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I Consigli del Lunedì #27: The Blue World

The Blue WorldAutore: Jack Vance
Titolo italiano: Pianeta d’acqua
Genere: Science-Fantasy / Avventura
Tipo: Romanzo

Anno: 1966
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 190 ca.

Difficoltà in inglese: **

Sono passate dodici generazioni da quando una nave spaziale terrestre è precipitata sul pianeta. Un pianeta povero di metalli e privo di terraferma, le cui infinite distese d’acqua sono spezzate solamente da piccoli arcipelaghi di giunchi, ninfee ed altre piante. I terrestri hanno dovuto adattarsi al nuovo ambiente, costruendo case e villaggi sulle ninfee, e creando barriere e reti sottomarine con i giunchi per intrappolare le spugne commestibili. Ma la loro non è un’esistenza libera. Le acque del pianeta sono infestate dai kragen1, violente creature simili a calamari ma con un’intelligenza quasi umana. Per avere protezione dai kragen, si sono sottomessi a uno di loro, fornendogli quote sempre maggiori di cibo – ma a furia di essere viziato King Kragen è diventato gigantesco, sempre più vorace e più aggressivo.
Sklar Hast non ci sta. Sklar è stato addestrato come assistente Hoodwink del suo villaggio, ossia come manovratore delle complicate torri di comunicazione che permettono di inviare messaggi a lunga distanza e comunicare con gli altri villaggi. Grazie alla sua abilità, Sklar poteva aspirare a sostituire presto il vecchio maestro di gilda, ma ora ha gettato il suo futuro alle ortiche mettendosi contro King Kragen. Perché andare contro il kragen significa andare contro la tradizione; contro il sindaco e contro la gilda dei sacerdoti, l’unico canale comunicativo tra gli esseri umani e le bestie marine. E significa mettere in gioco non solo la propria vita, ma anche quella dei propri cari, perché King Kragen è vendicativo, e la sua ira si abbatterà su coloro che osano sfidarlo. Chi pagherà per le scelte di Sklar? E chi vincerà nella lotta tra uomo e bestia?

Non c’è dubbio che Jack Vance sia un autore di seconda fascia. Oltre ad avere una prosa di qualità che nella migliore delle ipotesi possiamo dire mediocre, raramente le sue idee e i temi centrali delle sue storie hanno quella genialità o fascino che le rendono memorabili. Ciononostante, Vance è un’autore generalmente facile e leggero da leggere, senza essere stupido, e quando sono scazzato non mi dispiace prendere in mano una delle sue novellas o dei suoi romanzi brevi. Tra quelli che ho letto, The Blue World è sicuramente il migliore.
The Blue World è infatti un affascinante what if ambientale: come farebbero degli esseri umani, completamente tagliati fuori dal resto della loro specie, a sopravvivere in un pianeta quasi completamente ricoperto d’acqua? E che assetto prenderebbe la loro società? Visto che si sta avvicinando la scadenza del concorso Hydropunk di Giobblin, mi piace l’idea di dedicare un ultimo articolo all’argomento “mondi sommersi”. Chissà che qualche ritardatario non trovi proprio qui le suggestioni che stava cercando, o qualche piccola idea per dare il tocco finale al suo racconto.

Liberate il kraken!

Uno sguardo approfondito
Basta leggere poche righe per farsi un’idea dell’incompetenza tecnica di Vance. Il quadro dell’anti-immersività è completo: tanto per cominciare il narratore onnisciente, che alla maniera di un prosatore dell’Ottocento parte da una panoramica generale del mondo d’acqua per poi andare progressivamente a stringere, prima sul villaggio dei personaggi principali, Tranque Float, quindi sulla gilda degli Hoodwink e infine sul protagonista. E a braccetto con l’onnisciente, come in genere accade, troviamo l’abuso di infodump e raccontato.
Vance infatti non si fa problemi a spendere pagine e pagine per raccontarci in modo statico e astratto come funziona la vita sulle ninfee del pianeta d’acqua. E se un romanzo ben scritto dovrebbe essere una successione di scene mostrate, collegate al limite da brevi intermezzi raccontati, qui le proporzioni sono invertite: solo nei momenti climatici (e nemmeno sempre!) Vance si degna di abbassare la telecamera a livello dei suoi personaggi e mostrare la scena, mentre il grosso del romanzo è costituito da grossi riassuntoni raccontati.
Il raccontato naturalmente investe anche la caratterizzazione dei personaggi, appiattendola. Ogni nuovo personaggio è introdotto con la spiegazione di chi sia e cosa faccia, e in genere è accompagnato da una serie di aggettivi che lo descrivono. Ecco per esempio com’è presentato il protagonista:

