Autore: Ursula K. LeGuin
Titolo italiano: La falce dei cieli
Genere: Science Fiction / Social SF
Tipo: Romanzo
Anno: 1971
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 190 ca.
–
Difficoltà in inglese: **
To let understanding stop at what cannot be understood is a high attainment. Those who cannot do it will be destroyed on the lathe of heaven.
(Chuang Tzu — Book XXIII, paragraph 7) 1
In un mondo sovrappopolato, inquinato e sempre più povero di risorse, George Orr ha un dono unico al mondo. In condizioni particolari, quello che sogna diventa realtà. La realtà viene retroattivamente modificata secondo ciò che ha sognato, e nessuno a parte lui sembra ricordare il mondo precedente. Ma Orr è terrorizzato dal suo dono; non riesce a controllarlo, e non vuole cambiare la realtà. Per questo prende degli psicofarmaci per non dormire. Ma il governo lo becca a comprare più farmaci della quota consentita, e per “punizione” è costretto a sottoporsi a un Trattamento Terapeutico Volontario – vale a dire che deve farsi visitare da uno psichiatra.
E’ così che Orr incontra l’ambizioso dottor Haber. Haber, specialista di onirologia, ha inventato l’Augmentor, una macchina capace di ipnotizzare il paziente a un livello mai visto prima, registrando i suoi impulsi psichici e restituendoglieli. Attraverso l’uso della macchina, Haber si renderà conto, a poco a poco, dei poteri di Orr. Orr vorrebbe che lui lo guarisse e lo facesse diventare una persona normale. Ma con i suoi poteri, si potrebbe cambiare il mondo. Si potrebbe migliorarlo. Risolvere la sovrappopolazione, la povertà, le guerre… E Haber potrebbe essere il demiurgo del nuovo mondo.
The Lathe of Heaven è un caso più unico che raro nella produzione della LeGuin. I suoi lavori in genere hanno più a che fare con il fantasy o con l’etnografia immaginaria, che non con la fantascienza propriamente detta. The Lathe of Heaven invece, con il suo parlare di sogni che modificano la realtà, di mondi che si sovrappongono, e di individui borderline vicini all’esaurimento nervoso e infelici della propria vita, sembra uscito dalla penna di un Philip K. Dick o di un Michael Swanwick.
Mi sono già occupato di un libro della LeGuin in questa presentazione della raccolta Changing Planes; questa è la prima volta che parlo di un suo romanzo.
Uno sguardo approfondito
The Lathe of Heaven si distacca molto dagli altri romanzi della LeGuin anche per il modo in cui è strutturato. In genere, le sue opere adottano o un pov in prima persona dallo stile diaristico/cronachistico, o un bel pov onnisciente che segue un piccolo gruppo di personaggi sempre mantenendo le distanza. Corollario di questa scelta, una prosa molto raccontata e dai ritmi geologici, e personaggi dalla complessità psicologica paragonabile a quella di criceti morti.
Al contrario, in The Lathe of Heaven la telecamera è sempre ben salda nella testa di uno dei personaggi pov. Il risultato è una prosa più coinvolgente sul piano emotivo – perché il lettore si sente più vicino al personaggio – e più mostrata. Il lettore può percepire con Orr il suo disagio psichico, la fatica di non dormire, il freddo delle superfici di metallo e la costrizione fisica dell’essere attaccati all’Augmentor. Inoltre, ogni capitolo ha il suo pov – non ci sono mai salti inconsulti. Certo, la LeGuin non padroneggia sempre benissimo il mezzo – e alcune scene, come l’incipit mezzo-onirico-e-mezzo-no, sono confuse e difficili da visualizzare. Ma il risultato finale è molto buono.
I due personaggi-pov principali sono Orr e il dottor Haber. Scelta molto felice, perché uno fa da contrappunto all’altro: da una parte il paziente, individuo fragile ma dal forte senso morale, che vorrebbe solo trovare qualcuno di cui fidarsi perché lo aiutasse a guarire dal suo “dono”; dall’altra il medico, un uomo cinico e autoritario, abituato a comandare gli altri, che vorrebbe cambiare il mondo ma manca della minima capacità empatica nei confronti dei suoi simili.
Alcune sedute sono raccontate dal punto di vista di Orr, altre dal punto di vista di Haber. Questa giustapposizione permette di vedere il rapporto medico-paziente sotto due luci diverse, e di apprezzare le diversità caratteriali dei due personaggi. Le parti col pov di Haber infatti sono scritte in modo diverso rispetto alle parti col pov di Orr. Inoltre, usando due pov la LeGuin può dirci cose su Haber che non avrebbe potuto fare limitandosi al pov del protagonista. Haber infatti è un uomo freddo e controllato, che combatte lunghe diatribe interiori ma non lascia trasparire nulla all’esterno: mostrarcelo dall’interno è l’unico modo per non ridurlo allo stereotipo dello scienziato spietato.

Il modello ispiratore del Dottor Haber.
