine nella sezione degli estratti – ma avrei finito con lo scrivere un immane articolo da 10000 parole e non mi sembrava il caso.
Certo, il Medioevo descritto da Twain è esagerato e grottesco, e chiunque abbia studiato un minimo di storia medievale si rende conto che bisogna prendere con le pinze ogni parola di questo romanzo. Gli uomini dell’epoca non erano un branco di ritardati (benché con ogni probabilità avessero un QI medio più basso), ma gente che sapeva come vivere e cavarsela nelle condizioni di quel periodo. Tuttavia, si tratta di un ritratto molto più fedele alla realtà di quello che potrete mai trovare nel “medieval fantasy” medio (o negli Elder Scrolls, se è per questo).

Uno non si imbatte semplicemente in fantasy medievali decenti.
E poi, naturalmente, c’è l’incontro tra l’antico e il moderno! Oltre ai cavalieri che vanno in giro coi cartelloni pubblicitari appesi al collo, abbiamo cavi del telegrafo che corrono tra capanne di fango, un cavaliere fatto esplodere con la dinamite, un giornale sportivo che descrive i duelli come fossero partite di baseball, e una giostra che finisce a revolverate.
Certo, l’idea del progresso tecnologico accelerato non è realizzata in modo troppo credibile, soprattutto se la raffrontiamo a un romanzo “serio” come Jack Faust di Swanwick (Consiglio #10). Anche tenuto conto della posizione raggiunta da Hank in seno alla corte di re Artù, è tutto troppo facile; in troppi pochi anni riesce a creare stabilimenti, un esercito di impiegati e una meraviglia tecnologia dopo l’altra. Molto giuste e interessanti, però, le osservazioni di Twain sull’importanza dell’educazione nel formare la visione del mondo degli individui, e la necessità di plasmare le menti delle nuove generazioni fin da giovanissime.
A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court è un romanzo delizioso, oltre che un pezzo importante della narrativa fantastica. Nonostante abbia più di un secolo, è invecchiato benissimo; molto meglio di tanta fantascienza degli anni ’40, ’50 e ’60 che mi sono trovato a leggere in questi anni.
Lo consiglio a tutti, e in particolare agli amanti del Fantasy medievale e agli aspiranti scrittori dello stesso genere. Perché? Be’, perché è una bella medicina alle indigestioni di Troisi, Paolini, Brooks e compagnia cantante. Potrebbe essere un primo passo per ridimensionare la vostra visione del Medioevo, e poi magari potrete passare alla saggistica.

Un altro esempio di pragmatismo.
Dove si trova?
Grazie a Dio i libri di Twain non sono più coperti dal copyright, perciò si trovano un po’ ovunque. Su Feedbooks si può trovare un epub gratuito formattato benissimo, come già era stato il caso di Last and First Men (ci sono anche il pdf e il kindle, ma non li ho scaricati e quindi non so se nono fiQi).
Spulciando su Amazon, ho visto che è disponibile un’edizione Kindle a 3 Euro. Considerando che si tratta della versione digitale di un’opera disponibile gratuitamente, mi auguro che sia formattata da Dio e sia corredata da un apparato critico scritto dalle più grandi menti della critica internazionale.
Chi devo ringraziare?
Ancora una volta mi tocca ringraziare Gamberetta, che l’ha giustamente inserito tra i suoi libri preferiti, accanto al discutibile Cuore d’acciaio di Swanwick e Le porte di Anubis di Tim Powers, che non ho ancora letto. Spero sia l’ultima volta, mi trovo a ringraziarla ogni tre-quattro post… u.u’
Qualche estratto
Avrei voluto pubblicare i soliti due estratti, ma per motivi di spazio mi sono limitato a uno solo. La comicità di Twain è data più dal quadro d’insieme che dai singoli sketch, perciò brani brevi non gli avrebbero reso giustizia. L’estratto che presento viene dal Capitolo 11, quando su ordine di re Artù il nostro yankee si prepara a partire all’avventura e a coprirsi d’onore. E chi meglio di una damigella in pericolo con qualche problema mentale potrebbe fornire il giusto pretesto per la prima avventura di Hank?
