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I Consigli del Lunedì #32: Tau Zero

Tau ZeroAutore: Poul Anderson
Titolo italiano: Tau Zero / Il fattore Tau Zero
Genere: Science Fiction / Hard SF
Tipo: Romanzo

Anno: 1970
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 210 ca.

Difficoltà in inglese: **

“May you have a fortunate voyage and come home safe.”
“If the voyage is really fortunate,” she reminded him, “we will never come home. If we do—” She broke off. He would be in his grave.

Prendiamo una navicella che viaggia nello spazio. Se v è la velocità (uniforme) della navicella, e c la velocità della luce, allora tau equivale a:

Equazione Tau

Più v si avvicina a c, più tau si avvicina a zero. E più tau si avvicina a zero, più la navicella acquisisce massa, maggiore sarà la sfasatura temporale tra l’interno dell’astronave e il mondo all’esterno. Per un membro dell’equipaggio della nave, il tempo scorrerà più lentamente che per coloro che sono rimasti a casa.
Poniamo ora che, in un futuro non troppo lontano dal nostro – un futuro in cui la pace mondiale è stata raggiunta delegando ogni potere politico e poliziesco alla piccola e affidabile Svezia – il governo della Terra organizzi una spedizione spaziale per colonizzare i pianeti della vicina stella Beta Virginis. Questa stella dista trentuno anni luce; ma grazie al Bussard ramjet, un innovativo sistema di propulsione che raccoglie e comprime idrogeno dal medium interstellare fino ad avviare una reazione nucleare, sarà possibile raggiungerla in soli trentatré anni umani, sfiorando la velocità della luce. Inoltre, in virtù della dilatazione temporale, per i membri dell’equipaggio – venticinque uomini e venticinque donne iperselezionati – ne passeranno solo sei.
Tuttavia, i partecipanti sanno benissimo che si tratta di un viaggio di non ritorno. Charles Reymont, ex-colonnello dei Lunar Rescue Corps con un’infanzia di miseria alle spalle, lo fa perché stanco della sua vita e perché sente che nulla lo lega più alla Terra. Ingrid Lindgren, fisica svedese di buona famiglia, lo fa perché fin da piccola sogna le stelle, e non riuscirebbe ad immaginare per sé un futuro diverso da questo. Ma il lungo viaggio e la clausura delle loro vite a bordo della Leonora Christine seminerà dei dubbi nella loro coscienza. E quando uno sfortunato incidente danneggerà la navicella al punto da rendere impossibile invertire l’accelerazione e quindi la costante riduzione del tau, l’intero scopo della missione e il senso delle loro cinquanta vite sarà rimesso in discussione.

Benché in Italia sia poco conosciuto e ancor meno letto, nel mondo anglosassone Tau Zero è considerato uno dei capisaldi dell’Hard SF. Sul solido impianto della relatività generale, Anderson costruisce un device per il viaggio interstellare – il Bussard ramjet – ne trae delle conseguenze fisiche e sociali, e su di questi sviluppa una storia. Come da tradizione della fantascienza hard, Tau Zero non è che una rappresentazione narrativa di una speculazione fantascientifica.
Due sono gli argomenti sviluppati nel romanzo. Il primo è quello propriamente fisico: come funziona il viaggio della Leonora Christine? Quali rischi e quali ostacoli incontreranno i nostri eroi lungo il percorso? E che possibilità ci sono di arrivare a destinazione (o a una qualunque altra destinazione) in seguito all’incidente che impedisce alla nave di ridurre la propria accelerazione? Il secondo è quello sociale: come faranno i cinquanta membri dell’equipaggio a convivere pacificamente per tutti gli anni del viaggio, sopportando il loro isolamento e la consapevolezza di non poter più tornare indietro? Fino a che punto, anche la psiche più equilibrata, più addestrata, più ragionevole, può resistere allo stress di una situazione che sembra senza via d’uscita?

