Archivi del mese: luglio 2013

I Consigli del Lunedì #35: Holy Fire

Holy FireAutore: Bruce Sterling
Titolo italiano: Fuoco sacro
Genere: Science Fiction / Cyberpunk / Social SF / Bildungsroman
Tipo: Romanzo

Anno: 1996
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 300 ca.

Difficoltà in inglese: ***

No matter how carefully she guarded herself, life was too short. Life would always be too short. 

Mia Ziemann ha 94 anni ed è all’apice della sua carriera. Nulla di strano, in un tardo XXI secolo in cui i progressi della tecnologia medica sono tali da aver eliminato quasi qualsiasi malattia e rallentato i processi di invecchiamento al punto che si può vivere in gran forma anche un paio di secoli. La società moderna è dominata da una bonaria gerontocrazia, che ha posto fine alle guerre e ha reso possibile una vita dignitosa per tutta la popolazione terrestre, al prezzo di schiacciare e tenere lontane dal potere le nuove generazioni. La sanità è pubblica e accessibile a tutti, ma ci sono delle graduatorie – e solo chi ha uno stile di vita impeccabile avrà accesso alle cure migliori e potrà vivere più a lungo.
Mia ha sempre vissuto un’esistenza cauta, controllata, calcolatrice, così da assicurarsi una splendida e lunga vecchiaia. Ma la morte di un ex amante che non vedeva da ottant’anni e l’incontro con una coppia di ragazzi focosi la riempiono di incertezze e di rimpianti. Ora Mia rivuole la sua giovinezza. E un rivoluzionario trattamento medico potrebbe ridargliela, restituendole un corpo da ventenne. Quello che non sa è che ci sono degli effetti collaterali: non solo il suo corpo, ma anche la sua mente, le sue emozioni, i suoi sogni, potrebbero ritornare quelli di una impulsiva ventenne. E la nuova Mia potrebbe non voler più sottostare al rigore metodico della vecchia Mia. Potrebbe decidere di fare qualche pazzia, come ribattezzarsi Maya, prendere e scappare senza un soldo nella favoleggiata vecchia Europa. Ma cosa la aspetta alla fine del viaggio – felicità o disillusione? E chi la spunterà, la vecchia Mia o la giovane Maya?

Bruce Sterling è spesso considerato, almeno in Italia, l’amico sfigato di William Gibson. Lo ricordiamo come l’ideologo del cyberpunk, o come il curatore dell’antologia di racconti cyberpunk Mirrorshades, e al limite, quando lo pensiamo come scrittore, ci vengono in mente i lavori a quattro mani con Gibson. Perciò mi ha colpito scoprire che in realtà Sterling è uno scrittore più interessante di Gibson. Le cose che scrive sono molto più sci-fi di quelle di Gibson – che ha sempre strizzato l’occhio al mainstream e ci si è buttato dopo pochi anni – il suo amore per il weird e la speculazione futuristica molto più evidente.
Holy Fire non è il migliore tra i romanzi di Sterling ma è quello che più ha catturato la mia curiosità. A differenza del cyberpunk tradizionale, il futuro di questo romanzo non è una società capitalistica andata a male, zeppa di povertà e criminalità; al contrario è un mondo quasi utopico, dove tutti stanno bene o hanno il potere di farlo. La domanda, che trovo molto affascinante, è se anche un eccesso di moralismo, di controllo, di benessere imposto, di paternalismo, possa portare a un’infelicità di massa.


Quale altra colonna sonora avrebbe potuto avere un romanzo come questo?

Uno sguardo approfondito
La struttura di Holy Fire è atipica per un cyberpunk: è quella del Bildungsroman, o romanzo di formazione. Se avete mai letto libri come Il giovane Holden o Demian o L’apprendistato di Wilhelm Meister sapete di cosa parlo: il protagonista si imbarca in un viaggio senza meta o scopo, alla ricerca di un senso alla propria vita e di un posto da ritagliarsi nel mondo. In questo tipo di storie non c’è, in genere, la catena di causa/effetto tipica del romanzo d’azione; si succedono, invece, una serie di episodi più o meno slegati, ciascuno dei quali fa ‘crescere’ in qualche modo il protagonista. Alla fine del percorso, il personaggio sarà qualcuno di diverso da quello che era all’inizio.
Holy Fire segue il medesimo canovaccio. Dopo un primo capitolo introduttivo, che ci dà un assaggio del mondo del romanzo e ci familiarizza con la psicologia della protagonista, Mia si sottopone al trattamento ringiovanente – e da qui comincia la sua fuga e il suo viaggio iniziatico attraverso l’Europa del 2100, fatto di incontri, dialoghi filosofici ed esperienze di vita. E se il primo capitolo ha ancora un po’ il sapore della fantascienza sociale “classica”, andando avanti se ne stacca sempre di più.

