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Bonus Track: Divine Invasions – A Life of Philip K. Dick, e qualche considerazione sulla scrittura

Divine invasioniAutore: Lawrence Sutin
Titolo italiano: Divine invasioni – La vita di Philip K. Dick
Genere: Biografia

Anno: 1989
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 380 ca.

Difficoltà in inglese: *

Non si può dire che le biografie siano il mio genere preferito. Non ho il minimo interesse per i personaggi famosi o per “quelli che ce l’hanno fatta”. Quanto ai grandi personaggi storici, so che molto di rado i grandi avvenimenti della storia sono conseguenza delle azioni di singoli uomini, perciò preferisco studiare un’epoca, o una società, o una situazione, piuttosto che la vita privata del Napoleone di turno. Soprattutto, è difficile che mi metta a leggere la biografia di uno scrittore: queste persone conducono in genere una vita noiosa, scandita da scadenze e presentazioni dei propri libri.
Philip K. Dick è un’eccezione. Non tanto perché è il mio scrittore preferito, quanto perché la sua vita sembra un romanzo. E Dick stesso potrebbe essere un protagonista dei suoi stessi libri. Ai fan dello scrittore, a quelli che l’hanno avvicinato da poco ma si chiedono come possa aver partorito le sue idee folli, e a quelli che sono rimasti incuriositi dagli aneddoti che lanciavo qua e là sulla sua vita, è dedicato questo articolo.

La biografia di Lawrence Sutin ripercorre metodicamente, e con piglio ironico, tutta l’esistenza dello scrittore, dalla prima infanzia alla morte. La gemella morta poco dopo il parto, la cui esistenza avrebbe angosciato Dick per tutta la vita; le sue crisi asmatiche e con il cibo quando era piccolo, unita alla sua tendenza agli esaurimenti nervosi; la sua serie di matrimoni impulsivi e di breve durata (si è sposato cinque volte e ha divorziato tutte e cinque); gli anni di povertà in cui lui e la moglie mangiavano cibo per cani perché racconti e romanzi pagavano poco; il tentativo di far internare in manicomio la sua terza moglie (ma poi Dick si è sentito molto in colpa); la sua abitudine di razziare gli armadietti dei medicinali dei suoi genitori per poi impasticcarsi di tutto e di più (lato positivo: i suoi romanzi mostrano una notevole preparazione in farmacologia e terapia delle malattie mentali); l’orrore provato a leggere documenti sul nazismo in preparazione a The Man in the High Castle; la sua abitudine di andare la mattina presto in una rimessa in mezzo alla campagna, per poi mettersi a scrivere per dieci ore filate sotto effetto di anfetamine (per tenere il ritmo) e produrre così quattro-cinque libri all’anno; l’allucinazione, durata settimane, della faccia di Palmer Eldritch in cielo; le conversazioni allucinate su teologia e gnoseologia con il reverendo Pike; gli anni in cui casa sua si trasformò in una comune di tossici e fece le sue prime sperimentazioni con l’LSD, per poi diventare preda di attacchi paranoidi e buttare tutti fuori di casa (convinto che qualcuno lo stesse tradendo e volesse farlo finire dentro); il terrore che i federali volessero incastrarlo come comunista per il suo passato sinistroide a Berkeley; i suoi commenti avvelenati e nevrotici rivolti a Ursula K. LeGuin (seguiti da sentite scuse); il suo tentativo di suicidio in Canada; fino alle famose allucinazioni cosmologiche (come quella del raggio rosa che l’avrebbe sollevato dal letto nel cuore della notte) che l’avrebbero convinto che noi in realtà ci troviamo nel 70 d.C., intrappolati in un’allucinazione collettiva ordita dall’Imperatore Romano (la cui ‘incarnazione’ dell’epoca sarebbe stata Richard Nixon) per rendere eterno l’Impero, e che Satana (a volte identificato con questo stesso Imperatore romano) avrebbe imprigionato la Terra in una gabbia che lo esclude dalle onde di trasmissione di un’intelligenza diffusa e divina – VALIS – sparsa ovunque nell’universo, energia che sarebbe riuscita a fare breccia nella gabbia e a comunicare con alcune persone (come Dick) che ora sarebbero dei prescelti di VALIS incaricati di mostrare la verità al genere umano e liberare il mondo dagli artigli del male e della psicosi – teoria alla luce della quale Dick avrebbe compilato negli ultimi anni di vita un’Esegesi di oltre un migliaio di pagine, ad uso personale…
Per non parlare della marea di romanzi incompiuti, abbozzati, perduti di quel grafomane che era Dick, dal progettato seguito de La svastica sul sole al famigerato capitolo conclusivo mai scritto della Trilogia di VALIS, passando per i continui insuccessi nel campo del mainstream.

Richard Nixon

“Your ass is mine, Dick.”

Divine Invasions, che riprende il titolo di uno degli ultimi – e meno comprensibili – romanzi dickiani, è una lettura piacevolissima che mischia informazioni biografiche, testimonianze di parenti e amici sopravvissuti, brani scritti da Dick in cui parla delle sue convinzioni e dei suoi interessi, e anche, talvolta, del suo modo di scrivere. Si sente l’amore di Sutin per lo scrittore e il suo desiderio di fare un lavoro il più completo e attendibile possibile.
In coda al libro, Sutin ha anche compilato un elenco – in ordine di stesura, e non di pubblicazione – di tutti i romanzi e le raccolte di racconti prodotti da Dick, con tanto di breve riassunto, giudizio sintetico e voto finale. Solo a volte concordo con le sue valutazioni, ma in ogni caso si tratta di una guida assai utile alla bibliografia dickiana e me ne sono servito spesso in quei sette-otto mesi che ho trascorso a leggere tre quarti della sua produzione.
Insomma, se gli aneddoti che ho gettato qua e là, tra articoli e commenti, su questo psicopatico di uno scrittore vi hanno incuriosito, vi consiglio di andare direttamente alla fonte.