A relatively young man, Sklar Hast had achieved his status by the simplest and most uncomplicated policy imaginable: With great tenacity he strove for excellence and sought to instill the same standards into the apprentices. He was a positive and direct man, without any great affability, knowing nothing of malice or guile and little of tact or patience. The apprentices resented his brusqueness but respected him; Zander Rohan considered him overpragmatic and deficient in reverence for his betters — which was to say, himself. Sklar Hast cared nothing one way or the other.

Altra conseguenza inevitabile di questo stile è che ci viene detto cosa pensare di ognuno dei personaggi; il lettore non può farsi un’idea propria, perché tutto è filtrato dal punto di vista assoluto dell’Autore. Il che è un peccato, dato che alcuni dei comprimari avevano caratteristiche che potevano renderli personaggi molto interessanti: il maestro Hoodwink Zander Rohan, che pur essendo una brava persona teme per la propria età e non riesce ad accettare di essere sostituito nella guida della gilda; sua figlia Meril, che fa da contraltare al pragmatismo del protagonista con il suo desiderio di riscoprire le radici del loro popolo e combatte una lotta solitaria per la conoscenza; il sacerdote Semm Voiderveg, garante della tradizione e del mantenimento di buoni rapporti con King Kragen.

Seline, sempre allegra e curiosa; Naomi, vivace ma equilibrata; e Sklar Hast, diretto e concreto, era considerato troppo pragmatico e irrispettoso.

Il raccontato diminuisce di molto anche il potenziale di conflitto della storia. E dire che The Blue World si presterebbe ad essere un romanzo denso di ambiguità morale e domande spinose. Sklar Hast, come molti protagonisti vanciani, non è un paladino della giustizia; è una persona pragmatica e razionale, i cui obiettivi personali possono collateralmente essere di beneficio per l’intera comunità. Forse: perché nel tentativo di liberare la sua gente dal kragen, Sklar li sta di fatto mettendo in pericolo. La posizione dei tradizionalisti, o almeno, di alcune sue frange – meglio continuare a pagare l’obolo e guadagnare un po’ meno piuttosto che rischiare tutto e perdere tutto – non è così insensata. Spesso la liceità delle azioni di Sklar e del suo programma rivoluzionario appare ambiguo.
Se la storia fosse “mostrata”, ogni lettore potrebbe farsi la propria idea e prendere posizione: hanno ragione i rivoluzionari o i tradizionalisti? O c’è una terza via? Invece Vance ci dice, di fatto, cosa pensare. Quando Sklar pensa male di qualcuno, potete star certi che ha ragione e che quel qualcuno è un cattivo. L’intera struttura del romanzo sembra tesa a dividere in modo manicheo i “buoni” dai “cattivi”: da una parte i pragmatici e i coraggiosi, dall’altra i pavidi, gli illusi, e i farabutti. Assenti anche conflitti interiori: Sklar avrà occasionalmente qualche dubbio o esitazione (molto di rado), ma in generale i personaggi viaggiano come treni, monolitici nelle proprie idee.