Capirete bene che in un romanzo come questo, il realismo dei personaggi, l’immersività della narrazione e la capacità di immedesimarsi completamente nella protagonista (ossia tutti gli elementi cardine dello ‘scrivere bene’ in narrativa) sono tutto. Non bastano le idee geniali, perché Holy Fire vuole arrivarti alla pancia, parlarti delle scelte di base nella vita di una persona e del senso della vita. Fortunatamente Sterling scrive piuttosto bene. Il romanzo è in terza persona attraverso un unico pov, quello della protagonista, e l’autore ci si attiene per tutto il libro. Non assistiamo mai a niente che Mia non veda con i propri occhi.
Il rapporto mostrato/raccontato è più ambivalente. Quando vuole, Sterling è molto bravo a mostrare. Prendiamo uno degli episodi iniziali del libro: Mia si imbatte nel delizioso cane parlante Plato, il quale le comunica con evidente sofferenza che il suo padrone (nonché ex amante di lunga data di Mia) sta morendo e vorrebbe vederla. Senza stare a dirci molto del carattere di Mia, Sterling ce lo fa capire attraverso i suoi gesti e le sue parole: il modo freddo, esitante, impacciato con cui tratta prima il cane e poi l’uomo. La sua quasi indifferenza di fronte al loro dolore. Lo stesso cane Plato è un bell’esempio di mostrato. Si tratta di un cane intelligente, ma di intelligenza modesta, e i suoi istinti sono pur sempre quelli di un cane: Sterling lo fa parlare e agire in modo buffissimo, con inconsequenzialità, facilità a distrarsi, l’importanza degli odori e la fedeltà ingenua verso il proprio padrone.

Cane parlante

Non è che se un cane impara a parlare diventa Einstein.

Altre volte, Sterling si abbandona senza problemi al raccontato – che si tratti di esplorare le sensazioni di Mia in quel momento o, ancora più spesso, lanciarsi in infodump sulla sua ambientazione. Il secondo capitolo comincia così: “The medical-industrial complex dominated the planet’s economy”, e Sterling va avanti per pagine e pagine a spiegarci, da bravo narratore onnisciente, in che modo il complesso medico-industriale domini l’economia mondiale. Non che non sia capace di mostrare le sue invenzioni in azione, o di spiegarcele attraverso le parole di un personaggio. Ad esempio, il trattamento ringiovanente rivoluzionario a cui si sottoporrà Mia ci viene spiegato nel dettaglio dal suo medico. Semplicemente, Sterling usa l’uno o l’altro metodo in modo indifferenziato, come se non cogliesse la differenza.
Si perdona facilmente, in realtà: il worldbuilding di Holy Fire è veramente spettacolare e lo si legge rapiti anche quando ci viene fatto piovere dall’alto. Sul piano macroscopico, veniamo introdotti a poco a poco alle tante piccole crudeltà che conseguono da una società organizzata secondo principi moralistici e salutisti, dove lo stato di salute di ciascuno è tracciato continuamente anche contro la propria volontà. Nessuno ti vieta (legalmente) di bere alcol, fumare, assumere droghe; ma se lo fai, questo lascerà tracce sul tuo profilo medico, e scenderai di graduatoria. E se il tuo cattivo comportamento diventa sistematico, non avrai mai accesso ai trattamenti, il che significa il peggiore degli stigmi sociali: guardare i tuoi coetanei rimanere giovani, belli e in salute mentre tu invecchi, diventi brutto e malato… E questo è solo un piccolo esempio di tutte le conseguenze immaginate da Sterling.
Ma Sterling è brillante anche sul piano microscopico, e il romanzo è disseminato da piccole invenzioni affascinanti. Ad esempio, i “ninnoli” da indossare per entrare nella realtà virtuale (che in Holy Fire, a differenza degli ingenui cyberspazi degli anni ’80, ricordano gli ambienti customizzabili tipo Second Life). Sterling aveva capito una cosa per nulla scontata: che per commercializzare una tecnologia mass market, il design è importante quanto l’utilità pratica. Sicché, per entrare nella realtà virtuale, due orecchini diventano delle cuffie, un neo finto da poggiare accanto al labbro il microfono, le ciglia finte dei tracciatori dei movimenti oculari e così via.