Una panoramica del “metodo Dick”
Invece che approfondire il contenuto del libro o produrre qualche estratto a caso, questa volta mi sembra più interessante fare una cosa diversa. Alle Pag.187-189 dell’edizione italiana, Sutin riporta e commenta alcune parole scritte da Dick a proposito del modo in cui costruisce i suoi romanzi. Ed è sempre interessante leggere come operano i grandi scrittori, giusto?
Quindi, eccovele di seguito:

Un altro scrittore di fantascienza con cui Phil fu in contatto fu Ron Goulart. E a lui, nell’estate del 1964, inviò una lunga lettera che si avvicinava allo schema per la costruzione di un romanzo più di ogni altra cosa che Phil abbia mai scritto. Il che non vuol dire che uno qualunque dei suoi romanzi si adatti alla perfezione allo schema proposto in tale lettera – Phil sapeva deviare da qualsiasi piano, nel corso dei suoi periodi di scrittura al calor bianco. Ma la lettera è rivelatrice delle strategie che confluivano nella creazione dei mondi dickiani con punti di vista multipli. E’ anche una lettera assai singolare, per essere stata scritta nel corso di un blocco dello scrittore – forse aiutò Phil a rassicurarsi che poteva farcela ancora.
Nei primi tre capitoli, dice Phil, devi introdurre tre personaggi chiave. Nel primo capitolo:

Il primo personaggio, non il protagonista, ma un essere “subumano”, vale a dire una specie di uomo qualunque che esiste per tutto il corso del libro ma è, insomma, passivo; veniamo a conoscenza di quell’intero mondo, del suo background, da come esso agisce su di lui; è il “tizio che deve pagare il conto”, il “signor Contribuente”, eccetera. Okay. Dal punto di vista drammatico sapremo poco di lui ma, cosa più importante, vediamo il mondo che dovremo abitare, e qui sta la differenza tra romanzo e racconto breve; non è una progressione drammatica che culmina in una Scena Finale o in una Crisi, ma, come dico io, un mondo intero “con tutti i buchi collegati”, come dice José Ortega y Gasset.

Nel secondo capitolo arriva il “protag”, che ha un nome a più sillabe, come “Tom Stonecypher”, in contrapposizione al monosillabico “Al Glunch” del “sotto-uomo” del capitolo uno. Il “protag”:

lavora per – ed ecco che arriva l’Istituzione o l’organizzazione o l’attività lavorativa – be’, va bene ogni cosa, purché ci dia queste informazioni: ci dica cosa fa Mister S. [Stonecypher, ossia il “protag”], e cos’è questa cosa, la sua funzione. Veniamo anche a conoscenza di questo: la vita personale (o privata, o domestica) di Mister S. I suoi problemi coniugali o sessuali, o qualunque cosa sia la cosa che preoccupa solo lui, e non la grossa corporazione per la quale lavora… per cui non abbiamo più sfondo, massa, astrazioni, qui; abbiamo l’immediato, l’ora, questo e non quello; il problema è urgente e coinvolge qualcun altro, tipo una moglie, un fratello, eccetera. Capito?

Nel terzo capitolo compare una figura che svetta oltre le prime due, per statura, trasformando così la portata del romanzo:

Cambiamo percorso, e qui incominciamo a sviluppare il romanzo in un modo negato al racconto breve. Continuiamo sia con Mister S. che col “subumano” Mister Glunch… in un certo senso. Ma in un altro, anche se tecnicamente andiamo avanti con Mister S., ci troviamo in un’altra dimensione, quella del super-umano. E’ l’enorme problema di Loro, per esempio un’invasione della Terra, un’altra razza senziente, eccetera, e, tramite occhi e orecchie di Mister S., diamo per la prima volta un’occhiata a questa realtà super-umana – e all’essere umano (che chiameremo Ubermensch?) che la abita (…) Come Mister G. è il contribuente medio e Mister S. è “Io”, la persona normale, Mister U. è Mister Dio, Mister Big (…). Lui è Atlante, che porta il peso del mondo, per così dire, che sia malvagio – e potrebbe esserlo molto – o buono; in ogni caso, il potere gli ha conferito delle responsabilità, e ciò lo ferisce; pesa su di lui, lo fa invecchiare… ma lui è abbastanza grande da svolgere quest’altro compito; può sopportarlo, è autosufficiente.

Phil pone l’accento sul fatto che “l’intero versante drammatico del libro poggia sull’impatto tra Mister U. e Mister S.”. Un primo sguardo a tale impatto viene dato nel terzo capitolo. “A questo punto siamo nel bel mezzo di un libro, non solo di un racconto”, a causa dell’interazione fra i tre personaggi. E’ il destino di Mister S. “Si evolve drammaticamente lungo un percorso che lo porta al confronto diretto con Mister U., da cui nasce la scelta per decidere in che modo le Cose – cioè Mister U. – finiranno in definitiva, nella sezione della crisi, e ricadranno su Mister. S.”.
E ora arriva la grande fusione di mondi, verso la quale si è finora indirizzata la narrazione:

Mister S., nel secondo capitolo, pensava di avere dei problemi (ne aveva: di tipo personale). Ma ora guardalo nel quarto capitolo. Ha un po’ del peso di Atlante su di sé: proprio un bel salto di problemi. E poi: il problema originario, quello personale, non è sparito; in realtà è peggiorato. Per cui abbiamo un vero e proprio contrappunto, due problemi, il primo personale, accanto al secondo, a carattere mondiale. E ognuno di essi inguaia, complica e aumenta l’altro.
E, alla fine, il grande momento drammatico giunge quando Mister U., ora profondamente legato a Mister S., entra nell’area dei problemi personali prima relegata a Mister S. Per cui in un certo senso nell’ultima parte del libro i due mondi o i due problemi o i due versanti drammatici si fondono.

L’azione drammatica è intensificata da un groviglio totale:

Per cui si viene a rivelare il meccanismo strutturale di base: I PROBLEMI PERSONALI DI MISTER S. RAPPRESENTANO LA SOLUZIONE DI QUELLI MONDIALI DI MISTER U. E ciò può capitare sia nel caso che Mister S. stia con Mister U., o che sia contro di lui; vedi quali estreme varietà già si presentino, a livello strutturale? (Per esempio, se Mister S., dopo aver lavorato per un certo periodo per Mister U., se ne fosse andato in maniera traumatica – gli si fosse rivoltato contro, per unirsi di nuovo alla PPI [Phenotype Products Inc., o qualunque altra ditta “dai valori morali assai dubbi” sia stata inventata], nella sua lotta per la sopravvivenza – e tornasse di nuovo dal suo vecchio capo?

