Autore: Patrick Wensink
Titolo italiano: –
Genere: Commedia nera / Bizarro Fiction
Tipo: Romanzo
Anno: 2012
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 372
Difficoltà in inglese: **
Hi, welcome to Broken Piano for President. Turn down the lights and fix yourself a stiff drink. Better yet, pour a couple cocktails and fix yourself a hangover.
Quando Deshler Dean beve, va sempre a finire male. Deshler si definisce un cliff drinker: finita la seconda bottiglia, il suo cervello va in blackout completo e diventa un’altra persona, un genio estroverso capace di fare le cose più incredibili. Almeno a detta dei suoi amici, perché di quello che fa da sbronzo Deshler non ricorda mai nulla – salvo svegliarsi la mattina nei posti più impensati. E se una volta la storia del cliff drinker era figa, Deshler comincia a chiedersi se non sia il caso di smettere: l’ultima volta che si è svegliato, era al volante di un auto costosa e non sua, con in tasca un cacciavite raggrumato di sangue e di fianco una donna (viva) con un cazzo di buco sanguinolento sulla testa.
Del resto, a cos’altro aggrapparsi? La sua vita fa schifo. Di giorno fa il portiere, in compagnia di un nano, in un albergo di lusso che organizza conferenze aziendali; di notte canta in una band underground-avanguardista odiata da tutti, i Lothario Speedwagon, nei pochi locali della città che non li hanno ancora banditi per sempre, vomitando e gettando sacche di urina sul pubblico. Ma la sua vita potrebbe stare per cambiare. La città in cui vive – Burger’s Town – è da decenni l’epicentro di una guerra senza esclusioni di colpi, quella tra le prime due catene di fast food d’America, la Winters’ Olde-Tyme Hamburgers e la Bust-A-Gut; e i top manager di entrambe le aziende sembrano conoscere Deshler, gli lanciano cenni e occhiate quando passano per la porta dell’albergo, come se si aspettassero qualcosa da lui. E non è l’unica cosa strana che è cominciata ad accadere attorno a lui… Nella sua testa, una sola domanda: che diavolo ha combinato mentre era sbronzo?
La storia di come Broken Piano for President, pubblicato solo un anno e mezzo fa, è diventato famoso, la dice lunga sulle dinamiche del mercato editoriale – compreso quello digitale. La copertina, potete vederlo, imita l’etichetta storica delle bottiglie di Jack Daniel’s. L’azienda se ne accorge e manda a Wensink una lettera di diffida; dalla controversia che nasce, il libro riceve talmente tanta pubblicità che – wham! – schizza alla posizione n.6 dei libri più venduti su Amazon.com. Una cosa mai successa per un libro pubblicato sotto la bandiera della Bizarro Fiction; mi immagino le facce di Rose O’Keefe (direttrice di Eraserhead Press) e di Cameron Pierce (direttore di Lazy Fascist Press, la casa editrice che l’ha pubblicato). Tutto questo, ovviamente, prescindendo dalla qualità reale del libro o anche dal suo argomento. Io stesso mi sono imbattuto nel libro in questo modo, e francamente non sapevo cosa aspettarmi quando l’ho comprato.
Broken Piano for President è una strana commedia sulle conseguenze del vivere una vita da debosciati, sulle dinamiche dei mercati del largo consumo e sulla paranoia aziendale, sull’arte e sugli artisti (o sedicenti tali), sul bisogno di ciascuno di noi di essere riconosciuti e amati e alle cose folli e demenziali che questo bisogno ci porta a fare. E si gioca tutto su una domanda centrale: se la nostra vita fosse un pozzo senza fondo, e se improvvisamente ci venisse tesa una mano e data una nuova sfavillante possibilità, saremmo disposti a coglierla? Qualunque sia il prezzo da pagare? La risposta è in queste pagine. Forse.
