Autore: Alessandro ‘mcnab75’ Girola
Genere: Horror / Fantasy
Tipo: Novella
Anno: 2011
Pagine: 110
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C’è qualcosa di strano nella galleria posta sulla linea ferroviaria che collega Vaiano, nel pratese, al paesino abbandonato di Monteflauto. Chi vi entra non sempre ne esce. Ultima vittima è la troupe di TG Enigma, scomparsa durante le riprese di un servizio sui misteri di Monteflauto e della galleria. Prima di scomparire, Martina, uno dei membri della troupe, ha inviato delle foto inquietanti a Enrico, il suo ragazzo: immagini di orribili mostri che ricordano i dipinti di Hieronymus Bosch, disegnate su un diario consunto trovato nel paese fantasma.
Ora Enrico, piccolo regista underground che sogna ancora di decollare, vuole ritrovare la sua ragazza, ma soprattutto vuole scoprire il mistero che si cela dietro il paese e la galleria di Monteflauto. Polizia e governo, infatti, sembrano ansiosi di insabbiare tutto. Lo accompagnano Fabrizio, Fernando e Astrid, amici e colleghi di lavoro; li guida Antonello Lucchini, vicequestore in pensione che sembra avere un conto in sospeso con i misteri di Monteflauto. Ad attenderli, il silenzio omertoso della campagna, e quella diabolica dimensione che i locali chiamano “Flegetonte”…
Abbiamo già incontrato Alessandro Girola come curatore dell’antologia Ucronie Impure. La nave dei folli è la sua ultima fatica.
La novella si presenta come un classico horror-fantasy investigativo: la vita quotidiana di persone normali è scossa da un evento inspiegabile, che cela misteri ancora più grandi. Mentre gli altri due romanzi autopubblicati di cui mi sono occupato, Marstenheim e L’ombra dell’incantatrice, erano essenzialmente delle trame politiche, basate sull’intreccio e sui personaggi, il libro di Girola è un libro che punta direttamente al sense of wonder, al viaggio nell’incredibile.
Il successo di La nave dei folli, quindi, dipenderà dalla sua capacità di spaventare e meravigliare il lettore. Ci sarà riuscito? Prima di andare a scoprirlo, riassumiamo velocemente gli ingredienti necessari a fare di un’idea, una scoperta, un’ambientazione, una fonte di sense of wonder, prendendo spunto dall’articolo di Gamberetta “Il senso del meraviglioso“:
– Surprise, ovvero la capacità di sorprendere il lettore.
– Sublime, ovvero la capacità di trasmettere al lettore un’immagine sensoriale potente.
– Conceptual Brakethrough, ovvero la capacità di mostrare le cose sotto una nuova prospettiva.
– Originalità, ovvero non deve trattarsi di qualcosa di già visto n volte.
In tutto questo, ha molta importanza anche la tecnica stilistica. Uno stile immersivo, ben mostrato, faciliterà il raggiungimento del secondo punto – ossia un’efficace visualizzazione sensoriale degli elementi “meravigliosi” – ma anche del primo, perché la sorpresa, lo shock, nascono tanto più facilmente quanto più ci si sente immersi nella vicenda.

La “stultifera navis”: un sistema all’avanguardia per prenderci cura dei nostri malati.
Uno sguardo approfondito
Partiamo quindi dallo stile. Ahimé, la scrittura di Girola è un disastro; un gradino sopra la prosa del Dr.Jack, ma comunque ampiamente nel campo del brutto. A parte la gestione del pov – sempre su Enrico, in terza persona ravvicinata – troviamo il campionario completo degli errori.
Poco mostrato e molto raccontato? Presente, con contorno di descrizioni di descrizioni vaghe e aggettivazione a pioggia. Per esempio, la tenuta dei Marzio di Monteflauto è descritta come “vecchia e bisognosa di ristrutturazioni, ma in possesso di un certo fascino, eco di un passato glorioso”. Potete toccarla, la gloriosità del passato che riecheggia nella tenuta? A volte la scrittura si fa particolarmente goffa; sempre parlando della tenuta, “sul lato opposto risposto all’ingresso ci sono delle ampie stalle da cui provengono muggiti insistenti e un odore bovino molto intenso”. Ci voleva tanto a dire puzza di merda di mucca? O anche solo un più prosaico puzza di letame?
