Archivi tag: Jack Vance

Bonus Track: The Alchemist / The Executioness

The AlchemistAutore: Paolo Bacigalupi
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 90

Difficoltà in inglese: **

 

The ExecutionessAutore: Tobias S. Buckell
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 100

Difficoltà in inglese: **

A chiunque sia scoperto a usare la magia, sarà tagliata la testa sulla pubblica piazza: così ha deciso il Sindaco di Khaim. Ma non è una pena troppo dura, perché in gioco è la sopravvivenza stessa della città. Ogni volta che viene lanciato un incantesimo, da qualche parte nasce un rovo. E i rovi crescono, soffocano le piante, i campi, le case; e pungersi con le loro spine significa cadere in un sonno che può portare alla morte. E per quanto li tagli, sempre ricrescono. Così è caduto il grande impero di Jhandpara, un tempo governato da potentissimi maghi simili a dei: stretto nell’abbraccio mortale dei rovi. Ora i rovi circondano Khaim. Eppure i suoi abitanti, nel cuore della notte o nel segreto delle loro cantine, continuano a lanciare magie per i propri scopi privati: e i rovi continuano a crescere.
Tana è la figlia del boia. Il mestiere di suo padre è la principale fonte di sostentamento della famiglia. Ma ormai suo padre è vecchio, e malato, e non riesce più a sollevare quell’ascia così pesante. Così, quando la chiamata arriva, Tana non può fare altro che indossare quel cappuccio che nasconde il volto, fingersi suo padre e diventare lei stessa boia. Ancora non sa che, quello stesso giorno, tutto a Khaim sta per cambiare – e la vita della sua famiglia sarà sconvolta per sempre.
Jaoz è un alchimista. Un tempo uno dei più facoltosi e ricercati orafi di Khaim, da più di dieci anni si è messo in testa di salvare la sua città e trovare un metodo alchemico per distruggere i rovi una volta per tutte. Ma tutti i suoi tentativi sono falliti. Oppresso dai debiti e dalla malattia della figlioletta Jiala, sa di non avere più molto tempo a disposizione, e metterà tutte le sue energie in un ultimo, disperato tentativo. Quello che non sa, è che anche se riuscisse, la sua scoperta potrebbe essere utilizzata in modi che non immagina…

Ogni volta che viene castato un incantesimo, da qualche parte nel mondo un coniglietto muore sbocciano rovi mortali: questa è la premessa dell’ambientazione condivisa di The Alchemist e The Executioness, due novellas scritte rispettivamente da Paolo Bacigalupi e Tobias Buckell in questo progetto collaborativo orchestrato da Subterranean Press. Entrambe le storie prendono le mosse da due persone normali, due abitanti della città di Khaim – la figlia del boia e l’alchimista – quando la loro vita e quella dei loro cari viene completamente sconvolta. Nonostante qualche richiamo reciproco, i due libri sono del tutto indipendenti, e possono quindi essere letti in qualunque ordine si voglia.
Di solito sono scettico delle collaborazioni, e me ne tengo alla larga. Cosa mi ha fatto cambiare idea questa volta? Primo, la presenza di Bacigalupi, uno scrittore davvero bravo che ho amato per The Windup Girl (mentre non posso dire lo stesso di Buckell, un tizio ignoto che è famoso soprattutto per i suoi libri sul franchise di Halo); secondo, e più importante, questa ambientazione condivisa sembrava offrire una visione della magia diversa dal solito. Se molti autori di fantasy medievaleggiante cercano di limitare lo strapotere della magia circoscrivendone l’uso a pochi individui e poche occasioni, in The Alchemist e The Executioness la logica è quella opposta: proprio perché la magia è diffusa e alla portata di tutti, e quindi tutti ne abusano, la civiltà rischia di essere spazzata via.
Ai fini della mia ricerca sui sistemi magici, di cui vi ho parlato nello scorso articolo, in questa Bonus Track mi concentrerò in primo luogo sul modo in cui è concepita la magia e solo in seconda battuta sulla qualità complessiva dei romanzi.

Magic Bramble Creeper

Le infestazioni di rovi magici possono essere davvero terribili.

Uno sguardo approfondito
Abbiamo visto nello scorso articolo che la magia, pur avendo sempre un ruolo fondamentale per il worldbuilding (nelle storie in cui esiste), può avere diversi gradi di importanza per le storie particolari che andiamo a raccontare – per il destino dei nostri protagonisti e personaggi pov. Nel caso di queste due novellas, non soltanto la magia è il motore della storia – Tana è la figlia del boia incaricato di giustiziare chi viene scoperto a usare la magia, Jaoz ha dedicato alla sua vita a combattere i rovi magici – ma è anche il fulcro di un affascinante moral play. Lanciare magie è sbagliato, certo. Ma se tua figlia sta male? Se quando tossisce sputa sangue? Se fosse in pericolo di vita, e un piccolo incantesimo potesse regalarle mesi di vita, non sareste disposti a farlo, anche se questo dovesse significare che da qualche parte – nel cortile del vostro vicino, nei campi della città o persino in una contrada lontano – spunta qualche nuovo rovo?
E’ ciò che si chiede Jaoz in uno dei primi capitoli di The Alchemist, quando guarda la sua figlioletta peggiorare di giorno in giorno:

I avoided using magic for as long as possible, but Jiala’s cough worsened, digging deeper into her lungs. And it was only a small magic. Just enough spelling to keep her alive. To close the rents in her little lungs, and stop the blood from spackling her lips. Perhaps a sprig of bramble would sprout in some farmer’s field as a result, fertilized by the power released into the air, but really it was such a small magic, and Jiala’s need was too great to ignore.

Ricordate però cosa vi dicevano da piccoli, quando buttavate una cartaccia per terra? “Certo, quella carta non è niente, ma se tutti facessero così…”. E questa è proprio l’impasse che vivono gli abitanti di Khaim. Tutti sanno che non si può fare a meno della magia, ma che al tempo stesso non si può lasciare impunito chi sia scoperto a farlo. Dov’è il punto in cui bisogna sacrificare il bene individuale per quello comune? Chi ha ragione, e chi ha torto?

La magia è integrata in modo elegante nell’ambientazione. Mentre va alla sua prima esecuzione, Tana si imbatte in una sorta di pompieri al contrario: uomini del Sindaco che, vestiti di pelle da capo a piedi – per evitare di entrare in contatto con le letali spine dei rovi – vanno in giro bruciando le radici che ogni giorno spuntano nei giardini o nelle crepe della strada. Ma quando un rovo brucia, delle piccole sacche contenute nella corteccia esplodono, liberando piogge di nuovi semi che finiscono ovunque e presto germoglieranno nuovi rovi. Per questo i bambini di strada, e i poveri che non hanno più niente – e tra questi Jiala, la figlia di Jaoz – possono essere visti passare le giornate a prendere i semi e metterle in appositi sacchetti. Ogni cento semi raccolti, il comune darà loro una moneta di rame.
Ma questo continuo bruciare e raccogliere della povera gente è come il mito di Sisifo: una fatica inutile e frustrante. Perché ogni giorni i rovi rispuntano, più robusti e più ramificati di prima, resi più forti dalle tante piccole magie che, con l’odore speziato che liberano nell’aria, vengono lanciate ogni giorno nel buio delle cantine o in mezzo ai campi nelle notti senza luna. I rovi stessi sono mostrati con efficacia e suscitano angoscia: in un passaggio, Bacigalupi indugia sulle minuscole spine attaccate a ogni singolo ramo, spine vive che si contorcono come vermi, e sono pronte ad attaccartisi alla pelle al minimo contatto e a liberare il loro veleno mortale. Il risultato è uno strana mescolanza di atmosfere alla Jack Vance – con queste città dal sapore mediterraneo e rinascimentale, la magia alla portata di tutti, l’indulgere sulla vita urbana e dei mercanti piuttosto che sul mondo feudale – e di una sottile angoscia sovrannaturale.

Sleeping beauty hipster

Delle due storie, quella che davvero si focalizza sul funzionamento della magia (pur non scendendo mai troppo nel dettaglio) e lo scontro con i rovi è The Alchemist. The Executioness, purtroppo, dopo un inizio molto promettente, centrato sul senso di colpa della protagonista nell’essere costretta a uccidere persone per crimini che hanno compiuto senza avere altra scelta, prende una via completamente diversa – diventando una quest di vendetta abbastanza classica. Con la scusa di avere una protagonista femminile che si trova a maneggiare un’ascia, la novella di Buckell diventa una storia – anche interessante – sul ruolo delle donne nella guerra.
La figlia del boia è una donna forte, abituata nella vita a sporcarsi le mani, a sgozzare maiali e a non piangere mai, ma Buckell riesce a evitare di cadere nei cliché del genere: a differenza della Nihal della Troisi, Tana sa di non poter vincere in un normale scontro fisico con un uomo, e quindi fonderà le sue strategie sugli attacchi a sorpresa, sui bluff, sul costruirsi una reputazione sovrannaturale. Alcune battaglie, e soprattutto gli scontri campali, mi sono suonati un po’ inverosimili, ma non sono abbastanza esperto sull’argomento per giudicare, e in ogni caso questi momenti sono raccontati da Buckell con troppa fretta, e troppo poco mostrato, per poterli visualizzare bene. In ogni caso, pur non essendo priva di punti di interesse, la direzione presa da The Executioness la allontana dal tema centrale, ossia il moral play magico. Il problema dei rovi è presente ma distante, se ne parla molto ma lo si vede poco – in definitiva, mi pare un’occasione sprecata.

