Autore: Edward Lee
Titolo italiano: –
Genere: Horror / Splatterpunk / Crime
Tipo: Novella
Anno: 1995
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 100 ca.
Difficoltà in inglese: ***
Havin’ a header tonight, we is!
We’se gonna have ourselfs a header so fierce ol’ Tully Natter’ll be shittin’ in his grave!
He’d heard the term, in all its variations so many times, but he just couldn’t figure it.
Header. What was it?
Fin da quand’era piccolo, Travis Tuckton ha ascoltato di nascosto suo padre e i suoi familiari più grandi parlarne nei più impercettibili sussurri, con gli occhi luccicanti di malizia, senza capire il perché: “facciamoci un header“. Ma ai ragazzi non era concesso di sapere cosa fosse. Oggi però Travis, uscito di galera dopo undici anni, è finalmente grande abbastanza. I suoi genitori sono morti in un incidente, la loro vecchia casa è andata a fuoco, e a Travis non rimane che andare a vivere dal vecchio nonno in un cottage diroccato ai margini della civiltà. E il nonno, che – povero vecchio! – è rimasto senza piedi e costretto su una sedia a rotelle per una brutta malattia, sarà più che felice di insegnargli cosa sia un header e rivivere assieme a lui la propria giovinezza…
In quelle stesse lande ai margini della civiltà si aggira Stewart Cummings – un agente speciale della polizia di stato, spedito in piena terra redneck per stanare i contrabbandieri d’alcol artigianale. Ma Stew, povero caro, ha una moglie dolce e tanto malata, e le cure mediche stanno succhiando via tutto il suo stipendio; per questo, non disdegna di arrotondare coprendo per qualche centone alcuni di quei traffici che dovrebbe stanare. I costi per le cure di Kath però continuano a salire, e Stew è pronto a fare il grande passo: fare il corriere della droga. Ed è mentre prende questa decisione, che nelle terre sotto la sua giurisdizione cominciano a saltare fuori corpi di donne uccisi orribilmente.
Nella terra dei redneck, le strade di Travis e di Cummings sono destinate a incrociarsi – e quando questo succederà, le loro vite cambieranno per sempre.
Continuando le nostre peregrinazioni nella narrativa dell’orrore, non potevamo evitare di imbatterci, prima o poi, in quello che è considerato uno dei maestri dell’horror hardcore. Edward Lee è un autore specializzato nello splatter estremo, nella descrizione dettagliata di uccisioni, torture, stupri e delle più variegate secrezioni corporali; e Header è la novella con cui si allontanò dal mondo editoriale tradizionale per pubblicare per piccole case editrici hardcore che gli permettevano di esprimersi liberamente. Rimasta a lungo un pezzo da collezionisti, a causa delle limitate tirature dell’edizione cartacea originale, è da qualche anno tornata in circolazione grazie alla ripubblicazione di Deadite Press, una delle affiliate di Bizarro Central.
Header è all’apparenza una classica storia di serial killer fiction, che segue in parallelo le storyline dell’assassino – un trucidissimo redneck col cervello grande come una noce – e del poliziotto che dovrà catturarlo. Ma in realtà Header è tutto meno che canonico, grazie all’umorismo nero con cui condisce il suo splatter e ai plot twist che ben poco si addicono al poliziesco canonico. Due elementi, inoltre, lo rendono il libro ideale per approcciarsi a Edward Lee e capire se si nutre interesse verso questa nicchia dell’horror: l’estrema brevità – meno di un centinaio di pagine – e il fatto di non indulgere più di tanto, rispetto ad altre opere dello stesso sottogenere, nel particolare macabro. Allora – siete pronti a scoprire che cos’è un header e cosa significa farsi giustizia da soli nel mondo dei redneck?
Uno sguardo approfondito
A differenza della speculative fiction, in cui una prosa atroce può comunque passare in secondo piano rispetto a una pletora di idee geniali e speculazioni affascinanti – penso a Clarke o a Poul Anderson – un horror deve essere scritto decentemente, o sarà buono solo per la lettiera del gatto. Che il suo scopo – a seconda del sottogenere e della poetica dell’autore – sia metterci addosso una sottile cappa d’ansia, o disgustarci, o farci questionare le torbide profondità della nostra stessa anima, o metterci di fronte alla follia e disperazione dell’universo, deve essere in grado di farci immergere nella storia e dimenticare il mondo esterno. O non proveremo niente.