Uno sguardo approfondito
Se dovessimo giudicarlo dallo stile, Broken Piano sarebbe un romanzo comico. Non solo viola le regole tradizionali dell’immersività – le ribalta e ci caga sopra. Il piccolo brano proposto in testa all’articolo – con l’autore che parla in prima persona al lettore, e lo introduce con voce da cantante confidenziale nel mondo del romanzo – non solo è l’incipit del romanzo; è l’intero primo capitolo. La prosa di Wensink ha molto dello stile estroso alla Vonnegut, e chi ha letto romanzi come The Sirens of Titan (recensito qui, agli albori del blog!) o Cat’s Cradle sa di cosa sto parlando: un narratore onnisciente invadente, che commenta le vicende senza farsi problemi e chiacchiera col lettore; digressioni che spezzano l’azione in un momento di cesura o, viceversa, interrompono la narrazione nel momento di massima tensione con brevi interventi più o meno comici.
Qualche esempio. Siamo all’inizio del romanzo, Deshler si è svegliato nella macchina non sua e ha cominciato a registrare i dettagli assurdi e inquietanti del suo risveglio. Comincia a chiedersi se questo meriterà di entrare nella Hall of Hame dei suoi risvegli più assurdi. Poi vede la tipa sanguinante. Ansia. Tenta di svegliarla; non reagisce. E’ morta? Forse dopotutto questa mattinata non merita di entrare nella Hall of Fame… E bam: digressione di una paginetta sui migliori risvegli della Hall of Fame (dirò solo che uno è intitolato mid-fellatio).
Secondo esempio. Più avanti nel romanzo, in un momento di pausa tra scene importanti, l’autore coglie l’occasione per parlarci della storia delle due catene di fast-food che reggono il destino dei nostri eroi, e della loro eterna guerra. Insomma, un infodump bello e buono. Ma spiattellato in una maniera talmente onesta e diretta che fa sorridere:
So right now, you’re probably saying something to the effect of: “Jeez, there is a lot of burger talk flying around. This book is one coldcut away from being a butcher shop menu.”
This is the point I’d say: “Yeah, maybe you’re right. Is this a little overkill?” You’d shrug and I’d feel kind of guilty.
So maybe it’s time you were brought up to speed about the Burger Wars, the Beef Club, the Winters Family, Globo-Goodness Inc. and Burger Town, USA.
Let’s start at the top…
E così via per alcune pagine. Ma il tono è così affabile, la cesura così manifesta, e il ritmo si mantiene talmente rapido anche nelle pagine infodumpose, che si legge con piacere anche questo. Siamo nel regno dell’umorismo, dove non importa la sensazione di essere dentro la storia, ma la battuta fulminea, l’atmosfera ridanciana, e il ritmo. E Wensink tiene tutti questi elementi alla perfezione.
Ultimo esempio. Siamo nella seconda metà del libro, in pieno build-up del momento clou della storia, e stanno succedendo tutte insieme un sacco di cose che coinvolgono l’intero, vasto cast del romanzo. Come gestire tutti questi fili in un modo non noioso, né da leggere né da scrivere? Be’, Wensink la risolve mettendosi a commentare la sua stessa prosa, e dichiarando come ha intenzione di costruire i prossimi capitoli:
Okay, so everyone’s got problems.
This story is getting crowded with them. But hey, you and I are busy, too. So here’s a public service. Instead of rattling on for pages and pages of plot and feelings and blah blah, we’ll chop out the gristle and bone until all we have left is a meaty fillet. You guessed it: time for a montage.
Seguono (giuro) montaggi accelerati di scene su tutti i personaggi del romanzo, con tanto di colonna sonora di sottofondo. Genio!

La guerra è crudele.
