Il prezzo della magia

Spongebob magicIo ho un problema col fantasy. Il mio problema è la magia.
Messa nelle mani di uno scrittore inesperto, la magia è come una pistola carica data a un bambino: poco poco finisce che si spara nei piedi. Benché sia l’elemento caratterizzante del genere, ciò che lo distingue dai generi limitrofi del fantastico, ha una natura così indefinita che diventa molto difficile da manipolare per lo scrittore. La magia può essere qualsiasi cosa si voglia. Per questo, una delle prime cose che è necessario fare quando si inventa il proprio mondo fantasy (o anche quando solo si crea una storia fantasy nel nostro mondo) è definire quali saranno le regole del nostro sistema magico.
Se non ci chiariamo bene questo punto, se non facciamo emergere nel corso della storia le limitazioni della magia, e se non manteniamo una coerenza interna nell’uso della magia, tutto il nostro bel mondo sembrerà una costruzione arbitraria e finta. Cadremo nel “perché sì, perché è fantasy!”. Persa la sospensione dell’incredulità, il lettore si rende conto che sta solo leggendo un libro, non vivendo una storia; l’immersione viene meno a si rimette il libro nello scaffale (o si chiude il reader).

Che la magia sia più spesso una seccatura piuttosto che un interessante power-up da aggiungere alla nostra ambientazione, si capisce dal fatto che molti decani della narrativa fantasy abbiano cercato di arginarla in tutti i modi, limitandone la presenza nel mondo e il numero di persone in grado di usarla. Nel Signore degli Anelli troviamo una serie (ridotta) di artefatti e creature magiche, ma la quasi totalità dei personaggi non è in grado di usare la magia e non la usa; e chi è in grado di usarla è ove possibile allontanato dal party in modo tale da non sbilanciare gli incontri. Nella saga di Martin, il sovrannaturale è un elemento di cornice che viene rigorosamente tenuto il più lontano possibile dalla storia principale, e sembra quasi messo solo perché il reparto marketing possa pubblicizzarlo come Fantasy invece che come Beautiful fanta-storico di ambientazione medievale.
Altri autori hanno scelto una strada diametralmente opposta. Swanwick, nei suoi due romanzi più dichiaratamente fantasy (The Iron Dragon’s Daughter e The Dragons of Babel), ha creato un mondo volutamente impossibile. Qui la magia permea ogni cosa, ogni abitante, viola esplicitamente ogni logica. Ma Swanwick ambienta le sue storie a Faerie, il mondo sovrannaturale del folklore; e le regole della sua magia sono tutte meta-narrative: si ispirano più o meno fedelmente a leggende e miti delle tradizioni di questo o quel popolo terrestre. Benché l’effetto sia molto colorato e affascinante, e questi romanzi trasudino sense of wonder a palate, non è una scelta che mi piaccia troppo: è tutto molto meta-, tutto ha senso solo se si concepisce il mondo dei romanzi come uno specchio rovesciato del nostro. Si riesce a godere appieno i due romanzi a patto di concentrarsi sul percorso di crescita del protagonista e non tanto su come funzioni il mondo che lo circonda. Di fatto, la Faerie di Swanwick è tutta un grande (e consapevole) “perché sì, perché è fantasy!”.

Ratzinger magic

Quando bisogna decidere cosa sarà la “magia” nel nostro libro, si presentano due domande, una interna al mondo della narrazione, l’altra esterna. La prima è: “Che cos’è la magia nel mio mondo?”. E’ un potere interiore, una forza fisica, un patto con gli déi o degli spiriti sovrannaturali? Si acquisisce con lo studio, la meditazione, la preghiera, la masturbazione? La seconda è: “Qual’è il prezzo per lanciare una magia?” O in altre parole: quali sono le limitazioni all’uso della magia nella mia storia?
Che la magia richieda un costo è d’obbligo: se non ci fosse un prezzo da pagare, cosa impedirebbe a chiunque nell’ambientazione di utilizzarla di continuo? Se lanciare un incantesimo fosse facile come starnutire, come fanno gli abitanti del tuo mondo a coesistere in società più o meno ordinate, invece di essere ciascuno un dio immortale all’interno del proprio sistema solare personale? Alcuni scrittori hanno risolto facendo della magia una prerogativa di alcuni individui, persone speciali che hanno un “dono”. Ma in realtà, il problema è solo spostato: perché anche queste persone, non vivono lanciando magie continuamente. Per dirla con Orson Scott Card:

First, you don’t want your readers to think that anything can happen. Second, the more carefully you work out the rules, the more you know about the limitations on magic, the more possibilities you open up in the story.

Si può partire da qualsiasi delle due domande, per decidere come funzioni il proprio sistema magico – ma trovo più interessante e utile partire dalla seconda. E’ partendo da quale sia il prezzo della magia, che si definisce chi potrà essere un mago e chi no, cosa sia possibile fare con la magia e cosa no, che ruolo ricopriranno i maghi all’interno della società, e quale livello di sviluppo tecnologico (o dovrei dire tecnomagico?) la suddetta società potrà avere.