Insomma, sul piano fantascientifico Holy Fire è una gioia. Ma come romanzo di formazione? Ecco – qui cominciano i problemi. E sono parecchi.
Il conflitto centrale, il cuore del romanzo, dovrebbe essere il rapporto tra la vecchia e la giovane Mia. Abbiamo due individualità intrappolate nella stessa persona, separate fin quasi a sfiorare lo sdoppiamento di personalità con obiettivi antitetici: Maya odia l’esistenza an-emotiva di Mia e vuole ribellarsi, uscire dalla gabbia di regole e bon-ton che si è costruita e vivere una vita “autentica”; e d’altro canto, Mia è terrorizzata dall’impulsività di Maya, teme giustamente di perdere la propria reputazione, e che un momento di pazzia possa distruggere settant’anni di duro lavoro. E chi dei due abbia più ragione non è scontato. Insomma, sembra materiale perfetto per dare corpo a un conflitto avvincente, no? 1
No. A parte qualche piccolo confronto in un paio di punti cruciali del libro, il rapporto tra Mia e Maya è quasi inesistente. Il conflitto è ai minimi termini. Né si tratta di un episodio isolato – sembra che Sterling cerchi per tutto il romanzo di appianare ogni conflitto o momento di tensione ogni volta che si affaccia. C’è un punto, nel romanzo, in cui Mia sfugge a un agguato violento; di colpo si sente braccata, ricercata dalla polizia e dai medici che seguivano la sua terapia prima che scappasse. E’ terrorizzata, in preda ai sensi di colpa, non sa cosa fare. Cosa fa Sterling? Avanti veloce a quando Mia risolve la situazione e si ritrova in pace con il suo pugno di alleati. Un’altra volta, la sua terapia ha un rigetto e Mia rischia di morire. Cosa fa Sterling? Avanti veloce a quando Mia è guarita e in salute. What the fuck?

Old medicine

Si stava meglio quando si stava peggio.

Il conflitto tra Mia e Maya, poi, dovrebbe essere uno specchio per parlare del conflitto su larga scala del mondo di Sterling: quello tra i vecchi e i giovani. Ma anche quest’ultimo rimane poco a fuoco. Nei suoi viaggi, Mia/Maya incontra ragazzi di ogni tipo: furfantelli, artisti, rivoluzionari, hacker. Tutti questi fanno un gran parlare della condizione infelice in cui sono tenuti dai vecchi che tengono le redini della società. Ma appunto: sono tutte chiacchiere. Sterling ci parla, parla, parla, delle ingiustizie e dei problemi di questo ordinamento sociale, ma mostra poco, e non convince. Troppo spesso i giovani europei di Holy Fire sembrano soltanto dei ragazzetti viziati che si lamentano per attirare l’attenzione, che fanno i ribelli ma poi vivono senza una preoccupazione.
Spesso Sterling sembra anche perdersi negli stereotipi sulla gioventù e la vecchiaia. I giovani non sono tutti impulsivi e irrazionali, i vecchi non sono tutti dei gelidi calcolatori (mi sento quasi cretino a dirlo); eppure in Holy Fire troviamo di continuo questa polarità. Il comportamento scatenato di Maya si potrebbe spiegare come una reazione violenta all’eccesso di autocontrollo nella vita di Mia, ma troppo spesso Sterling sembra spiegarlo con un “perché sì, perché è giovane”.