Più interessante è The Alchemist. In poche pagine riesce a mostrare con efficacia i rapporti tra i personaggi principali, e come questi siano determinati dalla lotta ai rovi: la disperazione dell’alchimista, costretto a vendere i suoi ultimi lussuosi mobili per finanziare un progetto che sembra sempre più votato al fallimento; il disprezzo di Pila, l’ultima delle sue serve, nel vederlo cadere ogni giorno di più nella povertà; il misto di affetto e rancore della piccola Jiala.
Bacigalupi è anche il migliore dei due nella prosa. Entrambe le storie sono scritte in prima persona col pov del protagonista – il che è un bene, considerate le dimensioni ridotte delle due novellas – ma se per Buckell questo diventa occasione (soprattutto nelle prime pagine) per una sfilza di infodump sull’ambientazione e il background dei suoi personaggi, Bacigalupi riesce a tenerli al minimo, e questi pochi a filtrarli in modo più naturale attraverso la voce del pov. Bacigalupi mostra molto di più, soprattutto nel mostrare il lancio di incantesimi o il funzionamento del suo balanthast alchemico, mentre Buckell si abbandona facilmente al raccontato e ai riassuntini di avvenimenti, specie nell’ultimo (e cruciale) capitolo. Anche nei momenti drammatici, lo stile del Jaoz di The Alchemist è venato di rassegnato umorismo, laddove tutto The Executioness è scritto in modo grave, serio, monocorde.
Purtroppo anche The Alchemist è ben lontano dalla perfezione. Pur essendo più focalizzato sul tema centrale dell’ambientazione, anche la storia di Jaoz prende nel tempo un’altra direzione – cosa succederebbe se la sua invenzione finisse nelle mani sbagliate? – e diventa una parabola sull’avidità umana, sull’ipocrisia e sui sogni (forse) spezzati. Tutta la sua storyline, inoltre, si fonda sul concetto di trovare una via d’uscita rispetto allo “scambio equivalente” tra magia e maledizione dei rovi: un meccanismo che by definition vanificherebbe il conflitto centrale della storia. Perché, Bacigalupi? Perché?

Nihal della Terra del Vento

The Executioness: still better than Nihal.

Questa collaborazione Buckell / Bacigalupi mi lascia dunque due sapori contrastanti in bocca. Da una parte, riescono nell’intento di creare un mondo vasto e credibile, che sembra molto più grande della singola storia raccontata e pare vivere di vita propria oltre le pagine. Dall’altro, in queste due storie non accade niente di memorabile, non ci sono personaggi particolarmente memorabili, un conceptual breakthrough o un’epicità di fondo; entrambe le storie sanno di incompiuto, di potenziale sprecato, di inconcludenza. Quasi come se queste due novellas fossero un teaser da esibire su Kickstarter: “guardate di cosa siamo capaci, se volete il resto finanziate il nostro progetto”. Peccato che i due libri siano stati pubblicati nel 2011, e non si sia più visto niente: il progetto sembra, per il momento, concluso così.
Stando così le cose, non si chiude nessuno dei due libri davvero soddisfatti. Benché costino poco, non mi sento di consigliare nessuna delle due come lettura di puro piacere. Possono, però, essere interessanti come fonte di idee. Il meccanismo della magia e i conflitti morali che genera è affascinante e reso molto bene, e soprattutto si apre a decine e decine di possibilità non sfruttate. In caso siate interessati, ovviamente il mio consiglio è di partire da The Alchemist, ed eventualmente – in caso rimaniate piacevolmente colpiti – provare anche The Executioness. Posso solo sperare che da questo worldbuilding nasca un giorno qualcosa di più corposo.

Dove si trovano?
Entrambe le novellas possono essere scaricate in lingua originale da Library Genesis (qui il link per il download diretto dell’ePub di The Alchemist, qui invece l’ePub di The Executioness): ringrazio Mikecas per questa informazione.
In alternativa, e se volete premiare gli autori, potete comprarli su Amazon – il prezzo è davvero da fame: 1,99 Euro sia per The Alchemist che per The Executioness. Esiste anche un’audio-book che raccoglie entrambe le storie, ma costa un’enormità e non ha veramente senso per noi italiani.

Full Metal Alchemist meme

Alchimia: non funziona proprio così.

Qualche estratto
Ho scelto un brano per ciascuna delle due novellas, in momenti di conflitto all’inizio delle rispettive storie. In The Executioness, vedremo la protagonista Tana, camuffata nella divisa di suo padre, alle prese con la sua prima esecuzione. L’estratto da The Alchemist ci mostrerà invece l’alchimista Jaoz nel momento in cui sarà costretto a fare la cosa che più odia al mondo: lanciare una magia per salvare la vita della figlia.

1.
 I let the axe fall.
It swung toward the vulnerable nape of the man’s neck as if the blade knew what it was doing.
And then the man shifted, ever so slightly.
I twisted the handle to compensate, just a twitch to guide the blade, and the curving edge of the axe buried itself in the man’s back at an angle on the right. It sank into shoulder meat and fetched up against bone with a sickening crunch.
It had all gone wrong.
Blood flew back up the handle, across my hands, and splattered against my leather apron.
The man screamed. He thrashed in the chains, a tortured animal, almost jerking the axe out of my blood-slippery hands.
“Gods, gods, gods,” I said, terrified and sick. I yanked the axe free. Blood gushed down the man’s back and he screamed even louder.
The crowd stared. Anonymous oval faces, hardly blinking.
I raised the axe quickly, and brought it right back down on him. It bit deep into his upper left arm, and I had to push against his body with my foot to lever it free. He screamed like a dying animal, and I was crying as I raised the axe yet again.
“Borzai will surely consider this before he sends you to your hall,” I said, my voice scratchy and loud inside the hood. I took a deep breath and counted to three.
I would not miss again. I would not torture this dying man any more.
I must imagine I am only chopping wood, I thought.
I let the axe fall once again. I let it guide itself, looking at where it needed to be at the end of the stroke.
The blade struck the man’s neck, cleaved right through it, and buried itself in the wooden platform below.
The screaming stopped.
My breath tasted of sick. I was panting, and terrified as the Mayor approached me. He leaned close, and I braced for some form of punishment for doing such a horrible thing.
“Well done!” the Mayor said. “Well done indeed. What a show, what a piece of butchery! The point has well been made!”

2.
Jiala and I sat in the corner of my workshop, amidst the blankets where she now slept near the fire, the only warm room I had left, and I used the scribbled notes from the book of Majister Arun to make magic.
His pen was clear, even if he was long gone to the Executioner’s axe. His ideas on vellum. His hand reaching across time. His past carrying into our future through the wonders of ink. Rosemary and pkana flower and licorice root, and the deep soothing cream of goat’s milk. Powdered together, the yellow pkana flower’s petals all crackling like fire as they touched the milk. Sending up a smoke of dreams.
And then with my ring finger, long missing all three gold rings of marriage, I touched the paste to Jiala’s forehead, between the thick dark hairs of her eyebrows. And then, pulling down her blouse, another at her sternum, at the center of her lungs. The pkana’s yellow mark pulsed on her skin, seeming wont to ignite.
As we worked this little magic, I imagined the great majisters of Jhandpara healing crowds from their arched balconies. It was said that people came for miles to be healed. They used the stuff of magic wildly, then.
“Papa, you mustn’t.” Jiala whispered. Another cough caught her, jerking her forward and reaching deep, squeezing her lungs as the strongman squeezes a pomegranate to watch red blood run between his fingers.
“Of course I must,” I answered. “Now be quiet.”
“They will catch you, though. The smell of it—”
“Shhhh.”
And then I read the ancient words of Majister Arun, sounding out the language that could never be recalled after it was spoken. Consonants burned my tongue as it tapped those words of power. The power of ancients. The dream of Jhandpara.
The sulphur smell of magic filled the room, and now round vowels of healing tumbled from my lips, spinning like pin wheels, finding their targets in the yellow paste of my fingerprints.
The magic burrowed into Jiala, and then it was gone. The pkana flower paste took on a greenish tinge as it was used up, and the room filled completely with the smoke of power unleashed. Astonishing power, all around, and only a little effort and a few words to bind it to us. Magic. The power to do anything. Destroy an empire, even.
I cracked open the shutters, and peered out onto the black cobbled streets. No one was outside, and I fanned the room quickly, clearing the stench of magic.
“Papa. What if they catch you?”
“They won’t.” I smiled. “This is a small magic. Not some great bridge-building project. Not even a spell of fertility. Your lungs hold small wounds. No one will ever know. And I will perfect the balanthast soon. And then no one will ever have to hold back with these small magics ever again. All will be well.”