La prima cosa che riscatta The Blue World è il fascino dell’ambientazione. Vance si è seriamente chiesto come potrebbe sopravvivere una civiltà terrestre in un mondo così povero di risorse. Sul pianeta d’acqua, tutto può diventare una risorsa. Quando qualcuno muore, il suo scheletro viene pulito e le sue ossa utilizzate per i fini più diversi: per foggiare coltelli, lance e frecce, o strumenti più innocui come pettini. I giunchi più resistenti vengono utilizzati per edificare le torri di comunicazione, un’invenzione particolarmente affascinante.
In cima a pilastri alti dai venti ai trenta metri, una cupola ospita il maestro hoodwink e i suoi assistenti, che manovrano attraverso lunghi bastoni fissati alla torre due pannelli divisi in nove quadrati più piccoli. I pannelli sono dotati di lampade, e attraverso delle corde gli hoodwink possono alzare o abbassare scuri che aprono e chiudono i nove riquadri: in questo modo a ogni istante i due pannelli, come semafori di segnalazione, possono lanciare tutta una serie di messaggi a seconda di quali scuri sono aperti e quali chiusi. L’apprendista hoodwink impiega anni a imparare e approfondire il linguaggio dei pannelli.
Nonostante la tecnologia primitiva, i villaggi del pianeta d’acqua possono così comunicare tra loro a grande distanza.
E questo non è che l’inizio. Per combattere il kragen, i rivoluzionari avranno bisogno di nuovi strumenti e nuova tecnologia, ma come ricavare, per esempio, grosse quantità di ferro, in un mondo d’acqua e giunchi? Be’, a sentire Vance una soluzione c’è – ed è assurda e geniale al tempo stesso. Non voglio rovinarvi il divertimento: andatevele a leggere.

Linguaggio semaforico

La magia del linguaggio semaforico.

Carina anche la società disegnata da Vance. Oltre a una serie di casate principali, la gente del pianeta d’acqua è divisa in caste a seconda del mestiere d’appartenenza. Queste gilde sono organizzate in un modo che ricorda le corporazioni medievali: ogni villaggio ha un capogilda nella figura del maestro, l’anziano nonché il più esperto praticante del proprio mestiere; ogni maestro si sceglie una serie di apprendisti e assistenti, uno dei quali lo sostituirà quando sarà diventato troppo anziano per continuare. La mobilità è ridotta: generalmente, il figlio di un mercante o di un hoodwink farà lo stesso mestiere del padre.
Divertenti i nomi che Vance ha scelto per la maggior parte delle caste: la gilda dei Truffatori ha il monopolio della pesca, mentre i tintori appartengono spesso alla casta dei Peculatori; le Canaglie sovrintendono la costruzione delle barriere per catturare le spugne, mentre i Ladri costruiscono le torri degli Hoodwink. La cosa ha anche un senso e, benché molte ‘rivelazioni’ siano abbastanza telefonate, è bello seguire la graduale scoperta, da parte dei protagonisti, dell’origine delle colonie del pianeta d’acqua.

Inoltre bisogna ammettere che, pur con tutti i suoi difetti, la scrittura di Vance ha un pregio: il ritmo. The Blue World non si perde in pretese di letterarietà, come il suo collega della settimana scorsa; la trama è lineare e diretta, e non c’è posto per alcunché che non muova la storia o le relazioni tra i personaggi. I dialoghi, benché privi dell’istrionismo comico di altre opere di Vance – mancanza dovuta in parte alla serietà del protagonista e del tema centrale del romanzo – sono vivaci. Gli avvenimenti si succedono a ritmo rapido, e l’intero romanzo si può tranquillamente leggere in due-tre giorni. Gli scontri tra i piccoli abitanti del pianeta d’acqua e l’apparentemente invincibile King Kragen sono sinceramente affascinanti, e pieni di tensione; le ‘soluzioni’ trovate dai rivoluzionari per combattere la bestia sono sempre sensate, e il lettore non si sente mai tradito. Tutto questo – fatti salvi i difetti sopra elencati – rende The Blue World un buon romanzo d’avventura.
Insomma, siamo lontani dal capolavoro, ma il romanzo di Vance resta una lettura piacevole e intelligente. Lo penalizzano una scrittura anti-immersiva, la mancanza di ambiguità morale, le occasioni di conflitto sprecate e l’eccessiva linearità della trama; ma i contenuti sono interessanti. In particolare, Jack Vance ha un vantaggio su una scrittrice assai blasonata da noi, Ursula K. LeGuin: pur giocando sullo stesso terreno – lo science-fantasy dal taglio etnografico – Vance è più vivace e più fantasioso della LeGuin, ed è privo del fastidioso afflato didattico di quest’ultima. Gli amanti della LeGuin potrebbero sentirsi a casa con un romanzo di Vance, e in particolare con questo The Blue World.
La lettura è consigliata in particolare a chi partecipi o voglia partecipare al concorso Hydropunk.