Meno felice la scelta di introdurre un terzo pov, nella persona dell’avvocatessa Heather LeLache. Intendiamoci, Heather è un’ottimo personaggio, caratterizzato (e mostrato) benissimo: una nera brusca e aggressiva, la cui presenza è sempre preannunciata dal clangore della quantità di monili e accessori che si porta dietro. Anche lei, con la sua violenza esteriore, fa da ottimo contrappunto della personalità di Orr. Nel corso della storia assumerà un ruolo centrale, e anche la sua evoluzione (o dovrei dire le sue evoluzioni? ^-^) è ben resa.
Ciò che lamento è che le sia stato assegnato un terzo pov. Tutti i capitoli filtrati da lei (che comunque non sono molti) potevano essere ugualmente raccontati col pov di Orr; inoltre, a differenza di Haber, Heather è un tipo di personaggio che si può capire e apprezzare anche senza entrargli nella testa. E io sono dell’idea che quando si può risparmiare un pov, è meglio farlo. Oltretutto, nei primi capitoli il lettore si appassiona per gradi alle psicologie di Orr e Haber – dover entrare nella testa di un terzo personaggio, invece di limitarsi ai due protagonisti, è traumatico all’inizio, e fastidioso poi.
Inoltre, per quanto Heather possa essere un personaggio importante, il suo rimane un ruolo subordinato. I protagonisti sono solo loro due, il medico e il paziente; e l’intero romanzo può essere visto come una grande partita a scacchi tra l’uno e l’altro.
Da una parte Haber, che gioca contemporaneamente su due tavoli: convincere Orr che non ha nessun potere, che la sua è solo un’illusione paranoica e che solo la terapia potrà aiutarlo; e assicurargli che, anche se i suoi poteri fossero reali, sarebbe uno spreco non utilizzarli, e Haber potrebbe metterli a frutto per il bene dell’intera umanità. Dall’altra parte, Orr tenta di trovare le forze per dire “no” allo psichiatra, per controbattere alle sue argomentazioni e farlo cadere in contraddizione; mentre, al di fuori della terapia, cerca di trovare strumenti e alleati per combattere l’abuso di potere di Haber.

Orr non comincia molto bene.
The Lathe of Heaven è uno di quei romanzi che si fa fatica a mettere giù. Il ritmo, senza essere indiavolato, è molto rapido. Succedono molte cose, ma soprattutto al lettore sono sempre dati nuovi elementi, nuovi pezzetti di trama con cui gingillarsi. Le LeGuin riesce infatti ad inserire, mentre sviluppa la trama principale, una serie di piccole sotto-trame o di avvenimenti minori (come la preoccupazione per la guerra in Medio Oriente, il vulcano inattivo del Monte Hood, o la storia dei genitori di Heather) che apparentemente aggiungono solo “colore” all’ambientazione, ma andando avanti si rivelano decisivi per la storia principale. Una composizione a incastro davvero notevole per una che ha scritto aborti come Rocannon’s World o roba al limite del leggibile come The Left Hand of Darkness!
E poi, naturalmente, c’è l’amo dei “mondi alternativi”. Più di ogni altra cosa, a spingere il lettore a continuare a leggere, c’è la curiosità di scoprire come sarà la prossima sovrascrittura di realtà, come si realizzerà il prossimo sogno. Ogni trasformazione è su scala più ampia di quello precedente, in un’escalation sempre più esagerata. Non voglio svelare di più per non rovinarvi la sorpresa – dico solo che una delle trasformazioni coinvolgerà buffi alieni tartarugoidi. Inoltre queste trasformazioni vanno a stimolare una certa vena sadica che c’è in tutti noi; i sogni vividi di Orr sembrano infatti seguire il principio del “desiderio che si realizza, ma sempre nel modo più cinico e letterale possibile”.
Non che la storia sia priva di pecche. Anzi. The Lathe of Heaven soffre della sindrome “Non so dove andare a parare”, e infatti il finale è molto debole e rabberciato. Non c’è una vera risoluzione dialettica tra Orr e Haber, chi abbia ragione tra i due viene deciso in modo un po’ arbitrario.
Se questo impedisce al romanzo di diventare un vero capolavoro, non toglie che sia comunque un ottimo romanzo, piacevole e intelligente. Non mancano gli spunti di discussione: il problema della sovrappopolazione e di come risolverlo, la filosofia utilitarista di cui Haber si fa portavoce (“la maggior felicità possibile al maggior numero di persone possibile”), la legittimità di modificare a piacere la realtà per il bene degli altri senza prima aver interpellato “gli altri”, e così via 2.
Per farla breve, il miglior romanzo della LeGuin e un bel romanzo in generale – scritto bene oltre che bello nella sostanza. Probabilmente piacerà più ai fan di Dick, Miller e gli altri Grandi della SF Sociale che non agli aficionados della cara Ursula, ma pazienza.

Il Monte Hood sullo sfondo della città di Portland, Oregon. Inquietante.
Due parole finali sulla LeGuin
Chiudo con una nota dissonante.