Peraltro, quando vuole, Girola sa costruire anche delle belle scene. Sempre parlando della tenuta dei Marzio, dopo un paio di pagine di aggettivi a raffica, ecco che si entra nello studio del padrone: “Una robusta scrivania diplomatica in noce massello domina la stanza. Su di essa sono disposti rispettivamente un notebook Toshiba, un fax e il monitor di sorveglianza collegato alle telecamere a circuito chiuso.” Il contrasto tra la rusticità della magione e la modernità dell’attrezzatura dello studio è qualcosa che colpisce. Ma soprattutto, Girola non ci dice ‘la studio è moderno’: ci fa vedere il notebook, il fax, il monitor di sorveglianza, eccetera.
Abbiamo anche infodump a manetta, spesso resi ancora più irritanti perché del tutto inutili. Più o meno a metà del libro, così Fabrizio commenta le disavventure del gruppo: “Siamo finiti in uno zoo dimensionale popolato da aborti schifosi. Mi ricorda Serious Sam, quel videogioco dove il protagonista viaggia attraverso degli stargate per ammazzare una marea di mostri assurdi e ridicoli”. Ve lo immaginate, un vostro amico che fa una citazione e poi ve la spiega? Ma soprattutto, che valore ha questa precisazione inutile nell’economia del racconto? Non era meglio tagliarla? E il discorso si potrebbe estendere a molte delle citazioni sparse nel libro, raramente di qualche utilità, e talvolta talmente invadenti da occupare anche mezza pagina di discussioni. Per quanto riguarda invece gli infodump utili, ricordo che quasi sempre lo scrittore ha la possibilità di mascherarli o filtrarli nei dialoghi e nell’azione – lo spiattellamento nudo e crudo di informazioni è solo la soluzione più pigra.
A volte, poi, viene il dubbio che Girola non conosca bene la nostra lingua; o che non rilegga bene quello che scrive. Per esempio quando descrive le case di Monteflauto. Di esse ci dice che sono piene di polvere e ragnatele. Dopodiché, se ne esce con: “Il solaio non è altro che l’ennesimo locale vuoto e polveroso. L’unica variante è rappresentata dalle solite ragnatele, grosse e spesse, che pendono un po’ ovunque. E’ una costante degli edifici di Monteflauto.” L’unica variazione tra il solaio e gli altri locali sono le solite ragnatele, che peraltro sono una costante degli edifici di Monteflauto? Mmmh.

Esempio di ragnatela diversa dalle solite ragnatele.
Fino ad arrivare a capolavori di prosa come questa presentazione della squadra di Enrico:
Fabbri, fedelissimo e irrinunciabile, per una miriade di motivi.
Fernando Marasso, pacato e sempre ottimista, fotografo di scena e all’occorrenza assistente operatore.
Astrid Volpi, operatrice di ripresa, nonché grande amica di Martina.
La bruttezza di questo passaggio è quasi comica nel modo in cui riecheggia un brano di Buio di Elena Melodia, giustamente sbeffeggiato sulla Barca dei Gamberi:
Seline, sempre allegra e curiosa, sarebbe capace di vivere una settimana solo facendo shopping. Agatha, taciturna e introversa, è indipendente e determinata. E Naomi, vivace ma equilibrata, è una di quelle che dicono sempre quello che pensano.
Anzi, nel brano della Melodia c’è persino più movimento che in quello di Girola!
Lezione di scrittura: se ai fini della caratterizzazione del personaggio è importante sapere che Fernando è fotografo di scena, mostralo mentre fa il fotografo di scena! Non fare l’elenco della spesa!
E non è solo un problema di presentazione. I personaggi di Girola sono piatti, insulsi, convenzionali. Per gran parte del libro – probabilmente anche a cause del fatto che hanno la stessa iniziale – ho continuato tranquillamente a confondere Fabrizio e Fernando. Enrico è lacerato da un conflitto morale potenzialmente interessante circa il suo interesse per il mistero di Monteflauto – da una parte il desiderio di ritrovare Martina, dall’altra quello di girare una figata di documentario e far così decollare la sua carriera. Ma Girola lo annacqua nel raccontato ed elimina sistematicamente ogni possibilità reale di conflitto (le litigate con Astrid sono ininfluenti a livello di trama).