Se la magia è accessibile a pochi, ma per questi pochi lanciare il singolo incantesimo è poco costoso, cosa impedisce questi pochi fortunati di essere i governanti, la cima della piramide sociale del nostro mondo? Se viceversa la magia è accessibile a tutti, ma il singolo incantesimo ha un costo elevato (ad esempio: ogni volta che lanciamo un incantesimo perdiamo un anno di vita), i maghi non governeranno la società ma saranno probabilmente dei subordinati. Una volta deciso quale sarà il costo, insomma, si può a ritroso definire tutte le regole del nostro sistema, e infine stabilire che cosa sia più in generale la magia nel nostro mondo, quale ne sia l’origine. Insomma, partire da ciò che serve effettivamente alla trama che vogliamo sviluppare per arrivare a definire, alla fine, i massimi sistemi della nostra ambientazione.

Oppure fai come la Rowling e scrivi la prima cosa che ti viene in mente. A lei è andata bene no?

Più facile a dirsi che a farsi. Ma proprio perché è difficile chiarirsi le idee sulla magia, ho sempre cercato romanzi fantasy che mi offrissero un approccio nuovo all’argomento. Il mese scorso abbiamo visto ad esempio la bilogia Dark Fantasy di James Blish, composta da Black Easter e The Day After Judgement. Come per la Faerie di Swanwick, anche in questi due romanzi il sistema magico non è inventata di sana pianta ma è ripresa dal nostro folklore – nel caso di Blish, dalla demonologia dei grimori medievali e rinascimentali.  E come le fiabe, anche i grimori non sembrano essere mai stati troppo precisi nel definire le regole della magia.  Diversa però è l’ottica dei due autori. Blish infatti, benché sia sempre stato affascinato dalla religione cristiana, dalla teodicea e dalla magia nera, non ha mai abbandonato il suo approccio razionalista alle cose.
In Black Easter, c’è un passaggio in cui il mago nero Theron Ware cerca di spiegare la sua arte all’ingegnere Rudolf Hess, uno degli uomini del magnate Baines. Nell’ambientazione di Blish, chiunque può imparare a usare la magia – benché poi ci siano individui più talentuosi e altri meno, come in tutte le arti. Se non tutti lo sono, però, è perché imparare a usare la magia è un’attività molto dispendiosa, in termini di tempo ed energie. Bisogna forgiare da sé tutti gli oggetti che si impiegheranno nei rituali. Bisogna sottoporsi a pratiche di purificazioni complicate ed estenuanti, come digiunare o meditare perfettamente immobili per giorni.

Il potere magico, inoltre, non è in possesso degli uomini, ma deriva direttamente dai demoni: fare una magia significa indurre un demone a fare qualcosa per noi. L’attività principale del mago nero è dunque quella di convocare il debole e piegarne la volontà, per farsi offrire una prestazione. E’ un’attività che logora il fisico e la psiche, perché il demone non aspetta altro che commettiate un passo falso per divorarvi l’anima. Un’unica evocazione – che servirà a chiamare un solo demone per un unico compito – richiede giorni di preparazione, uno sforzo terribile durante il rituale, e altri giorni per purificarsi a rito finito.
Non sorprende che ci siano così pochi maghi in circolazione, allora, in un’epoca in cui la maggior parte delle azioni che si possono compiere con la magia possono essere più facilmente eseguite senza (un omicidio? Si può usare un sicario. Soldi a palate? Qualche speculazione azzeccata in Borsa). Né sorprende che anche un mago eviti volentieri la magia quando può. In questo caso, la magia è a portata di tutti ma il costo per ogni singolo incantesimo è elevato. Per dirla con Theron Ware:

One thing you must understand is that magic is hard work. I don’t use it out of laziness, I am not a lazy man, but by the same token I do take the easier ways of getting what I want if easier ways are available.

Demon's Souls

I demoni sono crudeli. Chi ha giocato a Demon’s Souls lo sa.

Riflettere sul costo della magia è interessante anche perché può diventare il fulcro di tutta una serie di problemi morali. In Final Fantasy VII, la magia è ricavata estraendo e raffinando l’energia vitale stessa del pianeta. Questo significa che ogni volta che si crea e si usa magia, si sta a poco a poco distruggendo il mondo in cui viviamo. Un simile problema etico, se ben gestito, può diventare il cuore stesso della storia.
L’argomento è ben illustrato da Orson Scott Card nel suo manuale How To Write Science Fiction & Fantasy (di cui vi avevo già parlato in un vecchio articolo). Al tema della magia Scott Card dedica due misere paginette, ben lontane dall’esaurire l’argomento; tuttavia, le idee che menziona sono abbastanza suggestive da meritare di essere riportate:

The price of magic might be the loss of parts from the human body. It’s simple, it’s painful, and it’s grotesque to imagine—sounds like a great idea to me. And there are as many variations here as there were with time travel. Here are several different ways you might turn this idea into a useful magic system:

1. When the magic user casts a spell, he loses bits off his own body, always starting with the extremities. He’s never sure quite how much he’s going to lose. Inevitably, however, missing fingers or hands or feet or limbs begin to be taken in society as a sign of great power—so that young people who wish to seem formidable pay to have fingers and, sometimes, limbs removed, with scars artfully arranged to look like those that magicians have. It’s hard to tell who really has power and who only seems to. (Your story might be about somebody who refuses to mutilate himself; he’s universally regarded as a powerless coward. Which, in fact, he is—until there comes a time when a spell is needed to save his city, a spell so powerful that only a person with his entire body intact can cast it—and the spell will use up all his limbs at once. Does he do it? If so, why?)