Tabella riassuntiva

Il sistema magico è semplice ed elegante. Entrambe le storie tendono ad andare fuori tema.
Angoscioso moral play tra bene individuale e bene comune. Infodump e raccontato a pioggia, specie in The Executioness.
Ambientazione vasta, viva e coerente. Il progetto lascia un senso di incompiutezza.
Spunti interessanti ma niente di memorabile.

I Consigli del Lunedì #27: The Blue World

The Blue WorldAutore: Jack Vance
Titolo italiano: Pianeta d’acqua
Genere: Science-Fantasy / Avventura
Tipo: Romanzo

Anno: 1966
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 190 ca.

Difficoltà in inglese: **

Sono passate dodici generazioni da quando una nave spaziale terrestre è precipitata sul pianeta. Un pianeta povero di metalli e privo di terraferma, le cui infinite distese d’acqua sono spezzate solamente da piccoli arcipelaghi di giunchi, ninfee ed altre piante. I terrestri hanno dovuto adattarsi al nuovo ambiente, costruendo case e villaggi sulle ninfee, e creando barriere e reti sottomarine con i giunchi per intrappolare le spugne commestibili. Ma la loro non è un’esistenza libera. Le acque del pianeta sono infestate dai kragen1, violente creature simili a calamari ma con un’intelligenza quasi umana. Per avere protezione dai kragen, si sono sottomessi a uno di loro, fornendogli quote sempre maggiori di cibo – ma a furia di essere viziato King Kragen è diventato gigantesco, sempre più vorace e più aggressivo.
Sklar Hast non ci sta. Sklar è stato addestrato come assistente Hoodwink del suo villaggio, ossia come manovratore delle complicate torri di comunicazione che permettono di inviare messaggi a lunga distanza e comunicare con gli altri villaggi. Grazie alla sua abilità, Sklar poteva aspirare a sostituire presto il vecchio maestro di gilda, ma ora ha gettato il suo futuro alle ortiche mettendosi contro King Kragen. Perché andare contro il kragen significa andare contro la tradizione; contro il sindaco e contro la gilda dei sacerdoti, l’unico canale comunicativo tra gli esseri umani e le bestie marine. E significa mettere in gioco non solo la propria vita, ma anche quella dei propri cari, perché King Kragen è vendicativo, e la sua ira si abbatterà su coloro che osano sfidarlo. Chi pagherà per le scelte di Sklar? E chi vincerà nella lotta tra uomo e bestia?

Non c’è dubbio che Jack Vance sia un autore di seconda fascia. Oltre ad avere una prosa di qualità che nella migliore delle ipotesi possiamo dire mediocre, raramente le sue idee e i temi centrali delle sue storie hanno quella genialità o fascino che le rendono memorabili. Ciononostante, Vance è un’autore generalmente facile e leggero da leggere, senza essere stupido, e quando sono scazzato non mi dispiace prendere in mano una delle sue novellas o dei suoi romanzi brevi. Tra quelli che ho letto, The Blue World è sicuramente il migliore.
The Blue World è infatti un affascinante what if ambientale: come farebbero degli esseri umani, completamente tagliati fuori dal resto della loro specie, a sopravvivere in un pianeta quasi completamente ricoperto d’acqua? E che assetto prenderebbe la loro società? Visto che si sta avvicinando la scadenza del concorso Hydropunk di Giobblin, mi piace l’idea di dedicare un ultimo articolo all’argomento “mondi sommersi”. Chissà che qualche ritardatario non trovi proprio qui le suggestioni che stava cercando, o qualche piccola idea per dare il tocco finale al suo racconto.

Liberate il kraken!

Uno sguardo approfondito
Basta leggere poche righe per farsi un’idea dell’incompetenza tecnica di Vance. Il quadro dell’anti-immersività è completo: tanto per cominciare il narratore onnisciente, che alla maniera di un prosatore dell’Ottocento parte da una panoramica generale del mondo d’acqua per poi andare progressivamente a stringere, prima sul villaggio dei personaggi principali, Tranque Float, quindi sulla gilda degli Hoodwink e infine sul protagonista. E a braccetto con l’onnisciente, come in genere accade, troviamo l’abuso di infodump e raccontato.
Vance infatti non si fa problemi a spendere pagine e pagine per raccontarci in modo statico e astratto come funziona la vita sulle ninfee del pianeta d’acqua. E se un romanzo ben scritto dovrebbe essere una successione di scene mostrate, collegate al limite da brevi intermezzi raccontati, qui le proporzioni sono invertite: solo nei momenti climatici (e nemmeno sempre!) Vance si degna di abbassare la telecamera a livello dei suoi personaggi e mostrare la scena, mentre il grosso del romanzo è costituito da grossi riassuntoni raccontati.
Il raccontato naturalmente investe anche la caratterizzazione dei personaggi, appiattendola. Ogni nuovo personaggio è introdotto con la spiegazione di chi sia e cosa faccia, e in genere è accompagnato da una serie di aggettivi che lo descrivono. Ecco per esempio com’è presentato il protagonista:

A relatively young man, Sklar Hast had achieved his status by the simplest and most uncomplicated policy imaginable: With great tenacity he strove for excellence and sought to instill the same standards into the apprentices. He was a positive and direct man, without any great affability, knowing nothing of malice or guile and little of tact or patience. The apprentices resented his brusqueness but respected him; Zander Rohan considered him overpragmatic and deficient in reverence for his betters — which was to say, himself. Sklar Hast cared nothing one way or the other.

Altra conseguenza inevitabile di questo stile è che ci viene detto cosa pensare di ognuno dei personaggi; il lettore non può farsi un’idea propria, perché tutto è filtrato dal punto di vista assoluto dell’Autore. Il che è un peccato, dato che alcuni dei comprimari avevano caratteristiche che potevano renderli personaggi molto interessanti: il maestro Hoodwink Zander Rohan, che pur essendo una brava persona teme per la propria età e non riesce ad accettare di essere sostituito nella guida della gilda; sua figlia Meril, che fa da contraltare al pragmatismo del protagonista con il suo desiderio di riscoprire le radici del loro popolo e combatte una lotta solitaria per la conoscenza; il sacerdote Semm Voiderveg, garante della tradizione e del mantenimento di buoni rapporti con King Kragen.

Seline, sempre allegra e curiosa; Naomi, vivace ma equilibrata; e Sklar Hast, diretto e concreto, era considerato troppo pragmatico e irrispettoso.

Il raccontato diminuisce di molto anche il potenziale di conflitto della storia. E dire che The Blue World si presterebbe ad essere un romanzo denso di ambiguità morale e domande spinose. Sklar Hast, come molti protagonisti vanciani, non è un paladino della giustizia; è una persona pragmatica e razionale, i cui obiettivi personali possono collateralmente essere di beneficio per l’intera comunità. Forse: perché nel tentativo di liberare la sua gente dal kragen, Sklar li sta di fatto mettendo in pericolo. La posizione dei tradizionalisti, o almeno, di alcune sue frange – meglio continuare a pagare l’obolo e guadagnare un po’ meno piuttosto che rischiare tutto e perdere tutto – non è così insensata. Spesso la liceità delle azioni di Sklar e del suo programma rivoluzionario appare ambiguo.
Se la storia fosse “mostrata”, ogni lettore potrebbe farsi la propria idea e prendere posizione: hanno ragione i rivoluzionari o i tradizionalisti? O c’è una terza via? Invece Vance ci dice, di fatto, cosa pensare. Quando Sklar pensa male di qualcuno, potete star certi che ha ragione e che quel qualcuno è un cattivo. L’intera struttura del romanzo sembra tesa a dividere in modo manicheo i “buoni” dai “cattivi”: da una parte i pragmatici e i coraggiosi, dall’altra i pavidi, gli illusi, e i farabutti. Assenti anche conflitti interiori: Sklar avrà occasionalmente qualche dubbio o esitazione (molto di rado), ma in generale i personaggi viaggiano come treni, monolitici nelle proprie idee.

La prima cosa che riscatta The Blue World è il fascino dell’ambientazione. Vance si è seriamente chiesto come potrebbe sopravvivere una civiltà terrestre in un mondo così povero di risorse. Sul pianeta d’acqua, tutto può diventare una risorsa. Quando qualcuno muore, il suo scheletro viene pulito e le sue ossa utilizzate per i fini più diversi: per foggiare coltelli, lance e frecce, o strumenti più innocui come pettini. I giunchi più resistenti vengono utilizzati per edificare le torri di comunicazione, un’invenzione particolarmente affascinante.
In cima a pilastri alti dai venti ai trenta metri, una cupola ospita il maestro hoodwink e i suoi assistenti, che manovrano attraverso lunghi bastoni fissati alla torre due pannelli divisi in nove quadrati più piccoli. I pannelli sono dotati di lampade, e attraverso delle corde gli hoodwink possono alzare o abbassare scuri che aprono e chiudono i nove riquadri: in questo modo a ogni istante i due pannelli, come semafori di segnalazione, possono lanciare tutta una serie di messaggi a seconda di quali scuri sono aperti e quali chiusi. L’apprendista hoodwink impiega anni a imparare e approfondire il linguaggio dei pannelli.
Nonostante la tecnologia primitiva, i villaggi del pianeta d’acqua possono così comunicare tra loro a grande distanza.
E questo non è che l’inizio. Per combattere il kragen, i rivoluzionari avranno bisogno di nuovi strumenti e nuova tecnologia, ma come ricavare, per esempio, grosse quantità di ferro, in un mondo d’acqua e giunchi? Be’, a sentire Vance una soluzione c’è – ed è assurda e geniale al tempo stesso. Non voglio rovinarvi il divertimento: andatevele a leggere.