Vance VS LeGuin

“A noi due, Ursula.”

Dove si trova?
Purtroppo, The Blue World non si trova né su Bookfinder né su Library Genesis; Dago mi conferma però che si può recuperare sul canale #books di irchighway, tramite mIRC. In alternativa, si può comprare su Amazon: ci sono due edizioni kindle differenti, quella della Gollancz a 6,49 Euro e quella di una certa Spatterlight Press a 4,78 Euro. Non so dire se quella che costa di meno sia formattata altrettanto bene.
Quanto a un’edizione italiana: esistere esiste, ma sul Mulo non l’ho trovata.

Su Jack Vance
Oltre alle Tales of the Dying Earth, la gargantuesca raccolta di romanzi e racconti sulla Terra morente di cui ho parlato lo scorso Marzo nel Consiglio #15, nel corso di quest’anno ho letto tutta una serie di romanzi science-fantasy autoconclusivi di Vance. Il giudizio globale non è molto positivo, e va dal “bleah” al “meh” con qualche occasionale punta di “carino”.
I libri di Vance sono il solito compendio di incompetenza tecnica, dalle paginate di riassuntoni raccontati alle valanghe di infodump (a volte messi in nota!), dal narratore onnisciente ai personaggi di cartone. E dire che potenzialmente molte delle sue storie avrebbero anche le premesse per essere fighe (e qualche volta queste potenzialità sono ciò che li salvano). Ma vediamoli più nel dettaglio:
The Languages of Pao The Languages of Pao (I linguaggi di Pao) è un romanzo d’avventura e intrighi politici. L’idea centrale del libro, ispirata alla teoria antropologica di Sapir-Whorf, sarebbe che il linguaggio di un popolo influenza pesantemente il modo in cui questo vede la realtà, e che attraverso la modificazione di questo linguaggio, anche i suoi rapporti con essa cambieranno. Per spodestare dal trono di Pao l’usurpatore Bustamonte, Lord Palafox tenterà di addestrare i remissivi abitanti del pianeta alla rivolta, insegnando a gruppi di essi diversi tipi di linguaggi specializzati in varie direzioni (il linguaggio dei guerrieri, quello dei tecnici, quello degli strateghi). L’idea sarebbe anche interessante, ma lo stile è talmente raccontato e osceno da non convincere. I continui colpi di scena, i personaggi inconsistenti e l’incapacità di gestire le scene della storia fanno completamente deragliare il romanzo.
The Dragon Masters The Dragon Masters è una breve novella ambientata su un pianeta arretrato, roccioso e povero di risorse. La società è divisa in un manipolo di clan che si combattono con l’ausilio di “draghi”, creature bioingegnerizzate in vari modi e semi-intelligenti. Ciclicamente, il pianeta viene attaccato da invasori stellari che è sempre più difficile respingere, e il capoclan Joan Banbeck teme che il ciclo sia lì lì per ricominciare… Una storia con poche pretese e raccontata male, ma alcune rivelazioni sulla natura dei draghi e dell’esercito degli alieni invasori sono interessanti. Mediocre.
The Last Castle The Last Castle è una novella tragicomica su una Terra spopolata del remoto futuro. I pochi terrestri rimasti si sono arroccati in castelli e conducono una vita da aristocratici decadenti, serviti dagli ottusi Meks. Ma quando i Meks si ribelleranno senza apparente motivo e cominceranno ad abbattere uno ad uno i castelli, i gentiluomini non sapranno più cosa fare e precipiteranno nel panico e nell’autonegazione. La storia sarebbe anche divertente, se non fosse scritta così male (sembra quasi il riassunto di un romanzo, invece che un romanzo!), e alcuni scambi sono molto divertenti, ma si tratta di un’altra novella con poche pretese.
Emphyrio Emphyrio è un bildungsroman d’avventura, in cui un giovane figlio di artigiano del pianeta Halma – Ghyl Tarvoke – si imbarcherà in un viaggio per conoscere l’universo, vivere una vita piena e, an passant, sventare un complotto distopico. Halma è infatti un pianeta di eguali, in cui vige una sorta di capitalismo di stato: la maggior parte della popolazione è costituita da piccoli artigiani autonomi, il cui unico datore di lavoro sono le corporazioni governative e che ricevono lo stipendio in base alla qualità dei loro prodotti. Un grande inganno viene perpetrato alle spalle di questi artigiani, ma loro non lo sanno, perché attraverso un’ideologia di modestia e umiltà il governo limita i loro movimenti e li forza a non lasciare il pianeta. L’ambientazione sarebbe anche interessante, ma lo stile clueless e la piattezza di molti personaggi ne fanno un romanzo mediocre.
Nota curiosa: benché questi romanzi non facciano parte di un ciclo, teoricamente potrebbero anche appartenere tutti (compreso The Blue World) a un universo condiviso! Infatti nessuno dei romanzi sembra contraddire gli altri, e ognuno è ambientato su un pianeta diverso.

