“So, how are you holding up? Because I’M A POTATO.”
Nelle ultime due-tre settimane, tra le altre cose, mi sono drogato di Portal 2. All’inizio ero un po’ scettico: come non amo le saghe in letteratura e i serial televisivi, allo stesso modo diffido dei seguiti dei videogiochi. E l’esperienza mi ha spesso dato ragione. Ma mi sono dovuto ricredere: Portal 2 è fikissimo.
E’ piaciuto un sacco anche a Siobhàn; tanto, che per la prossima fiera di Lucca ha deciso di fare il cosplay di Chell, la protagonista. E, navigando alla ricerca dei componenti del suddetto cosplay, la piccola Shò ha scoperto questo:
Sono queste le cose che mi fanno sperare che il genere umano abbia uno Scopo nell’Universo!
Ecco una dimostrazione del Science Kit in azione:
Cosa c’entra tutto questo con un blog sulla narrativa?
Be’, intanto ero felice e volevo farvelo sapere. Ma se proprio avete bisogno di una motivazione meno egocentrica, be’, Portal 2 è un gioco che può insegnare molte cose a un aspirante narratore (e uso la formula “narratore” per prescindere dal tipo di medium utilizzato – scrittura, cinema, videogioco, eccetera).
Se non avete mai giocato a Portal – e qui ci scapperebbe un: vergogna – ecco un riassunto della trama. Un bel giorno, Chell (una donna di cui non sappiamo niente) si risveglia in una stanza bianca, con indosso soltanto una tutina dell’Aperture Science. Per ragioni sconosciute, si trova all’interno di un gigantesco laboratorio sotterraneo. Una voce sintetica, rispondente al nome di GLaDOS, la informa che potrà rivedere la luce del sole (e, incidentalmente, gustarsi una bella torta) se riuscirà a superare tutti i test proposti dal laboratorio. Con l’aiuto di una pistola che spara portali, Chell dovrà farsi largo attraverso tutte le stanze del laboratorio, sperando che davvero l’aspetti la libertà alla fine dell’ultima prova…
Il seguito del gioco originale ci vede ancora intrappolati nel complesso. E nel nostro secondo tentativo di fuga, scopriremo incidentalmente la storia dell’Aperture Science e dell’IA GLaDOS.
Portal è uno di quei giochi che, mentre ci giochi, ti fa venire voglia di non smettere più. Ma è anche uno di quei giochi che ti entra in testa, e a cui ti capita di ripensare anche mesi dopo averli finiti. Questo è in parte dovuto, di sicuro, al gameplay: la voglia di risolvere il puzzle e di scoprire come sarà il puzzle successivo; e magari, a gioco finito, il divertimento di costruirsi nella testa nuovi puzzle. E’ lo stesso tipo di piacere che porta altri a risolvere (e a inventare) cruciverba o rebus. Ma in parte è dovuto di sicuro all’intelaiatura narrativa dei due giochi.
Sceneggiare un videogioco è molto diverso da scrivere un romanzo, ovviamente. In un romanzo, la storia è tutto, mentre in un videogioco è solo uno degli elementi dell’opera. Nel gioco, la storia dev’essere al servizio del gioco, deve sostenerlo ma mai invaderlo – altrimenti si fa la fine di Metal Gear Solid 4, meglio noto come “il film con un po’ di videogioco intorno”. Viceversa, a scrivere un libro come se fosse una partita di gioco di ruolo si finisce a sommergere di aborti illeggibili la casella postale del povero Zwei.
La sceneggiatura di un videogioco può insegnare ben poco anche sul piano del puro stile, data la diversità del mezzo. Ma può insegnare molto sulla struttura, ossia su come vada pensata e orchestrata una storia. Ora, perché Portal è così appassionante? Perché è così bello entrare nel suo mondo, e così un peccato quando il gioco finisce? La chiave sta nella parola “eleganza”.