Phil suggeriva un possibile “sviluppo drammatico della conclusione” sotto forma di uno scontro di qualche tipo tra Mister S. e Mister U., con l’ultimo che ha la peggio, nonostante il suo enorme potere. Ma “Mister S. sopravvive, e tutto torna a posto, tranne che per qualche nessuno finale deliberatamente lasciato in sospeso; Mister S. forse ha risolto i suoi problemi personali o quelli del mondo – ma qualunque di questi abbia risolto, nel libro, ora l’altro è peggiorato, ironicamente… e ci dobbiamo rassegnare”. La Terra è stata salvata dai “Giganteschi Piselli Demolitori provenienti da Betelgeuse IV, in fondo, per cui ci si può rilassare, fare i saggi, e prenderci un po’ di tempo per sentire cosa prova Mister S.”.
La “coda” è un’occhiata conclusiva a Mister G. – “che ne è di lui (…), lui, che è stato quasi dimenticato, in tutto questo scompiglio?”. Più o meno come prima, anche se magari potrebbe avere un lavoro leggermente migliore.

Comunque, mio adorato, ecco come PKD mette insieme 55.000 parole (chilometraggio giusto) dalla sua macchina da scrivere: avendo tre persone, tre livelli, due temi (uno esterno, a dimensioni mondiali, l’altro interno, a dimensioni individuali), con una fusione del tutto e, alla fine, una nota più umana. Questa è, per così dire, la mia struttura. Ho detto abbastanza.

Droghe

Okay, diciamoci la verità – QUESTO è il vero metodo Dick.

Due parole sul pezzo precedente.
L’ho chiamato per semplicità “metodo Dick”, ma in realtà lo schema è di massima; lui stesso non l’ha mai seguito con grande rigore. Nel corso della sua carriera, Dick ha utilizzato una gran varietà di strutture diverse, e quella di cui parla in quella lettera si riferisce più che altro alla composizione dei romanzi del periodo ‘centrale’ (quelli che vanno da The Man in the High Castle a Do Androids Dream of Electric Sheep?); A Scanner Darkly, per esempio, utilizza una più normale struttura con unico protagonista-pov (Bob Arctor) più alcuni capitoli particolari in cui l’autore con una telecamera onnisciente va a vedere le vite  di personaggi minori. Inoltre, anche nei romanzi più aderenti a tale struttura, Dick si è sempre preso una certa libertà1.
Non direi mai a un aspirante scrittore che questa struttura sia una “formula del successo” o che andrebbe seguita a prescindere dal materiale del romanzo. Non lo penso. Tuttavia, credo che le parole di Dick possano insegnare un paio di cose interessanti:

1. Utilità del personaggio sfondo. Uno dei problemi tipici della narrativa di genere (specialmente se ambientata in un “mondo secondario” o nel futuro) è: come si fa a spiegare l’ambientazione, se bisogna utilizzare personaggi già abituati a viverci e contemporaneamente si sta svolgendo una crisi che cambia gli equilibri iniziali? Da un lato, l’infodump puzza, e dedicare i primi capitoli a dettagliare l’ambientazione per poi inserire l’elemento di crisi ammazza la tensione e il ritmo. Viceversa, iniziare col botto, e cioè con la crisi, impedisce al lettore di apprezzarne l’importanza, o nei casi peggiori, di seguire il filo degli avvenimenti: non ha ancora dimestichezza con l’ambientazione. Questo è uno dei punti più controversi anche nei manuali di scrittura, con alcuni che privilegiano un inizio morbido per non mandare in crisi il lettore, e altri che preferiscono l’inizio in medias res (con eventuale flashback per spiegare il ‘prima’, ma anche no).
Il ‘personaggio sfondo’ usato da Dick è molto comodo. Il suo ruolo è di far riflettere su di sé le caratteristiche della società in cui vive, ed essendo passivo, il lettore può concentrare la sua attenzione sul mondo circostante e sugli effetti che questo ha sul personaggio. Problema: cominciare col personaggio sfondo non è un inizio troppo lento, e non ritarda troppo l’hook e l’innesco vero e proprio della trama? Sì: questo è indubbio. Un’altra soluzione potrebbe essere questa: un primo capitolo col protagonista attivo, e l’evento della storia che innesca il cambiamento (di cui ancora non realizziamo la portata, ma intuiamo che è notevole). Secondo capitolo: personaggio sfondo. Il ritmo a questo punto può rallentare (la storia è partita, l’attenzione del lettore catturata) e ora ci si può prendere il tempo per delineare l’ambientazione – mostrandola attraverso il personaggio passivo – e dare al lettore i punti di riferimento che gli servono. Quando nel terzo capitolo si torna al protagonista e alle sue magagne, il lettore avrà tutte le informazioni per capire meglio azioni e pensieri del personaggio e per apprezzare il cambiamento che sta intervenendo.
Nulla impedisce comunque altre varianti, come far coincidere protagonista attivo e personaggio sfondo (inizialmente passivo e quindi ‘sfondo’, in seguito a un evento X il personaggio si ribella e diventa attivo: un classico, specialmente nelle distopie). Ma soprattutto nei romanzi corali, l’idea di assegnare i due ruoli a personaggi diversi (e quindi, seguendo le loro evoluzioni, vedere due lati diversi della società e del cambiamento in atto, due lati che altrimenti non si incontrerebbero mai) andrebbe presa in considerazione. Insomma: sperimentate.

Blade Runner fa schifo

2. Importanza della vita privata. Ci sono tanti sistemi per dare tridimensionalità e credibilità a un personaggio. Dargli una parlata e una gestualità particolare, degli obiettivi specifici, o farli evolvere nel corso della storia sono tutti ottimi sistemi. Ma uno dei metodi principi, è dare loro una vita privata. Un hobby, un problema familiare, una vita e interessi secondari dietro il loro lavoro o la loro quest. Una delle ragioni per cui gli scienziati e gli ingegneri di Clarke sono ridicoli, è che esistono per la loro funzione, ma sembrano non avere nient’altro nella loro vita.
Creare attrito tra la vita privata del personaggio e l’intreccio principale, inoltre, moltiplica i livelli di conflitto. Quindi alimenta la tensione. Uno dei motivi di fascino dei personaggi dickiani è proprio l’intergioco, e il conflitto, tra i loro problemi privati, la pressione sociale cui sono soggetti e la crisi centrale del romanzo.
Certo: non sempre c’è lo spazio o un modo elegante per mostrare la vita privata dei propri personaggi, specialmente se in corso c’è una crisi globale o qualcosa del genere. In un romanzo non incentrato sui personaggi, ma per esempio su un evento o su un’idea – per utilizzare la distinzione tra “tipi di trame” di Orson Scott Card – troppa attenzione alla vita privata dei protagonisti potrebbe anzi essere una distrazione. Ma anche qualche piccolo suggerimento, qualche oggetto lasciato sulla scrivania, qualche parola detta per caso, possono arricchire notevolmente. Come dicevo a Gamberetta commentando il suo Assault Fairies, anche gli sceneggiatori dei serial americani hanno capito l’importanza di suggerire stralci della vita privata dei loro protagonisti, da CSI al Dottor House. Il fatto che la psicologia dei personaggi abbia un’importanza marginale non significa che – con poche frasi e/o elementi messi al posto giusto – non si possa tridimensionalizzarli, pur dedicando loro il minimo di spazio.
Insomma: in fase di preparazione del romanzo, fate un pensierino sulla possibilità di inserire nel romanzo questo lato della vita dei protagonisti.