There never was such a country for wandering liars; and they were of both sexes. Hardly a month went by without one of these tramps arriving; and generally loaded with a tale about some princess or other wanting help to get her out of some far-away castle where she was held in captivity by a lawless scoundrel, usually a giant. Now you would think that the first thing the king would do after listening to such a novelette from an entire stranger, would be to ask for credentials— yes, and a pointer or two as to locality of castle, best route to it, and so on. But nobody ever thought of so simple and common-sense a thing at that. No, everybody swallowed these people’s lies whole, and never asked a question of any sort or about anything. Well, one day when I was not around, one of these people came along— it was a she one, this time— and told a tale of the usual pattern. Her mistress was a captive in a vast and gloomy castle, along with forty-four other young and beautiful girls, pretty much all of them princesses; they had been languishing in that cruel captivity for twenty-six years; the masters of the castle were three stupendous brothers, each with four arms and one eye— the eye in the center of the forehead, and as big as a fruit. Sort of fruit not mentioned; their usual slovenliness in statistics.
Would you believe it? The king and the whole Round Table were in raptures over this preposterous opportunity for adventure. Every knight of the Table jumped for the chance, and begged for it; but to their vexation and chagrin the king conferred it upon me, who had not asked for it at all.
By an effort, I contained my joy when Clarence brought me the news. But he— he could not contain his. His mouth gushed delight and gratitude in a steady discharge— delight in my good fortune, gratitude to the king for this splendid mark of his favor for me. He could keep neither his legs nor his body still, but pirouetted about the place in an airy ecstasy of happiness.
On my side, I could have cursed the kindness that conferred upon me this benefaction, but I kept my vexation under the surface for policy’s sake, and did what I could to let on to be glad. Indeed, I said I was glad. And in a way it was true; I was as glad as a person is when he is scalped.
Well, one must make the best of things, and not waste time with useless fretting, but get down to business and see what can be done. In all lies there is wheat among the chaff; I must get at the wheat in this case: so I sent for the girl and she came. […]
“Your name, please?”
“I hight the Demoiselle Alisande la Carteloise, an it please you.”
“Do you know anybody here who can identify you?”
“That were not likely, fair lord, I being come hither now for the first time.”
“Have you brought any letters— any documents— any proofs that you are trustworthy and truthful?”
“Of a surety, no; and wherefore should I? Have I not a tongue, and cannot I say all that myself?”
“But your saying it, you know, and somebody else’s saying it, is different.”
“Different? How might that be? I fear me I do not understand.”
“Don’t understand? Land of— why, you see— you see— why, great Scott, can’t you understand a little thing like that? Can’t you understand the difference between your— why do you look so innocent and idiotic!”
“I? In truth I know not, but an it were the will of God.”
“Yes, yes, I reckon that’s about the size of it. Don’t mind my seeming excited; I’m not. Let us change the subject. Now as to this castle, with forty-five princesses in it, and three ogres at the head of it, tell me— where is this harem?”
“Harem?”
“The castle, you understand; where is the castle?”
“Oh, as to that, it is great, and strong, and well beseen, and lieth in a far country. Yes, it is many leagues.”
“How many?”
“Ah, fair sir, it were woundily hard to tell, they are so many, and do so lap the one upon the other, and being made all in the same image and tincted with the same color, one may not know the one league from its fellow, nor how to count them except they be taken apart, and ye wit well it were God’s work to do that, being not within man’s capacity; for ye will note— ”
“Hold on, hold on, never mind about the distance; whereabouts does the castle lie? What’s the direction from here?”