La buona notizia, è che Edward Lee ha uno stile dignitoso. La sua prosa è un mix di raccontato e mostrato, con una certa preponderanza del secondo sul primo. Certo, niente per cui strapparsi i capelli: Lee indulge spesso negli infodump, specialmente per raccontare il background dei suoi personaggi; ma le scene al presente sono rese soprattutto attraverso azioni, gesti, o pensieri secchi. Si finisce per provare una certa empatia e identificazione con i personaggi della storia.
L’aspetto più interessante della prosa di Header è certamente la gestione del POV. Per tutto il libro si alternano due punti di vista, quello di Cummings e quello di Travis, e le loro storyline sono seguite in parallelo. Ma mentre la prosa delle parti dedicate a Cummings è scritta in modo tradizionale, quando la palla passa a Travis entriamo nel magico mondo di redneck-landia. Le sue parti sono scritte come se a parlare fosse proprio un agricoltore sdentato con la quarta elementare della bassa Virginia, e l’effetto è assolutamente esilarante. Ecco come Travis ci riassume, ad esempio, i suoi anni in prigione:
Those five years he’d gotten fer the candyass GTA had turned ta eleven a mite quick. Russell County Detent weren’t no picnic, and havin’ ta beat the livin’ shit outa fellas piled those extra years on faster’n shit through one ’a Dumar McGern’s chickens. Travis ain’t had no choice, ’less he wanted to get butt-fucked ever night and have a bunch of big, dirty fellas callin’ him “baby.” He’d busted some heads, he did, spent a lot of time in the hole fer it—BEV SEG, they called it, though, fer Behavioral Segregation, whatever in tarnation that meant—and then there was that one night when some fella from Crick City doin’ a pound for armed robbery had held a prison shiv to Travis’ throat and dropped his drawers. “Suck it, cracker, and suck it good. Suck it like you suck yer daddy, ’cos everbody knows all you crackers are queer,” this fella ordered. “Suck out that nut, cracker. Be the best meal ya had since the last time the chow hall served cream a’ broccoli soup. Make yer daddy jealous, sugar.” Well, fer one, Travis’ daddy was dead, and he didn’t much like ta hear talk like that, and two, there weren’t no way in Hade’s Place that Travis Clyde Tuckton was gonna suck dick—gettin’ sucked, shore, but doin’ the suckin’ hisself? No way, uh-uh! So he snapped that shiv right outa that fella’s hand and poked him good in the eye. Stuff came out that looked like the cranberry marmalade they sold down at Hull’s General Store. Didn’t matter much what it looked like, though. Just added more time to Travis’ hitch.
Inizialmente questi passaggi possono essere complicati da seguire per un non-nativo, ma in realtà dopo le prime pagine sono entrato nel mood e nel gergo di Travis e ho preso a leggerli con la stessa scorrevolezza delle parti dedicate a Cummings.
Lee non si risparmia alcuni scivoloni. Nonostante i passaggi siano raccontati secondo il gergo del loro personaggio-pov, il punto di vista non coincide mai davvero con quello del personaggio, ma piuttosto con quello di un narratore impersonale che gli sta appollaiato sulla spalla, e si sposta ora dentro la sua testa, ora fuori. A volte, nel pieno del rambling da incolto di Travis, l’autore getta dentro una o due frasi scritte in perfetto inglese (“The little boy couldn’t imagine what a header could be, but he knew this: next day at school, Jannie McCraw wasn’t in class, and she was never seen again”), e non mancano passaggi che con un commento estraneo al pov ci buttano completamente fuori dalla testa del personaggio, come in questo passaggio in cui Travis sta sbudellando qualcuno: “But, boy, once that knife were retracted, out gushed the blood mixed with somethin’ that looked watery – CSF or cerebral spinal fluid, but a big dumb animal like Travis wouldn’t know nothin’ ‘bout that”. Immagino che questi passaggi siano stati inseriti per spiegare con più chiarezza elementi di trama importanti che potevano sfuggire (ad esempio, il primo indizio su cosa sia un header) o talvolta for comedy; in ogni caso, spezzano un po’ l’incanto e sarebbe forse stato meglio evitarli.
Ma nell’economia della storia, questi scivoloni rimangono abbastanza marginali. Ciò che conta è il divertimento di entrare nella testa di un redneck dai neuroni completamente bruciati. E qui entra in gioco un elemento chiave per capire Header: l’umorismo. Nonostante Travis e il suo caro vecchio nonnino senza piedi si dedichino ad atti orribili (no, non vi dirò cos’è un header – vi lascio il gusto di scoprirlo da voi), la prosa sopra le righe con cui questi sono raccontati rendono le scene grottesche, improbabili e tutto sommato abbastanza godibili – se vi piace quel tipo di umorismo nero. Sangue, sperma, vomito e turpiloquio scorrono a fiumi, ma il tutto in una cornice da b-movie alla Rodriguez che sembra dire: “dai, non prendermi troppo sul serio”. Si crea una strana alchimia, perché la vicinanza del pov è sufficiente a immergerci nella vicenda, ma poiché la viviamo dal lato fuori di testa dell’assassino, non soffriamo le pene dell’inferno delle vittime.