E si potrebbe andare avanti a lungo. Il personaggio di Maya è perfetto in modo insopportabile, praticamente una Mary Sue: giovane e bellissima, ma al contempo intelligentissima e affascinante per via della sua reale età, tutti gli uomini cadono ai suoi piedi e tutte (o quasi) le donne la invidiano. Tutto le riesce facile, non deve mai sforzarsi per avere ciò che vuole. Per non parlare del gusto sgradevole di Sterling per i discorsi filosofici ad cazzum (in cui spesso i dialoghi con i radical chic europei si arenano) e gli pseudo-intellettualismi. Ditemi ad esempio cosa vuoldire questo periodo:

Now she was beginning to get the hang of it. It was beyond eros, beyond skin. Skinlessness. Skinless memory. Bloody nostalgia, somatic déjà vu, neural mono no aware. Memories she was not allowed to have. From sensations she was not allowed to feel.

Mary Sue

Eccomi qui, mentre rifletto sul mono no aware.

Diversi degli episodi del viaggio di formazione di Mia non sembrano neanche appartenere al mondo futuristico di Holy Fire. In un attico della vecchia Praga, dove (giustamente) i palazzi sono ancora quelli che conosciamo e nulla sembra cambiato, la storia tra Mia e l’artista Emil potrebbe essere tratta pari pari da un romanzo dell’Ottocento – e in effetti mi ha ricordato da vicino il rapporto tra la borghese Bette e lo scultore Wenceslaw di un romanzo di Balzac, La cugina Bette. E uno si chiede: sto ancora leggendo sci-fi?
Al contempo però, il rapporto tra Mia ed Emil, vasaio depresso che a causa di una malattia dimentica ogni mattina quel che gli è successo il giorno prima, è uno dei momenti più belli del romanzo. Dirò di più: è una delle storie d’amore che più mi abbia commosso negli ultimi anni, e questo nonostante occupi una porzione piccola del libro. E funziona anche perché sembra senza tempo.
Né è giusto dire che tutti i dialoghi del romanzo finiscano in merda pseudo-filosofica. La giovane matematica che vuole calcolare il momento storico in cui il progresso della scienza medica sarà tale da rendere virtualmente immortali gli esseri umani è deliziosa; così come il discorso di Paul sulla differenza tra un originale e una replica. L’interrogatorio di Helene Vauxcelles-Serusier è affascinante, e non si può rimanere freddi di fronte alla vicenda del cane Plato.

Insomma, Holy Fire è uno di quei romanzi che si ama o si odia; o, nel mio caso, si ama e si odia contemporaneamente. Per spiegare il mio rapporto con questo libro, uso l’immagine delle montagne russe. Nei suoi momenti più alti, è veramente figo; ma subito dopo precipita ed è merda. Se il worldbuilding è spettacolare, le invenzioni geniali e alcuni personaggi ben fatti, come romanzo di formazione non vale niente, e i tentativi di Sterling di suonare profondo sono adolescenziali.
Merita davvero di essere consigliato? Be’, dipende. Di sicuro Holy Fire non è una storia d’azione o d’avventura o di suspence; è un romanzo di idee, fatto di dialoghi e monologhi interiori. Il ritmo è lento e il conflitto (ingiustificatamente) debole. Il che già allontanerà una parte dei lettori. Per quelli che restano, il mio consiglio è il seguente: scaricatelo e provate a leggerlo. Può valerne la pena, e forse sarete toccati da quelle riflessioni esistenzialiste che a me hanno lasciato freddo. E se invece a un certo punto vi venisse voglia di scaraventare il libro dalla finestra, sentitevi pienamente giustificati.

Su Sterling
Oltre a Holy Fire ho letto altri tre romanzi di Sterling:
 Schismatrix (La matrice spezzata) è una space-opera politica e avventurosa, ambientata in un futuro in cui l’umanità ha colonizzato il sistema solare, ha abbandonato la Terra e sta raggiungendo nuovi stadi evolutivi. Attraverso la vita bicentenaria di Abelard Lindsey, prima giovane rivoluzionario, poi disilluso diplomatico e poi altro ancora, assisteremo allo scontro senza fine tra le due superpotenze post-umane degli Shaper (Mutaforma) e Mechanist (Meccanisti). Un po’ cyberpunk e un po’ biopunk, l’ambientazione ricorda quella del coevo Vacuum Flowers senza essere altrettanto bella. Ma il romanzo, pur affascinante, soffre di eccesso di worldbuilding: infodump a manetta e avvenimenti fuori scena sono la norma, e la tensione va spesso a farsi benedire. Consiglio di procurarsi l’edizione Schismatrix Plus, che contiene i racconti di Sterling sull’universo Shaper/Mechanists (racconti che aveva composto prima di scrivere il romanzo), e di leggere i racconti prima del romanzo, per avere un’esperienza migliore.
Islands in the Net Islands in the Net (Isole nella rete) è un thriller cyberpunk ambientato in un futuro recente. Laura Webster, PR di un’organizzazione di diplomatici democratici chiamata Rizome, si troverà con la sua famiglia al centro di una rete di intrighi e omicidi internazionali. Nonostante all’epoca della sua uscita presentasse molte idee rivoluzionarie sulla Rete, e una versione del cyberspazio molto più aderente alla realtà rispetto a quella dei coevi romanzi gibsoniani dello Sprawl, oggi questo romanzo di Sterling sembra il meno immaginativo e più banale dei suoi. Molte idee affascinanti rimangono, ma affondano comunque in una narrativa lenta e in personaggi noiosi. Datato.
The Difference Engine The Difference Engine (La macchina della realtà), scritto a quattro mani con Gibson, è un’ucronia steampunk tra le più influenti sul genere. Siamo in una Londra vittoriana alternativa in cui la realizzazione della macchina analitica di Babbage ha risvegliato l’entusiasmo per la tecnologia e ha modificato l’equilibrio delle potenze europee. Peccato per l’eccesso di spocchia degli autori, che rende la lettura frustrante e le varie trame difficili da seguire. Ho già parlato di questo romanzo nel Consiglio del Lunedì #26.
Credo di essermi fatto un’idea piuttosto chiara di Sterling. Ha un sacco di idee affascinanti, ma purtroppo finisce spesso per affogarle nell’intellettualismo, nei giri di parole finto-colti, in questa sua tendenza a fare della filosofia spicciola. I commenti che ho letto sui suoi romanzi degli ultimi quindici-vent’anni non sono incoraggianti, quindi credo di aver letto il meglio di Sterling. Direi che per ora sono a posto.

Dove si trovano?
Tutti i libri di Sterling summenzionati si trovano, in lingua originale, sia su Bookfinder che su Library Genesis (assieme a quasi qualsiasi altro romanzo mai pubblicato dall’autore). Di Holy Fire e The Difference Engine si trovano anche l’ePub e il mobi, mentre di Islands in the Net e Schismatrix Plus solo il formato pdf.

Chi devo ringraziare?
Ad attirare la mia attenzione su questo libro stavolta è stato Charles Stross (l’autore di Singularity Sky e Accelerando). In risposta a un utente che sul suo blog gli chiedeva di consigliargli qualche bel titolo poco conosciuto, ecco cos’ha detto Stross a proposito di Holy Fire:

13 years old and unjustly overlooked, this ought to be one of the classics of medium-future extrapolation

In effetti, Holy Fire è stato poi incluso (non so se proprio in seguito a questo commento di Stross) da Paul Di Filippo e Broderick nella loro lista dei 101 migliori romanzi di fantascienza scritti tra il 1985 e il 2010.

Qualche estratto
I tre estratti che ho scelto vengono tutti dal primo capitolo, prima che Mia si sottoponga al trattamento ringiovanente. Il primo è l’incontro tra Mia e il cane Plato (che io adoro); il secondo è la descrizione dell’interfaccia virtuale che Mia deve indossare per connettersi al cyberspazio; l’ultimo, un momento di crisi notturna da cui nascerà la decisione, nella protagonista, di tornare giovane.