Questa è con ogni probabilità l’ultima volta che mi occuperò della LeGuin sul blog. Ho ancora intenzione di leggere Four Ways to Forgiveness e The Telling – i due libri che chiudono il Ciclo Hainita – ma non mi aspetto troppo. La verità è che, a parte pochi libri illuminati, come quello di oggi, la LeGuin è una scrittrice mediocre, nella prosa ma anche nella sostanza; di certo, è molto lontana dall’essere quella Maestra del fantasy e della fantascienza che una combo di ignoranza e scarsità di alternative ha portato a considerarla in Italia 3.
Ci sono decine di scrittori migliori di lei, che hanno scritto libri più belli dei suoi su argomenti simili ai suoi. Mi spiace ma è così.
Dove si trova?
Ultimamente i siti online tipo library.nu vanno e vengono (tempi duri), per cui eviterò di distribuire link che tra una settimana saranno inutilizzabili. Comunque mIRC gode sempre di ottima salute.
In italiano, La falce nei cieli si trova senza sforzo su Emule. E’ uno di quei libri che forse si trova ancora anche in libreria, nell’edizione della Nord.
Qualche estratto
Ho scelto due estratti piuttosto lunghi, ma densi. Sono entrambi tratti dal secondo capitolo, durante la prima delle sedute di Orr. Il punto di vista è di Haber: nel primo estratto abbiamo un assaggio della sua psiche mentre ascolta quelli che gli sembrano i vaneggiamenti di uno psicotico; nel secondo, abbiamo una prima dimostrazione dei poteri di Orr, e di come Haber (come tutti) sia portato istintivamente a negarne la realtà.
Di passaggio, notate la bruttezza della traduzione. Mentre studia Orr, Haber lo definisce mentalmente “poor bastard”. La traduzione in italiano lo trasforma in “tapinello”. Ma si può?
1.
“You know that you need sleep. Just as you need food, water, and air. But did you realize that sleep’s not enough, that your body insists just as strongly upon having its allotment of dreaming sleep? If deprived systematically of dreams, your brain will do some very odd things to you. It will make you irritable, hungry, unable to concentrate — does this sound familiar? It wasn’t just the Dexedrine!— liable to daydreams, uneven as to reaction times, forgetful, irresponsible, and prone to paranoid fantasies. And finally it will force you to dream — no matter what. No drug we have will keep you from dreaming, unless it kills you. For instance, extreme alcoholism can lead to a condition called central pontine myelinolysis, which is fatal; its cause is a lesion in the lower brain resulting from lack of dreaming. Not from lack of sleep! From lack of the very specific state that occurs during sleep, the dreaming state, REM sleep, the d-state. Now you’re no alcoholic, and not dead, and so I know that whatever you’ve taken to suppress your dreams, it’s worked only partially. Therefore, (a) you’re in poor shape physically from partial dream deprivation, and (b) you’ve been trying to go up a blind alley. Now. What started you up the blind alley? A fear of dreams, of bad dreams, I take it, or what you consider to be bad dreams. Can you tell me anything about these dreams?”
Orr hesitated.
Haber opened his mouth and shut it again. So often he knew what his patients were going to say, and could say it for them better than they could say it for themselves. But it was their taking the step that counted. He could not take it for them. And after all, this
talking was a mere preliminary, a vestigial rite from the palmy days of analysis; its only function was to help him decide how he should help the patient, whether positive or negative conditioning was indicated, what he should do.
“I don’t have nightmares more than most people, I think,” Orr was saying, looking down at his hands. “Nothing special. I’m . . . afraid of dreaming.”
“Of dreaming bad dreams.”
“Any dreams.”
“I see. Have you any notion how that fear got started? Or what it is you’re afraid of, wish to avoid?”
As Orr did not reply at once, but sat looking down at his hands, square, reddish hands lying too still on his knee, Haber prompted just a little. “Is it the irrationality, the lawlessness, sometimes the immorality of dreams, is it something like that that makes
you uncomfortable?”
“Yes, in a way. But for a specific reason. You see, here… here I…”
Here’s the crux, the lock, though Haber, also watching those tense hands. Poor bastard. He has wet dreams, and a guilt complex about ‘em. Boyhood enuresis, compulsive mother—
“Here’s where you stop believing me.”
The little fellow was sicker than he looked. “A man who deals with dreams both awake and sleeping isn’t too concerned with belief and disbelief, Mr. Orr. They’re not categories I use much. They don’t apply. So ignore that, and go on. I’m interested.”
Did that sound patronizing? He looked at Orr to see if the statement had been taken amiss, and met, for one instant, the man’s eyes.
[…] “Well,” Orr said, speaking with some determination, “I have had dreams that… that affected the… non-dream world. The real world.”
“We all have, Mr. Orr.” Orr stared. The perfect straight man. “The effect of the dreams of the just prewaking d-state on the general emotional level of the psyche can be —”
But the straight man interrupted him. “No, I don’t mean that.” And stuttering a little, “What I mean is, I dreamed something, and it came true.”