Se l’intera vicenda fosse raccontata dal punto di vista di Travis, però, gli antics suoi e di suo nonno verrebbero in fretta a noia. Ma Lee è stato abbastanza in gamba da alternare il suo punto di vista con quello di Cummings, e il contrasto che si crea tra le due metà della storia è affascinante. Al contrario di quella di Travis, la vita di Cummings – poliziotto corrotto per necessità, che si prepara a entrare consapevolmente in un gioco più grande di lui – è cupa, drammatica, seria. Per certi versi la vita di Cummings non è peggiore di quella di Travis; la differenza è che Cummings è lucido. Le sue parti di storia fanno da contraltare drammatico alle scene sopra le righe di Travis, e l’alternarsi dei due pov dà alla novella un ritmo piacevole.
Il limite di Header è che – a differenza di Apeshit – gli elementi di trama, alla fin fine, sono pochi. Si scopre cosa sia un header più o meno a un quarto del libro, e soddisfatta quella curiosità è come se non avessimo più niente su cui focalizzare la nostra attenzione, e il motore della storia viene meno. Tutta la parte centrale della novella tende a trascinarsi. Benché si capisca che è funzionale a muovere i due protagonisti e a portarli verso l’incontro/scontro finale, non ha di per sé grossi elementi di interesse che tengano viva la lettura. Anche il climax, quando arriva, non è del tutto soddisfacente, a fronte di tutto il build-up che il lettore si è sorbito prima.
In compenso, il finale vero e proprio è assolutamente geniale. Arriva finalmente inaspettato, e da solo vale a mio avviso la lettura di tutta la novella; se a tratti, nel corso della storia, ho dubitato dell’abilità di Lee di andare a parare da qualche parte, la conclusione mi ha restituito piena fiducia. Quindi, sì: Header non è una meccanica esibizione di perversioni e trashume, ma è una storia concettualmente coerente.
Header è una novella solida e una declinazione originale dell’horror non-sovrannaturale, benché non si possa dire un capolavoro (non che abbia l’ambizione di esserlo, chiariamoci). Soprattutto, come già accennavo in apertura di articolo, la brevità e l’umorismo nero che pervade anche le scene più splatter lo rendono un ottimo punto di partenza per i novizi.
Quanto a me, anche se (a differenza di Zwei) non sono pronto a incidermi il nome di Edward Lee con un punteruolo sul petto, sono comunque sufficientemente incuriosito da voler provare, nel futuro prossimo, qualcuno dei suoi romanzi lunghi – come il ‘classico’ The Bighead o il lovecraftiano-retard The Dunwich Romance. Accetterò volentieri raccomandazioni in merito.
Dove si trova
Header si può scaricare in lingua originale su Library Genesis, in una gran varietà di formati, oppure – se volete bene a Edward Lee – potete acquistarlo su Amazon alla onesta cifra di 3,70 Euro. Non esiste, che io sappia, una traduzione italiana.
Chi devo ringraziare?
E’ da un po’ di tempo che sono diventato molto autonomo nella ricerca di roba buona da leggere, quindi non mi capita più tanto spesso di inserire questa rubrica. Ma in questo caso, è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare: se ho scoperto l’esistenza di Edward Lee e della sua opera è tutto merito del buon Zweilawyer, che sul suo blog aveva dedicato più di un articolo all’autore.
Nei suoi articoli Zwei raccomandava in particolare i romanzi lunghi The Bighead e Lucifer’s Lottery: se non ho letto nessuno dei due è dipeso dall’eccessiva lunghezza del primo (ma come ho accennato, sono interessato a leggerlo in futuro) e la mia insofferenza per la simbologia cristiana – e quindi per tutto ciò che riguarda Lucifero & Company – per il secondo.
Qualche estratto
Inizialmente avrei voluto proporvi un brano per POV, quindi uno per Travis e uno per Cummings. Ma poi mi sono detto: “Fuck it!”, quindi eccovi ben due distillati puri di demenza redneck. Il primo (e più breve) estratto è preso dall’incipit, e ci mostra un Travis bambino che guarda, roso dalla curiosità, i grandi che vanno a fare l’header; il secondo, invece, un Travis ormai adulto che si riunisce col vecchio nonno e si prepara finalmente a compiere quello stesso atto…
1.