2. The magic user must actually cut off a part of his own body, or have it cut off, casting the spell while the bone is being incised. The longer he endures the pain and the larger the section of his body being removed, the more power he obtains. A whole profession of Removers would spring up, people skilled at the excruciatingly slow removal of limbs, using drugs that, while they don’t dull the pain, do allow the magician to remain lucid enough to perform the spell. (Here’s a chance for an interesting twist on a science fiction staple: a future society devoted to “harmless” recreational drugs. Why not have a Remover who goes into the underground apothecary trade, selling the drugs to people who just want the heightened mental effects? What will the magicians do to him then?)

Harry Potter junkie

3. The magic user does not have to cut off his own body part; he can cut off somebody else’s. Thus magicians keep herds of human beings—social rejects, mental defectives, and so on—to harvest their limbs for power. In most places this practice would be illegal, of course, so that their victims would be concealed or masquerade as something else. (A good horror story using this magic system might be set in our contemporary world, as we discover people living among us who are secretly harvesting other people’s limbs.)

4. The magic user can only obtain power when someone else voluntarily removes a body part. Thus magic is only rarely used, perhaps only at times of great need. If a private person wishes to hire a spell done, he must provide not only payment to the wizard, but also a part of his body. And at a time of great public need, the hero is not the wizard, but the volunteer who gives up part of his body so the
spell can be cast to save the town. (How about a psychological study of a pair of lovers, one a magician, the other a voluntary donor, as we come to understand why the one is willing to give up his or her body parts for the other’s use?)

5. When the magician casts a spell, someone loses part of his body, but he can’t predict who. It has to be someone known to him, however, someone connected to him in some way. And, while wizards all know this dark secret of their craft, they have never told anyone, so that nobody realizes that what causes limbs to wither up and fall off is really not a disease, but rather the wizard up the street or off there in the woods or up in the castle tower. (And here’s the obvious variation: What if some common but nasty disease in our world is really the work of secret magicians? That’s why certain diseases go in waves: twenty years ago it was bleeding ulcers; now it’s colon cancer. And the hero of our story is a wizard who is trying to stop the suffering he and others like him are causing.)

6. When a wizard casts a spell, body parts wither and fall off the person he loves the most. The love can’t be faked; if he loves himself most, it is himself who loses body parts. The greater the love, the greater the power—but also the greater the suffering of the wizard when he sees what has happened to the person he loves. This makes the most loving and compassionate people the ones with the most potential power and yet they’re the ones least likely to use it. (Here’s a monstrous story idea: The child of loving parents who wakes up one morning without a limb and, seeing her devoted father getting paid, begins to suspect the connection between her maiming and his wealth.)

You get the idea. There are at least this many permutations possible with every other source of magic I’ve ever heard of. And the stories you tell, the world you create, will in many ways be dependent on the decisions you make about the rules of magic.

La magia è un’arma a doppio taglio. E’ un concetto così nebuloso che se non lo trattiamo con la cura dovuta (ma solo come power-up per i nostri personaggi maghi) rischia di non avere senso e vanificare la credibilità del nostro mondo; ma al tempo stesso sono possibili talmente tante combinazioni, che può diventare un’infinita fonte di idee e conflitti e ambiguità morali per le nostre storie.
E’ mia intenzione presentarvi, nelle prossime settimane e mesi, altri autori e storie che hanno fatto un uso creativo e intelligente della magia – proprio come ho fatto con le due novellas di James Blish. Storie in cui la magia non è un elemento di contorno ma il cuore stesso del worldbuilding e dei conflitti che vi si svolgono. Ne vedremo un piccolo esempio – se tutto va bene – lunedì prossimo. Intanto, se avete degli spunti creativi che volete condividere, sono tutti bene accetti.

Magic trick

24 risposte a “Il prezzo della magia

  1. Articolo molto interessante. Bravo Tapi!
    Anche il tuo proposito di approfondimenti futuri è allettante.

    Sottoscrivo anche quanto detto in merito alla necessaria “onerosità” dell’elemento magico. Vorrei considerare in più solo una cosa. Tu scrivi:

    ” Per questo, una delle prime cose che è necessario fare quando si inventa il proprio mondo fantasy (o anche quando solo si crea una storia fantasy nel nostro mondo) è definire quali saranno le regole del nostro sistema magico. ”