Qualche estratto
Il primo estratto è preso dalle prime pagine del romanzo, ed è un lungo infodump sul funzionamento delle torri di comunicazione e sulla casta degli Hoodwink che le fa funzionare; incidentalmente, mostra anche lo stile onnisciente e statico di Vance, e come dal campo lungo della storia della gilda il narratore vada a stringere sul protagonista. Il secondo invece mostra una scena d’azione, ossia il primo scontro aperto tra Sklar e King Kragen.

1.
Another caste, the Larceners, constructed the towers, which customarily stood sixty to ninety feet high at the center of the float, directly above the primary stalk of the sea-plant. There were usually four legs of woven or laminated withe, which passed through holes in the pad to join a stout stalk twenty or thirty feet below the surface. At the top of the tower was a cupola, with walls of split withe, a roof of varnished and laminated pad-skin. Yardarms extending to either side supported lattices, each carrying nine lamps arranged in a square, together with the hoods and trip-mechanisms. Within the cupola, windows afforded a view across the water to the neighboring floats — a distance as much as the two miles between Green Lamp and Adelvine, or as little as the quarter-mile between Leumar and Populous Equity.
The Master Hoodwink sat at a panel. At his left hand were nine tap-rods, cross-coupled to lamp-hoods on the lattice to his right. Similarly the tap-rods at his right hand controlled the hoods to his left. By this means the configurations he formed and those he received, from his point of view, were of identical aspect and caused him no confusion. During the daytime the lamps were not lit and white targets served the same function. The hoodwink set his configuration with quick strokes of right and left hands, kicked the release, which there-upon flicked the hoods, or shutters, at the respective lamps or targets. Each configuration signified a word; the mastery of a lexicon and a sometimes remarkable dexterity were the Master Hoodwink’s stock in trade. All could send at speeds almost that of speech; all knew at least five thousand, and some six, seven, eight, or even nine thousand configurations. The folk of the floats could in varying degrees read the configurations, which were also employed in the keeping of the archives (against the vehement protests of the Scriveners), and in various other communications, public announcements, and messages.
On Tranque Float, at the extreme east of the group, the Master Hoodwink was one Zander Rohan, a rigorous and exacting old man with a mastery of over seven thousand configurations. His first assistant, Sklar Hast, had well over five thousand configurations at his disposal; precisely how many more he had never publicized.

Chi ha liberato il kraken?