Ci sarebbero altre considerazioni da fare, sulla struttura del romanzo corale e del contrappunto tra i personaggi, ma andrei decisamente fuori strada: ci tornerò in un articolo futuro.
In conclusione, leggete Divine Invasions e meditate. Siamo tutti intrappolati in una gabbia di Faraday metafisica e forse solo il profeta Elia potrà salvarci, armato di un ciondolo con un pesce e con i Rotoli del Mar Morto sotto l’ascella. O forse no.

Gabbia di Faraday

Un’invenzione del demonio.

(1) Il caso di maggiore aderenza è forse The Three Stigmata of Palmer Eldritch, a cui ho dedicato un Consiglio un paio di mesi fa. Qui abbiamo i tre livelli (sub-umano, umano e super-umano), ma quattro personaggi-pov, e la loro collocazione, di conseguenza, è un po’ sfalsata rispetto ai tre livelli:
– Richard Hnatt e gli abitanti di Chicken Pox Prospect costituiscono il livello sub-umano. Sempre passivi, non hanno alcun ruolo nella trama se non quello di carta tornasole dell’ambientazione.
– Barney Mayerson, il protagonista, si trova a un livello intermedio tra sub-umano e umano. E’ una persona attiva e con un certo potere, ma il suo ruolo nella risoluzione dell’intreccio è marginale. E’ il personaggio che evolve di più e il focus del romanzo, ma rimane una figura più passiva che attiva, più concentrata sui suoi problemi privati che nella risoluzione della crisi globale.
– Leo Bulero è il vero personaggio attivo. Della sua vita privata sappiamo pochissimo, e questa influisce poco sulla storia. Lui affronta la crisi, lui elabora piani, lui si scontra con l’entità-Palmer Eldritch. Essendo un essere umano dalla vitalità, dalla ricchezza e dal potere straordinari, lo collocherei a metà tra l’umano e il super-umano.
– Volendo aggiungere un quinto livello, troviamo il vero super-umano nel personaggio di Palmer Eldritch, che però non ha un proprio pov.
Inoltre i rapporti tra Mayerson, Bulero ed Eltrich sono piuttosto complessi – non sono proprio amichevoli, ma neanche completamente antagonistici. Eldritch invade gli spazi privati di entrambi; ciò che distingue Mayerson e Bulero sono le differenti reazioni.
Altri romanzi che seguono abbastanza fedelmente la struttura solo The Man in the High Castle – ma con ancora più pov e una struttura ancora più sfumata – o The Penultimate Truth – che però è mediocre – o Do Androids Dream of Electric Sheep? – dove il super-umano è però depotenziato, e si riferisce agli androidi che invadono la casa di Jack Isidore.Torna su

I Consigli del Lunedì #19: The Three Stigmata of Palmer Eldritch

Le tre stimmate di Palmer EldritchAutore: Philip K. Dick
Titolo italiano: Le tre stimmate di Palmer Eldritch
Genere: Science Fiction / Social SF / Psicologico
Tipo: Romanzo

Anno: 1965
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 280 ca.
Difficoltà in inglese: **

“You were wrong,” Eldritch said. “I did not find God in the Prox system. But I found something better.” […] “God,” Eldritch said, “promises eternal life. I can do better; I can deliver it.”

Nel XXI secolo, la Terra è diventata un inferno: le temperature sono talmente alte che di giorno è impossibile uscire all’aria aperta senza un’apposita tuta, e la maggior parte della popolazione vive in appartamenti sotterranei. Per sfuggire al suo destino il genere umano ha colonizzato diversi pianeti e satelliti del Sistema Solare, ma sono mondi inospitali. Per popolarli, le Nazioni Unite hanno istituito una leva obbligatoria: gli sfortunati che vengono scelti, sono condannati a passare il resto della loro vita in piccoli bunker isolati su Marte, o Venere, o Ganimede, a zappare la terra. La vita nelle colonie è talmente dura e priva di prospettive, che per evadere i coloni giocano alle bambole; ogni coppia ha infatti in dotazione un piccolo plastico della bambola Perky Pat che replica fedelmente una città della Terra nei suoi giorni migliori. Attraverso l’assunzione della droga illegale Can-D, i coloni possono vivere un’allucinazione collettiva che li porta all’interno del plastico, facendo incarnare le donne nella bambola Perky Pat, e gli uomini nel suo fidanzato Walt – e dimenticarsi così, per una buona mezz’ora, della loro vuota esistenza.
Barney Mayerson è un precognitivo che lavora per la P.P. Layouts, la multinazionale che detiene il monopolio dei plastici di Perky Pat e della Can-D; il suo lavoro è quello di anticipare quali prodotti saranno di moda nel futuro per farli produrre in esclusiva dalla sua azienda. Mayerson ha sacrificato tutto alla carriera, compresa la sua ex-moglie Emily, l’unico vero amore della sua vita, ma è infelice. E per di più, ha un sacco di problemi: la sua nuova assistente, Roni Fugate (che tra l’altro si porta a letto), minaccia di soffiargli il posto e lasciarlo a spasso; e le Nazioni Unite gli hanno mandato una notifica di arruolamento forzato nelle colonie, che lui vuole sfuggire a tutti i costi.
E anche Leo Bulero, ricchissimo e smaliziato proprietario della P.P. Layouts, ha i suoi problemi. Ha appena ricevuto la notizia del ritorno del magnate Palmer Eldritch, dopo dieci anni di assenza, dal sistema di Proxima Centauri. La sua nave si è schiantata su Plutone, e a bordo sono state trovate tracce di un lichene allucinogeno simile al Can-D. Che cos’ha rinvenuto Eldritch su Proxima? E quali sono i suoi piani? Eldritch è una minaccia solo per il suo business, o per l’intero Sistema Solare?