Ecco come vedremo Siobhàn questo autunno. Senza i lineamenti scimmieschi, per fortuna.
Eleganza
Con “eleganza” si intende: ottenere il massimo risultato con utilizzando un numero minimo di elementi. Un’equazione o una stringa formale che occupano poco spazio e utilizzano un numero limitato di simboli sono più eleganti di formule che per esprimere lo stesso concetto riempiono pagine e pagine; The Death of Grass di John Cristopher è più elegante di The Stand di King, perché per creare personaggi di pari complessità ed evoluzione psicologica impiega 200 pagine invece che un migliaio, e un cast molto più ridotto.
Il piacere dell’eleganza non è qualcosa di puramente intellettuale, anche se di certo stimola l’intelletto (che si chiede come sia stato possibile raggiungere un così buon risultato con una tale penuria di mezzi). E’ un piacere che arriva prima di tutto ai sensi, anche se non sempre ce ne si rende conto, e che si potrebbe chiamare piacere della semplicità. Il lettore (o lo spettatore, o il giocatore) si emoziona senza essere costretto a tenere a mente un sacco di personaggi o avvenimenti o background o sottotrame – sofferenza ben nota a tutti coloro che si imbarcano in epopee infinite come La ruota del tempo, Le cronache del ghiaccio e del fuoco o qualsiasi manga che superi la ventina di volumi (ma se è per questo, anche classici “insospettabili” come I demoni di Dostoevskij). Anche a leggersi la serie intera tutta di fila, è molto improbabile riuscire a tenere insieme tutti i fili della storia senza prendere appunti.
E’ stata una precisa scelta degli sceneggiatori di Portal 2 introdurre il minor numero di personaggi possibili e mantenere la stessa semplicità di trama che aveva fatto la fortuna del primo Portal. In tutto il gioco abbiamo solo quattro personaggi – la protagonista, che peraltro è muta, GLaDOS, Wheatley e Cave Johnson, che peraltro non compare mai di persona. Il primo Portal addirittura aveva solo due personaggi, ma è anche vero che in quel caso si poteva a malapena parlare di “trama”, dato che il tutto si riduceva alla formula ‘Protagonista vuole scappare / Antagonista che vuole tenerla dentro’ con un buffet di (squisite) battute in mezzo.
Portal 2 invece ha una trama vera e propria. E con poche battute (come la voce registrata di Cave Johnson, o gli scambi tra GlADOS e Wheatley) veniamo a sapere un sacco di cose, come la storia dell’Aperture Science, l’origine di GlADOS o perché le IA del complesso provino il desiderio compulsivo a fare test. Non c’è bisogno di ricreare l’intero background dell’America dagli anni ’40 in poi per mostrarci la storia dell’Aperture Science – basta una scelta mirata delle texture delle stanze e di poche battute preregistrate. Alcuni elementi non vengono mai nemmeno spiegati, ma semplicemente suggeriti al giocatore attraverso alcune immagini, come il perché i piani superiori del complesso all’inizio di Portal 2 siano infestati di piante.

Let’s do some science!
La stessa eleganza si rispecchia nell’ambientazione. I laboratori dell’Aperture sono una scatola chiusa, non solo perché non si può uscire, ma anche perché tutto ciò che non riguarda ciò che accade all’interno del complesso è eliminato dalla storia. Qual’è la situazione politica del mondo fuori dal laboratorio? Il governo è al corrente di ciò che succede all’Aperture? In che anno siamo? La sceneggiatura non spende una parola su questi punti, perché esulano dall’ambientazione. Tagliare! Risparmiare! Economia di elementi! Chell è davvero stata adottata? Ma chissenefrega! L’unica domanda importante è: riusciremo a uscire dal laboratorio?
Questa economia di background non solamente permette al giocatore di concentrarsi sui pochi elementi importanti e goderseli come Dio comanda, ma trasmette quel tanto di claustrofobia e ansia che tanto ci piace. Laboratorio sigillato a n metri di profondità in mano a un’IA capricciosa = pericolo; è davvero così semplice!
I tizi di Valve hanno poi arricchito il tutto inserendo un elemento di contrasto: l’umorismo. Che siano i mezzucci improbabili con cui GLaDOS tenta di rassicurarci della propria onestà e della sua attitudine scientifica, o i suoi scambi con quel ritardato di Wheatley, o i messaggi deliranti di Cave Johnson, i dialoghi di Portal cercano sempre di essere ironici e vivaci. Umorismo nero: prendi una situazione di per sé drammatica e vedine il lato divertente.
Infine, anche i personaggi sono costruiti secondo i dettami dell’eleganza. Ciascuno di essi poggia su un ridotto numero di conflitti interni, in sé molto semplici, e che diventano complessi solo nell’interazione tra loro.
Prendiamo GLaDOS, il personaggio più riuscito. Qual’è il suo segreto? A un primo livello, troviamo il contrasto tra la sua voce innocua e impostata – che sembra uscita direttamente da un navigatore satellitare – e il potere di vita e di morte che si trova a esercitare su di noi. Sempre su questo livello sono costruiti i nomi degli articoli dell’Aperture Science; nomi contorti e rassicuranti che insultano l’intelligenza del giocatore, nascondendo palesi trappole mortali (bellissima presa in giro, tra l’altro, dell’ipocrisia aziendale). A un secondo livello, c’è la contraddizione tra la presunta super-intelligenza dell’IA e l’ingenuità dei suoi trucchetti, che peraltro ci propina con convinzione. A un terzo e più profondo livello, il conflitto tra il disprezzo di GLaDOS per gli umani e il bisogno che ha di loro per dare un senso alla propria vita. Il risultato è la versione un po’ autistica (e più simpatica) di HAL9000.
Lo stesso giochetto può essere fatto anche con gli altri personaggi.

Portal è anche una fabbrica di meme.
Andrei avanti per ore a parlare di Portal e delle ragioni per cui è tanto divertente, ma mi fermerò qui. Ma il succo della storia è: scrittori di fantastico, ambite all’eleganza! E cercate l’ispirazione anche nei videoGIUOCHI! E comprate anche voi un kit Potato Science!
Fatelo, se non altro, nell’interesse della scienza. Se non siete ancora convinti, vi lascio alle parole ispiratrici di Cave Johnson: