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I Consigli del Lunedì #08: Changing Planes

Changing PlanesAutore: Ursula K. LeGuin
Titolo italiano: Su altri piani
Genere: Fantasy / Pseudo-trattato
Tipo: Raccolta di racconti

Anno: 2003
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 250 ca.
Difficoltà in inglese: **

Si sa, stare nelle sale d’attesa degli aeroporti una, due, o anche più ore aspettando di poter salire sul proprio aereo è noioso e snervante. O almeno, lo era, finché Sita Dulip ha scoperto che, con una semplice torsione e uno scivolamento, si poteva viaggiare tra i piani.
Funziona solo nelle sale d’attesa degli aeroporti, ma si può andare ovunque: per esempio nel piano degli Asonu, un popolo dove a parlare sono solo i bambini, che durante l’adolescenza lentamente imparano l’arte del silenzio; o il piano dei Veksi, creature munite di zoccoli, e con mani dentro agli zoccoli, talmente facili all’ira e alla vendetta da vivere in uno stato di guerra pressoché permanente di tutti contro tutti; oppure il piano degli Ansarac, che vivono su un pianeta dall’orbita talmente ampia che una stagione dura 6-7 anni, e che conducono un’esistenza migratoria tra i deserti del sud e le fresche praterie montane del nord. Nel piano di Hegn l’intera popolazione è aristocratica, tutti sono imparentati gli uni con gli altri; e perciò le pochissime famiglie plebee sono trattate alla stregua di creature sacre; e nel piano degli Nna Mmoy, ridotto artificialmente ad una estrema semplicità biologica – pochissime varietà di piante e animali, e nessuna pericolosa – i suoi abitanti hanno compensato sviluppando un linguaggio talmente complicato e ambiguo da sfuggire alla comprensione dei linguisti più esperti. E c’è pure un piano che una multinazionale americana ha trasformato in un parco divertimenti per famiglie…
Inoltre, a viaggiare tra i piani il tempo scorre molto più lentamente che sulla Terra: così uno può anche trascorrere un week-end in giro tra le dimensioni e tornare in tempo per prendere l’aereo!

Avevo detto che non mi sarei occupato di racconti, ma qui voglio fare un’eccezione. Changing Planes, proprio come Cronache marziane di Bradbury, è una raccolta unita da un filo comune: la possibilità di viaggiare su piani diversi dal nostro. Dopo la breve cornice sulla scoperta del “metodo Sita Dulip”, ogni racconto della raccolta è dedicato a un piano diverso. Gli stili variano: si va dalla cronaca di viaggio in prima persona, allo pseudo-trattato etnografico, passando per le interviste informali con uno o più nativi del piano. In ogni caso, nei racconti non predomina mai o quasi l’azione. Come in Flatland, si tratta più che altro di un “ideario”: una raccolta di descrizioni di possibili mondi immaginari, che seguono regole o costumi diversi dal nostro.

Airport waiting room

Una sala d’attesa di aeroporto prima che Sita Dulip scoprisse il modo di viaggiare tra i piani. Notate la noia e il desiderio latente di spakkare tutto.

Uno sguardo approfondito
La qualità dei racconti è altalenante. Seasons of the Ansarac, Social Dreaming of the Frin – su una civiltà di creature che durante il sonno condividono i sogni gli uni degli altri, con le sue conseguenze – e The Royals of Hegn sono probabilmente i migliori; altri interessanti sono The Silence of the Asonu, The Ire of the Veksi, Great Joy, The Nna Mmoy Language, di cui ho già parlato prima, oppure Porridge on Islac – su una società che ha cominciato a produrre artificialmente ibridi biologici di ogni tipo, da donne-pannocchia a cani parlanti che dicono solo volgarità, con conseguenze disastrose – The Building – su una società i cui membri, per ragioni misteriose e forse dettate dai loro geni, spendono una parte della loro vita, e tutte le loro energie, nella costruzione apparentemente insensata di un edificio gigantesco e infinito – e The Fliers of Gi – su una società in cui alcuni individui sviluppano la capacità di volare, ma pagando un prezzo molto alto.
Altri racconti sembrano fuori posto rispetto allo spirito della raccolta. Wake Island, per esempio, potrebbe essere benissimo ambientato nel nostro mondo, dato che parla di un progetto scientifico che va a remengo in una civiltà del tutto simile alla nostra; The Island of Immortals non avrebbe bisogno di essere collocato su un piano diverso dal nostro, dato il setting limitato e remoto; idem per Confusions of Uni, che è un racconto sulle realtà virtuali. Ho letto da qualche parte che molti racconti della raccolta erano già stati scritti e pubblicati in modo indipendente; inserirli in questa raccolta mi sembra solo un bieco modo per fare numero. Altri racconti ancora sono semplicemente noiosi o insulsi, come Feeling at Home with Hennebet o Woeful Tales from Mahigul: succede poco, e quel che succede (in particolare nel secondo) è banale e molto poco fantasioso.
Nel complesso, comunque, i bei racconti superano di 3 a 1 quelli brutti o fuori posto.