C’è, in realtà, una marcata differenza tra i due tipi di digressione – quelle nel mezzo dell’azione e quelle nei momenti di stanca – a dimostrare che sì, dopotutto Wensink sa cosa sta facendo. Le prime sono sempre brevi e fulminee, e ricordano quelle scene de I Griffin in cui Peter o un altro personaggio dice: “Ah, questo mi ricorda quella volta che…” e segue sketch autoconclusivo di dieci secondi. In breve:
a) Rimangono sempre sull’argomento della scena principale;
b) Essendo compresse e impostate in modo vivace, mantengono il ritmo;
Il risultato è che il lettore, invece che distrarsi o rallentare la lettura, al contrario rimane ancorato in fibrillazione alla pagina e, alla fine della digressione, ritorna alla trama principale nello stesso stato d’animo in cui l’aveva lasciata. Le seconde, invece, hanno un andamento più lento, cambiano argomento, e funzionano da calma transizione tra due scene spazialmente e temporaneamente lontane (e che magari coinvolgono personaggi diversi).
Ma Broken Piano non è soltanto un libro comico. E’ agrodolce. Wensink somiglia a Vonnegut anche in questo, nella sua capacità di allontanare e avvicinare la telecamera ai suoi personaggi a seconda del momento; e quando la ripresa è vicina, è davvero in grado di farci sentire vicino ai suoi eroi. Non si raggiungono le vette di drammaticità dei romanzi di Vonnegut, ma in diversi momenti Broken Piano diventa dannatamente serio. E ci sentiamo empatici con Deshler, sentiamo sulla nostra pelle i suoi stessi dubbi e il suo stesso dolore. Del resto, come dicono gli ammerigani, Deshler Dean è someone you can relate to: chi di noi non si è mai sentito un fallito, o quantomeno non si è sentito infelice di sé e delle proprie scelte?
Soprattutto, il romanzo di Wensink trabocca ambiguità morale. Dean Deshler è un infelice, ma è uno che si è scavato la fossa con le proprie mani, perché per tutta la vita ha compiuto scelte autodistruttive. La sua ‘arte’ non piace a nessuno, ma è davvero arte o solo growl e spruzzi di vomito?, e non è che semplicemente gli piace fare l’hipster, non vuole essere capito e quindi fa apposta musica incomprensibile? Gli altri membri della band vorrebbero fare musica più orecchiabile ed essere amati dal pubblico, ma lui fa loro pressione e cerca di farli sentire in colpa per volerlo ‘tradire’. Gli altri lo prenderanno a calci, ma quando può lo fa anche lui – come con Napoleon, il nano che lavora con lui come portiere, e che lui continua a sfruttare quando gli fa comodo e a ignorare nel momento del bisogno. E poi c’è l’altro Deshler, il Deshler ubriaco e geniale: non lo vediamo in azione, ma da quel che gli altri personaggi raccontano di lui sembra proprio un gran figlio di puttana.
E anche se Deshler è l’indiscusso protagonista, Broken Piano è un romanzo corale: spesso e volentieri il narratore lo abbandona e discende su un altro personaggio. Per esempio Hamler, il batterista della band, un uomo insoddisfatto che in fondo cerca solo l’approvazione degli altri, e che forse ha raggiunto lo scopo della sua vita diventando (di nascosto dai suoi amici) un assassino prezzolato per conto delle multinazionali degli hamburger. O Juan Pandemic, lo scheletrico bassista nonché tossico, che vive chiuso in uno stanzino buio che puzza di crystal meth, ricoperto di croste, ma poi bazzica su un computer da millemila euro e sembra avere uno strano rapporto col padre.
O Thurman Lepsic, spietato vice-presidente della Bust-A-Gut, che apparentemente vive per la sua azienda e per la curva dei profitti, ma al tempo stesso è vegetariano, odia l’odore della carne, e sogna di diventare un buon leader/padre per i suoi dipendenti. O Malinta, la conturbante carrierista dallo sguardo di ghiaccio e la parlata di un carrettiere, che vorrebbe smetterla di dire parolacce e diventare una buona madre (WTF!?). I personaggi di Wensink, come le persone reali, sono tutte fatte di luci ed ombre, a volte li troviamo degli insopportabili pezzi di merda e a volte li guardiamo e pensiamo: “awwwww”.