    Che è giusto. Ma imho c’è anche da considerare che la magia, se ben concepita, dovrebbe pur sempre essere un elemento di MISTERO all’interno dell’intreccio. Qualcosa di sovrannaturale proprio nel senso che SOVRASTA l’uomo, gli è sopra, scombina tutte le sue certezze sui come del mondo fisico (che a livello base sono quelle del “senso comune”, a livello più consapevole le certezze scientifiche) SENZA sostituirle con altre certezze. Per me magico fa rima con ORRORIFICO.
    (Per cui ovviamente aborro le palle di fuoco una tantum e le bacchettine da bimbiminkia di Harry Potter)
    Quindi, magari va bene che sul suo notepad l’autore abbia ben grassettati tutti i per come e perchè. Ma nel suo romanzo io vorrei che questi mi venissero più centellinati possibili.
    Perchè, se l’autore mi da’ la precisa scansione di tutti i PER COME (step1 dì la parola magica step2 agita il braccio step3 casta la palla di fuoco) o peggio ancora anche dei PERCHE’ (ti stai connettendo con gli Dei, stai attingendo all’energia del cosmo, ecc) il tutto rischia di diventarmi una scienza 2.0, solo più sminchiata di quella vera (*)
    Fino ad arrivare all’estremo massimo, quello della Magia-scienza, ovvero i poteri ESP, che normalmente (mangari non sempre!) vengono intesi quali modalità eccezionali ma comunque naturali di modificare la natura (es. la telecinesi: incendio un foglio di carta perchè con la forza della mente ne faccio vibrare le molecole)

    Quindi nel mio fantasy ideale:
    I PER COME devono essere molto confusi (per tornare al tuo esempio, si digiuna ma non si sa bene perchè funzioni, la purificazione è fatta in modo diverso da ognuna delle sette, il costo dell’incantesimo è diverso e più o meno grave a seconda della persona o del caso…).
    I PERCHE’ devono essermi centellinati, con rivelazione solo nel finale del libro/saga o magari manco lì.
    Solo così imho si mantiene intatto il fascino dirompente dell’elemento magico. Poi ovvio, magari questa è solo la MIA personale visione della magia.

    (*) Non che la scienza sia sempre così prodiga di certezze. Pensiamo alle fibbre ottiche: funzionano, ma ancora non si sa bene il perchè.

  2. La magia è sempre un problema per chi vuole coerenza, è vero, il rischio che diventi un deus ex machina è sempre in agguato.
    Aggiungo un altro possibile fattore limitante: per diventare bravi maghi bisogna studiare molto, questo richiede delle scuole e, in un contesto pre-contemporaneo, solo pochi potranno ambire ad entrare in quelle scuole. Magari i figli dei nobili e ricconi…

    Per lo stesso problema, potrebbe non essere possibile per in singolo individuo apprendere tutta la conoscenza magica ma solo una piccola parte, magari di tipo curativo, divinazione, ecc… Il mago da battaglia potrebbe non essere tanto comune.

  3. @Dago:

    Anche il tuo proposito di approfondimenti futuri è allettante.

    Sì: questo, come altri scritti in passato, è più che altro un articolo introduttivo all’argomento.

    Quindi, magari va bene che sul suo notepad l’autore abbia ben grassettati tutti i per come e perchè. Ma nel suo romanzo io vorrei che questi mi venissero più centellinati possibili.

    E’ esattamente la visione che ho io della cosa.
    Si ritorna all’iceberg di Hemingway. Il lettore vede solo il risultato finale dell’enorme lavoro a monte dello scrittore. Perché l’autore deve sapere il meglio possibile come funzioni la sua magia anche se questa rimane qualcosa di misterioso nel romanzo: per evitare di inserire nel romanzo possibili contraddizioni o deus ex machina che sospendano l’incredulità.

    Anche io apprezzo molto un tipo di magia ‘aliena’ e orrorifica, alla Lovecraft; il tipo di magia che rimane misterioso perché quando un essere umano prova ad avvicinarla rischia a ogni istante di impazzire o di diventare qualcosa di orribile. La magia nera di Blish si avvicina a questa concezione.
    Al contempo, però, mi piace anche una magia molto razionalizzata e scientifica. Spero di riuscire a raggiungere una commistione delle due, anche se per ora sono lontano dall’esserci riuscito in modo soddisfacente…

    @Van Horstmann:

    Aggiungo un altro possibile fattore limitante: per diventare bravi maghi bisogna studiare molto, questo richiede delle scuole e, in un contesto pre-contemporaneo, solo pochi potranno ambire ad entrare in quelle scuole. Magari i figli dei nobili e ricconi…

    Certo, ma questo dipende sempre da cosa si sceglie come prezzo dell’incantesimo.
    Se poniamo che per castare una magia bisogna, come proponeva Scott Card, mutilarsi delle parti del corpo, è improbabile che saranno nobili e ricconi a sottoporsi a questo trattamento: la classe regnante vorrà rimanere viva e integra, e far fare il lavoro sporco a qualcun altro.
    Sarebbe più un mestiere da subordinati d’elite. Ma potrebbe diventare uno strumento di ascesa sociale incredibile in una società (quella pre-industriale) in cui tipicamente di mobilità sociale non ce n’è molta: persino il figlio di un contadinotto, con la giusta disciplina e sufficiente talento, potrebbe arrivare a diventare un grande mago e servire i signori che governano la società. A patto di essere pronto, alla prima richiesta dei suoi signori, ai sacrifici della professione.

  4. @Tapiro
    interessante.
    spero anch’io in futuri approfondimenti.
    però mi ricordo che agli inizi del blog avevi parlato di una magia basata sulla logica. possibile?

  5. Fantastico argomento.
    Nel serial Once Upon a Time viene detto che “Magic has always a price” e il prezzo per La Maledizione con le maiuscole è sacrificare il cuore di chi più si ama. Anche lì non si può falsificare il sentimento.