“That isn’t hard to believe, Mr. Orr. I’m quite serious in saying that. It’s only since the rise of scientific thought that anybody much has been inclined even to question such a statement, much less disbelieve it. Prophetic—”
“Not prophetic dreams. I can’t foresee anything. I simply change things.” The hands were clenched tight. No wonder the Med School bigwigs had sent this one here. They always sent the nuts they couldn’t crack to Haber.
— Lei sa benissimo di avere bisogno del sonno. Esattamente come per il cibo, l’acqua e l’aria. Ma non capisce che il sonno non è sufficiente, che il suo organismo le richiede, altrettanto vigorosamente, la sua razione di sogni? Se lo priva sistematicamente dei sogni, il suo cervello comincia a giocarle degli strani tiri. La rende irritabile, inquieto, incapace di concentrazione… il quadro le è familiare, no? Non era affatto colpa della dexedrina! … incline a fantasticare ad occhi aperti, scombussolato nelle reazioni, pro-penso alle dimenticanze, irresponsabile e suscettibile di deliri a sfondo paranoide. E alla fine la costringe a sognare: sognare una cosa qualsiasi. Nessuno dei farmaci da noi conosciuti le impedirà mai di sognare, a meno di ucciderla. Per esempio, l’alcolismo acuto può portare a una condizione chiamata mielinolisi pontina centrale, che è mortale; è causata da una lesione dei centri cerebrali inferiori in seguito a mancanza di sogni. Mancanza di sogni, non di sonno! Mancanza di quello stato fisiologico specifico che si verifica durante il sonno: stadio onirico, sonno REM, stato-d. Ora, visto che lei non è dedito all’alcool, e che non è neppure morto, posso af-fermare che le medicine da lei prese per eliminare i sogni hanno funziona-to soltanto parzialmente. Di conseguenza, (a), la sua condizione fisica si è deteriorata a causa di una privazione parziale di sogni, e (b) lei si è incamminato in un vicolo cieco. Dunque. Che cosa l’ha spinta nel vicolo cieco? La paura dei sogni: dei brutti sogni, direi, o di ciò che lei considera brutti sogni. Può dirmi qualcosa a proposito di questi sogni?
Orr esitò.
Haber aprì le labbra e poi le richiuse. Quasi sempre sapeva perfettamente cosa gli stavano per dire i pazienti, e ogni volta era sicuro che avrebbe potuto dirlo meglio di loro. Ma dovevano essere i pazienti a fare quel pas-so: questa era la cosa più importante. Non poteva farlo lui al posto loro. Inoltre, in fin dei conti, questo tipo di conversazioni erano un puro preliminare, gli ultimi rudimenti di un rito che risaliva ai giorni gloriosi dell’analisi psicologica; ormai la loro unica funzione era quella di aiutarlo a decidere come curare il paziente, il tipo di condizionamento meglio indicato, positivo o negativo, le cose da fare, non da dire.
— I miei incubi non superano quelli delle persone normali, credo — stava dicendo Orr, a capo chino e fissandosi le mani. — Niente di speciale. Solo che… ho paura di fare dei sogni.
— Di fare dei brutti sogni.
— Brutti o belli non conta: tutti.
— Capisco. E ha un’idea di come sia nata la sua paura? O di ciò che lei teme, vorrebbe evitare?
Poiché Orr non rispondeva subito, ma continuava a fissarsi le mani (mani corte e rosate, posate con eccessiva immobilità sulle ginocchia), Haber lo aiutò con la minima delle spintarelle: — È l’irrazionalità, il disordine, forse l’immoralità del sogno… è qualcosa di questo genere a turbarla?
— Be’, in un certo senso, sì. Ma per un motivo molto particolare. Vede, io… ecco…
Ecco la croce, la barriera, pensò Haber, che al pari del paziente fissava quelle mani irrigidite. Il tapinello. Bagna il letto, e conseguente complesso di colpa. Enuresi infantile, madre autoritaria…
— Ecco, so già che non mi crederà…
Il tapino era più grave di quanto non apparisse.
— Signor Orr, chi si occupa professionalmente di sogni, siano essi associati al sonno o nello stato di veglia, non si cura di credere e non credere. Si tratta di due categorie mentali di cui mi servo ben poco. Non sono pertinenti al nostro problema. Perciò trascuri pure questo aspetto, e continui, la prego. Mi interessa. — Che questa frase suonasse un po’ troppo paternalistica? Gettò uno sguardo a Orr per sincerarsi che non avesse malinteso le sue parole, e così incontrò per un istante i suoi occhi.
[…] — Bene — riprese Orr, parlando in tono più deciso, — ho fatto dei so-gni che… che hanno avuto un effetto sul… mondo esterno al sogno. Sulla realtà.
— Tutti ne facciamo, signor Orr.
Orr lo fissò a bocca aperta. Il perfetto esempio della rettitudine.
— I sogni che facciamo nello stadio che precede di poco il risveglio e-sercitano sul livello affettivo generale della psiche un effetto suscettibile delle più…
Ma l’esempio di rettitudine lo interruppe. — No, non intendo riferirmi a questo. — E, balbettando leggermente: — Voglio dire che ho sognato una cosa, e che poi è diventata vera.