Linguaggio semaforico

La magia del linguaggio semaforico.

Carina anche la società disegnata da Vance. Oltre a una serie di casate principali, la gente del pianeta d’acqua è divisa in caste a seconda del mestiere d’appartenenza. Queste gilde sono organizzate in un modo che ricorda le corporazioni medievali: ogni villaggio ha un capogilda nella figura del maestro, l’anziano nonché il più esperto praticante del proprio mestiere; ogni maestro si sceglie una serie di apprendisti e assistenti, uno dei quali lo sostituirà quando sarà diventato troppo anziano per continuare. La mobilità è ridotta: generalmente, il figlio di un mercante o di un hoodwink farà lo stesso mestiere del padre.
Divertenti i nomi che Vance ha scelto per la maggior parte delle caste: la gilda dei Truffatori ha il monopolio della pesca, mentre i tintori appartengono spesso alla casta dei Peculatori; le Canaglie sovrintendono la costruzione delle barriere per catturare le spugne, mentre i Ladri costruiscono le torri degli Hoodwink. La cosa ha anche un senso e, benché molte ‘rivelazioni’ siano abbastanza telefonate, è bello seguire la graduale scoperta, da parte dei protagonisti, dell’origine delle colonie del pianeta d’acqua.

Inoltre bisogna ammettere che, pur con tutti i suoi difetti, la scrittura di Vance ha un pregio: il ritmo. The Blue World non si perde in pretese di letterarietà, come il suo collega della settimana scorsa; la trama è lineare e diretta, e non c’è posto per alcunché che non muova la storia o le relazioni tra i personaggi. I dialoghi, benché privi dell’istrionismo comico di altre opere di Vance – mancanza dovuta in parte alla serietà del protagonista e del tema centrale del romanzo – sono vivaci. Gli avvenimenti si succedono a ritmo rapido, e l’intero romanzo si può tranquillamente leggere in due-tre giorni. Gli scontri tra i piccoli abitanti del pianeta d’acqua e l’apparentemente invincibile King Kragen sono sinceramente affascinanti, e pieni di tensione; le ‘soluzioni’ trovate dai rivoluzionari per combattere la bestia sono sempre sensate, e il lettore non si sente mai tradito. Tutto questo – fatti salvi i difetti sopra elencati – rende The Blue World un buon romanzo d’avventura.
Insomma, siamo lontani dal capolavoro, ma il romanzo di Vance resta una lettura piacevole e intelligente. Lo penalizzano una scrittura anti-immersiva, la mancanza di ambiguità morale, le occasioni di conflitto sprecate e l’eccessiva linearità della trama; ma i contenuti sono interessanti. In particolare, Jack Vance ha un vantaggio su una scrittrice assai blasonata da noi, Ursula K. LeGuin: pur giocando sullo stesso terreno – lo science-fantasy dal taglio etnografico – Vance è più vivace e più fantasioso della LeGuin, ed è privo del fastidioso afflato didattico di quest’ultima. Gli amanti della LeGuin potrebbero sentirsi a casa con un romanzo di Vance, e in particolare con questo The Blue World.
La lettura è consigliata in particolare a chi partecipi o voglia partecipare al concorso Hydropunk.

Vance VS LeGuin

“A noi due, Ursula.”

Dove si trova?
Purtroppo, The Blue World non si trova né su Bookfinder né su Library Genesis; Dago mi conferma però che si può recuperare sul canale #books di irchighway, tramite mIRC. In alternativa, si può comprare su Amazon: ci sono due edizioni kindle differenti, quella della Gollancz a 6,49 Euro e quella di una certa Spatterlight Press a 4,78 Euro. Non so dire se quella che costa di meno sia formattata altrettanto bene.
Quanto a un’edizione italiana: esistere esiste, ma sul Mulo non l’ho trovata.

Su Jack Vance
Oltre alle Tales of the Dying Earth, la gargantuesca raccolta di romanzi e racconti sulla Terra morente di cui ho parlato lo scorso Marzo nel Consiglio #15, nel corso di quest’anno ho letto tutta una serie di romanzi science-fantasy autoconclusivi di Vance. Il giudizio globale non è molto positivo, e va dal “bleah” al “meh” con qualche occasionale punta di “carino”.
I libri di Vance sono il solito compendio di incompetenza tecnica, dalle paginate di riassuntoni raccontati alle valanghe di infodump (a volte messi in nota!), dal narratore onnisciente ai personaggi di cartone. E dire che potenzialmente molte delle sue storie avrebbero anche le premesse per essere fighe (e qualche volta queste potenzialità sono ciò che li salvano). Ma vediamoli più nel dettaglio:
The Languages of Pao The Languages of Pao (I linguaggi di Pao) è un romanzo d’avventura e intrighi politici. L’idea centrale del libro, ispirata alla teoria antropologica di Sapir-Whorf, sarebbe che il linguaggio di un popolo influenza pesantemente il modo in cui questo vede la realtà, e che attraverso la modificazione di questo linguaggio, anche i suoi rapporti con essa cambieranno. Per spodestare dal trono di Pao l’usurpatore Bustamonte, Lord Palafox tenterà di addestrare i remissivi abitanti del pianeta alla rivolta, insegnando a gruppi di essi diversi tipi di linguaggi specializzati in varie direzioni (il linguaggio dei guerrieri, quello dei tecnici, quello degli strateghi). L’idea sarebbe anche interessante, ma lo stile è talmente raccontato e osceno da non convincere. I continui colpi di scena, i personaggi inconsistenti e l’incapacità di gestire le scene della storia fanno completamente deragliare il romanzo.
The Dragon Masters The Dragon Masters è una breve novella ambientata su un pianeta arretrato, roccioso e povero di risorse. La società è divisa in un manipolo di clan che si combattono con l’ausilio di “draghi”, creature bioingegnerizzate in vari modi e semi-intelligenti. Ciclicamente, il pianeta viene attaccato da invasori stellari che è sempre più difficile respingere, e il capoclan Joan Banbeck teme che il ciclo sia lì lì per ricominciare… Una storia con poche pretese e raccontata male, ma alcune rivelazioni sulla natura dei draghi e dell’esercito degli alieni invasori sono interessanti. Mediocre.
The Last Castle The Last Castle è una novella tragicomica su una Terra spopolata del remoto futuro. I pochi terrestri rimasti si sono arroccati in castelli e conducono una vita da aristocratici decadenti, serviti dagli ottusi Meks. Ma quando i Meks si ribelleranno senza apparente motivo e cominceranno ad abbattere uno ad uno i castelli, i gentiluomini non sapranno più cosa fare e precipiteranno nel panico e nell’autonegazione. La storia sarebbe anche divertente, se non fosse scritta così male (sembra quasi il riassunto di un romanzo, invece che un romanzo!), e alcuni scambi sono molto divertenti, ma si tratta di un’altra novella con poche pretese.
Emphyrio Emphyrio è un bildungsroman d’avventura, in cui un giovane figlio di artigiano del pianeta Halma – Ghyl Tarvoke – si imbarcherà in un viaggio per conoscere l’universo, vivere una vita piena e, an passant, sventare un complotto distopico. Halma è infatti un pianeta di eguali, in cui vige una sorta di capitalismo di stato: la maggior parte della popolazione è costituita da piccoli artigiani autonomi, il cui unico datore di lavoro sono le corporazioni governative e che ricevono lo stipendio in base alla qualità dei loro prodotti. Un grande inganno viene perpetrato alle spalle di questi artigiani, ma loro non lo sanno, perché attraverso un’ideologia di modestia e umiltà il governo limita i loro movimenti e li forza a non lasciare il pianeta. L’ambientazione sarebbe anche interessante, ma lo stile clueless e la piattezza di molti personaggi ne fanno un romanzo mediocre.
Nota curiosa: benché questi romanzi non facciano parte di un ciclo, teoricamente potrebbero anche appartenere tutti (compreso The Blue World) a un universo condiviso! Infatti nessuno dei romanzi sembra contraddire gli altri, e ognuno è ambientato su un pianeta diverso.

Qualche estratto
Il primo estratto è preso dalle prime pagine del romanzo, ed è un lungo infodump sul funzionamento delle torri di comunicazione e sulla casta degli Hoodwink che le fa funzionare; incidentalmente, mostra anche lo stile onnisciente e statico di Vance, e come dal campo lungo della storia della gilda il narratore vada a stringere sul protagonista. Il secondo invece mostra una scena d’azione, ossia il primo scontro aperto tra Sklar e King Kragen.