1.
A dog was following her up Market Street, loping through the crowd. She stopped behind the shadowed column of a portico and stretched out her bare hand, beckoning.
The dog paused timidly, then came up and sniffed at her fingers.
“Are you Mia Ziemann?” the dog said.
“Yes, I am,” Mia said. People walked past her, brisk and purposeful, their solemn faces set, neat shoes scuffing the red brick sidewalks. Under the steady discipline of Mia’s gaze, the dog settled on his haunches, crouching at her feet.
“I tracked you from your home,” bragged the dog, panting rhythmically. “It’s a long way.” The dog wore a checkered knit sweater, tailored canine trousers, and a knitted black skullcap.
The dog’s gloved front paws were vaguely prehensile, like a raccoon’s hands. The dog had short clean fawn-colored fur and large attractive eyes. His voice came from a speaker implanted in his throat.
A car bleeped once at a tardy pedestrian, rudely breaking the subtle urban murmurs of downtown San Francisco. “I’ve walked a long way,” Mia said. “It was clever of you to find me. Good dog.”
The dog brightened at the praise, and wagged his tail. “I think I’m lost and I feel rather hungry.”
“That’s all right, nice dog.” The dog reeked of cologne. “What’s your name?”
“Plato,” the dog said shyly.
“That’s a fine name for a dog. Why are you following me?”
This sophisticated conversational gambit exhausted the dog’s limited verbal repertoire, but with the usual cheerful resilience of his species he simply changed the subject. “I live with Martin Warshaw! He’s very good to me! He feeds me well. Also Martin smells good! Except not … like other days. Not like …” The dog seemed pained. “Not like now.… ”
“Did Martin send you to follow me?”
The dog pondered this. “He talks about you. He wants to see you. You should come talk to him. He can’t be happy.” The dog sniffed at the paving, then looked up expectantly. “May I have a treat?”
“I don’t carry treats with me, Plato.”
“That’s very sad,” Plato observed.
“How is Martin? How does he feel?”
A dim anxiety puckered the hairy canine wrinkles around the dog’s eyes. It was odd how much more expressive a dog’s face became once it learned to talk. “No,” the dog offered haltingly, “Martin smells unhappy. My home feels bad inside. Martin is making me very sad.” He began to howl.
The citizens of San Francisco were a very tolerant lot, civilized and cosmopolitan. Mia could see that the passersby strongly disapproved of anyone who would publicly bully a dog to tears.
“It’s all right,” Mia soothed, “calm down. I’ll go with you. We’ll go to see Martin right away.”
The dog whined, too distraught to manage speech.
“Take me home to Martin Warshaw,” she commanded.
“Oh, all right,” said the dog, brightening. Order had returned to his moral universe. “I can do that. That’s easy.”
He led her, frisking, to a trolley. The dog paid for both of them, and they got off after three stops.

 

2.
Stuart gave Mia a battered touchslate and a virtuality jewel case. Mia retired to the netsite’s bathroom, with its pedestal sinks and mirrors. She washed her hands.
Mia clicked open the jewelry case, took its two featherlight earring phones, and cuffed them deftly onto her ears. She dabbed the little beauty-mark microphone to the corner of her upper lip. She carefully glued the false lashes to her eyelids. Each lash would monitor the shape of her eyeball, and therefore the direction of her gaze.
Mia opened the hinged lid of a glove font and dipped both her hands, up to the wrists, into a thick bath of hot adhesive plastic. She pulled her hands out, and waved them to cool and congeal.
The gloves crackled on her fingers as they cured and set. Mia worked her finger joints, then clenched her fists, methodically. The plastic surface of the gloves split like drying mud into hundreds of tiny platelets. She then dipped her gloves into a second tank, then pulled free. Thin, conductive veins of wetly glittering organic circuitry dried swiftly among the cracks.
When her gloves were nicely done, Mia pulled a wrist-fan from a slot below the basin. She cracked the fan against her forearm to activate it, then opened it around her left wrist and buttoned it shut. The rainbow-tinted fabric stiffened nicely. When she had opened and buttoned her second wrist-fan, she had two large visual membranes the size of dinner plates radiating from the ends of her arms.
The plastic gloves came alive as their circuitry met and meshed with the undersides of the wrist-fans. Mia worked her fingers again. The wrist-fans swiftly mapped out the shape of the gloves, making themselves thoroughly familiar with the size, shape, and movements of her hands.
The fans went opaque. Her hands vanished from sight. Then the image of her hands reappeared, cleverly mapped and simulated onto the outer surfaces of the wrist-fans. Reality vanished at the rim of the fans, and Mia saw virtual images of both her hands extended into twin circles of blue void.
Tucking the touchslate under one arm, Mia left the bathroom and walked to her chosen curtain unit. She stepped inside and shut and sealed the curtain behind her. The fabric stiffened with a sudden top-to-bottom shudder, and the machine woke itself around her. The stiff curtain fabric turned a uniform shade of cerulean. Much more of reality vanished, and Mia stood suspended in a swimming sky blue virtuality. Immersive virtuality—except, of course, for the solid floor beneath her feet, and the ceiling overhead, an insect-elbowed mess of remote locators, tracking devices, and recording equipment.
The fabric curtain was woven from glass fiber, thousands of hair-thin multicolored fiber-optic scan-lines. Following the cues from her false eyelashes, the curtain wall lit up and displayed its imagery wherever Mia’s eyesight happened to rest. Wherever her gaze moved and fell, the curtain was always ahead of her, instantly illuminated, rendering its imagery in a fraction of a second, so that the woven illusion looked seamless, and surrounded her.
Mia fumbled for a jack and plugged in the touchslate. The curtain unit recognized the smaller machine and immediately wrapped her in a three-hundred-and-sixty-degree touchplate display, a virtual abyss of smoky gray. Mia dabbled at the touchscreen with her gloved fingertips until a few useful displays tumbled up from its glassy depths: a cycle tachometer, a clock, a network chooser.
She picked one of San Francisco’s bigger public net gates, held her breath, and traced in Martin Warshaw’s passtouch. The wall faithfully sketched out the scrawling of her gloved fingertip, monster glyphs of vivid charcoal against the gray fabric.
The tracing faded. The curtain unit went sky blue again. Nothing much happened after that. Still, the little tachometer showed processing churning away, somewhere, somehow, out in the depths of the net. So Mia waited patiently.