    Spero ti occuperai anche del ciclo della Caduta di Malazan in cui la magia è praticamente fulcro di almeno 1 storyline e mezzo e vi sono, credo, almeno 3 sistemi magici cronologicamente collegati (arcaico, grezzo, raffinato). Mi ha sempre affascinato il mondo creato da Erikson.

    Beh, non mi resta che augurarti buona fortuna e aspettare il prossimo articolo in merito!

    S.G.

    PS: sarebbe bello anche esplorare brevemente la magia come viene vista nei giochi di ruolo…!

  6. @Reno:

    però mi ricordo che agli inizi del blog avevi parlato di una magia basata sulla logica. possibile?

    Ti ricordi bene!
    E’ una linea di pensiero che non ho mai abbandonato. Purtroppo allo stato attuale sono ben lontano dall’avere un articolo completo sull’argomento… Vedremo in futuro.

    Spero ti occuperai anche del ciclo della Caduta di Malazan in cui la magia è praticamente fulcro di almeno 1 storyline e mezzo e vi sono, credo, almeno 3 sistemi magici cronologicamente collegati

    Non saprei: dato il mio scarso amore per i cicli di romanzi, non ho mai letto Erikson. Un’altra proposta che finisce nella cesta dei “vedremo”.

    sarebbe bello anche esplorare brevemente la magia come viene vista nei giochi di ruolo…!

    Questa è un po’ vaga.
    Giochi di ruolo ce n’è di ogni tipo, e qualcuno lo abbiamo già incontrato – vedi l’articolo di poche settimane fa su Shin Megami Tensei: Nocturne. Ma in genere la magia negli rpg è tutto meno che interessante: è una “moneta magica”, un sistema di punteggi pensato per bilanciare i personaggi giocabili di un party e non certo per creare mistero o fascino. Nell’rpg medio, la magia non è nemmeno un elemento narrativo.

  7. @Tapiro
    ok. Alliora terrò le dita incrociate. 🙂

  8. Pingback: Bonus Track: The Alchemist / The Executioness | Tapirullanza

  9. Molto interessante, se ti consola è anche un cruccio per chi fa giochi di ruolo trovare la giusta quadra tra regole strampalate e coerenza narrativa.

    Ogni tanto mi ripropongo di scrivere una fanfict su Harry Potter, un mondo dove la pozione polisucco sia usata per scopi sessuali e si sviluppi un vasto mercato di peli e capelli di celebrità.
    Un mondo dove gli uomini si incontrino in posti dedicati per “fare a turno”.

    Cmq Card ce l’ha con ste mutilazioni!
    Un anime abbastanza a tema se interessa è Puella magi madoka magica, non è un capolavoro ma è carino per il principio che tu puoi esaudire un qualsiasi desiderio e poi diventi una fata e il tuo compito diventa combattere le streghe e nutrirti della loro essenza in quanto ti serve per lanciare incantesimi e sconfiggere le streghe stesse, in pratica ti condanni per la vita attraverso un unico desiderio realizzato.

    In ogni caso mi piace molto di più il prezzo da pagare per la società nel suo insieme che per il singolo.
    Il singolo alla fine fa un po’ quello che vuole ma come sarebbe una società dove lanciare magie sarebbe dannoso per tutti alla lunga?
    O se morisse gente a caso?
    (e questo mi ricorda un trailer di un fintofilm francese che racconta la distopia dove ogni volta che qualcuno si masturba una persona a caso nel mondo muore).

    Aspetto con ansia gli altri articoli!

  10. Sembra il posto giusto dove lasciare questa segnalazione: tra un paio di settimane uscirà questo: http://www.inverbisvirtus.com/
    È un videogioco fantasy che utilizza un sistema magico a riconoscimento vocale. Cioè, per attivare le magie nel gioco il giocatore deve recitare una breve formula ad alta voce nel microfono.
    Anche se le formule magiche sono il tipo di magia più vecchio del mondo, come idea di gameplay penso sia abbastanza carina. Da un lato risolve il fatto che nei videogiochi spesso “magia” significhi solo “selezionare l’incantesimo giusto da un menù”, dall’altro potrebbe anche rendere più complesse le meccaniche, perché i pochi secondi necessari a recitare la formula diventano un sacco in tempo di videogioco. Comunque di sicuro aiuterà con l’immersione, è anche in prima persona.
    Poi vabbè, è un gioco indie, tra l’altro di un team italiano, val la pena di darci un’occhiata anche solo per quello.

  11. Comunque sia, io mi riferivo a giochi di ruolo cartacei: chiedo venia! 😀
    (Breve parentesi egocentrica, il mio commento in risposta sui gdr cartacei era talmente lungo che è stato trasformato in post per il mio blog).

    – S.G.

  12. @Nicholas:

    Un anime abbastanza a tema se interessa è Puella magi madoka magica, non è un capolavoro ma è carino

    Sono d’accordo!
    Conosco Madoka Magica da quando Gamberetta cominciò a sponsorizzarlo sul suo blog , e l’ho visto più o meno subito dopo che la serie era finita in Giappone. Non sono un fan sfegatato della serie come altri, ma sono d’accordo che è molto interessante.
    Dato che è un esempio di storia che ruota tutta attorno a un moral play magico si presterebbe benissimo a questa serie di articoli sul prezzo della magia. Un post su Madoka Magica è sicuramente nell’aria – ma prima mi piacerebbe vedere i nuovi OAV (e soprattutto il seguito Rebellion), così da poter fare un confronto tra serie animata e film.