Divertimento

Aeroporto dopo la scoperta del metodo Sita Dulip. Ora è molto più divertente.

La preparazione antropologica della LeGuin viene in aiuto della fantasia. Le specie senzienti che si incontrano nei racconti sono sempre credibili, perché l’autrice si preoccupa di darne una giustificazione ecologica e sociale (a volte scrivendola, a volte lasciandola intuire). Un mondo fatto di (quasi) soli pigri aristocratici sembrerebbe impossibile, autocontraddittorio; ma la LeGuin dà sufficienti spiegazioni da renderlo quantomeno plausibile. Alcuni racconti e alcune osservazioni – sulla ritualità tribale, sui rapporti tra il linguaggio e le pressioni ambientali – avrebbero potuto essere pensati soltanto da una persona preparata sull’argomento. Ergo: le idee della LeGuin non sono mai stupide.

Specularmente, la raccolta ha però anche due limiti: di fantasia e di stile.
Riguardo al primo, ho avuto l’impressione che la LeGuin abbia sottosfruttato l’idea originale. La possibilità di inventare da zero dimensioni alternative, con le loro regole, le avrebbe permesso di violare le leggi della fisica esistenti e inventare mondi completamente alieni dai nostri. Avrebbe potuto scrivere di creature senzienti o composizioni planetarie molto differenti dalle nostre. Invece la maggior parte dei suoi piani non fa che presentare civiltà con “costumi” diversi, o magari con qualche abilità o potere non-umano, ma che non le differenziano poi così tanto dal genere umano. Le specie presentate dalla LeGuin sembrano quasi tutte esseri umani con qualche differenza. Alcune – come ho già detto – potrebbero benissimo vivere nel nostro mondo.
Allo stesso modo, gli ambienti sono tutti o quasi delle “altre-Terre”. Pochi hanno delle differenze rilevanti, come il mondo degli Ansarac dalla lunghissima rivoluzione (idea peraltro già sfruttata dalla LeGuin nel mediocre romanzo hainita Planet of Exile). Questo è in parte giustificato dal fatto che gli esseri umani non potrebbero viaggiare su mondi troppo alieni rispetto al proprio (se non al rischio di una rapida dipartita), ma è comunque un peccato. Evidentemente la LeGuin non ha una sufficiente preparazione in fisica o biologia per immaginare mondi più bizzarri, o forse semplicemente non le interessa.

Specie aliene incredibbili!

Un alieno della LeGuin? Nella narrativa non si pagano trucco ed effetti speciali, non c’è ragione di limitare la fantasia!

L’altro problema è quello tipico dell’adottare uno stile “statico”, descrittivo e distante, a uno stile “dinamico”, in cui le cose succedono qui e ora. Vale l’osservazione che ho già fatto altrove: dove le idee sono abbastanza affascinanti, il lettore sopporta di buon grado l’assenza di azione e la lontananza del punto di vista – lo stile da pseudo-trattato può anche essere piacevole; dove le idee sono deboli o noiose, il disagio è raddoppiato. E purtroppo la LeGuin non ha né la creatività né il tono di un Abbott.
A volte poi si avverte un po’ troppo il giudizio personale della LeGuin – in sostanza, il suo odio verso il capitalismo selvaggio degli ameriCani, la sua diffidenza verso la ricerca scientifica incontrollata, e la sua simpatia verso le civiltà rurali, tribali, pre-industriali. Non lo fa in modo vistoso, né in modo ingenuo: non crede al mito del buon selvaggio, e di ogni specie ci fa vedere i lati belli e i lati sgradevoli. Ma una certa preferenza si fa sentire lo stesso, e un paio di volte mi sono trovato a pensare: “Mmh, qui c’è odore di Lipperini…”. Sensazioni fuggevoli, per fortuna ^-^