3.
The truth was starker: she was old. Night cramps were a minor evil. People got very old, and strange new things went wrong with them, and they repaired what the racing and bursting technology allowed them to repair, and what they could not cure they endured. In certain ways, night cramps were even a good sign. She got leg cramps because she could still walk. It hurt her sometimes, but she had always been able to walk. She wasn’t bedridden. She was lucky. She had to concentrate on that: on the luckiness.
Mia wiped her sweating forehead on her nightgown’s sleeve. She limped into the front room. Brett was still asleep. She lay there undisturbed, head on one arm, utterly at peace. The sight of her lying there flooded Mia with déjà vu.
In a moment Mia had the memory in focus, beating at her heart like a moth in a net. Looking in one night at her sleeping daughter. Chloe at five, maybe six years old. Daniel with her, at her side. The child of their love asleep and safe, and happy in their care.
Human lives, her human life. A night not really different from a thousand other nights, but there had been a profound joy in that one moment, an emotion like holy fire. She had known without speaking that her husband felt it, too, and she had slipped her arm around him. It had been a moment beyond speech and out of time.
And now she was looking at a drugged and naked stranger on her carpet and that sacred moment had come back to her, still exactly what it was, what it had been, what it would always be. This stranger was not her daughter, and this moment of the century was not that other ticking moment, but none of that mattered. The holy fire was more real than time, more real than any such circumstance. She wasn’t merely having a happy memory. She was having happiness. She had become happiness.
The hot glow of deep joy had shed its bed of ashes. Still just as full of mysterious numinous meaning. As rich and alive and authentic as any sensation she had ever had. Emotion that would last with her till death, emotion she would have to deal with in her final reckoning. A feeling bigger than her own identity. She felt the joy of it crackling and kindling inside her, and in its hot fitful glow she recognized the poverty of her life.
[…] Mia heard her own voice in the silent air. When the sentence struck her ears, she felt the power of a terrible resolve. An instant decision, sudden, unconscious, unsought, but irrevocable: “I can’t go on like this.”

Tabella riassuntiva

Uno scenario cyberpunk atipico e affascinante. I conflitti centrali del romanzo sono sempre annacquati.
Grande abilità nel mostrato e nella gestione del pov. Gestione distratta degli infodump.
La narrazione è disseminata di invenzioni geniali. Si perde nello pseudo-filosofico e nei discorsi astratti.
Alcuni episodi sono bellissimi. Maya è una Mary Sue.


(1) Questo conflitto, tra parentesi, ricorda quello visto in Vacuum Flowers di Swanwick, dove due donne condividono lo stesso corpo: Rebel Elizabeth Mudlark, la protagonista, e la cinica hacker Eucrasia Welsh. In questo caso, però, si tratta a tutti gli effetti di due persone diverse.
Peccato che Sterling non abbia saputo fare della situazione un elemento di conflitto altrettanto avvicente.Torna su

Cane parlante