Sullo sfondo, il cinico mondo delle aziende e del marketing. In genere, quando uno scrittore affronta il mondo aziendale, o lo fa con piglio moralistico (personaggi bidimensionali e condanna morale dell’autore che grava come una cappa sul romanzo) o trasforma tutto in una macchietta divertente, sì, ma senza relazione con la realtà. Anche in Wensink c’è esagerazione grottesca (con multinazionali che pagano sicari per far fuori figure chiave dell’azienda rivale, o campagne pubblicitarie che violano i più basilari diritti umanitari), ma la mentalità aziendale, regolata dai bilanci trimestrali, dallo stress dei dati di vendita, dalla fedeltà eterna di facciata, dal rapporto ambiguo che si crea tra un manager e i prodotti della sua azienda, dalla paranoia e dall’ansia da prestazione continua nascosta dietro un muso duro, è ritratta con insolito realismo. C’è qualcosa di vero, e onesto, nel modo in cui Wensink parla della gente di marketing.
E poi c’è il weird. Un solo esempio: all’inizio del romanzo, la Winters’ Olde Tyme Hamburgers lancia sul mercato lo Space Burger. Ma come pubblicizzarlo? Ecco cosa organizza. Un gruppo di astronauti russi sottopagati viene mandato in orbita con un carico di Space Burger. Gli hamburger vengono infilati in una tuta vuota con legato un jetpack e lanciati nello spazio. Gli astronauti non hanno altro cibo con sé. Ogni incarto di Space Burger distribuito sul mercato ha un codice a barre; di tutto quelli distribuiti, 450mila codici danno al consumatore la possibilità di accedere ai controlli del jetpack e riportare la tuta carica di Space Burger agli astronauti, in modo tale che non muoiano di fame. Ma se un nuovo consumatore riscatta un altro codice valido, il controllo è immediatamente sottratto. Una troupe televisiva riprende il tutto in stile reality. E tu, non ti sei ancora affrettato a comprare il tuo Space Burger? O sei un orribile essere umano che preferisce vedere quei poveri astronauti morire di fame piuttosto che spendere qualche dollaro per provare a salvarli? …sì, è assolutamente fuori di testa come sembra.
Non c’è niente di soprannaturale, di davvero impossibile in Broken Piano. E’ solo molto, molto sul filo dell’improbabile e dell’esagerato. Ci sono i terroristi russi che seminano il panico tra la folla. C’è la misteriosa azienda di prodotti ipocalorici che trama nell’ombra. C’è la coppia di produttori discografici giapponesi dai gusti folli. C’è la storia d’amore ghei. C’è l’hamburger a base di crystal meth. C’è la Papamobile. C’è pure una pistola di Cechov, sotto forma di video amatoriale girato da un nano che potrebbe contenere tutte le risposte. E ci sono esplosioni!
Wensink se la gioca tutta sul filo tra la plausibilità e l’implausibilità. E su questo filo, trova il modo di gettare sulla strada dei suoi personaggi dilemmi fin troppo seri e realistici: è meglio una vita vissuta rimanendo fedeli a sé stessi e seguendo le proprie passioni, o un lavoro vero, che non ci soddisfa ma che ci rende rispettabili agli occhi degli altri e di noi stessi? Cos’è l’arte, e come facciamo a sapere se stiamo facendo qualcosa di buono se non piace a nessuno? Cosa rende la vita degna di essere vissuta? Perché ci facciamo del male da soli e sembriamo ripetere sempre gli stessi errori? Ma questo non è un romanzo di Fabio Volo e non c’è una risposta; ci sono solo i destini diversi dei vari personaggi a seconda delle loro scelte. Il finale è strano, ti coglie di sorpresa, e non ho ancora deciso se mi piace. Ma se non altro non è quell’happy ending consolatorio da commedia di Owen Wilson e Vince Vaughn, che non suona mai credibile. Se siete artisti frustrati in attesa di riscatto, non cercate consolazione in Broken Piano for President.