Dick si è già meritato un Consiglio su Tapirullanza, con la commedia un po’ minchiona The Zap Gun. Con Palmer Eldritch, uno dei suoi libri più interessanti, entriamo invece in una storia cupa e piena di amarezza.
L’intricata trama del romanzo si snoda in quattro storyline parallele: quella di Mayerson, determinato a sfuggire la leva provocandosi disturbi mentali, a consolidare la sua posizione all’interno dell’azienda e a dare un senso alla sua vita; quella di Bulero, impegnato a destreggiarsi tra le trappole delle Nazioni Unite e l’oscura minaccia di Palmer Eldritch; quella di Richard Hnatt, il nuovo marito di Emily con il sogno di farsi espandere il cervello com’è di moda tra i ricchi; e quella della piccola colonia marziana di Chicken Pox Prospects, dove tre coppie passano le loro giornate a drogarsi di Can-D e a fare sperimentazioni sessuali nel mondo di Perky Pat, sognando una vita migliore.
E le cose si complicano ulteriormente quando il romanzo comincia a esplorare il rapporto tra realtà e illusione, o tra differenti livelli di realtà… e protagonisti e lettori entrano in un’angosciante spirale di realtà dentro realtà dentro realtà.
Riuscirà il nostro scrittore preferito a far quadrare i conti?

Barbie Perky Pat

L’ispiratrice di Perky Pat.

Uno sguardo approfondito
Come avrete intuito dall’elefantiaca presentazione, Palmer Eldritch è un romanzo farcito di idee, avvenimenti e sub-plot. Dal dottor Sorriso, uno psicanalista portatile col compito di procurare nevrosi invece che guarirle, a Winnie-the-Pooh Acres, il satellite artificiale privato dei divertimenti di Leo Bulero, ai coyote telepatici marziani, ai disc-jockey che orbitano attorno a Marte e consegnano illegalmente la droga, Dick introduce con perfetta nonchalance una bizzarria ogni poche pagine.
Questa mole di idee, da un lato rende il mondo del romanzo più vivido, dall’altro mantiene sempre alto il ritmo: l’attenzione del lettore è tirata ora in una direzione, ora nell’altra, ed è molto difficile che ci si annoi. Il che vale anche per le conversazioni tra i personaggi – Dick ha la capacità di passare con naturalezza da un argomento all’altro, cosicché un dialogo può cominciare come un patema esistenziale, continuare con una disquisizione filosofica sul significato dell’Eucarestia e terminare nella pianificazione di una strategia per far fuori Palmer Eldritch. Per farla breve: m’è capitato di leggere anche 50 pagine di questo romanzo in full immersion, cosa che non mi capita spesso.
I concetti chiave, poi, sono rappresentati visivamente attraverso correlativi oggettivi. La trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, diventano una rappresentazione della confusione tra fisico e metafisico, tra umano e divino che avviene nel romanzo; le tre stimmate – i denti d’acciaio, la mano artificiale, gli occhi Jensen di Eldritch – oltre a essere un’immagine affascinante, simboleggiano la lenta e strana invasione di Eldritch nel Sistema Solare. E il lettore comincia a tremare ogni volta che le stimmate appaiono…

Naturalmente, niente di tutto questo ha una base scientifica. I fan dell’Hard SF rimarrebbero probabilmente delusi nello scoprire che, per esempio, Dick non si cura minimamente di giustificare il folle riscaldamento globale della Terra dei suoi anni. Le cose stanno così: punto.
Né la colonizzazione dei pianeti del Sistema Solare è presentata con un minimo di rigore. Marte sembra soltanto la versione più dura e remota di quello che poteva essere il Far West nell’Ottocento – terra arida difficile (ma non impossibile) da coltivare, con una flora e una fauna nativa (i coyote, per esempio), e temperature fredde ma non insopportabili.

Palmer Eldritch

Una possibile rappresentazione di Palmer Eldritch. Non fate caso alle ali demoniache.

Fatto più grave, Dick apre troppe parentesi e non sempre è in grado di svilupparle bene.
Prendiamo Perky Pat. Chi ha avuto la fortuna di leggere il racconto originale in cui compariva questo alienante plastico ispirato alla Barbie, si accorgerà subito che nel romanzo è presentato un po’ di fretta, e rimane molto sottosfruttato. Il potere ipnotico di Perky Pat è presentato molto di fretta, quasi più come infodump tra i discorsi dei dipendenti della P.P. Layout o tra i coloni marziani, mentre di “mostrato” c’è più che altro la delusione e il declino del successo del plastico.
Mi lascia perplessa anche il Chew-Z, la nuova droga nonché device centrale del romanzo. Quali siano i suoi effetti e i suoi limiti non è mai chiarissimo, ma, quel che è peggio, sembra che non sia chiarissimo nemmeno a Dick: la portata del Chew-Z sembra infatti cambiare a seconda del momento. Crea solo illusioni o reali continuum alternativi? Le tracce “fantasmatiche” sono solo immagini, o reali cloni, o estensioni di un unico sé stesso? Si viaggia contemporaneamente nel passato e nel futuro, o in solo una direzione? E la direzione è determinata da Eldritch (e: sempre, o solo a volte?), o se no, da chi? La risposta sembra cambiare a seconda della pagina. E leggendo le lunghe discussioni dei personaggi su questi argomenti, a volte sembra che Dick le abbia scritte più per chiarire le idee a sé stesso mentre sviluppava la trama, che per esigenze di trama.
Altre idee che sembravano promettere bene, vengono semplicemente abbandonate. Come le operazioni per espandere il cervello nella clinica del dottor Denkmal, di cui Leo Bulero è cliente fisso e che Richard Hnatt sogna da sempre. Elemento di una certa importanza nelle prime 70 pagine del libro – tanto che gli è dedicato quasi un intero capitolo – viene poi completamente abbandonato in seguito a un plot twist. Lo stesso accade alla storyline di Hnatt, che dopo la prima metà del libro letteralmente sparisce dalla storia (anche se verremo a conoscenza del destino del personaggio durante le storyline degli altri personaggi-pov)!