Su Ursula K. LeGuin
In Italia la LeGuin è conosciuta sostanzialmente per la saga di Earthsea, ma all’estero è almeno altrettanto famosa per la sua produzione fantascientifica. A me la LeGuin non fa impazzire: il suo stile si colloca tra il mediocre e l’orrido, e storie potenzialmente interessantissime sotto la sua penna diventano spesso noiose o piattine. In media, comunque, le sue opere fantascientifiche sono migliori; voglio segnalarne quattro, tre libri del Ciclo Hainita e una stand-alone novel.
Il Ciclo Hainita o Ciclo dell’Ecumene (Hainish cycle nell’originale) è, più che una saga, un’ambientazione condivisa: tutti i libri sono autoconclusivi e si svolgono su mondi differenti, per cui possono essere letti in qualsiasi ordine 1. Nel mondo del Ciclo Hainita, le più avanzate civiltà della Galassia si sono unite in una Lega dei Mondi interplanetaria, il cui scopo primario è di continuare a espandersi integrando sempre nuovi pianeti e popoli. Le varie civiltà membre rimangono però largamente indipendenti, perché nel mondo della LeGuin non si può valicare la velocità della luce, e i viaggi da un pianeta all’altro possono richiedere anche parecchi decenni o secoli. Solo le informazioni (in un primo tempo) e gli oggetti inanimati (successivamente) possono essere teletrasportati istantaneamente da un punto all’altro della Galassia, e questo grazie al dispositivo dell’ansible. Le storie del Ciclo Hainita sono quindi principalmente storie di esplorazione di altre civiltà e culture.
La mano sinistra delle tenebreThe Left Hand of Darkness (La mano sinistra delle tenebre), quarto libro del Ciclo Hainita, è ambientato su un pianeta glaciale i cui abitanti sono tutti degli ermafroditi. O meglio: per la maggior parte del tempo sono degli asessuati ibridi uomo/donna, e una volta al mese, quando entrano in calore, possono assumere per il breve tempo del corteggiamento e del rapporto sessuale i tratti dell’uno o dell’altro sesso, a seconda di chi hanno intorno. Un inviato della lega interplanetaria Ecumene, Genly Ai, si troverà a scendere sul pianeta nel momento in cui le due maggiori potenze si preparano alla guerra… L’argomento è molto affascinante, ma il romanzo è rovinato da uno stile piatto, un ritmo inesistente, e il fatto che per la maggior parte del tempo non succede mai niente. Non a caso le parti più interessanti sono quelle pseudo-saggistiche sullo stile di vita e il ritmo biologico degli ermafroditi. Rimane un libro curioso, che vale la pena provare a leggere.
I reietti dell'altro pianeta The Dispossessed (I reietti dell’altro pianeta), quinto libro del Ciclo Hainita, è un romanzo politico. Mentre sul pianeta Urras trionfa il capitalismo, sull’inospitale luna Anarres un gruppo di separatisti ha fondato una società anarchica, basata sulla mutua collaborazione e sull’assenza del denaro. Seguendo le vicende di Shevek, brillante fisico di Anarres, la LeGuin si interrogherà su pregi e difetti di ciascun sistema politico, e ci svelerà le origini dell’Ansible. E’ il più interessante tra i romanzi del Ciclo, ma anche questo è purtroppo ammazzato da uno stile piatto (con narratore rigorosamente onnisciente) e da una cattiva gestione dei tempi narrativi. Cronologicamente si situa prima di tutti gli altri romanzi del Ciclo.
Il mondo della forestaThe Word for World is Forest (Il mondo della foresta), sesto libro del Ciclo Hainita. Ambientato in un pianeta primitivo le cui terre emerse sono interamente ricoperte di una fitta foresta, racconta dello scontro – culturale e tecnologico – tra i Terrestri invasori e i nativi, umanoidi pelosi e alti un metro, organizzati in tribù e dotati di uno strano ciclo sonno-veglia. Il romanzo sarebbe anche interessante, non fosse per due difetti della LeGuin: la sua tendenza a trasformare le sue storie in pilloloni etici, e la sua fretta a etichettare i Buoni e i Cattivi, lasciando poco spazio a quella sana ambiguità morale che caratterizza i buoni libri. Cronologicamente si situa dopo The Dispossessed, ma prima di Rocannon’s World.
La falce dei cieliThe Lathe of Heaven (La falce dei cieli) è invece un romanzo autoconclusivo. In un mondo sovrappopolato e impoverito, il povero George Orr scopre di avere un potere terribile e che non riesce a controllare: i suoi sogni più vividi possono riplasmare retroattivamente la realtà. Per guarire sarà costretto a rivolgersi a uno psichiatra, il dottor Haber; ma cosa succederà quando il dottore si renderà conto della portata dei poteri di Orr? Di tutti i romanzi della LeGuin, questo è il più interessante, e anche quello scritto meglio; è probabile che in futuro gli dedichi un Consiglio.