“Ah, please you sir, it hath no direction from here; by reason that the road lieth not straight, but turneth evermore; wherefore the direction of its place abideth not, but is some time under the one sky and anon under another, whereso if ye be minded that it is in the east, and wend thitherward, ye shall observe that the way of the road doth yet again turn upon itself by the space of half a circle, and this marvel happing again and yet again and still again, it will grieve you that you had thought by vanities of the mind to thwart and bring to naught the will of Him that giveth not a castle a direction from a place except it pleaseth Him, and if it please Him not, will the rather that even all castles and all directions thereunto vanish out of the earth, leaving the places wherein they tarried desolate and vacant, so warning His creatures that where He will He will, and where He will not He— ”
“Oh, that’s all right, that’s all right, give us a rest; never mind about the direction, hang the direction— I beg pardon, I beg a thousand pardons, I am not well to-day; pay no attention when I soliloquize, it is an old habit, an old, bad habit, and hard to get rid of when one’s digestion is all disordered with eating food that was raised forever and ever before he was born; good land! a man can’t keep his functions regular on spring chickens thirteen hundred years old. But come— never mind about that; let’s— have you got such a thing as a map of that region about you? Now a good map— ”
“Is it peradventure that manner of thing which of late the unbelievers have brought from over the great seas, which, being boiled in oil, and an onion and salt added thereto, doth— ”
“What, a map? What are you talking about? Don’t you know what a map is? There, there, never mind, don’t explain, I hate explanations; they fog a thing up so that you can’t tell anything about it. Run along, dear; good-day; show her the way, Clarence.”
Oh, well, it was reasonably plain, now, why these donkeys didn’t prospect these liars for details. It may be that this girl had a fact in her somewhere, but I don’t believe you could have sluiced it out with a hydraulic; nor got it with the earlier forms of blasting, even; it was a case for dynamite.
Non è mai esistito un paese simile per i bugiardi erranti. E ce n’erano di ambo i sessi. Non passava mese senza che uno di questi vagabondi non arrivasse generalmente carico di racconti circa questa o quella principessa che, rinchiusa in un lontano castello, chiedeva aiuto per essere liberata dalla prigionia in cui la teneva un ribaldo fuorilegge, quasi sempre un gigante.
Ora, si potrebbe pensare che il re, sentita una simile favola da un perfetto sconosciuto, chiedesse per prima cosa le credenziali e magari un paio di indicazioni sulla località del castello, la strada migliore per arrivarci e così via. Ma nessuno pensava mai a una cosa tanto semplice e sensata. Macché, tutti bevevano le frottole di quella gente e non facevano mai domande di nessun genere, non s’informavano di niente. Ebbene, un giorno in cui io non c’ero, arrivò uno di quei tipi, era una donna questa volta, e raccontò una storiella del solito genere. La sua padrona era prigioniera in un immenso e tetro castello, insieme con altre quarantaquattro giovani e belle fanciulle, tutte più o meno principesse. Esse stavano languendo in quella crudele prigionia da ventisei anni. I padroni del castello erano tre stupefacenti fratelli, ognuno con quattro braccia e un solo occhio in mezzo alla fronte, grosso come un frutto. Genere del frutto: non specificato. La solita negligenza dei rendiconti.
Lo credereste? Il re e l’intera Tavola Rotonda andarono in visibilio davanti a questa assurda occasione di
avventure. Ogni cavaliere della Tavola Rotonda si fece prontamente avanti e implorò affinché gli venisse
concessa questa opportunità, ma con loro rabbia e dolore il re accordò l’onore a me che non l’avevo chiesto affatto.
Con uno sforzo contenni la mia “gioia” quando Clarence mi portò la notizia. Ma egli non riuscì a contenere la sua. Dalla sua bocca sgorgavano a fiotti gioia e gratitudine: gioia per la mia buona fortuna, gratitudine verso il re per questa splendida prova del suo favore per me.