Questo, del resto, non è che il segno più vistoso di una certa confusione di Dick riguardo alla trama del suo stesso romanzo. Quello che parte come un romanzo corale con una moltitudine di pov, da metà romanzo in poi si semplifica a un’unica storyline principale, con le altre che fanno da supporto; Mayerson diventa protagonista unico, e gli altri co-protagonisti passano a essere personaggi secondari. Un simile cambio di registro è un po’ spaesante.
D’altronde, se dovessi pensare a come migliorare il romanzo, sarei in difficoltà. Mi si presentano infatti due alternative antitetiche. Da una parte, si potrebbe raccontare il romanzo dal solo punto di vista di Mayerson: in questo modo, sarebbe più immersivo, più intimo, più coinvolgente da un punto di vista emotivo. La seconda parte del romanzo è migliore della prima, proprio perché viviamo più da vicino l’angoscia, l’asfissia, il dramma privato del protagonista.
D’altro canto, però, io amo i romanzi corali, e mi dispiacerebbe dover rinunciare all’istrionico Bulero come co-protagonista; e del resto, molti passaggi chiave del romanzo sarebbero difficili da presentare limitandosi al pov di Mayerson. Nel caso mantenessi la struttura multi-pov, comunque, eliminerei la storyline di Hnatt (le poche scene con il suo pov che siano di interesse per la trama generale, infatti, possono essere mostrate attraverso il pov di Mayerson o di Bulero), in modo da semplificare la trama; inoltre, darei più spazio al pov dei coloni marziani nella prima parte. La vita nelle colonie su Marte, infatti, è uno dei temi centrali del romanzo (nonché una delle parti più interessanti), ma nella prima parte del libro ci si riferisce molto ad essa – nei dialoghi, nei pensieri – ma la si vede poco. Più capitoli dedicati ai coloni, inoltre, permetterebbero di approfondire argomenti interessanti come Perky Pat, il traffico e l’assunzione di Can-D, i metodi per colonizzare il pianeta; e renderebbero meno traumatica la transizione alla seconda parte del libro 1.

Chew-Z

Circa.

Questi difetti di struttura non minano, comunque, quello che è l’altro grande pregio del romanzo – ossia i personaggi e la loro psicologia. Questa è probabilmente la ragione per cui ancora oggi Dick rimane il mio scrittore preferito: i suoi personaggi – emotivi, indecisi, complicati, complessati – sono tra i migliori che si possano trovare nella narrativa di genere. All’estremo opposto dei burattini senz’anima di Clarke o di molti romanzi della LeGuin, sono loro a pilotare la trama, facendole a volte prendere direzioni inaspettate, ma sempre in accordo con la loro psicologia. E sono anche personaggi che evolvono: Mayerson soprattutto, ma in misura minore anche gli altri, alla fine del romanzo saranno diversi da quelli che erano all’inizio.
E bisogna fare i complimenti a Dick, per essere riuscito a farci simpatizzare con individui tanto sgradevoli. In Palmer Eldritch, infatti, nessuno ci fa bella figura. Da una parte, i personaggi newyorkesi – Mayerson, Bulero, Roni Fugate, Hnatt – sono degli arrivisti, egocentrici e meschini, che si lasciano spesso e volentieri andare a bassezze e temono di continuo (non a torto) di essere pugnalati alle spalle da colleghi e “amici”. Dall’altra, i personaggi marziani sono gente piegata, depressa, il cui quesito principale è di che droga drogarsi e come far passare il tempo. In mezzo, Palmer Eldritch, personaggio titanico e affascinante; nominato fin dalle prime pagine, la sua apparizione è continuamente ritardata, ma quando finalmente compare, be’, ci fa la sua porca figura!

La capacità di provare empatia verso i personaggi di un libro viene in gran parte dalla gestione del pov, e Dick ne fa un uso quasi perfetto: tutto è sempre filtrato dal personaggio punto di vista, dai suoi occhi e dai suoi pensieri. E la voce di Mayerson, cinica, amara e piuttosto passiva, è molto diversa da quella del baldanzoso Bulero – che grazie al suo cervello potenziato schizza continuamente da una catena di pensieri all’altra, elaborando piani e agendo, agendo, agendo. E quando nel romanzo distinguere realtà e illusione comincia a diventare complicato, il lettore si trova a provare la stessa confusione dei suoi personaggi, la stessa angoscia…
Dico “quasi” perfetto, comunque, perché a dire il vero uno scivolone lo fa. Mi riferisco al pov delle scene di Chicken Pox Prospects: invece di essere focalizzato su uno solo dei sei membri della colonia, il pov schizza da uno all’altro, come se costituissero una sorta di coscienza collettiva. Imputo questa gestione del pov a una distrazione di Dick, perché non dà nessun vantaggio, mentre al contrario crea una certa confusione; si fa sempre fatica a capire chi sta parlando e a distinguere un personaggio dall’altro. Aldilà dei salti di pov, poi, i sei coloni sono troppo poco differenziati – rimangono dei nomi volanti.

Philosoraptor si interroga sulla droga

Il philosoraptor si interroga sulle implicazioni sociali di questo romanzo.

The Three Stigmata of Palmer Eldritch è un romanzo estremamente suggestivo, e si legge che è un piacere. Un romanzo che mette insieme capitalismo selvaggio, alienazione, droghe, invasioni mentali, pazzia, religione, drammi esistenziali e speculazioni filosofiche.
Poteva essere meglio? Sì, se solo Dick si fosse preso uno o due anni per scriverlo, anziché qualche mese. Se avesse potuto organizzare meglio la trama e riflettere meglio sull’esatta portata di device chiave come il Chew-Z; se avesse potuto lavorare più a lungo sullo stile, per esempio sfoltendo il libro da tutti quegli avverbi. Pazienza.
E’ figo lo stesso.

Dove si trova?
Come ho già detto parlando di The Zap Gun, Philip K. Dick è in assoluto uno degli scrittori di genere più facili da trovare. In lingua originale, potete trovarlo su BookFinder, Library Genesis e sul canale #ebooks di IrcHighway. In italiano, potete affidarvi a Emule oppure comprare l’edizione Fanucci in libreria – Palmer Eldritch lo trovate di sicuro, continuano a ristamparlo.