Search for a better planet

Uno sguardo approfondito
L’Hard SF non è mai stato un genere che curi molto lo stile, e Tau Zero non fa eccezione. Anderson, in particolare, è uno degli scrittori più tecnicamente scarsi che abbia mai visto (benché non al livello di bruttura di un Clarke).
I dolori cominciano con la gestione del POV, un bel narratore onnisciente che a seconda della scena si avvicina ai personaggi fino ad entrare nella loro testa, oppure si allontana fino ad osservare l’intera vita dell’equipaggio con uguale distacco. L’approccio generale di Anderson è questo: ampi pezzi raccontati con telecamera distante che descrivono la vita dell’intero equipaggio per lunghi periodi di tempo; intervallati da alcune scene clou in cui la telecamera si avvicina a questo o quel personaggio e al raccontato si mescola un po’ di mostrato. Anche in questi casi, comunque, la voce narrante non si identifica con il personaggio-pov e si riserva la possibilità di spostarsi in qualsiasi momento verso un altro personaggio.
A queste si aggiunge un altro tipo di scena, che Anderson mette all’inizio o alla fine di un capitolo, oppure all’inizio di un paragrafo: la telecamera onnisciente “esce” dalla navicella e ci mostra la Leonora Christine da fuori. In brani quasi più saggistici che narrativi, il narratore ci ‘spiega’ il viaggio della nave: in che punto dello spazio si trovi, come funzioni il motore, quali leggi fisiche abbiano reso possibile la spedizione, che ostacoli stiano per incontrare e quali conseguenze potrebbero comportare per il futuro della missione. E’ in uno di questi brani che ci viene spiegata l’equazione Tau, il rapporto tra velocità, massa dell’astronave e dilatazione del tempo, e l’effetto che tutto ciò ha sull’equipaggio. In questi passaggi di puro infodump, l’immersione crolla, la finzione narrativa viene fatta cadere e Tau Zero si rivela per quello che è: speculazione scientifica con contorno di personaggi.

Benché questi pezzi uccidano il ritmo e siano fatali per la suspension of disbelief, possiedono un certo fascino per chi è appassionato alla materia (cioè, i destinatari ideali del libro): il fascino del professore universitario che ti spiega concetti straordinari e implicazioni inaspettate delle leggi classiche. Fino a un anno fa, sarei forse stato anche incline a ‘perdonare’ questo approccio: sì, è vero che l’autore spezza la narrazione per farti uno spiegone in prima persona, ma lo fa in momenti di cesura (come l’inizio o la fine di un capitolo) e mai in mezzo a un paragrafo, e inoltre non ci sarebbe altro modo di veicolare tutti questi concetti sulla teoria della relatività al neofita (se non attraverso espedienti ancora peggiori, come l’As you know, Bob).
Ma ormai so che non è vero. Quest’ultima affermazione è semplicemente falsa, e può derivare solamente da ignoranza o da pigrizia mentale. Modi plausibili se ne trovano sempre. Dal più banale: il protagonista che, solo nella sua cuccetta o di fronte a un quadro comandi, si abbandona ai suoi pensieri e riflette, malinconico, sul viaggio che sta affrontando, sulla sua destinazione, alle equazioni (che conosce) e così via. Potrebbe anche rivivere la lezione universitaria in cui il suo docente preferito gli spiegava l’equazione del Tau; oppure immaginare di vedere la nave dal di fuori, facendo lui stesso la parte, nei propri pensieri, del narratore onnisciente1. Alle più creative: il protagonista, o un altro dei personaggi-pov, potrebbe decidere di incidere su nastro delle “lezioni” sulla teoria della relatività e rapporti sul loro viaggio: il destinatario potrebbero essere le future generazioni, i suoi discendenti, dei familiari rimasti sulla Terra. E queste sono solo le prime due idee che mi sono venute in mente.
Affidando anche le parte più infodumpose alla voce dei personaggi-pov, integrando ogni spiegone nel corpo della narrazione, trasformando anche uno sguardo ‘impossibile’ come quello della navicella da fuori nell’occhio mentale del protagonista, si mantengono tutti i vantaggi del pov onnisciente senza tutti gli svantaggi di perdita di ritmo e immersività. Quel che voglio dire, è che nella scrittura non bisognerebbe mai fare i pigri ed abbandonarsi alla prima soluzione stilistica che viene in mente: alternative migliori esistono quasi sempre.