Su tutto, prevale un ritmo forsennato, fatto da capitoli spesso brevi e a volte brevissimi e una sequela di avvenimenti che si accumulano con effetto valanga, lasciando al lettore poco tempo per respirare. C’è a mio avviso qualche errore nella gestione delle fasi della trama e della progressione verso il climax finale, ma son cose che si perdonano facilmente. Posso dire con certezza che era da qualche anno che non leggevo un libro così rapito, senza mai provare stanchezza o voglia di metterlo giù.
Dopo la mezza delusione di A Parliament of Crows e la delusione totale di Night of the Assholes, ho cominciato Broken Piano for President con una punta di scetticismo. Invece, mi sono trovato tra le mani quello che mi sembra essere il più bel libro mai uscito con l’etichetta di Bizarro Fiction – almeno tra quelli che ho letto. Spero che leggendo questa recensione così entusiastica non comincerete a pensare che abbia perso la mia lucidità – è solo un libro che mi ha colpito molto, che mi ha divertito, e che mi ha messo ansia nei punti giusti. Non è perfetto ma è un piacere da leggere – datemi retta! La mia unica, vera lamentela? Il titolo del romanzo è poco attinente col suo contenuto. “Broken Piano for President” è il titolo dell’unico, inascoltabile LP dei Lothario Speedwagon; ma a parte quello, non c’entra niente! Peccato.
E permettetemi di concludere con una domanda: If your life were a tasty Winters Burger, would you be the bun or the beef? Meditate, gente. Meditate.
Ma insomma: è Bizarro Fiction?
Se eravate dei frequentatori di Gamberi Fantasy, ricorderete lo stralcio di intervista a Rose O’Keefe pubblicato in questo articolo. Alla domanda su cosa caratterizzasse una storia di Bizarro Fiction rispetto ad altri sottogeneri del fantastico, la O’Keefe aveva così risposto:
Many people say that science-fiction is weird fiction. But the thing is, most science-fiction has only a single weird element to the story. With bizarro, there are three or more. So to make a science-fiction story bizarro, two or more weird elements should be added.
Si potrebbe provare ad applicare quest’aritmetica a Broken Piano, controllare se nella storia vengano combinati almeno tre elementi catalogabili come “weird”. Ho provato a fare quest’esercizio (affamare astronauti come strategia di marketing? La guerra degli hamburger? Le performance disgustose di Deshler? E l’idea del cliff drinker, è di suo un elemento “weird”?); ma alla fine mi sono semplicemente sentito stupido.
Una soluzione ci viene invece guardando alla storia editoriale – o forse dovrei dire odissea – di Broken Piano; ce la racconta lo stesso Wensink in questo bell’articolo intitolato Getting Published After Six Years of Failures. Comincia con “I’ve been a failure at every job I’ve ever held”, quindi è un articolo divertente: leggetelo. In sintesi, Broken Piano è nato e cresciuto indipendentemente dal movimento Bizarro. Non solo è probabile che Wensink non conoscesse Eraserhead Press e le altre al momento della stesura, ma ha anche aspettato anni prima di rivolgersi ad esse; pensava che le destinatarie ideali del suo manoscritto fossero ben altre case editrici. Quindi possiamo dire che no, Broken Piano non era un romanzo pensato per essere Bizarro, e che lo è diventato solo per una serie di circostanze.
E’ anche vero, però, che le case editrici “serie” avevano sistematicamente respinto il romanzo, che Cameron Pierce ha invece visto il potenziale di Broken Piano e ha capito che poteva interessare l’audience della Bizarro Fiction, che Wensink e i ragazzi della Bizarro si sono trovati bene insieme. Un’etichetta di sottogenere è utile finché serve a far capire a chi può interessare, e anch’io penso che possa piacere agli amanti della Bizarro soft, non spiccatamente weird.
I suoi cugini più prossimi, è vero, non sono le altre opere di Bizarro; sono i romanzi sarcastici alla The Sirens of Titan di Vonnegut, i fantasy comici alla Christopher Moore e le commedie nere epico-urbane tipo Una banda di idioti di John Kennedy Toole. Decidete voi se è il tipo di storia che vi aggrada.