2.
Sklar Hast pointed. “The vile beast of the sea plunders us. I say we should kill it, and all other kragen who seek to devour our sponges!”
Semm Voiderveg emitted a high-pitched croak. “Are you insane? Someone, pour water on this maniac hoodwink, who has too long focused his eyes on flashing lights!”
In the lagoon the kragen tore voraciously at the choicest Belrod sponges, and the Belrods emitted a series of anguished hoots.
“I say, kill the beast!” cried Sklar Hast. “The king despoils us; must we likewise feed all the kragen of the ocean?”
“Kill the beast!” echoed the younger Belrods.
Semm Voiderveg gesticulated in vast excitement, but Poe Belrod shoved him roughly aside. “Quiet, let us listen to the hoodwink. How could we the kragen? Is it possible?”
“No!” cried Semm Voiderveg. “Of course it is not possible! Nor is it wise or proper! What of our covenant with King Kragen?”
“King Kragen be damned!” cried Poe Belrod roughly. “Let us hear the hoodwink. Come then: do you have any method in mind by which the kragen can be destroyed?”
Sklar Hast looked dubiously through the dark toward the great black hulk. “I think yes. A method that requires the strength of many men.”
Poe Belrod waved his hand toward those who had come to watch the kragen. “Here they stand.”
“Come,” said Sklar Hast. He […] led the way to a pile of poles stacked for the construction of a new storehouse. Each pole, fabricated from withes laid lengthwise and bound in glue, was twenty feet long by eight inches in diameter and combined great strength with lightness. Sklar Hast selected a pole even flicker — the ridge beam. “Pull this pole forth, lay it on trestle!”
While this was being accomplished, he looked about and signaled Rudolf Snyder, a Ninth, though a man no older than himself of the long-lived Incendiary Caste, which now monopolized the preparation of fiber, the laying of rope and plaits. “I need two hundred feet of hawser, stout enough to lift the kragen. If there is none of this, then we must double or redouble smaller rope to the same effect.”
Rudolf Snyder took four men to help him and brought rope from the warehouse.
Sklar Hast worked with great energy, rigging the pole in accordance with his plans. “Now lift! Carry all to the edge of the pad!”
Excited by his urgency, the men shouldered the pole, carried it close to the lagoon, and at Sklar Hast’s direction set it down with one end resting on the hard fiber of a rib. The other end, to which two lengths of hawser were tied, rested on a trestle and almost overhung the water. “Now,” said Sklar Hast, “now we kill the kragen.” He made a noose at the end of a hawser, advanced toward the kragen, which watched him through the rear-pointing eyes of its turret. Sklar Hast moved slowly, so as not to alarm the creature, which continued to pluck sponges with a contemptuous disregard.
Sklar Hast approached the edge of the pad. “Come, beast!” he called. “Ocean brute! Come closer. Come.” He bent, splashed water at the kragen. Provoked, it surged toward him. Sklar Hast waited, and just before it swung its vane, he tossed the noose over its turret. He signaled his men. “Now!” They heaved on the line, dragged the thrashing kragen through the water. Sklar Hast guided the line to the end of the pole. The kragen surged suddenly forward; in the confusion and the dark the men heaving on the rope fell backward. Sklar Hast seized the slack and, dodging a murderous slash of the kragen’s fore-vane, flung a hitch around the end of the pole, he danced back. “Now!” he called. “Pull, pull! Both lines! The beast is as good as dead!”

Tabella riassuntiva

Una colonia terrestre che deve reinventarsi in un pianeta d’acqua. Narratore onnisciente e prosa anti-immersiva.
Ritmo vivace e plot-oriented, senza deragliamenti. Personaggi di cartone.
Tante piccole trovate geniali. Morale prescritta dall’alto e occasioni di conflitto mancate.

(1) Così nel testo. Non so se si tratti di una variante attestata del più noto “kraken”, o se si tratti di un’invenzione di Jack Vance; fatto sta che i mostri marini di The Blue World si chiamano “kragen” e non “kraken”.Torna su