Space Core Portal

Tutti pazzi per lo spazio.

Ma Anderson queste cose non le sapeva; e infatti la sua sciatteria colpisce tutto indistintamente. I membri dell’equipaggio sono figure anonime con un cartellino appeso al collo: la xenobiologa con problemi relazionali, il medico rude e buontempone, l’esile cinesina compassata, il vecchio capitano che ne ha viste di cotte e di crude. E dire che Anderson il problema della clausura forzata dei cinquanta passeggeri della Leonora se li è posti; e infatti mette una grande attenzione nello spiegare come sia stata organizzata la vita a bordo della nave, come vengano riempite le ore della giornata, come tutti siano stati addestrati a vincere lo stress, come evolvano nel tempo le dinamiche tra i vari ‘gruppi’ (equipaggio, scienziati, corpo di polizia) e così via. Ma il problema è proprio questo: Anderson spiega. Tutto (o quasi) è raccontato con distacco, e il lettore non se ne sente coinvolto.
Su tutto questo grigiore, Reymont e Lindgren spiccano un poco, con il loro mix di problemi pubblici e privati; ma senza esagerare. In particolare, Reymont è una grande occasione sprecata. Nasce come un personaggio molto ambiguo: un’infanzia difficile alle spalle, vissuta nella povertà e nella violenza, il carattere burbero con cui tiene tutti a distanza, l’alto senso della giustizia, il cinismo del ‘il fine giustifica i mezzi’, unito alla funzione di “capo della security” a bordo della nave. Quando in seguito all’incidente il morale dell’equipaggio precipita e la vita sulla Leonore si fa difficile, spetterà a lui ‘assumere il controllo’ e mantenere l’ordine. Da questa situazione poteva sbocciare una grandissima quantità di conflitti, interiori ed esterni. Reymont poteva finire con l’abusare della sua autorità, come accade ad esempio al poliziotto di The Cube; oppure, pur restando in un certo senso un ‘buono’, avrebbe potuto essere costretto, per il fine superiore di mantenere l’ordine sulla nave, a compiere atti di particolare brutalità (es. sopprimere una rivolta nel sangue?). Ma questo non succede. Certo, scontri ce ne sono – ma nei romanzi di Anderson, il buonsenso prevale sempre.

Ho letto diversi romanzi di Anderson. Si ha come l’impressione che l’autore abbia qualche problema con l’idea di “conflitto”. Come se volesse sempre tenerlo il più basso possibile. Certo, i problemi non mancano, ed anzi, nel corso del romanzo si verifica la giusta escalation drammatica; ma Anderson cerca sempre di risolvere i conflitti il prima possibile, cerca sempre di abbassare i toni, e di non mettere troppa ansia nel lettore. Anche quando danno di matto, i suoi personaggi vengono sempre ricondotti al buonsenso. Ora, non dico che a bordo della Leonora Christine doveva andare a finire come nel condominio di Ballard – non sarebbe neanche stato credibile; ma mi sembra che Anderson ecceda dalla parte opposta.
Il dramma esistenziale dell’equipaggio della Leonora Christine si percepisce, ma sempre mantenendo un certo distacco. Proprio perché si vede la faccenda dal di fuori, e non attraverso gli occhi di un personaggio-pov, il lettore percepisce a livello inconscio che la cosa non lo riguarda personalmente. “Sta accadendo a qualcun altro”: e così ogni emozione viene attutita.

Philosoraptor

Una delle domande di cui Tau Zero potrebbe avere la risposta. Oppure no.