— Non provo difficoltà a crederle, signor Orr. E lo dico seriamente. È soltanto dalla nascita del pensiero scientifico in poi, che la gente ha cominciato a dubitare di affermazioni come questa, o a rifiutarle. I sogni profetici…
— Non si tratta di sogni profetici. Io non riesco a prevedere nulla. Io, semplicemente, cambio le cose. — Aveva serrato strettamente i pugni. Niente di strano che i sapientoni della Clinica Universitaria gli avessero mandato questo tizio. A Haber mandavano sempre gli ossi duri.
2.
At 5:11 Haber pressed the black OFF button on the Augmentor. At 5:12, noticing the deep jags and spindles of s-sleep reappearing, he leaned over the patient and said his name clearly thrice.
Orr sighed, moved his arm in a wide, loose gesture, opened his eyes, and wakened. Haber detached the electrodes from his scalp in a few deft motions. “Feel O.K.?” he asked, genial and assured.
“Fine.”
“And you dreamed. That much I can tell you. Can you tell me the dream?”
“A horse,” Orr said huskily, still bewildered by sleep. He sat up. “It was about a horse. That one,” and he waved his hand toward the picture-window-size mural that decorated Haber’s office, a photograph of the great racing stallion Tammany Hall at play in a grassy paddock.
“What did you dream about it?” Haber said, pleased. He had not been sure hypnosuggestion would work on dream content in a first hypnosis.
“It was… I was walking in this field, and it was off in the distance for a while. Then it came galloping at me, and after a while I realized it was going to run me down. I wasn’t scared at all, though. I figured perhaps I could catch its bridle, or swing up and ride it. I knew that actually it couldn’t hurt me because it was the horse in your picture, not a real one. It was all a sort of game… Dr. Haber, does anything about that picture strike you as … as unusual?”
“Well, some people find it overdramatic for a shrink’s office, a bit overwhelming. A lifesize sex symbol right opposite the couch!” He laughed.
“Was it there an hour ago? I mean, wasn’t that a view of Mount Hood, when I came in — before I dreamed about the horse?”
Oh Christ it had been Mount Hood the man was right
It had not been Mount Hood it could not have been Mount Hood it was a horse it was a horse
It had been a mountain
A horse it was a horse it was—
He was staring at George Orr, staring blankly at him, several seconds must have passed since Orr’s question, he must not be caught out, he must inspire confidence, he knew the answers. “George, do you remember the picture there as being a photograph of Mount Hood?”
“Yes,” Orr said in his rather sad but unshaken way. “I do. It was. Snow on it.”
“Mhm,” Haber nooded judicially, pondering. The awful chill at the pit of his chest had passed.
“You don’t?”
The man’s eyes, so elusive in color yet clear and direct in gaze: they were the eyes of a psychotic.
“No, I’m afraid I don’t. It’s Tammany Hall, the triple-winner back in ’89. I miss the races, it’s a shame the way the lower species get crowded out by our food problems. Of course a horse is the perfect anachronism, but I like the picture; it has vigor, strength—total
self-realization in animal terms. It’s a sort of ideal of what a psychiatrist strives to achieve in human psychological terms, a symbol. It’s the source of my suggestion of your dream content, of course, I happened to be looking at it…”
Haber glanced sidelong at the mural. Of course it was the horse.
Alle 5 e 11, Haber schiacciò il grosso pulsante nero che recava la scritta SPENTO, sul quadro dei comandi dell’Aumentore. Alle 5 e 12, vedendo riapparire i fusi e le alte punte del sonno-s, si piegò sul paziente e pronunciò con chiarezza il suo nome, tre volte.
Orr sospirò, allargò il braccio in un gesto largo e incontrollato, spalancò gli occhi e si destò. Haber gli staccò la cuffia dal cuoio capelluto con pochi, abili gesti. — Si sente bene? — chiese, in tono amichevole e sicuro di sé.
— Sì.
— E inoltre ha sognato. Ma questo è tutto ciò che posso dirle. Può raccontarmi il sogno?
— Un cavallo — si affrettò a dire Orr, ancora stordito per la brusca uscita dal sonno. Si rizzò a sedere. — Un sogno che riguardava un cavallo. Quel cavallo lì — e indicò la riproduzione fotografica murale, grossa come tutta la parete, che decorava l’ufficio di Haber: la fotografia del famoso stallone Tammanny Hall, lanciato al galoppo in una radura erbosa.
— E cosa faceva, il cavallo, nel sogno? — chiese Haber, compiaciuto. Non si era aspettato che l’ipnosuggestione riuscisse a influenzare così chiaramente il contenuto del sogno, dato che si trattava del primo rapporto ipnotico con quel paziente.