1.
Another caste, the Larceners, constructed the towers, which customarily stood sixty to ninety feet high at the center of the float, directly above the primary stalk of the sea-plant. There were usually four legs of woven or laminated withe, which passed through holes in the pad to join a stout stalk twenty or thirty feet below the surface. At the top of the tower was a cupola, with walls of split withe, a roof of varnished and laminated pad-skin. Yardarms extending to either side supported lattices, each carrying nine lamps arranged in a square, together with the hoods and trip-mechanisms. Within the cupola, windows afforded a view across the water to the neighboring floats — a distance as much as the two miles between Green Lamp and Adelvine, or as little as the quarter-mile between Leumar and Populous Equity.
The Master Hoodwink sat at a panel. At his left hand were nine tap-rods, cross-coupled to lamp-hoods on the lattice to his right. Similarly the tap-rods at his right hand controlled the hoods to his left. By this means the configurations he formed and those he received, from his point of view, were of identical aspect and caused him no confusion. During the daytime the lamps were not lit and white targets served the same function. The hoodwink set his configuration with quick strokes of right and left hands, kicked the release, which there-upon flicked the hoods, or shutters, at the respective lamps or targets. Each configuration signified a word; the mastery of a lexicon and a sometimes remarkable dexterity were the Master Hoodwink’s stock in trade. All could send at speeds almost that of speech; all knew at least five thousand, and some six, seven, eight, or even nine thousand configurations. The folk of the floats could in varying degrees read the configurations, which were also employed in the keeping of the archives (against the vehement protests of the Scriveners), and in various other communications, public announcements, and messages.
On Tranque Float, at the extreme east of the group, the Master Hoodwink was one Zander Rohan, a rigorous and exacting old man with a mastery of over seven thousand configurations. His first assistant, Sklar Hast, had well over five thousand configurations at his disposal; precisely how many more he had never publicized.

Chi ha liberato il kraken?

2.
Sklar Hast pointed. “The vile beast of the sea plunders us. I say we should kill it, and all other kragen who seek to devour our sponges!”
Semm Voiderveg emitted a high-pitched croak. “Are you insane? Someone, pour water on this maniac hoodwink, who has too long focused his eyes on flashing lights!”
In the lagoon the kragen tore voraciously at the choicest Belrod sponges, and the Belrods emitted a series of anguished hoots.
“I say, kill the beast!” cried Sklar Hast. “The king despoils us; must we likewise feed all the kragen of the ocean?”
“Kill the beast!” echoed the younger Belrods.
Semm Voiderveg gesticulated in vast excitement, but Poe Belrod shoved him roughly aside. “Quiet, let us listen to the hoodwink. How could we the kragen? Is it possible?”
“No!” cried Semm Voiderveg. “Of course it is not possible! Nor is it wise or proper! What of our covenant with King Kragen?”
“King Kragen be damned!” cried Poe Belrod roughly. “Let us hear the hoodwink. Come then: do you have any method in mind by which the kragen can be destroyed?”
Sklar Hast looked dubiously through the dark toward the great black hulk. “I think yes. A method that requires the strength of many men.”
Poe Belrod waved his hand toward those who had come to watch the kragen. “Here they stand.”
“Come,” said Sklar Hast. He […] led the way to a pile of poles stacked for the construction of a new storehouse. Each pole, fabricated from withes laid lengthwise and bound in glue, was twenty feet long by eight inches in diameter and combined great strength with lightness. Sklar Hast selected a pole even flicker — the ridge beam. “Pull this pole forth, lay it on trestle!”
While this was being accomplished, he looked about and signaled Rudolf Snyder, a Ninth, though a man no older than himself of the long-lived Incendiary Caste, which now monopolized the preparation of fiber, the laying of rope and plaits. “I need two hundred feet of hawser, stout enough to lift the kragen. If there is none of this, then we must double or redouble smaller rope to the same effect.”
Rudolf Snyder took four men to help him and brought rope from the warehouse.
Sklar Hast worked with great energy, rigging the pole in accordance with his plans. “Now lift! Carry all to the edge of the pad!”
Excited by his urgency, the men shouldered the pole, carried it close to the lagoon, and at Sklar Hast’s direction set it down with one end resting on the hard fiber of a rib. The other end, to which two lengths of hawser were tied, rested on a trestle and almost overhung the water. “Now,” said Sklar Hast, “now we kill the kragen.” He made a noose at the end of a hawser, advanced toward the kragen, which watched him through the rear-pointing eyes of its turret. Sklar Hast moved slowly, so as not to alarm the creature, which continued to pluck sponges with a contemptuous disregard.
Sklar Hast approached the edge of the pad. “Come, beast!” he called. “Ocean brute! Come closer. Come.” He bent, splashed water at the kragen. Provoked, it surged toward him. Sklar Hast waited, and just before it swung its vane, he tossed the noose over its turret. He signaled his men. “Now!” They heaved on the line, dragged the thrashing kragen through the water. Sklar Hast guided the line to the end of the pole. The kragen surged suddenly forward; in the confusion and the dark the men heaving on the rope fell backward. Sklar Hast seized the slack and, dodging a murderous slash of the kragen’s fore-vane, flung a hitch around the end of the pole, he danced back. “Now!” he called. “Pull, pull! Both lines! The beast is as good as dead!”

Tabella riassuntiva

Una colonia terrestre che deve reinventarsi in un pianeta d’acqua. Narratore onnisciente e prosa anti-immersiva.
Ritmo vivace e plot-oriented, senza deragliamenti. Personaggi di cartone.
Tante piccole trovate geniali. Morale prescritta dall’alto e occasioni di conflitto mancate.

(1) Così nel testo. Non so se si tratti di una variante attestata del più noto “kraken”, o se si tratti di un’invenzione di Jack Vance; fatto sta che i mostri marini di The Blue World si chiamano “kragen” e non “kraken”.Torna su

I Consigli del Lunedì #15: Tales of the Dying Earth

Tales of the Dying EarthAutore: Jack Vance
Titolo italiano: Il crepuscolo della Terra / Le avventure di Cugel l’Astuto / La saga di Cugel / Rhialto il meraviglioso
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery / Dying Earth / Picaresque
Tipo: Tetralogia di racconti e romanzi
Anno: 1950 / 1966 / 1983 / 1984 / 1997
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 741
Difficoltà in inglese: ***

These are tales of the 21st Aeon, when Earth is old and the sun is about to go out.
[…] By day the sun cast a wan maroon gloom across the land; by night all was dark and still, with only a few pale stars to post the old constellations. Time went at a languid pace, without purpose or urgency, and folk made few long-range plans.

Miliardi di anni nel futuro, il pianeta Terra è ormai giunto alla fine della sua vita. Il Sole è ridotto a una pallida sfera rossastra, che irradia il globo di una luce spettrale e potrebbe spegnersi da un giorno all’altro; la Luna è andata distrutta, e il firmamento è ridotto a poche stelle anziane. Il grosso della popolazione terrestre ha abbandonato il pianeta da moltissimo tempo, lasciando dietro di sé una civiltà decadente e priva di ambizioni. Regrediti a una civiltà preindustriale, gli esseri umani rimasti vivono in piccoli agglomerati isolati – villaggi, città-stato, regni di dimensioni irrisori; poche carovane di mercanti, pellegrini, o avventurieri coraggiosi osano varcarne i confini, per attraversare terre selvagge abitate da creature ostili e disseminate di rovine dell’antica civiltà. Quello che rimane dell’antica scienza, è condensato in complicate formule magiche che pochi maghi riescono a imparare dopo anni e anni di studio e disciplina.
E’ su questa Terra morente che si muovono stregoni come Turjan di Miir, desideroso di creare artificialmente una compagna, o Iucounu, collezionista di artefatti magici dotato di un ambiguo senso dell’umorismo, o Rhialto il Meraviglioso, altezzoso membro di un’associazione che raccoglie i maghi più potenti della sua era; ma anche avventurieri come Guyal di Sfere, che vorrebbe conoscere la risposta ad ogni domanda, o Cugel l’Astuto (Cugel the Clever), mascalzone professionista i cui unici interessi sono le belle donne e la buona tavola. Ciascuno di essi cerca di trarre il meglio dalla propria vita e godere ogni giorno come se fosse l’ultimo – perché nessuno sa quando morirà il Sole, ponendo termine alla vita sulla Terra.

A partire dal 1999, e fino all’ultima edizione nei Fantasy Masterworks della Gollancz, i quattro libri di Jack Vance ambientati nella Terra morente sono stati raccolti in un unico ponderoso volume – le Tales of the Dying Earth. Non si può parlare di saga, quanto di un’ambientazione condivisa: con l’eccezione del secondo e terzo libro, tutte le storie della Dying Earth sono scollegate e autonome.
A variare molto sono anche stile e contenuti – visto e considerato che i quattro libri sono stati scritti da Vance nell’arco di trentacinque anni. Le Tales of the Dying Earth sono insomma un contenitore molto eterogeneo; pertanto, nell’approfondimento, parlerò prima separatamente di ciascuno dei quattro libri, per poi tirare le somme del volume nel suo complesso. Il risultato, è un articolo di dimensioni ahimé gargantuesche – leggetevelo pure con calma, a puntate.