Ma l’Hard SF si misura soprattutto sotto il profilo delle idee – della loro correttezza scientifica, sulla loro genialità, su quanto riescano a meravigliarti. Sul primo punto non mi esprimo, che non ne capisco niente. Quanto al sense of wonder – be’, Tau Zero è un capolavoro. Già il concetto del viaggio generazionale verso una stella lontana, condito dalla spiegazione di come ciò sarebbe fisicamente possibile, era di per sé interessante. La logica del Bussard ramjet, il sistema di propulsione della Leonora Christine (ma che non ha inventato Anderson), è forse la vera protagonista del romanzo.
Ma Anderson è in grado di trasportare tutta la storia su scala mastodontica; e così ci si ritrova a parlare di, e a vivere, spazi tra le galassie, e poi grappoli di galassie, e poi l’origine e la fine ultima dell’Universo, Big Bang, Big Crunch, spazi di tempo talmente grandi da essere incommensurabili… i concetti in gioco sono talmente grandi, talmente incredibili, che a un certo punto mi sono venute le lacrime agli occhi. E’ vero, la prosa è quello che è, ma c’è della vera epica cosmica là in mezzo, e Anderson è in grado di fartela provare – basta avere pazienza e sopportare la sciatteria generale. Il finale è straordinario, e si chiude il libro con una certa serenità, e la sensazione di essersi arricchiti in qualche modo.

Scritto da mani più esperte, Tau Zero poteva diventare uno dei grandi capolavori della fantascienza. Anche così, rimane un bel romanzo, e si conquista un posto nella Top 30 dei miei romanzi preferiti. E se la parte psicologico-sociale soffre particolarmente l’incapacità di Anderson di dare vita ai suoi personaggi, la parte più, diciamo, ‘astrofisica’ se la cava dignitosamente.
Certo, non è un libro per tutti; bisogna innanzitutto avere passione per l’argomento ed essere pronti a sorbirsi un po’ di fisica for dummies, non sempre facilissima. Credo comunque che l’audience di Tau Zero sia più ampio di quello di Mission for Gravity – l’ultimo Hard SF di cui mi sono occupato – se non altro per la generalità e l’ordine di grandezza delle idee coinvolte; sebbene i personaggi del romanzo di Clement siano probabilmente più interessanti.

Bussard ramjet

Una rappresentazione artistica del Bussard ramjet.

Su Anderson
Poul Anderson è uno degli scrittori più prolifici della narrativa fantastica; quanto a numero di romanzi pubblicati, fa impallidire anche grafomani conclamati come Philip Dick o Moorcock. E come Dick e Moorcock, la qualità dei lavori è parecchio altalenante (e lo stile oscilla sempre tra il mediocre e il pessimo). Tra i romanzi suoi che ho letto, ecco i più interessanti:
The High Crusade The High Crusade (Crociata spaziale) è un romanzetto farsesco con una premessa geniale: a metà del Trecento, mentre Edoardo III d’Inghilterra prepara l’invasione della Francia, una navicella aliena atterra in un ameno villaggio del Lincolnshire. Gli alieni hanno intenzioni ostili, ma contro ogni aspettativa Sir Roger de Tourneville, signore del luogo, e i suoi uomini sterminano gli invasori e si impossessano della nave. E’ l’inizio di una crociata che porterà i fanatici cavalieri di Sir Roger alla conquista della galassia. High Crusade è divertentissimo, benché sia in larga parte rovinato dallo stile stra-raccontato e spesso riassunto, che a tratti fa sembrare la storia più un canovaccio di trama che un romanzo vero e proprio.
There Will Be Time There Will be Time (Tempo verrà), un romanzo sui viaggi nel tempo. Jack Havig è nato col dono di potersi spostare, col solo esercizio della volontà, avanti e indietro nel tempo;
ma quando si imbarcherà in un viaggio alla ricerca dei suoi simili, scoprirà di una catastrofe che sta per distruggere la nostra civiltà e di un’organizzazione di viaggiatori intenzionata a diventare la guida del nuovo mondo. Nonostante l’argomento interessante e i continui spostamenti tra passato e futuro, il libro ha spesso poco mordente. Anderson fa la scelta ottocentesca di filtrare la narrazione attraverso il pov di un personaggio marginale (il medico di famiglia del protagonista, a cui Havig racconta le sue vicende); la mole di raccontato, i riassuntoni e la sciattezza generale fanno il resto.
Fire Time Fire Time racconta la storia di Ishtar, un bizzarro pianeta che orbita attorno a tre stelle contemporaneamente. Ogni cinquecento anni la stella Anu si avvicina troppo al pianeta, scatenando un riscaldamento infernale che puntualmente distrugge la civiltà indigena. Ora la stella si sta avvicinando di nuovo, ma i terrestri sono arrivati sul pianeta e potrebbero cambiare le cose – se non fosse che si sta scatenando una guerra interplanetaria. Fire Time è una storia corale che intreccia Hard SF, romanzo politico e di guerra, con un sacco di idee affascinanti su xenobiologia, fisica, evoluzionismo. Purtroppo lo stile un po’ piatto, i personaggi non memorabili, l’eccessivo buonismo e la strana tendenza di Anderson di ridurre sempre al minimo ogni fonte di conflitto lo rendono a tratti noioso. Peccato – poteva essere un altro capolavoro!
Poul Anderson rimane uno scrittore interessante, benché di serie B. Gli altri suoi romanzi che vorrei leggere: il fantasy shakespeariano A Midsummer TempestThe Boat of a Million Years e forse (un grande ‘forse’) il fantasy epico The Broken Sword.