— Il cavallo… no, io; attraversavo il prato, e all’inizio il cavallo era lontano da me, lo vedevo nella distanza. Poi si è precipitato al galoppo nella mia direzione, e io a un certo punto ho capito che mi avrebbe travolto. Tuttavia non avevo paura. Probabilmente pensavo di riuscire ad afferrare la briglia, o di potergli salire in groppa e cavalcarlo. Sapevo che in realtà non avrebbe potuto farmi del male, perché era il cavallo della fotografia, e non un cavallo vero. Era una specie di gioco… Dottor Haber, mi scusi, ma non le sembra che quella fotografia abbia qualcosa di… strano?
— Be’, qualcuno la giudica un po’ eccessiva per l’ufficio di uno psicologo, un po’ opprimente. Un simbolo sessuale, formato naturale, proprio di fronte al divano! — E rise.
— C’era già, un’ora fa? Voglio dire, non c’era forse il panorama di Monte Hood, quando io sono entrato… prima che sognassi il cavallo?
Oh Cristo era davvero Monte Hood il tizio aveva ragione
Non era Monte Hood non poteva essere Monte Hood era un cavallo era un cavallo
Era una montagna
Era un cavallo era un cavallo era un cavallo…
Fissava George Orr a occhi sbarrati, stupefatto, e dovevano essere passati vari secondi dalla domanda; non poteva farsi sorprendere così, doveva ispirare fiducia, e sapeva come rispondere.
— George, a quanto le dice la sua memoria, la fotografia della parete era il panorama di Monte Hood?
— Sì — fece Orr, col suo tono triste, ma risoluto. — Certo. Era Monte Hood. Con la neve.
— Mmmm — annuì con imparzialità, meditabondo. Il terribile brivido di gelo che aveva provato alla bocca dello stomaco era passato.
— Perché, lei ricorda qualcosa di diverso?
Gli occhi di quell’uomo, dal colore così indefinibile, eppure così chiari e diretti nel guardare: erano gli occhi di uno psicotico.
— No, mi spiace dirlo, ma la risposta è no. È Tammanny Hall, il vincitore dei tre Premi nell’ottantanove. Sento la mancanza delle corse, è una vergogna che per i nostri problemi alimentari abbiano dovuto eliminare le specie inferiori. Naturalmente, un cavallo è un clamoroso anacronismo, ma la fotografia mi piace; ha vigore, forza… la totale realizzazione della propria personalità sotto forma di un animale. È una specie di ideale di ciò che lo psichiatra vuole ottenere, in termini psicologici umani; un simbolo. Ad esso mi sono ispirato nel suggerirle il contenuto del sogno: ovviamente, mi era caduto l’occhio sulla fotografia… —
Haber lanciò un’occhiata di traverso alla riproduzione. Certo, che era un cavallo.
Tabella riassuntiva
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(1) In realtà, sembrerebbe che la citazione – inserita in calce al Capitolo 3 del romanzo – sia sbagliata. All’epoca di Chuang Tsu, infatti, la Cina non conosceva il tornio. Ecco cos’ha detto la stessa LeGuin anni dopo la pubblicazione:
…it’s a terrible mistranslation apparently, I didn’t know that at the time. There were no lathes in China at the time that that was said. Joseph Needham wrote me and said “It’s a lovely translation, but it’s wrong.”
LOL.Torna su

Chuang Tsu. Contrariamente all’opinione comune, non conosceva i torni.
(2) Sarò sincero: a parte certi eccessi, mi trovo molto più solidale col punto di vista dello spietato Haber piuttosto che con quel pavido lassista di Orr.Torna su
(3) In realtà anche nei paesi anglosassoni è considerata come un pezzo importante della storia della narrativa fantastica, soprattutto in relazione a Earthsea.
Non voglio discutere sul valore storico dei romanzi fantasy della LeGuin, potrebbe anche darsi che sia così; ma oramai, sono decisamente superati. Più anche della Dying Earth di Jack Vance (che comunque è ben lungi dall’essere immune da critiche).Torna su
Sento che The Telling ti farà cascare le palle dalla noia, mentre Four Ways to Forgiveness non l’ho mai letto. The Left hand of darkness è così brutto? Ne ho sempre sentito parlare come uno dei “capolavori” di questa autrice. Ma d’altra parte si dice ciò anche di The Dispossessed, allucinante pippone comunista dalle rare capacità anti-insonnia… Questo The Lathe of Heaven invece l’ho apprezzato assai in quanto raro esempio di libro della Le Guin in cui ACCADE QUALCOSA, ma credo di averlo già detto da qualche parte.
che bello sono il primo.
scusa ma la tematica onirico-dickiana-“inception”-ica mi ispira pochissimo.
ho apprezzato la citazione (sbagliata ma fa l’istesso) di Chuang tzu, ma visto il tuo background maoista dovresti sapere che oggi si preferisce la trascrizione Zhuang Zi. E’ uno dei miei filosofi preferiti, per la cronaca. Sulla falce sconosciuta in cina rimango molto dubbioso, quasi quasi approfondisco la questione. ciao.
p.s hai ristretto l’accesso in modo comunista per caso? non riuscivo ad accedere, ti possino.
per colpa del tempo sprecato con il login ho perso il primato, ti farò chiamare dal mio avvocato. 😛
Tapiro ha detto: “All’epoca di Chuang Tsu, infatti, la Cina non conosceva la falce”
correggi, correggi.