Trova le differenze.
Dove si trova?
Purtroppo, non ho trovato Broken Piano sui canali pirata. Wensink comunque è un bravo autore all’inizio della sua carriera, e se gli estratti che qui trovate vi sono piaciuti è anche giusto comprarlo; stranamente, su Amazon l’edizione kindle costa molto di più del paperback! Considerate le spese di spedizione, a noi italioti conviene comunque l’edizione digitale.
Qualche estratto
Ci sono così tanti brani del romanzo che meriterebbero di essere postati, anche solo per il fatto di essere pieno di capitoli brevi e sketch gustabili per sé stessi. Ho scelto una manciata di pezzi eterogenei, giusto per dare l’idea: un dialogo tra i membri dei Lothario Speedwagon sulla campagna di marketing dei poveri cosmonauti senza cibo; un capitolo interamente costituito da un esempio di conversazione tra Deshler e un amico che incidentalmente ci dice molto sul nostro protagonista; e infine una raccolta di recensioni dell’LP dei Lothario Speedwagon. Enjoy!
1.
The band works up a thin layer of sweat and finishes more bottles. In the middle of a collective noise-demolition, Pandemic holds a metal sheet over his scuffed head, yelling: “Stop, stop, wait, hold on.” The band spins out of control with feedback and drunk muttering through the PA until the insect buzz of thousands of Christmas lights fills the room. “What time is it?”
Henry looks at his phone. “Only ten forty five, why?”
“Oh, man,” Pandemic pouts like a child with melted ice cream. “Why didn’t any of you tell me?”
They look confused.
“We’re done. Now I’m missing the webcast.”
“Webcast of what?” Deshler asks, again questioning everyone’s commitment. He slumps against a wall, his loose skull bobbing side-to-side.
“Jesus, dude. Come on. The Space Burger webcast.” Pandemic fetches a laptop and starts typing.
[…] “Hey, we’re practicing,” Dean’s voice is like a nasty shove. “Don’t you guys care about this?”
“Man, we can listen to my fine-ass drumming later. This shit’s important.” Juan looks down at his screen, face glowing blue.
Through a haze of turpentine wine, Deshler thinks it is kind of odd that Pandemic has a laptop and even more unthinkable that this dump has Wi-Fi. “What are you guys so worried about?” Deshler says, annoyed.
“I swear, man, you are totally out of it. Do you know what year it is, who the president is?” Pandemic says.
“Cute,” Dean says.
“What did they teach you in orphan school?”
“I went to regular school,” Dean gets red. “Quit being a dick and tell me what’s up.”
“Okay, Oliver Twist. There is a spacesuit floating around in orbit. If you have the right burger wrapper number sequence, you can control the jetpack from Earth.”
“Why would you want to do that?”
“Duh, so you can feed the starving cosmonauts with all the hamburgers in the suit and become famous,” Pandemic says.
“And win four hundred and sixty thousand dollars,” Henry adds.
Pandemic says, “Yeah, I forgot.” He tugs hamburger wrappers from deep inside his sweatpants and smoothes them out. Each has a sticker with a different bar code. “It’s a real life video game. This is pretty much the most important thing in the world. Don’t blow it for me.”
“The further the suit floats away from the space station, the harder it gets to guide it back, obviously,” Hamler says.
“Big deal. What if nobody does?”
“That’s totally unlikely,” Pandemic says. “There are four hundred and sixty thousand winning numbers. You can enter your number at any time to control the suit, but anyone else with numbers can override you and steal the controls. The last person in command when the suit floats home is the winner. The whole country is a team. Get some patriotism, asshole.”
“Isn’t that kind of like Cannonball Run?” Deshler says.
“No,” Pandemic sounds blunt and mean. “Plus, the cosmonauts don’t have any other food. Not even freeze dried ice cream. Their lives are in our hands. So, stop being a total douche, and give a shit about all this.”
“So…what? Practice is over because of a hamburger?”