Dove si trova?
Come detto in apertura di articolo, Tau Zero è un romanzo estremamente popolare oltreoceano. Di conseguenza, si trova facilmente su qualunque canale: Bookfinder e Library Genesis per l’edizione in lingua originale, Emule per quella italiana.

Qualche estratto
Come primo estratto ho scelto in realtà un brano abbastanza avanti nel romanzo. E’ la digressione pseudo-saggistica cui ho accennato in apertura d’articolo, in cui Anderson spiega il significato del valore ‘tau’ e la logica del viaggio della Leonora Christine. Il secondo estratto ci riporta al primo capitolo; una scena in cui Reymont e la Lingren si confrontano sulle ragioni che li hanno portati a decidere di partire, e abbandonare la loro Terra per sempre…

1.
 A year after she started, Leonora Christine was close to her ultimate velocity. It would take her thirty-one years to cross interstellar space, and one year more to decelerate as she approached her target sun.
But that is an incomplete statement. It takes no account of relativity. Precisely because there is an absolute limiting speed (at which light travels in vacuo; likewise neutrinos) there is an interdependence of space, time, matter, and energy. The tau factor enters the equations. If v is the (uniform) velocity of a spaceship, and c the velocity of light, then tau equals

Equazione Tau

The closer that v comes to c, the closer tau comes to zero.
Suppose an outside observer measures the mass of the spaceship. The result he gets is her rest mass — i.e., the mass that she has when she is not moving with respect to him — divided by tau. Thus, the faster she travels the more massive she is, as regards the universe at large. She gets the extra mass from the kinetic energy of motion; e=mc^2.
Furthermore, if the “stationary” observer could compare the ship’s clocks with his own, he would notice a disagreement. The interlude between two events (such as the birth and death of a man) measured aboard the ship where they take place, is equal to the interlude which the observer measures … multiplied by tau. One might say that time moves proportionately slower on a starship.
Lengths shrink; the observer sees the ship shortened in the direction of motion by the factor tau.
Now measurements made on shipboard are every bit as valid as those made elsewhere. To a crewman, looking forth at the universe, the stars are compressed and have gained in mass; the distances between them have shriveled; they shine, they evolve at a strangely reduced rate.
Yet the picture is more complicated even than this. You must bear in mind that the ship has, in fact, been accelerated and will be decelerated in relation to the total background of the cosmos. This takes the whole problem out of special and into general relativity. The star-and-ship situation is not really symmetrical. The twin paradox does not arise. When velocities match once more and reunion takes place, the star will have passed through a longer time than the ship did.
If you ran tau down to one one-hundredth and went into free fall, you would cross a light-century in a single year of your own experience. (Though, of course, you could never regain the century that had passed at home, during which your friends grew old and died.) This would inevitably involve a hundredfold increase of mass. A Bussard engine, drawing on the hydrogen of space, could supply that. Indeed, it would be foolish to stop the engine and coast when you could go right on decreasing your tau.
Therefore, to reach other suns in a reasonable portion of your life expectancy: Accelerate continuously, right up to the interstellar midpoint, at which point you activate the decelerator system in the Bussard module and start slowing down again. You are limited by the speed of light, which you can never quite reach. But you are not limited in how close you can approach that speed. And thus you have no limit on your inverse tau factor.
Throughout her year at one gravity, the differences between Leonora Christine and the slow-moving stars had accumulated imperceptibly. Now the curve entered upon the steep part of its climb. Now, more and more, her folk measured the distance to their goal as shrinking, not simply because they traveled, but because, for them, the geometry of space was changing. More and more, they perceived natural processes in the outside universe as speeding up.
It was not yet spectacular. Indeed, the minimum tau in her flight plan, at midpoint, was to be somewhat above 0.015. But an instant came when a minute aboard her corresponded to sixty-one seconds in the rest of the galaxy. A while later, it corresponded to sixty-two. Then sixty-three … sixty-four … the ship time between such counts grew gradually but steadily less … sixty-five … sixty-six … sixty-seven…