“Lathe” in inglese è il tornio del vasaio, la falce la conoscevano tutti dal neolitico. per penitenza dovrai dare ragione a Dago per tre volte (lo so che è dura) 🙂
Come ho già detto nella sezione “Sulla LeGuin” nel Consiglio di Changing Planes, The Left Hand of Darkness ha molte idee interessanti, ma un’esecuzione che definire atroce è gentile (racconto in prima persona di un etnografo che tranquillamente se ne gira per l’ambientazione raccontando – in modo assai statico – tutte le cose che scopre sugli abitanti. Sai che spasso).
Background maoista?
Mi sa che mi confondi con i ribelli dell’India settentrionale.
ç_ç
In effetti mi sembra un po’ eccessivo…
Per quanto riguarda i problemi di accesso, non so di che parli. Nessuno ha mai avuto problemi, a parte il povero Anacroma che finiva regolarmente in spam.
Anche io ho avuto mistici problemi di accesso per postare; sono stata costretta prima a loggare su wordpress, e poi mi ha lasciato finalmente scrivere il commento. Mah °°
E un grazie al Tapiro che mi ha corretto i tag sballati nel commento precedente. ç_ç
Ecco, questo è il primo libro che ho letto della Le Guin. Ed è quello che mi è piaciuto di più, non credo che avrei resistito tanto a leggere altri suoi libri, se non mi fosse piaciuto tanto questo. Per cui lo odio, è colpa sua se mi sono letta tutto Earthsea, sperando che migliorasse andando avanti ç.ç
è evidente che le opinioni possono essere anche molto diverse, specialmente quando i libri si leggono a distanza di 30 anni e si hanno anche più anni di differenza…
La Falce dei Cieli io me lo ricordo come un buon romanzo, ma senza assolutamente niente di particolare. Anzi, in alcune parti era anche un poco noioso, per le troppe elucubrazioni personali dei due personaggi principali. Mentre continuo a ritenere sia The Left Hand of Darkness che The Dispossessed dei veri capolavori.
A Talesdreamer devo dire che mi sembra un po’ ridicolo etichettare The Dispossessed “un pippone comunista”, scritto poi da un “liberal” americano…
Mi rendo conto che i significati che ci avevo trovato io allora possano non essere più evidenti, od addirittura spariti… posso solo invitarvi a leggere “l’invito alla lettura” che avevo scritto otto anni fa, quando ormai i dettagli del libro mi sfuggivano, ma mi era ancora molto chiaro il significato che per me aveva avuto.
Lo trovate qui:
http://www.webalice.it/michele.castellano/SF_Fantasy/mese/Marzo2004.html
@Tales:
In queste ore ho scoperto che è un problema generale di WordPress e/o di Gravatar. Non ci posso fare niente, speriamo che la situazione si normalizzi ==’
xD
@mikecas:
Dici “troppe elucubrazioni” nella Falce, e mi metti come esempi positivi Darkness e Dispossessed, che sono la fiera dell’infodump e della narrazione statica? Questi due romanzi sono elucubrazioni all’ennesima potenza – elucubrazioni con un po’ di trama intorno!
Pippone di sicuro, benché, sgradevolezze di prosa a parte, a me il romanzo è anche piaciuto.
Anche “comunista” ci potrebbe stare, posto che quando parliamo di Anarres ci riferiamo al comunismo utopistico del Primo Ottocento piuttosto che a un comunismo di matrice marxista.
Lathe è il tornio, non la falce. CORREGGI!
Chissà perché quei pirloni dei traduttori italiani hanno deciso di tradurlo “falce”, che in inglese è sickle oppure scythe. Questo oggetto ha importanza nel corso del romanzo, o è uno di quei titoli dal puro valore simbolico?
Mi chiedevo: ma se Orr cambia la realtà in modo retroattivo senza che nessuno se ne accorga, come fa Haber a capire che il suo paziente non è schizofrenico ma è effettivamente dotato dei poteri che sostiene di avere?
Dici “troppe elucubrazioni” nella Falce, e mi metti come esempi positivi Darkness e Dispossessed, che sono la fiera dell’infodump e della narrazione statica? Questi due romanzi sono elucubrazioni all’ennesima potenza – elucubrazioni con un po’ di trama intorno!
Perché a quell’epoca non mi preoccupavo affatto dello stile di scrittura, ma mi interessavano solo i contenuti…
E nei contenuti c’è indubbiamente una bella differenza…
🙂
E poi, il proverbio di questo Chuang Tzu (o Zhuang Zi che sia), anche se tradotto sbagliato dal cinese, cosa vorebbe dire?
“Lasciare che la comprensione si fermi là dove non si può più comprendere è una grande conquista. Coloro che non ci riescono saranno distrutti dal tornio dei Cieli.”
Eh?
@Giovanni:
Quante scene, avevo già corretto prima che tu me lo dicessi…
Puramente simbolico: quella citazione e basta. Per questo non mi ero accorto della traduzione “creativa”.