    In ogni caso mi piace molto di più il prezzo da pagare per la società nel suo insieme che per il singolo.
    Il singolo alla fine fa un po’ quello che vuole ma come sarebbe una società dove lanciare magie sarebbe dannoso per tutti alla lunga?
    O se morisse gente a caso?

    Uhm.
    Tutti e due i tipi di conflitto possono essere molto interessanti, se ben trattati. Certo, si prestano a due tipi di storie molto diverse (drammi personali/familiari in un caso, drammi sociali/politici nell’altro). Ma leggerei volentieri entrambi.

    @Siobhàn:

    Sembra il posto giusto dove lasciare questa segnalazione: tra un paio di settimane uscirà questo: http://www.inverbisvirtus.com/

    Molto carino.
    Sono curioso di vedere come funzionerà il gioco: il cast via comando vocale è un elemento interessante per un gioco ma non può essere l’unico punto d’attenzione – non è un concetto che da solo tenga in piedi un gioco. Se riusciranno ad amalgamarlo con meccaniche divertenti e una bella atmosfera potrebbe uscire qualcosa di figo.

    @Spiritogiovane:

    Comunque sia, io mi riferivo a giochi di ruolo cartacei: chiedo venia!

    Okay – ma in realtà cambia poco.
    In un gioco, che sia cartaceo o su console, in cui il sistema magico è giocabile (quindi escludendo ambientazioni tipo Call of Chtulhu in cui i personaggi subiscono perlopiù passivamente il paranormale), esso deve essere progettato sulla base di essere giocabile. L’enfasi va sul bilanciamento (sia costi/benefici dell’incantesimo, sia mago VS resto del party) piuttosto che sulle implicazioni narrative.
    Insomma, la magia nei giochi – ma è inevitabile – è di base un sistema di punteggi ed equazioni e non un elemento narrativo.

  13. a me è piaciuto molto come ha gestito la magia Turtledove, nel suo “ciclo di Videssos” (e come la concezione si è “evoluta” nel corso della stesura del “ciclo lungo”).

    per chi non avesse letto nulla del barbuto (laureato in storia bizantina, e si vede nell’accuratezza che ha riversato nel W.B. O.O), la magia in quel di Videssos funziona così: ci sono tre “scuole” di magia (intese come “approcci” alla materia… niente accademie in stile Howgwarts, sorry boyz 😦 😛 ), a) quella videssiana, b) quella delle steppe e c) quella oscura.
    La prima è la “magia” praticata dagli imperiali. Essendo gran parte del ciclo ambientato a Videssos (inteso come Impero), è la prima “scuola magica” che viene presentata al lettore: la magia è (all’epoca del “Ciclo della Legione”) appannaggio dei monaci, che la usano principalmente per curare, ma se ne conoscono anche altri usi (come “controincantesimo” nei confronti della magia oscura, per piccole “levitazioni”, per trovare oggetti nascosti, per intessere incantesimi protettivi su persone o oggetti etc… ). La “magia” videssiana deriva da Phos (la divinità “buona”), che il praticante (monaco guaritore o monaco/mago) invoca attraverso litanie, e poi utilizza del potere (della divinità) per compiere la guarigione/esorcismo/altro incantesimo.

    La seconda è invece la “magia delle steppe”: si tratta di una sorta di “demonologia”: gli sciamani dei popoli delle steppe (che vivono in Pardraya e nello Shaumkilli) invocano dei demoni, che “piegano” al loro volere per compiere le magie più varie (ad esempio per divinare il futuro, o ancora per trovare cose o persone etc.).

    la terza è la magia “oscura”, che però è in sostanza “speculare” rispetto alla magia “imperiale”, solo che la fonte del potere è in realtà Skotos (la divinità malvagia e antitetica rispetto a Phos, adorato dagli imperiali).

    (esiste poi un’altra scuola, che è quella Makurana, che però viene trattata solo per vaghissimi accenni, e di cui non si sa praticamente nulla).

    Tutte e tre le “scuole di magia” fanno riferimento e/o uso ad oggetti magici e/o apotropaici (ad esempio uno “schermo” di smeriglio attraversato da un ago di calcedono, o di particolari oggetti e/o animali) o ancora all’utilizzo di formule di invocazione o rituali particolari (ricordo ancora con particolare sgomento una scena in cui un personaggio doveva ingoiare una lumaca viva . Tuttavia, sembrerebbe che il potere non derivi tanto da un “talento” specifico del “mago”, ma sia invece ottenuto da questi soggetti per intercessione di una divinità.

  14. @Anacroma:

    Tutte e tre le “scuole di magia” fanno riferimento e/o uso ad oggetti magici e/o apotropaici (ad esempio uno “schermo” di smeriglio attraversato da un ago di calcedono, o di particolari oggetti e/o animali) o ancora all’utilizzo di formule di invocazione o rituali particolari […]. Tuttavia, sembrerebbe che il potere non derivi tanto da un “talento” specifico del “mago”, ma sia invece ottenuto da questi soggetti per intercessione di una divinità.