I dialoghi sono triti e convenzionali, da film. I personaggi si incazzano e si calmano nel giro di poche battute, sempre pronti a scattare come una molla, nel modo subitaneo e improbabile delle cattive fiction. Gli alterchi di Fabrizio contro Lucchini non sono un brillante tentativo di dare profondità a un personaggio, e l’unico risultato che ottengono è di trasformare il Fabbri nella macchietta del sessantottino che odia i poliziotti. Allo stesso modo, gli scatti isterici di Astrid con Enrico sono quanto di più lontano dal comportamento di una persona vera – anche di una persona isterica.
L’unico personaggio che brilli un poco è proprio quello del vecchio Lucchini. E come mai? Guarda un po’, perché è quello più mostrato. Lucchini si muove, brandisce il fucile e lo sa usare, Lucchini è quello che discute con gli estranei e organizza il gruppo, Lucchini aggrotta le sopracciglia alla Lee Van Cleef (anche se Girola insiste troppo spesso sul paragone). Non è solo l’ombra dello scrittore o una pedina funzionale. E’ un buon personaggio. Purtroppo, da solo non può reggere tutto lo show.

Purtroppo non è previsto un mexican standoff tra Lucchini e i mostri del Flegetonte.
Ma scrittori tecnicamente incapaci come Clarke o mediocri come Asimov ci mostrano che è possibile meravigliare nonostante uno stile pessimo. Come se la cava Girola su questo punto?
I mostri, questo va detto, sono ben mostrati. Complice il fatto di non esserseli inventati da zero ma di averli presi dai bellissimi dipinti di Hieronymus Bosch, le creature del Flegetonte non sono generici orrori blasfemi o concentrati di malvagia malvagità – tradizione tutta italiana di descrivere i mostri – ma creature con un aspetto e un comportamento precisi. Abbiamo, per esempio, una scolopendra gigante con escrescenze a forma di volti umani sofferenti che spuntano dal dorso; ma anche enormi galline volanti con volti umani dalla bocca larga al posto del sedere e che volano al contrario; o grosse palle lardose e monocole, che si muovono su piedi palmati e sono punteggiati di pseudopodi che si muovono “come stelle filanti esposte al vento”.
Un po’ poco per raggiungere il “sublime” della definizione, ma almeno siamo sulla strada giusta.
In compenso, il Flegetonte è un mondo sbiadito.
Da una parte, manca quella complessità ecologica propria delle ambientazioni del buon Fantasy e della buona Science Fiction – quelle ambientazioni in cui ogni pezzo s’incastra come il tassello di un puzzle e dà l’impressione di una cosa viva, dall’astronave di Incontro con Rama allo “spazio conosciuto” di Ringworld al mondo atlantideo di Stations of the Tide.
Dall’altra, il mondo di Girola non può nemmeno competere con la fantasia sfrenata della Bizarro Fiction o del New Weird. I mostri sono carini, ma siamo ad anni luce di distanza da cose come le vagine che diventano portali dimensionali, le feto-mosche, le fabbriche di draghi bio-meccanici. Alla fin fine, ad eccezione degli uomini-gufo – che sono un minimo più complessi – le creature del Flegetonte sanno fare solo due cose: attaccare o non attaccare.
Il Flegetonte, insomma, non è che un’accozzaglia di ambienti e creature ostili sul modello “foresta di Lost“; i vari mostri praticamente non interagiscono tra loro 1. Salta quindi il terzo punto, il “conceptual brakethrough”; a meno che non pensiate che l’esistenza di dimensioni parallele sia ancora oggi una rottura di paradigma…
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Una scolopendra. Non gigante.