Nana bruna

Il Sole della Dying Earth?

Uno sguardo approfondito

The Dying Earth
Il primo libro del ciclo non è un romanzo ma una raccolta di sei racconti, vagamente interconnessi ma indipendenti, ambientati nella regione di Ascolais.  In “Turjan of Miir”, il mago Turjan si mette in cerca del mago Pandelume – che vive in una dimensione alternativa ad uso personale – perché gli insegni a creare artificialmente un altro essere umano. Il racconto non ha un vero e proprio finale, ma i suoi personaggi sono ripresi in “Mazirian the Magician”: l’avido Mazirian ha intrappolato Turjan in una scatola magica in compagnia di un drago affamato, per ricattarlo, ma è sua volta ossessionato da una bellissima fanciulla che ogni sera appare sul limitare dei suoi giardini. In “Liane the Wayfarer”, l’amorale bandito Liane entra in possesso di un anello magico, che può essere espanso in modo da avvolgere completamente il corpo del possessore e trasportarlo nella dimensione delle ombre; in “Guyal of Sfere”, un giovane ossessionato dal bisogno di conoscere ogni cosa si mette alla ricerca del Custode del Museo dell’Uomo, dove si dice che sia raccolta tutta la sapienza del genere umano.
La qualità dei racconti è molto altalenante. Alcuni, come “Mazirian the Magician” e “Ulan Dhor”, hanno una coerenza di fondo e sono carini; altri, come “T’sais”, saltano di palo in frasca e sono piuttosto insulsi; altri sono delle occasioni sprecate: le premesse di “Guyal of Sfere” sono interessanti, ma dopo le prime pagine il racconto va a remengo. Il protagonista, che inizialmente ti incuriosisce per il suo bisogno patologico di fare sempre domande, diventa rapidamente un avventuriero anonimo, che deve superare un ostacolo dopo l’altro per raggiungere la leggendaria biblioteca; e anche quando la raggiunge, il fulcro della storia non è più la ricerca della conoscenza, ma come eliminare un demone minore che si è infiltrato nel museo (WTF?).

Nei racconti si respira un’atmosfera rarefatta, onirica, quasi da fiaba. Questo in parte è dovuto alla stranezza dell’ambientazione – in cui capita che un mago, passeggiando per la foresta, incontri un twk-man (piccoli omini blu che viaggiano a cavallo di libellule che scambiano informazioni in cambio di granelli di sale), o una strega o un demone – e in parte al canovaccio stesso dei racconti (spesso, delle quest all’inizio delle quali il protagonista prepara o riceve un set di incantesimi o artefatti magici che gli serviranno per superare gli ostacoli lungo il cammino). Ma in parte è dovuto anche all’incapacità stilistica di Vance, che descrive sommariamente gli ambienti in cui si muovono i personaggi (e spesso raccontando, con piogge di aggettivi, invece che mostrando) e quindi rende difficile una visualizzazione nitida della storia. Gli stessi personaggi mancano in genere di profondità, e sono più simili a degli archetipi: i loro motivi sono semplici, i loro gesti convenzionali, e Vance ce li mostra sempre dall’esterno.
Volendo fare un bilancio complessivo, i racconti di The Dying Earth sono quasi tutti deboli e scritti in modo approssimativo. Ci sono un mucchio di buone idee e un’ambientazione molto suggestiva, ma tutto questo potenziale è in larga parte sprecato.

Bondage Fairies - Fairie Fetish

Uno spaccato della fauna di Ascolais.

The Eyes of the Overworld & Cugel’s Saga
Le cose migliorano con il secondo e terzo libro del ciclo. Protagonista dei due romanzi è Cugel, un farabutto straccione della terra di Almery, dal corpo macilento e la faccia da faina, che vive di truffe e piccoli espedienti all’ombra del palazzo di vetro di Iucounu, “the Laughing Magician”. Un bel giorno, quel fetente del mercante Fianosther convince Cugel a infiltrarsi nel palazzo sguarnito di Iucounu per derubarlo dei suoi artefatti magici. Ma Cugel viene beccato, e lo stregone lo mette di fronte a due alternative: una morte orribile, oppure che si metta al suo servizio. La missione? Recuperare un prisma incantato ubicato dall’altra parte del globo, da aggiungere alla sua “collezione”. Dopo che gli è stato infilato in pancia un parassita uncinato di nome Firx, incaricato di farlo rigare dritto, Cugel è pronto per partire; e non soltanto dovrà impossessarsi dell’Occhio dell’Oltremondo, ma tornare ad Almery vivo e vegeto.
I due romanzi – uno seguito diretto dell’altro – raccontano il viaggio di Cugel e le innumerevoli peripezie che incontrerà lungo il cammino. Pur essendo delle opere unitarie, The Eyes of the Overworld e Cugel’s Saga mantengono la struttura episodica del primo libro: ogni capitolo rappresenta una tappa del viaggio, una “storia nella storia” in sé autoconclusiva. Anche la loro qualità è molto variabile: alcuni episodi, come quello sulla conquista dell’Occhio dell’Oltremondo, sono divertenti e ben costruiti, mentre altri sono scritti un po’ a tirar via. Il capitolo conclusivo di The Eyes of the Overworld, poi, è spassosissimo – mentre quello che chiude Cugel’s Saga e tutta la dualogia è più modesto.

Cugel l'Astuto

Un’immagine un po’ romanticizzata di Cugel.

Una differenza gradita rispetto a The Dying Earth, è che perde terreno l’atmosfera onirico-decadente in luogo di un clima più scanzonato e autoironico. Cugel non è un guerriero né un mago; per farsi strada nella vita, deve ricorrere alla retorica, all’inganno, ai mezzucci. Le sue avventure generalmente si imperniano su questo: tentativi di turlupinare il prossimo (gli abitanti di un villaggio, stregoni, pellegrini, mercanti) con ogni mezzo possibile. L’elemento comico è accentuato dal fatto che tutti – nobiluomini, poveri villici, maggiordomi, vagabondi, creature magiche – adottano un parlare forbito e ampolloso. E le battaglie dialettiche che imperversano nei due romanzi attingono a tutto il repertorio del genere: doppi sensi, cavilli burocratici, allusioni, omissioni, insulti velati.
Anche Cugel rimane una macchietta più che un personaggio a tutto tondo. Ciarlatano più per abitudine che per calcolo, mente e inganna sulle cose più stupide, spesso prima ancora di capire se può trarne un vantaggio; ha un’opinione di sé completamente scollegata dalla realtà; del tutto amorale, non esita a liberarsi di compagni di viaggio scomodi e a raggirare innocenti, e dà l’impressione che potrebbe anche vendere sua madre per una buona cena. Ma non si può fare a meno di sviluppare della simpatia nei suoi confronti: la gente con cui si trova ad avere a che fare non è certo migliore di lui, da fanciulle che mettono in dubbio la sua potenza sessuale, a datori di lavoro che cercano di spremerlo il più possibile, a maghi capricciosi che fanno di lui quello che vogliono, a gente che se la prende con lui anche quando non ha fatto niente.

Se si vuole muovere una critica ai due romanzi di Cugel, è che nella maggior parte degli episodi il magico e il fantastico vengono messi in secondo piano, rimangono sullo sfondo. Certo, nel corso dei viaggi del suo anti-eroe Vance ci mostra una pletora di popoli diversi dalle usanze più o meno bizzarre, ma raramente si varca il confine del sovrannaturale. Con pochi rimaneggiamenti, molte delle avventure di Cugel potrebbero essere anche ambientati nel nostro mondo (magari in un’epoca cinque-seicentesca). Questo è particolarmente vero per Cugel’s Saga, che ci mostra un pianeta molto più civilizzato e trafficato che non The Dying Earth e The Eyes of the Overworld.
Non è l’unica differenza tra le due parti del ciclo di Cugel. Tra l’uno e l’altro romanzo passano quasi vent’anni, e in Cugel’s Saga lo stile di Vance migliora: i singoli episodi sono costruiti con più cura, sparisce quel modo di scrivere un po’ sbrigativo, tipico di molta Sword&Sorcery dagli anni ’50 ai ’70. In Cugel’s Saga, Vance si preoccupa di descrivere meglio gli ambienti visitati dal suo protagonista, le sue riflessioni, i rapporti tra i personaggi. E in generale, dei quattro libri delle Tales delle Dying Earth è quello scritto meglio.

Dialettica

Dialettica.