The little boy’s eyes widened in the dark, blooming like nightflowers. He hid in the closet, a crouched and frozen shadow; he cracked the door half an inch, but he couldn’t quite see them. His curiosity burned.
He had to know, he had to know what this thing was they were doing.
He’d heard them speak of it many times—only, though, in the least-formed whispers, behind the slickest grins and eyes narrowed to forbidden slits. Yes, Daddy and his grandfather, and sometimes Uncle Helton. Like just today, when Daddy had brought his tractor in from the graze field.
“That blammed Caudill up an’ cut my fence,” Daddy’d railed. Grandpap looked up from his work table. “Agin?”
“Yeah, shore’s shit! Lost six more sheep! Gawd Almighty, we’se gonna have to do somethin’ ’bout this!”
And that’s when Grandpap had smiled that feisty, whiskery smile of his. “What we’se gonna have to do, son, is have ourselfs a header.”
“Dag straight! Fucker stole my sheep, third time this year. Tonight, we’se gonna have a header fer shore! Teach that cracker som-bitch ta steal my sheep!”
See, that’s what they’se always called it—whatever it was. A header.
Like one time he’d overheard his Daddy whispering to Grandpap, whispers like creaky, tiny etchings. “McCraw burned down one’a Meyers’ grain sheds, Pap. He’s havin’ a header tonight, wants us ta join in.” So later on, they’d corn-liquored up and left, and they didn’t return till almost dawn.
The little boy couldn’t imagine what a header could be, but he knew this: next day at school, Jannie McCraw wasn’t in class, and she was never seen again…

Il piccolo Travis?
2.
Grandpap smiled proud. “Travis, you’re a fine young man, gracious, respectful, just like yer daddy raised, and I kin shore use a little help ’round here, seein’ that I ain’t got no legs no more. Like you kin bring in the firewood an’ such, and haul the water up fer the squirrel stew and possum pie. Ya kin see—” Grandpap pointed to the floor just below the edge of his cherrywood work table. Travis noticed a strange darkness there, stained inta the wood, an’ he remembered that from when he was little too. “Ya kin see,” Grandpap rambled on, “that the floor’s goin’ all ta rot, so ya’s kin help fix it, otherwise yer old Grandpappy’ll be wheelin’ across the blammed floor one day and—Kuh-RACK—that floor’ll break right under my wheels an’ drop yer poor grandpap right smack dab inta the fruit cellar.”
“Oh, no, Grandpap,” Travis exclaimed, “I wouldn’t never want that ta happen! I’ll’se be happy ta help ya fix the floor.”
Grandpap wheeled closer, then, his smile turning dark. “An’ there’s somethin’ else ya kin do fer me, son. Ya kin help give yer ole grandpap a thrill now an’ agin.”
“Shore, Grandpap, but . . . how?”
Grandpap snickered. “A’corse, I cain’t do it myself no more, not with no legs, an’, Chrast, take an old feller like me a coon’s age ta even git his bone hard. But I’se still get a kick outa, well, you know . . . watchin’.”
Watchin’, Travis thought. He didn’t quite get it.
“Headers is what I mean, son.”
Headers, Travis thought. And that was somethin’—
“Grandpap,” he said rather meekly, “that’s somethin’ I been thinkin’ about since, well, since the day ’fore I got locked up.” Yeah, it was true. Headers. “I ’member when I was little I’d hear you an’ daddy sitting out on the porch talkin’ ’bout it lotta times, an’ right ’fore I wrecked Cage George’s ’74 ’Cuda and broked Kari Ann Wells’ back, I asked ya ’bout it. ’Member?”
“Shore I ’member, boy,” Grandpap fired back keen-eyed. “An I ’member I didn’t tell ya squat on account ya were too young.”
“Yeah, Grandpap, but I gots ta tell ya now, it’s somethin’ I been thinkin’ ’bout fer the whole time I was in stir. I gots ta know. What’s a header?”
Grandpap’s face, then, took on a look of something that some citified queer-lovin’, pussy-wine-cooler-drinkin’, banlon-shirt-wearin’-type might describe as ethereal. He wheeled a few inches closer in his rickety chair. “Ya know what, son, I reckon ya are old enough ta hear now . . . so’s I’ll tell ya.”
Travis exploded in delight.
And Grandpap nodded. “Yeah, boy, I’ll’se tell ya all about headers ’cos it’s time you learnt. First thing ya need is ta snatch yerself a splittail, son, and the second thing ya need is this . . .”
And then Grandpap’s shriveled hand reached out onto the table and picked up a power drill.
Tabella riassuntiva
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