Un anno dopo la partenza, la Leonora Christine aveva quasi raggiunto la sua massima velocità. Le ci sarebbero voluti trentun anni per attraversare lo spazio interstellare, e un anno in più per decelerare mentre si avvicinava al sole che rappresentava il suo obiettivo.
Ma questa è un’affermazione incompleta, che non tiene conto della relatività. Proprio perché la velocità assoluta non può superare un certo limite (rappresentato dalla velocità con cui la luce viaggia in vacuo; e ciò varrebbe anche per i neutrini) c’è un’interdipendenza tra spazio, tempo, materia ed energia. Nelle equazioni entra il fattore tau. Se v è la velocità (uniforme) di un’astronave e c la velocità della luce, allora tau è uguale a:

Equazione Tau

Quanto più i valori di v si avvicinano a quelli di c, tanto più tau tende a zero.
Supponiamo che un osservatore esterno misuri la massa di un’astronave. Il risultato che ottiene è la massa a riposo ― cioè la massa che l’astronave ha allorché non si muove rispetto a lui ― divisa per tau. Così, quanto più velocemente si muove l’astronave, tanto maggiore è la sua massa, per quanto riguarda l’universo in generale. Ricava l’eccedenza di massa dall’energia cinetica: e = mc2.
Inoltre, se l’osservatore «fisso» potesse controllare gli orologi dell’astronave e compararli al suo, noterebbe uno sfalsamento. Il periodo di tempo trascorso tra due avvenimenti (per esempio, la nascita e la morte di un uomo), misurato a bordo della nave dove questi avvenimenti si sono verificati, è uguale al periodo di tempo misurato dall’osservatore… moltiplicato per tau. Si potrebbe perciò dire che il tempo si muove proporzionalmente più a rilento su un’astronave.
Anche le misure di lunghezza si contraggono; l’osservatore vede l’astronave accorciata, nella direzione del moto, dal fattore tau.
Ora le misurazioni fatte a bordo di un’astronave sono altrettanto valide, in tutto, di quelle fatte altrove. A un cosmonauta, che guardi l’universo davanti a sé, le stelle appaiono compresse e la loro massa risulta aumentata; le distanze tra loro si sono ridotte; esse scintillano e si muovono a un ritmo stranamente ridotto.
Eppure la situazione è ancora più complicata di così. Bisogna tenere bene a mente che l’astronave, in effetti, è stata accelerata e sarà decelerata in relazione a tutto il cosmo che le fa da sfondo. Ciò fa rientrare l’intero problema nell’ambito della teoria generale della relatività. La situazione stelle-astronave non è realmente simmetrica. Il paradosso dei gemelli non si verifica. Quando le velocità si uguagliano ancora una volta e avviene la riunione, per la stella sarà trascorso un tempo più lungo di quello trascorso per l’astronave.
Se il fattore tau si riduce a un centesimo e l’astronave procede in caduta libera, un secolo-luce verrà percorso in un solo anno di vita degli astronauti (sebbene, naturalmente, non si potrà più riguadagnare il secolo che è trascorso sulla Terra, durante il quale gli amici degli astronauti saranno invecchiati e morti). Ciò comporterà inevitabilmente un aumento della massa di cento volte. Un motore Bussard, sfruttando l’idrogeno dello spazio, poteva produrre un simile effetto, ma sarebbe stato folle fermare il motore e proseguire con moto inerziale quando si poteva ottenere la stessa cosa facendo decrescere il fattore tau.
Perciò, raggiungere altri soli è una parte ragionevole della speranza di vita: tanto vale accelerare continuamente, fino al punto intermedio interstellare, dopodiché si attiverà il deceleratore. C’è il limite imposto dalla velocità della luce, che non si può quasi mai raggiungere. Ma non c’è limite all’approssimarsi quanto più è possibile a tale velocità. Così non si hanno limiti per quanto riguarda l’inverso del fattore tau.
Nonostante l’anno trascorso a gravità uno, le differenze tra la Leonora Christine e le stelle che si muovevano lentamente si erano accumulate impercettibilmente. Adesso la curva si accingeva ad affrontare la parte più ripida della sua discesa. Ora, sempre più la distanza che divideva gli astronauti dal loro obiettivo sembrava loro come contratta, non soltanto perché viaggiavano, ma perché, per loro, la geometria dello spazio stava cambiando. Sempre più gli astronauti si rendevano conto di quanto i processi naturali nell’universo esterno si stessero sviluppando con maggior velocità.
Non era ancora niente di spettacolare. Anzi, il valore minimo di tau nel piano di volo dell’astronave era, al punto intermedio, intorno a 0,015. Ma arrivò un momento in cui un minuto a bordo dell’astronave corrispondeva a sessantun secondi nel resto della galassia. Un po’ più tardi, corrispondeva a sessantadue. Poi a sessantatré… sessantaquattro… il tempo dell’astronave tra tali conteggi cresceva gradualmente ma sistematicamente… sessantacinque… sessantasei… sessantasette…