Rhialto the Marvellous
L’ultimo libro del ciclo è una raccolta di tre novellas imperniata su una società di maghi di Almery e Ascolais, e in particolare su uno di loro, il fascinoso quanto arrogante quanto puntiglioso quanto insopportabile Rhialto il Meraviglioso. Diversamente dai maghi della Dying Earth, quelli di Rhialto sono semidei con migliaia di anni di vita sulle spalle e poteri quasi illimitati, che vivono in regge e passano le giornate in placida contemplazione o nello studio e nella sperimentazione delle arti magiche. Stando così le cose, l’unica vera minaccia per questi maghi è il pericolo che rappresentano gli uni per gli altri! Vincolati alle leggi dei Blue Principles, un codice inciso su una lastra indistruttibile protetta da un demone immortale, e supervisionati da un segretario, l’anziano e svampito mago Ildefonse, questi stregoni sono riuniti in società non tanto per tutelare i comuni interessi, quanto per non farsi le scarpe a vicenda ogni cinque minuti.
La prima novella, The Murthe, è in realtà breve come un racconto, ed è anche il più brutto, nonostante le premesse bizzarre: la potente strega Llorio è tornata, e pianifica di asservire a sé tutti i maghi della Terra dopo averli trasformati in donnette vanitose! E’ un racconto scritto male, pieno di infodump, riassunti, discorsi indiretti, e quella generale sciatteria che lo rende più simile ai peggiori racconti degli anni ’50 che al resto della raccolta. Migliori Fader’s Waft – in cui i maghi della società, capitanati dall’infido Hache-Moncour, decidono di far pagare a Rhialto il prezzo della sua arroganza derubandolo di tutti i suoi oggetti magici e appigliandosi a deboli cavilli legali – e Morreion – in cui i maghi si imbarcano sul palazzo galleggiante di Vermulion the Dream-Walker per volare nello spazio e fino ai confini dell’Universo, alla ricerca del leggendario eroe Morreion. Ma anche qui troviamo tutte le pecche tradizionali del ciclo: personaggi bidimensionali, pov onnisciente che salta da un personaggio all’altro, descrizioni un po’ frettolose e mai molto mostrate.
Precede i tre racconti una piccola introduzione in cui l’autore dà qualche informazione sui maghi e sul sistema magico della 21esima era.

Anche se Rhialto the Marvellous recupera l’atmosfera magica lasciata un po’ più ai margini nel ciclo di Cugel, di quel ciclo riprende l’impostazione da commedia. I maghi della società sono gente meschina, avida, capricciosa e arrogante; la disciplina e lo studio non li hanno resi più saggi, ma solo più pericolosi. Buona parte del divertimento di queste storie (o, almeno, delle ultime due) sta proprio nelle battaglie dialettiche tra questi maghi infantili, piene di cavilli, minacce velate e doppiogiochismo.
Vance non se la cava altrettanto bene nella descrizione delle quest. Se la prima parte di Fader’s Waft – in cui Rhialto cerca di riaffermare i propri diritti di fronte all’assemblea di maghi capitanata dal viscido Hache-Moncour – è divertente, la seconda, in cui Rhialto cerca di recuperare il codex originale dei Blue Principles misteriosamente scomparso viaggiando nello spazio e nel tempo, è ripetitiva e non molto ispirata. In generale, Rhialto the Marvellous è divertente, ma non privo di difetti, e sicuramente lontano dal miglior Cugel.

I'm not a wizard

Un’immagine un po’ romanticizzata di Rhialto. Circa.

Giudizio complessivo
Probabilmente il pregio maggiore di Jack Vance sta nell’aver creato un’ambientazione vasta e suggestiva, in cui all’atmosfera fatata e sovrannaturale si mescolano indizi sull’antica civiltà e l’antica scienza. Per esempio in “Ulan Dhor”, il miglior racconto di The Dying Earth, il nipote del principe di Kaiin è mandato in missione nella remota e vecchissima città di Ampridatvir per recuperare delle antiche reliquie. Ma, benché in rovina e abitata da gente instupidita e superstiziosa, la città ospita ancora meraviglie ancora funzionanti – come macchine volanti e ascensori anti-gravitazionali. Così come le rovine di marmo del Museo dell’Uomo di “Guyal of Sfere” possono custodire al loro interno giganteschi computer e server.
Anche il sistema magico è permeato di questa commistione: vari indizi lasciati nel corso dei libri ci fanno capire che le formule magiche così faticosamente memorizzate dagli stregoni, altro non sono che complicate serie di equazioni matematiche. E’ impossibile tenere a mente molte di queste formule contemporaneamente; per questo è necessario che il mago si “prepari” un set di incantesimi prima di lasciare il suo eremo, selezionandoli tra quelli scritti nel suo grimorio 1.

Certo, complici i trentacinque anni che separano i primi racconti dagli ultimi, il mondo di Vance non è sempre coerente. Il sistema magico degli stregoni di Rhialto the Marvellous è completamente diverso, basandosi non più sulla memorizzazione di formule ma sulla convocazione di demoni magici legati a sé da regolare contratto scritto. Altra cosa che non quadra: se in The Dying Earth non è insolito trovare resti di civiltà avanzate come la nostra o anche più, queste tracce progressivamente spariscono nei libri successivi, e i maghi di Rhialto, nonostante il loro vasto potere e la possibilità di viaggiare nello spazio e nel tempo, non sembrano conoscere la tecnologia post-industriale 2! E ancora: se il mondo di The Eyes of the Overworld sembra un mondo spopolato, dove la gente non si muove o si muove poco e non sa niente di cosa ci sia cinquanta chilometri più in là, in Cugel’s Saga quello stesso mondo pullula di città fiorenti, battelli commerciali che solcano il mare, grossi circuiti carovanieri e via dicendo.
D’altronde, il mondo di Vance non è molto credibile in generale. Il fatto che la Terra stia morendo non sembra una giustificazione sufficiente a motivare il lassismo della popolazione mondiale – come nella città dorata di Kaiin, dove la gente passa il tempo a festeggiare e ad ubriacarsi in mezzo alle rovine di palazzi che da secoli nessuno pensa più a ristrutturare – e il regresso a una tecnologia pre-industriale. E non è pensabile un mondo in cui anche l’ultimo degli operai parla in modo raffinato e allusivo, ed è in grado di disquisire di metafisica e dei massimi sistemi.
Gli stessi incantesimi sono progettati più per essere divertenti che per dare l’impressione di un corpus coerente: abbiamo per esempio lo Spell of Forlorn Encystment, che imprigiona la vittima in una capsula posta a novanta chilometri sotto la superficie terrestre, ma che, se pronunciato scorrettamente, causa l’effetto opposto di rivomitare sopra la testa del mago i corpi di tutti coloro che hanno subito l’incantesimo dall’inizio dei tempi; il Lugwiler’s Dismal Itch, che causa nella vittima un prurito continuo peggiore di una tortura, o il Khulip’s Nasal Enhancement, che non ha nemmeno bisogno di spiegazioni, o il Green and Purple Postponement of Joy; o ancora il Tube of Blue Concentrate, a tutti gli effetti nient’altro che un tubo che spara innocuo concentrato blu con la strana caratteristica di terrorizzare sempre tutti.

Concentrato blu

Tubetti di concentrato blu. Spaventosi, vero?

Vance quindi sacrifica il realismo per quel tocco di suggestività decadente, e per amplificare l’elemento comico. Il suo mondo è palesemente una finzione, un gioco – impressione acuita dallo stesso stile trascurato di Vance, e dal suo uso del narratore onnisciente che crea una grande distanza tra il lettore e i personaggi. Le storie delle Dying Earth hanno la forma di una farsa piacevole e divertente, qualcosa di leggero da non prendere troppo sul serio.
Paradossalmente, però, è anche un mondo infinitamente più credibile di tutta quella pletora di High Fantasy tolkeniani che invadono le librerie, pieni di buonismi e deus-ex-machina. Gli abitanti della Terra morente sono avidi, truffaldini, dalla doppia morale, pigri, spesso stupidi, presuntuosi, infantili, egoisti – come nella vita vera. Nella Terra morente, chi fa un passo falso ci rimette la vita; per mano di un leprecauno delle foreste, o di un tagliagole appostato nel vicolo, o di un mago che per catturare un demonietto mette distrattamente a ferro e fuoco un intero acro di terra. E’ un mondo ingiusto, in cui sopravvivono solo quelli che imparano come muoversi.

La migliore intuizione di Vance nel corso del ciclo, è stata comunque il progressivo abbandono dell’atmosfera onirico-decadente dei primi racconti in luogo di quella più divertente e minchiona dei successivi. Vance dà il meglio di sé nei dialoghi tra i personaggi, nelle discussioni ampollose, nelle dissertazioni filosofiche da ritardati, nelle recriminazioni, nelle fini tenzoni dialettiche. Il suo stile è invece inadeguato alle parti più descrittive, avventurose, le parti dove le azioni contano più delle parole, che sono sempre le più noiose da leggere.
I libri più piacevoli da leggere sono, quindi, in primo luogo i due romanzi su Cugel, e in seconda battuta la seconda e terza novella di Rhialto the Marvellous. Ma anche racconti come “Turjan of Miir”, “Mazirian the Magician” e “Ulan Dhor” meritano una chance.

Songs of the Dying Earth

Le “Songs of the Dying Earth”: un’antologia commemorativa di Vance pubblicata nel 2009. Sto pensando di comprarla.