    Così come lo descrivi, il sistema di Turtledove mi sembra fondamentalmente lo stesso di quello di Black Easter e The Day After Judgement: la magia non risiede nell’uomo ma esclusivamente in esseri sovrannaturali (divinità buone e cattive). Il ruolo del mago è quello di convocare a sé l’entità – con la preghiera o con la forza – e farle performare la magia.
    Entrando più nel dettaglio, sembrerebbe che anche in Videssos le fonti folcloristiche del sistema magico siano i grimori medievali e/o la sapienza ermetica. Come in Blish, per esempio, la magia bianca permette di lanciare protezioni sulle persone o ritrovare oggetti perduti e tesori sepolti (una cosa su cui i testi medievali sembrano insistere molto); mentre nelle altre magie, se ho capito bene, bisogna obbligare il demone e/o la divinità malvagia a performare l’incantesimo ‘intrappolandolo’ nel rituale.

    Detto questo, dubito che leggerò Turtledove in questi anni.
    Aldilà dello scarso amore per le saghe che ho sempre nutrito, il poco tempo a disposizione per lettura e scrittura che ho adesso mi spinge sempre di più a letture autoconclusive e piuttosto brevi.

  15. nelle altre magie, se ho capito bene, bisogna obbligare il demone e/o la divinità malvagia a performare l’incantesimo ‘intrappolandolo’ nel rituale.

    In quella delle steppe sicuramente funziona così (sono descrtti nel dettaglio almeno un paio di “evocazioni”/”rituali” nei libri, e sono veramente affascinanti… inoltre il concetto su cui si basano è lo stesso della “magia” praticata dagli sharmana nella steppa ^_^ ). Comunque, la magia (specie quella della steppa) può fare molto di più… ma ho voluto evitare “spoiler”, per non togliere agli eventuali lettori la sopresa di vedere a quale utilizzo creativo della magia sia arrivato Turtledove.

    Cmq, dalla tua risposta ho dedotto che dal mio primo commento si è capito “si e anche no” come funzionano le varie scuole magiche. Nella sostanza la magia “bianca”

    permette di lanciare protezioni sulle persone o ritrovare oggetti perduti e tesori sepolti

    , ma non solo. Il “maker” della magia “bianca” videssiana è la “magia curativa”: è con la cura (“impossibile” per il mondo di Scaurus – id est, il nostro) di uan ferita apparentemente letale di un legionario che viene per prima introdotta la magia “bianca” videssiana, che è di gran lunga la più comune. Il meccanismo esatto di funzionamento non viene (fortunatamente) mai spiegato, ma in ogni caso coinvolge l’invocazione (almeno come “mantra” per entrare nel corretto status mentale) della divinità “buona”, ossia Phos.

    La magia “nera”, per converso, sembra perlopiù operare per “maledizioni”: come dicevo, è fortemente “speculare” rispetto alla magia bianca, ed apparentemente molto più “potente” (nei libri si trovano cadaveri rianimati, demoni veicolati ad una lama, uccisioni a distanza, ed altri incantesimi “creativi” (che, di nuovo, non spoilero, per non rovinare il piacere della sorpresa a chi dovesse eventualmente decidere di leggersi uno dei cicli 😛 )

    Detto questo, dubito che leggerò Turtledove in questi anni.

    Non ne dubitavo 😛 peraltro, il mio commento non era volto a farti leggere Turtledove (baideuei, così ad occhio non pare nemmeno “your cup of tea”), bensì a portare un esempio di maggia (o meglio, di “gestione dell’elemento magico nella cornice della storia”) che mi era piaciuta 😛

    letture autoconclusive e piuttosto brevi beh, c’è il Primo libro della saga (in ordine cronologico, ma ultimo in sede di pubblicazione) che è autoconclusivo, se per caso ti capitasse di buttarci un occhio 😛

  16. Riguardo alla magia basata sulla logica mi piacerebbe aggiungere ai vari sistemi citati quello alla base delle storie di De Camp e Pratt con protagonista lo psicologo Harold Shea.

    Tutte le storie ruotano attorno a una scoperta operata da Harold e dai suoi colleghi visitando i visionari. Le visioni non sarebbero frutto di problemi mentali e fantasie originarie dell’individuo ma immagini di mondi altri che il visionario può cogliere perché la sua pazzia lo porta a ragionare secondo una logica che sul nostro mondo non può funzionare ma in altri mondi sì.

    Shea e gli altri protagonisti arrivano alla conclusione che ricostruendo attentamente la logica che governa un mondo altro, riportandola in linguaggio simbolico (attraverso i segni della logica matematica) e concentrandosi intensamente sulle equazioni che così si ottengono è sarebbe possibile traslare non solo la propria mente, ma anche il proprio fisico, in altri mondi e, in sostanza, viaggiare attraverso le dimensioni.

    Tutte le avventure di cui si compone questa serie (le principali le pubblicò in Italia la Nord in unico volume dal titolo “Il Castello d’Acciaio”) parlano dei viaggi e dei tentati viaggi conseguenti a questa scoperta. La cosa più interessante di queste avventure è che ogni mondo visitato dai protagonisti aveva una sua differente logica/sistema magico che questi dovevano imparare a padroneggiare per poter ripetere il procedimento al contrario e tornare nel nostro mondo.