Red Bull Space Program

2.
 “I … thought you might be lonely. You have no one, have you?”
“No relatives left. I’m only touring the fleshpots of Earth. Won’t be any where we are bound.”
Her sight lifted again, toward Jupiter this time, a steady tawny-white lamp. More stars were treading forth. She shivered and drew her cloak tight around her, against the autumnal air. “No,” she said mutedly. “Everything alien. And when we’ve hardly begun to map, to understand, that world yonder — our neighbor, our sister — to cross thirty-two light-years—”
“People are like that.”
“Why are you going, Carl?”
His shoulders lifted and dropped. “Restless, I suppose. And frankly, I made enemies in the Corps. Rubbed them the wrong way, or outdistanced them for promotion. I was at the point where I couldn’t advance further without playing office politics. Which I despise.” His glance met hers. Both lingered a moment. “You?”
She sighed. “Probably sheer romanticism. Ever since I was a child, I thought I must go to the stars, the way a prince in a fairy tale must go to Elf Land. At last, by insisting to my parents, I got them to let me enroll in the Academy.”
[…] He managed to keep the talk inconsequential while he nosed into Strцmmen, docked the boat, and led her on foot across the bridge to Old Town. Beyond the royal palace they found themselves under softer illumination, walking down narrow streets between high golden-hued buildings that had stood much as they were for several hundred years. Tourist season was past; of the uncounted foreigners in the city, few had reason to visit this enclave; except for an occasional pedestrian or electrocyclist, Reymont and Lindgren were nearly alone.
“I shall miss this,” she said.
“It’s picturesque,” he conceded.
“More than that, Carl. It’s not just an outdoor museum. Real human beings live here. And the ones who were before them, they stay real too. In, oh, Birger Jarl’s Tower, the Riddarholm Church, the shields in the House of Nobles, the Golden Peace where Bellman drank and sang — It’s going to be lonely in space, Carl, so far from our dead.”
“Nevertheless you’re leaving.”
“Yes. Not easily. My mother who bore me, my father who took me by the hand and led me out to teach me constellations. Did he know what he was doing to me that night?” She drew a breath. “That’s partly why I got in touch with you. I had to escape from what I’m doing to them. If only for a single day.”