“Sorry, man. I guess I’ll have to save somebody’s life instead. I feel real bad about it.”

Never gets old.
2.
*Excerpt from an eye-rolling conversation between Deshler and a friend.
DEAN: The longest I ever waited? I once had to wait three months for a video to arrive.
FRIEND: That’s ridiculous. Was it something kinky from Thailand? Ping-pong balls or orangutans and stuff?
DEAN: No, better than that. It was this rare Butthole Surfers tape.
FRIEND: Oh, dude, don’t start…
DEAN: Gibby was wild as shit at this concert, Milwaukee or something. There was smoke, a small pile of burning trash on the stage, an old medical school film of a penile transplant playing behind the drummers—
FRIEND: Drummers? As in plural?
DEAN: Yes, they had two. I’ve told you this. Anyway, he was singing real nasty. Gibby just ripped apart this mannequin and there were chunky plastic limbs everywhere. He took out this wiffleball bat…
FRIEND: Dude, come on, this was only interesting the first hundred times you told me.
DEAN: Gibby’d pissed in the bat’s tiny opening earlier, and was swinging it around. Called it his Piss Wand. It splattered the audience. He was singing “The Shah Sleeps in Lee Harvey’s Grave.”
FRIEND: And this guy’s your hero? That’s kind of messed up.
DEAN: No, not at all. Look, I needed that. When I bought that video my brother and I were staying at, at, at this relative’s place. My folks were…you know.
FRIEND: Gone?
DEAN: In several senses. Anyhow, Gibby burned into my skin like a fog lamp. He was up there doing it, bringing people to their knees like a puke-stained preacher.
FRIEND: You’re sick. I need to go home. Can you grab my coat? You should really try watching some of that Thai porno. Sounds like you need a little culture.
DEAN: Gibby broke the rules. He did everything, so now anything is possible. His art was so over the top that he clear-cut a forest for the rest of us to march through. I can do anything I want. My art is free, thanks to him.
FRIEND: I’ll be sure to send him a card.
3.
In addition to selling their tape online and at gigs, Lothario Speedwagon mailed out free copies of Broken Piano for President to magazines and websites they thought would review it. Though, the band is still not sure how Japanese reporters got a hold of the cassette. Here’s what the press has to say:
“There’s a guy yelling about pianos…maybe…it’s hard to tell because it sounds like he’s underwater. And I think there are a couple other guys destroying a Chevy with hammers. My speakers are bleeding.” –Le Bombsquad.org
“Thirteen minutes of uncomfortable hell.”
–Standard Times Review
“The deepest voice this side of the Grinch.”
–Tucson Weekly
(Translated from Japanese) “Lothario bad bad bad noise feels good good good to young ears!!!!”
–Nagano Weekly Gazette
“Who wasted money on this thing getting printed?”
–Squeege Blog.com
“I don’t get it.” –Broken Mirror
“A tape? Seriously? Who makes tapes anymore? I had to go to my grandma’s house just to listen to this stupid thing.”
–Imperfect Scrawl
“In a world where so many bands try very hard to seem insane, you get the vibe Lothario Speedwagon just rolled out of bed that way.” –Clap Amp Quarterly
“My first thought was, ‘Eewww, are these fingernails and band aids?’” –Static Magic Monthly
“I didn’t hear a guitarist in the mix. However, that doesn’t mean Lothario Speedwagon isn’t torturing one in a dark shed somewhere.” –Weekly Observer
“Until now, no band has properly captured the sound of tossing bags of urine at you. Enter Lothario Speedwagon.”
–Impact Weekly
“I want to think these guys are just that cool for making a tape, but my best guess is that they’re just that dumb.”
–[YELLOW] Journalism
(Translated from Japanese) “Ear holes make yummy buzz, melt bubble gum to trashcans. Babies dance! Babies dance!” –Tokyo City Blues.com
(Translated from Japanese) “Burn Lothario like nuclear missile of love. Hail, hail, hail, The Anti-Beatles.”
–Osaka Daily News
Tabella riassuntiva
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