Dove si trova
In lingua originale, le Tales of the Dying Earth si trovano su Bookfinder e Library Genesis, sia tutti insieme, sia sfusi. Su mIRC li ho trovati solo sfusi. Non che cambi qualcosa.
Su Emule si trovano senza problemi tutti e quattro i titoli in italiano. Tuttavia, Vance è un autore che sconsiglio di leggere nella nostra lingua: non perché sia intraducibile, come Bug Jack Barron, ma semplicemente perché tutte le traduzioni che ho potuto vedere – fatte abbastanza coi piedi, come da tradizione Urania/Nord/Fanucci – non hanno saputo riprodurre quel tono forbito e quella musicalità che da soli fanno 3/4 del divertimento di leggere le Tales.

Qualche estratto
Ho deciso di proporre un estratto per ciascuno dei tre ‘cicli’. Il primo viene dal racconto “Mazirian the Magician”, della raccolta The Dying Earth; il secondo, dal primo capitolo di The Eyes of the Overworld, in cui Cugel viene ‘beccato’ dal mago Iucounu mentre gli sta svaligiando la casa e tenta di giustificarsi; il terzo, dalla novella Fader’s Waft di Rhialto the Marvellous, in cui uno scandalizzato Rhialto protesta con Ildefonse di essere stato ingiustamente derubato dagli altri maghi.

1.
Within the box — actually a squared passageway, a run with four right angles — moved two small creatures, one seeking, the other evading. The predator was a small dragon with furious red eyes and a monstrous fanged mouth. It waddled along the passage on six splayed legs, twitching its tail as it went. The other stood only half the size of the dragon — a strong-featured man, stark naked, with a copper fillet binding his long black hair. He moved slightly faster than his pursuer, which still kept relentless chase, using a measure of craft, speeding, doubling back, lurking at the angle in case the man should unwarily step around. By holding himself continually alert, the man was able to stay beyond the reach of the fangs. The man was Turjan, whom Mazirian by trickery had captured several weeks before, reduced in size and thus imprisoned.
Mazirian watched with pleasure as the reptile sprang upon the momentarily relaxing man, who jerked himself clear by the thickness of his skin. It was time, Mazirian thought, to give both rest and nourishment. He dropped panels across the passage, separating it into halves, isolating man from beast. To both he gave meat and pannikins of water.
Turjan slumped in the passage.
“Ah,” said Mazirian, “you are fatigued. You desire rest?”
Turjan remained silent, his eyes closed. Time and the world had lost meaning for him. The only realities were the gray passage and the interminable flight. At unknown intervals came food and a few hours rest.
“Think of the blue sky,” said Mazirian, “the white stars, your castle Miir by the river Derna; think of wandering free in the meadows.”
The muscles at Turjan’s mouth twitched.
“Consider, you might crush the little dragon under your heel.”
Turjan looked up. “I would prefer to crush your neck, Mazirian.”
Mazirian was unperturbed. “Tell me, how do you invest your vat creatures with intelligence? Speak, and you go free.”
Turjan laughed, and there was madness in his laughter.
“Tell you? And then? You would kill me with hot oil in a moment.”
Mazirian’s thin mouth drooped petulantly.
[…] “Tonight,” said Mazirian with studied malevolence, “I add an angle and change your run to a pentagon.”
Turjan paused and looked up through the glass cover at his enemy.
Then he slowly sipped his water. With five angles there would be less time to evade the charge of the monster, less of the hall in view from one angle.
“Tomorrow,” said Mazirian, “you will need all your agility.”

2.
Cugel was still seeking egress when in due course Iucounu returned to his manse.
Pausing by the alcove, Iucounu gave Cugel a stare of humorous astonishment. “What have we here? A visitor? And I have been so remiss as to keep you waiting! Still, I see you have amused yourself, and I need feel no mortification.” Iucounu permitted a chuckle to escape his lips. He then pretended to notice Cugel’s bag. “What is this? You have brought objects for my examination? Excellent! I am always anxious to enhance my collection, in order to keep pace with the attrition of the years. You would be astounded to learn of the rogues who seek to despoil me! That merchant of claptrap in his tawdry little booth, for instance — you could not conceive his frantic efforts in this regard! I tolerate him because to date he has not been bold enough to venture himself into my manse. But come, step out here into the hall, and we will examine the contents of your bag.”
Cugel bowed graciously. “Gladly. As you assume, I have indeed been waiting for your return.”
[…]
“If you will step this way I will be glad to examine your merchandise.”
Cugel glanced reflectively along the corridor toward the front entrance. “It would be a presumption upon your patience. My little knick-knacks are below notice. With your permission I will take my leave.”
“By no means!” declared Iucounu heartily. “I have a few visitors, most of whom are rogues and thieves. I handle them severely, I assure you! I insist that you at least take some refreshment. Place your bag on the floor.”
Cugel carefully set down the bag. “Recently I was instructed in a small competence by a sea-hag of White Alster. I believe you will be interested, I require several ells of stout cord.”
“You excite my curiosity!”. Iucounu extended his arm; a panel in the wainscoting slid back; a coil of rope was tossed to his hand. Rubbing his face as if to conceal a smile, Lucounu handed the rope to Cugel, who shook it out with great care.
“I will ask your cooperation,” said Cugel. “A small matter of extending one arm and one leg.”
“Yes, of course.” Iucounu held out his hand, pointed a finger. The rope coiled around Cugel’s arms and legs, pinning him so that he was unable to move. Iucounu’s grin nearly split his great soft head. “This is a surprising development! By error I called forth Thief-taker! For your own comfort, do not strain, as Thief-taker is woven of wasp-legs. Now then, I will examine the contents of your bag.” He peered into Cugal’s sack and emitted a soft cry of dismay. “You have rifled my collection! I note certain of my most treasured valuables!”
Cugel grimaced. “Naturally! But I am no thief; Fianosther sent me here to collect certain objects, and therefore—”
Iucounu held up his hand. “The offense is far too serious for flippant disclaimers. I have stated my abhorrence for plunderers and thieves, and now I must visit upon you justice in its most unmitigated rigor — unless, of course, you can suggest an adequate requital.”

3.
“Explain why you robbed me of my goods. My man Frole tells me that you marched in the forefront of the thieves.”
Ildefonse pounded the table with his fist. “Specious and egregious! Frole has misrepresented the facts!”
“How do you explain these remarkable events, which of course I intend to place before the Adjudicator?”
Ildefonse blinked and blew out his cheeks. “That of course is at your option. Still, you should be aware that legality was observed in every bound and degree. You were charged with certain offenses, the evidence was closely examined and your guilt was ascertained only after diligent deliberation. Through the efforts of myself and Hache-Moncour, the penalty became a small and largely symbolic levy upon your goods.”
” ‘Symbolic’?” cried Rhialto. “You picked me clean!”
Ildefonse pursed his lips. “I concede that at times I noticed a certain lack of restraint, at which I personally protested.”
Rhialto, leaning back in his chair, drew a deep sigh of dumbfounded wonder. He considered Ildefonse down the length of his aristocratic nose. In a gentle voice he asked: “The charges were brought by whom?”
[…]
“The complaints are too numerous to mention. Almost everyone— save myself and the loyal Hache-Moncour—preferred charges. Then, the conclave of your peers with near-unanimity adjudged you guilty on all counts.”
“And who robbed me of my IOUN stones?”
“As a matter of fact, I myself took them into protective custody.”
“This trial was conducted by exact legal process?”
Ildefonse took occasion to drink down a goblet of the wine which Pryffwyd had served. “Ah yes, your question! It pertained, I believe, to legality. In response, I will say that the trial, while somewhat informal, was conducted by appropriate and practical means.”
“In full accordance with the terms of the Monstrament?”
“Yes, of course. Is that not the proper way? Now then—”
“Why was I not notified and allowed an opportunity for rebuttal?”
“I believe that the subject might well have been discussed,” said Ildefonse. “As I recall, no one wished to disturb you on your holiday, especially since your guilt was generally conceded.”
Rhialto rose to his feet. “Shall we now visit Fader’s Waft?”
Ildefonse raised his hand in a bluff gesture. “Seat yourself, Rhialto! Here comes Pryffwyd with further refreshment; let us drink wine and consider this matter dispassionately; is not that the better way, after all?”
“When I have been vilified, slandered and robbed, by those who had previously shone upon me the sweetest rays of their undying friendship? I had never—”
Ildefonse broke into the flow of Rhialto’s remarks. “Yes, yes; perhaps there were procedural errors…”

Tabella riassuntiva

Ambientazione suggestiva agli ultimi giorni di vita della Terra! Qualità della raccolta molto altalenante.
Avventure scanzonate con protagonisti amorali. Pov onnisciente, poco show, scene scritte di fretta.
Vance è un maestro dei dialoghi! Ambientazione farsesca e storie poco “serie”.

(1) Il sistema vi è familiare? Beh, sappiate che i creatori di D&D si sono ispirati proprio alle Tales of the Dying Earth per creare il loro sistema magico, e in particolare la classe del Mago!Torna su

Scarlet Mage

Un mago di D&D oggi. Il gioco di ruolo si è un po’ intruzzito dai tempi della Scatola Rossa, mh?

(2) Ma non sembrano nemmeno ignorarla del tutto: a un certo punto, in Fader’s Waft, Rhialto somministra a una donna una pillola analgesica.Torna su