Anche sul versante della tensione il romanzo latita. A parte un paio di scene – per esempio quella della galleria – non si prova mai paura o anche solo inquietudine per i nostri eroi. Sono quasi tutti troppo poco caratterizzati perché il lettore si leghi a loro, e c’è troppa poca immersività perché ci si immedesimi nel protagonista. Quando muore un personaggio, poi, succede tutto così lentamente, così per gradi, che non proviamo alcuna sensazione di shock. Insomma: anche qui, niente. Salta il primo punto – la “surprise”.
Inoltre, la storia segue un canovaccio estremamente classico, con il progressivo avvicinamento al luogo del mistero, il passaggio dall’altra parte, l’esplorazione e il ritorno. Le sorprese in mezzo sono ben poche, e non si discostano granché dal copione di infiniti romanzi e racconti del mistero e dell’orrore. Girola cerca di ampliare la sua ambientazione inserendo dei riferimenti qua e là: la selva oscura di Dante, Hieronymus Bosch, l’usanza della ‘stultifera navis’. Ma tutte queste belle idee sul piano della trama non aggiungono niente. Salta così il quarto punto – l’originalità.
Insomma, questo romanzo lo suscita o no, un po’ di sense of wonder? Meh. In proporzione inversa alla vostra cultura letteraria: ci sono centinaia di romanzi e racconti che, partendo da un’impostazione simile, raggiungono risultati molto più brillanti. La nave dei folli sembra un compito a casa – eseguito con onestà, ma senza particolare impegno né brillantezza. Pur essendo scritto meglio de L’ombra dell’incantatrice, paradossalmente è così ovvio e tradizionale da avermi colpito di meno. Il romanzo del Dr. Jack era scritto male ma aveva un po’ di potenziale.
Alla fine è proprio questo, il problema del romanzo. Se qualcuno mi chiedesse: “perché dovrei leggere La nave dei folli?”, non saprei cosa rispondergli. Non mi verrebbe in mente niente. Perché è gratis, forse? Ma anche i racconti di Lovecraft ormai sono gratis – essendo lui morto da più di 70 anni. Tanto vale che vi leggiate quelli, perché non c’è nulla di nuovo in Girola, rispetto ai racconti fantasy-horror che si scrivevano negli anni ’20-’30; anzi, Lovecraft è molto più appassionante. Allora, bisognerebbe leggerlo perché Girola è un italiano, un autopubblicato, uno che conoscete? Sono tutte ragioni extratestuali.
La nave dei folli è un libro modesto, senza ambizioni. Dimenticabile.
Bonus Track: Il treno di Moebius
Autore: Alessandro ‘mcnab75’ Girola
Genere: Horror / Fantasy
Tipo: Racconto
Anno: 2011
Pagine: 40
La nave dei folli nasce come espansione dell’ambientazione di questo racconto di quaranta pagine. Nella redazione del TG Enigma giunge un filmato amatoriale degli anni ’70, in cui si assiste alla scomparsa di un treno dentro la galleria di Monteflauto: è l’incidente che porterà alla chiusura della tratta e all’abbandono del paese. Il racconto prosegue con il viaggio della troupe a Monteflauto e le conseguenti disavventure.
Non ha senso leggere questo racconto se non prima de La nave dei folli, dato che ne è l’immediato prequel. Peraltro, a leggere entrambi, la sensazione di dé jà vu è molto forte: i personaggi dei due libri fanno quasi le stesse cose, visitano gli stessi posti e hanno anche esperienze simili. Lo stile è altrettanto brutto, anzi in certi punti è pure peggio. Per esempio, Girola ha l’ossessione di ricordarci che Richy è un’attore di soap opera fallito almeno una volta ogni tre che lo nomina.
Nel complesso fa un po’ più paura de La nave dei folli, forse perché i ragazzi di TG Enigma sono disarmati e meno preparati. L’ultima parte del racconto e il finale sono amari, e ho gradito il tentativo di scostarsi dal copione standard; purtroppo questo non basta a risollevare un racconto globalmente anonimo.
Solo per fan estremi di Girola.
Dove si trovano?
Entrambi gli e-book possono essere scaricati gratuitamente sul blog di Girola, Plutonia Experiment. Se le storie vi sono piaciute o se semplicemente vi sentite in colpa, donategli un Euro o più via Paypal.

Dipingere sotto l’effetto di stupefacenti non è un invenzione del Novecento.