Dove si trova?
In italiano, Su altri piani è stato edito dalla Nord nel 2005, assieme a diversi altri libri della LeGuin. Stanno tutti rapidamente sparendo dalla circolazione nelle librerie, ma in compenso si trovano ancora (per la maggior parte) su Amazon e IBS. In ogni caso, sul Mulo si trovano praticamente tutte le opere della LeGuin, anche in italiano.
Su library.nu si può trovare l’edizione originale di Changing Planes, che però ha un piccolo problema: per qualche ragione mancano una-due pagine del racconto Feeling at Home with the Hennebet. Non una grossa perdita (dato che non m’è piaciuto), ma il racconto non è semplicissimo da seguire e il taglio colpisce proprio un “momento cruciale” della storia.

Su altri piani

Copertina italiana. Per una volta bella quasi quanto quella originale (ma, tanto per cambiare, quei piedi angelici non c’entrano una sega col libro. Vabbé, è fantasy, deve andar bene per forza!)

Chi devo ringraziare?
In questo caso ringrazio la dolce Siobhàn, che l’ha letto prima di me e poi ha continuato a ripetermi per una settimana: “Leggilo! Leggilo! E’ fiQissimo!”. In realtà lei dice che sono stato io stesso a proporlo a lei (quando ancora non l’avevo letto), e potrebbe anche darsi, ma proprio non ricordo. E in quel caso, a me chi è che l’ha consigliato? Forse mi visita di notte lo Spirito Santo.

Qualche estratto
Il primo estratto è preso dal primo racconto, Porridge on Islac: Ai Li A Le racconta alla protagonista-narratrice degli esperimenti genetici che hanno gettato il suo piano nel caos. Il secondo estratto è invece un esempio dello stile ‘saggistico’ della raccolta. E’ tratto da Seasons of the Ansarac, e fa una breve panoramica della conformazione del piano e delle conseguenze che tale conformazione ha sui suoi abitanti.
Notate come ancora una volta la traduzione italiana sia approssimativa.

1.
“I’m corn, myself,” she said at last, shyly.
I checked the translatomat. Uslu: corn, maize. I checked the dictionary, and it said that uslu on Islac and maize on my plane were the same plant.
I knew that the odd thing about corn is that it has no wild form, only a distant wild ancestor that you’d never recognise as corn. It’s entirely a construct of long-term breeding by ancient gatherers and farmers. An early genetic miracle. But what did it have to do with Ai Li A Le?
Ai Li A Le with her wonderful, thick, gold-colored, corn-colored hair cascading in braids from a topknot…
“Only four percent of my genome,” she said. “There’s about half a percent of parrot, too, but it’s recessive. Thank God.” I was still trying to absorb what she had told me. I think she felt her question had been answered by my astonished silence.
“They were utterly irresponsible,” she said severely. […]
“I never saw a butterfly or a deletu. Only pictures… The insecticidal clones got them…
But the scientists learned nothing—nothing! They set about improving the animals.
Improving us! Dogs that could talk, cats that could play chess! Human beings who were going to be all geniuses and never get sick and live five hundred years! They did all that, oh yes, they did all that. There are talking dogs all over the place, unbelievably boring they are, on and on and on about sex and shit and smells, and smells and shit and sex, and do you love me, do you love me, do you love me. I can’t stand talking dogs”.

«Da parte mia», confessò infine, timidamente, «sono mais.»
Controllai il display del translatomat. Uslu: mais, granturco. Anche la funzione dizionario mi confermò che l’uslu di Islac e il mais del mio piano erano la stessa pianta. Conoscevo la strana caratteristica del granturco: non ha una forma selvatica, solo un lontano antenato che non gli somiglia af-
fatto. È in tutto e per tutto il risultato di una lunga selezione operata dagli antichi agricoltori e raccoglitori. Un vecchio miracolo genetico… ma cosa aveva a che fare con Ai Li A Le?
Ai Li A Le con i suoi meravigliosi, folti capelli color dell’oro, color del grano, che scendevano a trecce dall’alto della nuca…
«Solo il quattro per cento del mio genoma», precisò lei. «Ho anche lo zero virgola cinque di pappagallino, ma è recessivo. Grazie a Dio.»
Io stentavo ancora ad assorbire quanto mi aveva detto. Penso che abbia avuto la risposta dal mio silenzio carico di stupore.
«Erano assolutamente irresponsabili», disse con severità.[…] «Io non ho mai visto una farfalla o un deletu. Solo fotografie. I cloni insetticidi li hanno uccisi. Ma gli scienziati non hanno imparato la lezione… affatto! Si sono messi a migliorare gli animali. A migliorare gli uomini! Cani che parlano, gatti che giocano a scacchi! Esseri umani che erano invariabilmente geniali, non si ammalavano mai e vivevano cinquecento anni! E hanno fatto tutto questo, oh, certo, come l’hanno fatto! Ci sono cani parlanti dappertutto, e sono scocciatori insopportabili, parlerebbero per ore di sesso, di cacca e degli odori! che hanno annusato negli angoli. ‘Odore’, ‘Cacca’, ‘Sesso’, e: ‘Mi vuoi bene?’, ‘Dimmi che mi vuoi bene’, e: ‘Quanto bene mi vuoi?’. Non sopporto i cani parlanti».