Da parte mia avrei voluto maledire il favore che conferiva a me questa buona azione, ma, per ragioni di
diplomazia, tenni ben nascosta la mia contrarietà e feci del mio meglio per apparire contento. Be’, bisogna cavarsela alla meno peggio e non sprecare tempo in vane recriminazioni, ma mettersi al lavoro e
vedere cosa si può fare. Mandai a chiamare la ragazza, e lei venne. […]
– Il tuo nome, per favore?
– Mi chiamo damigella Alisanda la Carteloise, se non vi dispiace.
– Conosci qualcuno qui che ti possa identificare?
– Questo non è probabile, mio signore, essendo venuta qui ora per la prima volta.
– Hai portato delle lettere, dei documenti, delle prove, a dimostrare che sei persona degna di fiducia?
– Certamente no. Per quale ragione avrei dovuto? Non ho io una lingua e non posso dire tutto ciò io stessa?
– Ma vedi, che sia tu a dirlo e che lo dica un altro, è diverso.
– Diverso? Come può essere? Temo di non capire.
– Non capisci? Per la terra di… Ma vedi, vedi. Oh, perbacco, come fai a non capire una cosina tanto semplice? Non capisci la differenza fra la tua… Ma perché mi guardi con quell’aria innocente e idiota?
– Io? In verità non lo so, ma forse questo è il volere di Dio.
– Sì, sì, suppongo che sia più o meno così. Non farci caso se sembro un po’ agitato. Non lo sono. Ma cambiamo argomento. Ora parliamo di questo castello con quarantacinque principesse prigioniere dentro e tre orchi che comandano il tutto. Dimmi, dov’è questo harem?
– Harem?
– Il castello, hai capito. Dov’è il castello?
– Oh, in quanto a quello, è enorme, forte e ben difeso ed è situato in un lontano paese. Sì, a molte leghe da qui.
– Quante?
– Ah, messere, sarebbe estremamente complicato stabilirlo. Sono tante e si sovrappongono una all’altra ed essendo tutte uguali e dello stesso colore non si può distinguere una lega da quella accanto, né si sa come contarle…
– Basta, basta, lasciamo andare la distanza. Dove si trova il castello? In quale direzione da qui?
– Oh, non vi dispiaccia, messere, non c’è direzione da qui, perché la strada non va dritta, ma gira sempre. Quindi la direzione del luogo non è sempre la stessa, ma ora è posta sotto un cielo e poco dopo sotto un altro.
– Oh, va bene, va bene, lascia perdere. Non importa la direzione, al diavolo la direzione. Chiedo scusa, chiedo mille scuse, non mi sento bene oggi. Non far caso ai miei brontolii: è una vecchia abitudine, una vecchia e cattiva abitudine, difficile da vincere quando la digestione è sottosopra per aver mangiato roba coltivata secoli e secoli prima che venissi al mondo. Diamine! Un uomo non può avere funzioni regolari se mangia pollastrelli vecchi di milletrecento anni. Ma, suvvia, lasciamo perdere questo. Andiamo avanti. Hai con te una mappa di quella regione? Intendo una buona mappa…
– E’ per caso quella specie di cosa che ultimamente gli infedeli hanno portato dai grandi mari e che, bollita nell’olio e con l’aggiunta di una cipolla e di sale fa…
– Che? Una mappa? Che stai dicendo? Non sai che cosa è una mappa? Via, via, non importa, non spiegare nulla, detesto le spiegazioni: confondono le cose in modo tale che poi non si capisce più niente. Va’, va’, mia cara. Buongiorno. Clarence, accompagna madamigella Alisanda alla porta.
Ora, era abbastanza chiaro perché quei somari non tentassero neppure di interrogare quei bugiardi per conoscere i particolari. Poteva darsi che questa ragazza fosse a conoscenza di qualche fatto, ma non credo che si sarebbe riusciti a cavarglielo fuori con una pompa idraulica e nemmeno con i primi rudimentali metodi esplosivi; quello era un caso da dinamite.
Tabella riassuntiva
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