Chi devo ringraziare?
Probabilmente l’elenco sarebbe lungo e complicato, ma chi mi ha convinto più di tutti credo sia stato Lawrence Sutin, autore di una curiosa (e ricca) biografia su Dick, Divine Invasions.
Sutin è pure fin troppo entusiasta di Palmer Eldritch, e gli dà la bellezza di 10/102. Esagera, ma posso capirlo.

Divine invasioni di Lawrence Sutin

Diffido dei blurb, ma in questo caso devo ammettere che ha ragione. Inquietante.

Qualche estratto
Per i due estratti di oggi, ho scelto la prima scena in cui i coloni di Marte entrano nel plastico di Perky Pat, e la prima, inquietante apparizione (piuttosto tardi nel romanzo) di Palmer Eldritch.

1.
He shut the door of the compartment, then swiftly got out his own Perky Pat layout, spread it on the floor, and put each object in place, working at eager speed. […] for him life on Mars had few blessings.
“I think,” Fran said, “you’re tempting me to do wrong.” As she seated herself she looked sad; her eyes, large and dark, fixed futilely on a spot at the center of the layout, near Perky Pat’s enormous wardrobe. Absently, Fran began to fool with a min sable coat, not speaking.
He handed her half of a strip of Can-D, then popped his own portion into his mouth and chewed greedily.
Still looking mournful, Fran also chewed.
He was Walt. He owned a Jaguar XXB sports ship with a fiatout velocity of fifteen thousand miles an hour. His shirts came from Italy and his shoes were made in England.
As he opened his eyes he looked for the little G.E. clock TV set by his bed; it would be on automatically, tuned to the morning show of the great newsclown Jim Briskin. In his flaming red wig Briskin was already forming on the screen. Walt sat up, touched a button which swung his bed, altered to support him in a sitting position, and lay back to watch for a moment the program in progress.
“I’m standing here at the corner of Van Ness and Market in downtown San Francisco,” Briskin said pleasantly, “and we’re just about to view the opening of the exciting new subsurface conapt building Sir Francis Drake, the first to be
entirely underground. With us, to dedicate the building, standing right by me is that enchanting female of ballad and–”
Walt shut off the TV, rose, and walked barefoot to the window; he drew the shades, saw out then onto the warm, sparkling early-morning San Francisco street, the hills and white houses. This was Saturday morning and he did not have to go to his job down in Palo Alto at Ampex Corporation; instead–and this rang nicely in his mind–he had a date with his girl, Pat Christensen, who had a modern little apt over on Potrero Hill.
It was always Saturday.
In the bathroom he splashed his face with water, then squirted on shave cream, and began to shave. And, while he shaved, staring into the mirror at his familiar features, he saw a note tacked up, in his own hand.

THIS IS AN ILLUSION. YOU ARE SAM REGAN, A COLONIST ON MARS. MAKE USE OF YOUR TIME OF TRANSLATION, BUDDY BOY. CALL UP PAT PRONTO!

And the note was signed Sam Regan.

Chiuse la porta dello scompartimento; quindi, tirò rapidamente fuori il suo progetto di Perky Pat, lo distese sul pavimento e mise ogni oggetto al suo posto, lavorando con impaziente rapidità. […] per lui la vita su Marte presentava pochi aspetti positivi.
— Penso che tu stia cercando di indurmi in tentazione — disse Fran. Si mise a sedere e sembrava triste; i suoi occhi, grandi e scuri, fissavano, senza guardare, un punto al centro del progetto, vicino all’enorme guardaroba di Perky Pat. Con fare assente, Fran iniziò a giocherellare con un cappotto nero miniaturizzato, senza parlare.
Le passò una mezza stecca di Can-D, poi si sparò in bocca la propria parte e masticò avidamente.
Conservando la sua aria luttuosa, anche Fran masticò.
Lui era Walt. Possedeva una navicella Jaguar XXB Sport, capace di una velocità massima di quindicimila miglia all’ora. Le sue camicie provenivano dall’Italia e le scarpe erano made in England. Aprì gli occhi e il piccolo televisore-orologio General Electric posto vicino al suo letto; si accese automaticamente, sintonizzato sullo show del mattino del grande infoclown Jim Briskin. Con la sua parrucca rosso fiammante Briskin stava già prendendo forma sullo schermo. Walt si mise a sedere, toccò un bottone che fece rialzare metà del suo letto, in modo da sostenergli la schiena, e si abbandonò all’indietro, guardando per un attimo il programma in onda.
— Sono qui all’angolo tra la Van Ness Avenue e Market Street, nel centro di San Francisco — disse Briskin, amabilmente — e stiamo per assistere all’apertura del nuovo sensazionale condominio subsuperficiale Sir Francis Drake, il primo costruito interamente sottoterra. Con noi, per inaugurare l’edificio, proprio qui al mio fianco, abbiamo un’incantevole artista e…
Walt spense la tv, si alzò e si diresse scalzo alla finestra; tirò le tende e restò a guardare le tiepide e scintillanti strade di San Francisco, di prima mattina, le colline e le case bianche. Era sabato e non doveva recarsi al lavoro, fino a Palo Alto, alla Ampex Corporation.
Invece — e ciò suonava meravigliosamente alle sue orecchie — aveva un appuntamento con la sua ragazza, Pat Christensen, che possedeva un piccolo appartamento moderno su a Potrero Hill.
Era sempre sabato.
In bagno, si gettò dell’acqua in faccia, premette sul tubetto di crema da barba e iniziò a radersi. E mentre si radeva, fissando nello specchio le proprie familiari fattezze, vide appiccicato un appunto di proprio pugno.

QUESTA È UN’ILLUSIONE. TU SEI SAM REGAN, COLONO SU MARTE. SFRUTTA A DOVERE IL TUO TEMPO DI TRASLAZIONE, AMICO. CHIAMA PAT IMMEDIATAMENTE!

E l’appunto era firmato Sam Regan.