Philosoraptor

Anche il Philosoraptor si interroga sui pericoli della manipolazione genetica.

2.
Their world has a larger sun than ours and is farther from it, so, though its spin and tilt are much the same as Earth’s, its year lasts about twenty-four of ours. And the seasons are correspondingly large and leisurely, each of them six of our years long.
[…] They inhabit two continents, one on the equator and a little north of it, one that stretches up towards the north pole; the two are joined by a long, mountainous bridge of land, as the Americas are, though it is all on a smaller scale. The rest of the world is ocean, with a few archipelagoes and scattered large islands, none with any human population except the one used by the Interplanary Agency.
The year begins, Kergemmeg said, when in the cities of the plains and deserts of the south, the Year Priests give the word and great crowds gather to see the sun pause at the peak of a certain tower or stab through a certain target with an arrow of light at dawn: the moment of solstice. Now increasing heat will parch the southern grasslands and prairies of wild grain, and in the long dry season the rivers will run low and the wells of the city will go dry. Spring follows the sun northward, melting snow from those far hills, brightening valleys with green… And the Ansarac will follow the sun.
“Well, I’m off,” old friend says to old friend in the city street. “See you around!”.

Il loro mondo ha un sole più grande del nostro, ma è più lontano dall’astro, cosicché, anche se la sua inclinazione e il suo periodo di rotazione sono pressappoco quelli della Terra, il suo anno dura circa 24 dei nostri. E le stagioni sono analogamente lunghe e senza fretta, ciascuna dura sei dei nostri anni.
[…] Abitano su due continenti, uno situato sull’Equatore e un po’ più a nord del Tropico, e il secondo che si stende in direzione del Polo Nord. I due continenti sono uniti da un tratto di terreno stretto, lungo e montuoso, un po’ alla maniera delle due Americhe, anche se il tutto su una scala più pic-cola. Il resto del mondo è oceano, con alcuni arcipelaghi e qualche grande isola, nessuna abitata tranne quella occupata dall’Agenzia Interplanaria.
L’anno inizia, mi raccontò Kergemmeg, quando nelle città del sud, in mezzo a quelle pianure desertiche, i Sacerdoti dell’Anno danno l’annuncio e grandi folle si radunano per vedere il sole fermarsi sulla cima di una certa torre o colpire con un dardo di luce, all’alba, un certo punto-bersaglio: il momento del solstizio. Da quell’istante in poi l’aumento della temperatura inaridirà i pascoli del sud, le praterie di cereali selvatici; nella lunga stagione asciutta i fiumi si abbasseranno e i pozzi delle città si prosciugheranno. La primavera segue il sole verso il nord, sciogliendo la neve di quei lontani monti, rallegrando di verde le valli. E gli ansar seguono il sole.
«Bene, io me ne vado», si annunciano l’un l’altro i vecchi amici, nelle strade delle città. «Ci si vede!»
.

Tabella riassuntiva

Alcuni racconti hanno un setting molto fantasioso. Alcuni racconti sono noiosi e/o poco fantasiosi.
Le razze della LeGuin sono coerenti e ben pensate. Setting e specie spesso sono troppo poco “alieni”.
I racconti sono intrecciati tra loro in modo intelligente. Stile cronachistico o trattatistico che può venire a noia.

(1) Gli unici che leggerei nell’ordine in cui sono stati scritti sono il secondo e il terzo libro del ciclo – Planet of Exile e City of Illusions – perché i legami tra le due ambientazioni sono molto più stretti di quanto accada in genere. Anche se non ci sono molte ragioni per leggerli, a meno che non siate dei fanatici della LeGuin: Planet of Exile è mediocre, e City of Illusions è proprio bruttino.Torna su