  17. @Hendioke: acciderbolina, grazie! “Il Castello d’Acciaio” è il mio sacro Graal personale: ne sento parlare da 20 anni, ma non ci ho mai messo sopra le mani. Merita?

  18. @Hendioke:

    Tutte le avventure di cui si compone questa serie (le principali le pubblicò in Italia la Nord in unico volume dal titolo “Il Castello d’Acciaio”) parlano dei viaggi e dei tentati viaggi conseguenti a questa scoperta. La cosa più interessante di queste avventure è che ogni mondo visitato dai protagonisti aveva una sua differente logica/sistema magico che questi dovevano imparare a padroneggiare per poter ripetere il procedimento al contrario e tornare nel nostro mondo.

    In lingua originale, le storie di Harold Shea sarebbero quelle raccolte nei volumi The Incomplete Enchanter, The Castle of Iron e Wall of Serpents, giusto?
    Ti ringrazio molto di questo consiglio: da amante del science-fantasy, provo un amore particolare per tutti quei sistemi magici che cercano di dare una razionalità scientifica alla magia. Non ho troppo rispetto per la prosa di De Camp dopo aver letto Lest Darkness Fall (a cui avevo anche dedicato una Bonus Track), ma darò volentieri una chance ai racconti di Harold Shea, se non altro per l’idea di fondo ^_^

  19. @Tapi: se il libro interessa anche a te, quasi quasi aspetto a prenderlo che tu lo legga, aprofittando di te come cavia 😛 (semore se ritieni di riuscire a sfucilartelo in tempi ragionevoli 😉 )

  20. @Anacroma: Secondo me merita. La prosa è scorrevole e venata dal tipico stile umoristico/cazzone anglosassone per cui sembra, almeno a me ha sempre fatto questo effetto, di star leggendo un film di Indiana Jones XD
    E le avventure alternano pathos (ma mai troppo) a scene d’azione gustose (e sempre un po’ a là Indiana) sullo sfondo di scenari di grande impatto (grazie al materiale originale cui si rifanno).

    @Tapiroulant: Di niente 🙂 sì sono quelle, e il Castello d’Acciaio, se non ricordo male, le conteneva tutte. Successivamente, morto Pratt, De Camp scrisse un’altra storia e poi si aggiunsero altri autori ma credo che nessuna di queste storie sia mai giunta in Italia.

  21. Ehilà. Mi piace quando si parla di singoli elementi narrativi e di come gestirli per non cadere nel banale. Per quanto mi riguarda i sistemi della magia creati ex novo, senza nessuna analogia con quelle che sono le “teorie della magia” nostre, mi sanno troppo di artificioso. Sanno enormemente di espediente narrativo volto per l’appunto a limitare le possibilità dei maghi, e per me equivalgono a rompere la sospensione dell’incredulità. Per quanto apprezzi lo sforzo dell’autore nel creare cosmologie originali, posso quasi vedere l’autore chino sulla scrivania a masticare il cappuccio di una penna quando nel romanzo viene spiegato che per eseguire un incantesimo dai in cambio un tuo ricordo o simili.

  22. Mi aggancio al mio post precedente perché purtroppo mi sono accorto di essermene perso una parte durante il login.
    Almeno per me, un sistema di magia ispirato al concetto “contemporaneo” che già vediamo nelle Wicca, nei libri su La Legge di Attrazione e i quattro accordi toltechi già mi pare sufficientemente impegnativo per eventuali maghi di un romanzo fantasy.
    Perché comunque richiede un livello di concentrazione non da poco, un livello di concentrazione che escluda tutti gli stimoli sensoriali immanenti per visualizzare il proprio scopo con tanta nitidezza da farlo sembrare reale, e che la realtà si pieghi a una tale certezza. Mica bruscolini.

    Se tu hai citato FFVII allora io mi permetto di citare Matrix: tutte le cose eccezionali che riesce a fare Neo derivano dal fatto che lui ha profondamente compreso che la realtà di matrix è illusoria e il software asseconda l’immaginazione di consegue questa consapevolezza. Anche i colleghi di Neo sono coscienti dell’illusorietà di matrix, ma non riescono comunque a mantenere persistente questa consapevolezza nel profondo, nell’inconscio e primordio della loro mente, perché sono bombardati di stimoli sensoriali che li ripetono che quel mondo è reale. Per questo non riescono a volare, schivare pallottole e fare altre smargiassate da Eletto come Neo.
    Ecco, già poste queste regole per un sistema di magia, un sistema in cui la propria immaginazione debba essere in grado di equiparare lo stimolo sensoriale, credo che la popolazione di maghi sarà molto limitata, e questi maghi dovranno spendere molto tempo e energie mentali per eseguire un incantesimo, preferendo le vie convenzionali quando disponibili.

    Un po’ come il tenore che è il grado di spaccare i bicchieri di cristallo con i suoi acuti: se il suo scopo fosse solo quello di spaccarli, gli costerebbe meno fatica e impegno gettarli a terra

Scrivi una risposta a chris1eris Cancella risposta