Qualche estratto
Il primo estratto è una panoramica di Monteflauto, nonché un ottimo esempio di come Girola riesca a sposare infodump, piogge di aggettivi e raccontato; il secondo è un raro caso di dialogo abbastanza ben riuscito, tra Enrico e Lucchini (nonostante il solito abuso di aggettivi tra una battuta e l’altra).
1.
Quando arrivano all’ingresso vero e proprio del paese, la ragazza dà lo stop e tutti si fermano per guardarsi intorno. «Voglio fare una panoramica da qui», afferma Astrid.
Le case di Monteflauto sono un mix di antico e moderno, dove per moderno s’intendono alcuni edifici costruiti probabilmente negli anni del boom economico. Essi stridono con la maggioranza delle abitazioni, che sono rustiche e semplici.
«Era un borgo di trecento abitanti circa.» spiega Lucchini, guardandosi intorno. «Coi pendolari che venivano da fuori per lavorare alla miniera di stagno, arrivava a quattrocento, anche se molti erano lavoratori stagionali.»
Enrico cerca di immaginarsi Martina a passeggio tra quei ruderi cadenti. Molte case sono conciate male, forse a causa del maltempo e delle erbacce infestanti, che in alcuni casi sembrano essere state in grado di sventrare intere pareti. Non è troppo sorpreso nello scoprirsi in diffoltà nel concentrarsi sulle sorti della sua ragazza. Forse è impazzito, ma trova quel posto tanto inquietante quanto irresistibile. È un po’ come quando da adolescente non puoi fare a meno di guardare un film horror anche se sei a casa da solo e sai che avrai gli incubi per tutta la notte.
2.
Enrico guarda il vecchio negli occhi. «Possiamo parlare un momento in privato?»
«Certo.»
«Un momento!» interviene Astrid. «Se dobbiamo decidere che cosa fare, credo che dovremmo votare per alzata di mano.»
Il regista si sforza di sorriderle. «Mi sembra giusto. Allora lo dirò qui davanti a tutti: Antonello, tu soffri di dipendenza da azione, vero? Non riesci a stare fermo e a goderti la vita da pensionato. Non desideravi altro che trovare qualche disperato disposto ad accompagnarti per tornare a indagare su Monteflauto. Ora che sei qui non ti basta ancora. È come una droga. Anzi, forse mi sbaglio. Dovrei parlare di dipendenza da indagine. Vuoi scoprire, scavare a fondo, avere tutte le risposte…» Enrico si accorge solo in quel momento che sta tremando. È colpa della tensione accumulata, ma anche dello shock di quanto è accaduto quando hanno attraversato il tunnel. Per un attimo, quel preciso attimo, vorrebbe tornare a casa, al sicuro, dimenticare tutto.
Lucchini lo guarda a occhi socchiusi, furente. Impugna ancora il Benelli. Potrebbe ammazzarlo su due piedi e nessuno farebbe in tempo a impedirlo. Invece replica con glaciale pacatezza. «Può darsi che tu abbia ragione. Io sono quello che sono e non posso diventare altro. Di certo non voglio trasformarmi in un pensionato bavoso con la prostata grossa come un melone e la dentiera da mettere in un bicchiere ogni fottuta sera. Scoprire cosa c’era alla fine del tunnel è un pensiero che ha tormentato fin dal giorno in cui mia moglie è morta. Prima, Monteflauto coi suoi misteri era un pensiero remoto del mio passato. Poi è riemerso tutto. L’ultima grande indagine. Un trucchetto per non impazzire, se preferisci. Ora il tunnel l’ho attraversato e sai una cosa? Non mi basta.»
Tabella riassuntiva
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In conclusione: MEH, TENDENTE AL NO
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(1) Si potrebbe obiettare che Girola ha poco spazio per mostrare adeguatamente l’ecologia del suo mondo. Tuttavia a Swanwick, in Bones of the Earth, bastano poche pagine ambientate nel tardo Cretaceo per mostrarci l’interazione esistente tra diverse specie di dinosauri. Molti scrittori nostrani (specie se imbottiti di King) non riescono a immaginare quante informazioni si possano mostrare in poche pagine!Torna su