― Io… pensavo che lei avrebbe potuto sentirsi solo. Lei non ha nessuno, vero?
― Non mi è rimasto alcun parente. Sto facendo un giro turistico per visitare i bordelli della Terra. Non ce ne saranno, là dove siamo diretti.
Gli occhi di lei si alzarono di nuovo, questa volta in direzione di Giove, un lume fisso di colore bianco-bruno. Altre stelle si stavano facendo avanti. Lindgren fu scossa da un brivido e si serrò più strettamente il soprabito intorno al corpo, come per difendersi dall’aria autunnale. ― No ― disse con voce bassa. ― Ogni cosa ci sarà estranea. E ora che abbiamo appena cominciato a tracciare una mappa di quel mondo lassù, a capirlo ― il nostro vicino, la nostra sorella ― un viaggio di trentadue anni-luce…
― La gente è fatta così.
― Perché lei ha deciso di venire, Carl?
L’uomo alzò e abbassò le spalle. ― Sono un individuo irrequieto, suppongo. E, per essere sincero, mi son fatto alcuni nemici nel Corpo di Salvataggio. Ho lisciato loro il pelo dalla parte sbagliata o li ho lasciati troppo indietro per via delle mie promozioni. Ero giunto a un punto morto: non avrei potuto avanzare oltre senza mettermi a brigare tra le quinte. Cosa che disprezzo. ― Lo sguardo di Reymont incontrò quello della donna. Per un attimo indugiarono a guardarsi l’un l’altra negli occhi. ― E lei?
Ingrid sospirò. ― Probabilmente, per puro e semplice romanticismo. Fin da quando ero bambina pensavo di dover andare sulle stelle, nello stesso modo in cui un principe in un racconto di fate deve andare alla terra degli Elfi. Alla fine, dopo aver molto insistito con i miei genitori, li ho convinti a lasciarmi iscrivere all’Accademia.
[…] Reymont tentò di mantenere la conversazione su un piano di assoluta banalità mentre si infilava nello Strömmen, attraccava a riva l’imbarcazione e si avvicinava con la donna a piedi attraverso il ponte che portava alla città vecchia. Superato il palazzo reale si trovarono in una zona illuminata in modo più blando, e camminarono per stradine strette fiancheggiate da edifici dalle facciate color dell’oro che erano rimaste sempre eguali da alcune centinaia d’anni. La stagione turistica era ormai finita; degli innumerevoli forestieri che ospitava la città, pochi avevano ragioni per visitare quel lembo di terra sperduto; fatta eccezione per qualche occasionale pedone o elettrociclista, Reymont e Lindgren erano praticamente soli.
― Mi mancherà tutto questo ― disse la donna.
― È uno spettacolo pittoresco ― concesse Reymont.
― È più di questo, Carl. Non è soltanto un museo all’aperto, perché qui vivono reali esseri umani. E coloro che hanno preceduto gli attuali abitanti è come se vivessero ancora. Oh, la Torre di Birger Jarl, la chiesa di Riddarholm, gli scudi della Casa dei Nobili, la Pace d’Oro dove Bellman bevve e cantò… Ci sentiremo soli nello spazio, Carl, così lontani dai nostri morti.
― Eppure lei sta per partire.
― Sì. Ma non è facile. Mia madre che mi ha partorito, mio padre che mi prendeva per mano e mi portava fuori all’aperto per insegnarmi a riconoscere le costellazioni. Quella prima notte, si sarà reso conto di ciò che stava facendo? ― Trasse un profondo respiro. ― In parte è per questo che mi sono messa in contatto con lei. Dovevo fuggire da ciò che sto facendo loro. Anche se per un solo giorno.

Tabella riassuntiva

Un’avventura interstellare che coinvolge il destino ultimo dell’Universo! Narratore onnisciente e “raccontato” a chili.
Speculazione realistica sulla possibilità di viaggiare a velocità luce. Digressioni infodumpose che spezzano il ritmo.
Un dramma esistenziale sugli equipaggi delle astronavi. Personaggi piatti e conflitto tenuto sempre al minimo.

(1) Non è così strano che una persona pensi e ripensi, anche nel dettaglio, a fatti e concetti così gravidi di conseguenze per la sua vita, considerando anche tutto il tempo libero che hanno i membri dell’equipaggio: è una cosa che facciamo tutti.Torna su