Barbie vecchia

La verità che hanno sempre nascosto ai coloni marziani…

2.
From the ship stepped Palmer Eldritch.
No one could fail to identify him; since his crash on Pluto the homeopapes had printed one pic after another. Of course the pics were ten years out of date, but this was still the man. Gray and bony, well over six feet tall, with swinging arms and a peculiarly rapid gait. And his face. It had a ravaged quality, eaten away; as if, Barney conjectured, the fat-layer had been consumed, as if Elditch at some time or other had fed off himself, devoured perhaps with gusto the superfluous portions of his own body. He had enormous steel teeth, these having been installed prior to his trip to Prox by Czech dental surgeons; they were welded to his jaws, were permanent: he would die with them. And–his right arm was artificial. Twenty years ago in a hunting accident on Callisto he had lost the original; this one of course was superior in that it provided a specialized variety of interchangeable hands. At the moment Eldritch made use of the five-finger humanoid manual extremity; except for its metallic shine it might have been organic.
And he was blind. At least from the standpoint of the natural-born body. But replacements had been made– at the prices which Eldritch could and would pay; that had been done just prior to his Prox voyage by Brazilian oculists. They had done a superb job. The replacements, fitted into the bone sockets, had no pupils, nor did any ball move by muscular action. Instead a panoramic vision was supplied by a wide-angle lens, a permanent horizontal slot running from edge to edge. The accident to his original eyes had been no accident; it had occurred in Chicago, a deliberate acid-throwing attack by persons unknown, for equally unknown reasons . . . at least as far as the public was concerned. Eldritch probably knew. He had, however, said nothing, filed no complaint; instead he had gone straight to his team of Brazilian oculists. His horizontally slotted artificial eyes seemed to please him; almost at once he had appeared at the dedication ceremonies of the new St. George opera house in Utah, and had mixed with his near-peers without embarrassment. Even now, a decade later, the operation was rare and it was the first time Barney had ever seen the Jensen wide-angle, luxvid eyes; this, and the artificial arm with its enormously variable manual repertory, impressed him more than he would have expected . . . or was there something else about Eldritch?
“Mr. Mayerson,” Palmer Eldritch said, and smiled; the steel teeth glinted in the weak, cold Martian sunlight. He extended his hand and automatically Barney did the same.

Dall’astronave uscì Palmer Eldritch.
Era lui, non ci si poteva sbagliare: da quando era precipitato su Plutone, gli omeogiornali avevano pubblicato un gran numero di foto. Ovviamente, le foto erano vecchie di dieci anni, ma il tipo era rimasto lo stesso. Grigio e ossuto, ben oltre il metro e ottanta di altezza, con braccia ciondolanti e un’andatura particolarmente rapida. E la sua faccia aveva un che di devastato, di smangiato, come se, ipotizzò Barney, lo strato di grasso si fosse completamente consumato, come se Eldritch, a un certo punto, si fosse cibato di se stesso, divorando magari di gusto le parti superflue del suo stesso corpo. Aveva enormi denti d’acciaio, che gli erano stati installati prima della partenza per Proxima da un dentista chirurgo ceco: erano saldati alla mandibola, fissi. Gli sarebbero durati tutta la vita. E poi… il suo braccio destro era artificiale. Aveva perso quello vero vent’anni prima, in un incidente di caccia su Callisto; quello nuovo, ovviamente, era migliore, nel senso che era dotato di una sofisticata serie di mani intercambiabili. In quel momento, Eldritch stava utilizzando l’estremità manuale simil-umana a cinque dita; a parte il luccichio metallico, avrebbe potuto anche essere organica.
Inoltre, era cieco. Almeno dal punto di vista degli organismi naturali. Ma aveva fatto dei trapianti, al prezzo che poté e volle pagare: era stato operato da oculisti brasiliani, appena prima di partire per Proxima. Avevano fatto uno splendido lavoro. I ricambi, collocati all’interno delle cavità oculari, erano privi di pupille, e i due bulbi non erano mossi da alcun muscolo. Erano dotati, invece, di visione panoramica, prodotta da lenti grandangolari che, come immobili fessure orizzontali, li bisecavano. L’incidente agli occhi non era stato un incidente: era successo a Chicago, un deliberato assalto al vetriolo compiuto da ignoti, per ragioni altrettanto ignote… almeno all’opinione pubblica. Eldritch, probabilmente, lo sapeva. Però, non aveva detto nulla, non aveva sporto denuncia, ed era andato subito dal suo team di oculisti brasiliani. I suoi occhi artificiali a fessura orizzontale parvero piacergli: quasi subito si era presentato alla cerimonia di inaugurazione del Teatro dell’Opera di St. George, Utah, e si era mescolato ai suoi quasi-pari senza alcun imbarazzo. Persino ora, dopo dieci anni, quell’operazione veniva tentata raramente, e Barney vedeva per la prima volta gli occhi luxvid grandangolari Jensen.
Questi e il braccio artificiale, con il suo vasto repertorio di opzioni manuali, lo impressionarono più di quanto si aspettasse… o, forse, c’era qualcos’altro in Eldritch?
— Signor Mayerson — disse Palmer Eldritch, e sorrise; i denti d’acciaio scintillarono nella debole e fredda luce di Marte. Tese la mano e Barney, meccanicamente, fece lo stesso.

Tabella riassuntiva

Un viaggio allucinante tra realtà e finzione, tra reale e mentale, tra umano e divino. Idee un po’ confuse sui device principali del romanzo.
Ritmo serrato e un’idea dopo l’altra. Troppe storyline e sub-plot che si perdono per strada.
Atmosfera cupa, personaggi cinici e complessi. Cattiva gestione del pov a Chicken Pox Prospects.
Palmer Eldritch è un gran fiQo.

(1) Inoltre, come incipit del romanzo sceglierei l’ambientazione marziana (che invece appare solo nel terzo capitolo), così da “acchiappare” subito il lettore. L’incipit attuale – Mayerson a New York, che ha appena finito di farsi la sua assistente – non è un granché.Torna su
(2) Ecco un estratto dal libro di Sutin:

Ma se volete leggere un libro mozzafiato, che si divora in un lampo, e parla di una Terra segretamente invasa da forze aliene che vanno ben al di là della nostra comprensione, mentre Barney Mayerson passa attraverso innumerevoli realtà alternative cercando, in una di queste, solo in una, di riconquistare sua moglie, e i disperati coloni di Marte bramano lo splendido e luccicante mondo di Perky Pat, e Leo Bulero si rivolge al Dottor Sorriso, che desta non poca diffidenza, per aiutarlo a sfuggire al topo gigantesco, e Palmer Eldritch si rivela essere tutti, almeno per un o’, e riuscite a far quadrare l’insieme – con un po’ più di attenzione – in una commovente parabola sulla natura della realtà e sulla lotta per le nostre anime eterne, allora dovreste leggere Palmer Eldritch.

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