Poiché Haber è presente al momento del sogno ed è lui stesso a suggerire gli stimoli, il suo cervello sviluppa maggiori resistenze alla sovrascrittura della realtà. Questo poi accadrà anche con altri personaggi.
Comunque anche in Haber il rifiuto inconscio dei poteri di Orr è molto forte, come puoi leggere dall’estratto.
Beh, intanto, se stiamo parlando di un tornio e non di una falce, “coloro che non ci riescono saranno distrutti nel tornio (o al massimo sul tornio) dei cieli”.
A parte questo, mi sembra il solito discorso degli antichi sull’ubris e la punizione divina. Chi tenta di spingersi troppo in là, sarà punito dalla divinità per la propria arroganza. Ci sono dei limiti alla conoscenza umana che non vanno valicati. bla bla Torre di Babele bla bla.
@mikecas: Visto che era solo una prova, ti ho cancellato il secondo messaggio. Cosa voglia WordPress non lo so, so solo che sta rompendo il cazzo anche a me ==’ Spero che la cosa si risolva in fretta.
/// per penitenza dovrai dare ragione a Dago per tre volte (lo so che è dura) ////
“v.v
Piuttosto, non ricordo, la Le Guin è la stessa di quegli urendi fantasy sadomaso?
…magari la traduzione corretta del proverbio cinese è proprio con “falce”.
Comunque io nella tua nota (1) leggo ancora “All’epoca di Chuang Tsu, infatti, la Cina non conosceva la falce.”
Questo blog avrebbe bisogno di una sezione “Fogna” dove poter lasciare tutti i commenti off topic. Infatti vorrei chiederti:
1) Hai mai letto The Hunger Games? Che ne pensi? Consigli o è una roba al livello di Twilight?
2) Vedremo mai su questo blog recensioni di romance gay dalle tinte fosche? E’ un genere che non hai incluso nel tuo sondaggio…
Noes, quella è la Rice, quella di Intervista col vampiro e di tutti quegli altri libri sui vampiri gay.
A quattordici anni mi piacevano, perché c’erano i vampiri gay.
Comunque ha scritto anche dei brutti fantasy sadomaso sotto pseudonimo, una rivisitazione della bella addormentata nel bosco. Sono un po’ ridicoli. Secondo me la Storia di O è meglio, anche se non è del tutto esente da ridicolaggine e ha un finale alla cazzo. U.U
Ma magari intendevi la Jacqueline Carey, anche lei ha scritto fantasy con elementi sadomaso, anche se i suoi più che romanzi effettivamente erotici sono intrighi di palazzo con il sottofondo di cose sadomaso. Ho letto solo Il dardo e la rosa e non mi è piaciuto.
In ogni caso la Le Guin non c’entra niente, anzi, quasi tutti i personaggi dei suoi libri sono del tutto asessuati.
Non parliamo della Rice, percaritàdiddio. Piaceva anche a me quando ero una bimbominkia tredicenne, ma poi sono cresciuta io, mentre lei ha deciso di essere troppo brava per aver bisogno di un editor.
Ho finito pochi giorni fa di leggere l’ultimo suo libro sui vampiri che mi mancava, ovvero Vittorio the Vampire, ed è stata un’esperienza assolutamente allucinante. Ricordavo che avesse una prosa molto barocca, ma non ero psicologicamente pronta a qualcosa di COSI’ ridicolo. Posterei qualche esempio di frase cretina che avevo doverosamente sottolineato, ma io mio reader ha deciso di andare in freeze un paio di giorni fa e ora sto aspettando che gli muoia la batteria. Evviva! ^__^
E sì, stiamo andando meravigliosamente OT.
@Dago:
LOL. L’unica cosa che hanno in comune la LeGuin e la Carey e il sesso di appartenenza. Nei libri della LeGuin troverai le solite dissolvenze incrociate al posto delle scene di sesso; e ovviamente il sesso è rigorosamente sesso romantico e pieno di sentimenti, probabilmente nella posizione del missionario.
Also, Dago, quando imparerai a utilizzare il “blockquote” come le persone normali?^^
@Giovanni:
Ehm, ops.
Non mi ero accorto di averlo scritto in due punti diversi, e ne avevo corretto solo uno. Ma dove ho la testa!
No, e non so se lo farò mai. Diffido per esperienza degli YA.
Se qualcuno lo dovesse leggere, mi faccia sapere.
Ehm, no.
Magari in futuro potrei farlo, se me lo chiedessero in tanti. Ma non ho così tanti commentatori ot-eggianti, al momento, da giustificare una soluzione del genere,
Per ora, per limitare l’OT, potreste utilizzare le pagine nel menu orizzontale. Se volete farmi qualche domanda generale che non rientra in altre categorie (per esempio, se ho letto questo o quello o se parlerò di questo o quello), potete postarla in “Chi sono” o in “Cos’è Tapirullanza”. Altri l’hanno fatto.
Se volete farmi qualche domanda sui generi (es. la tua sullo Sword & Planet) potreste farla in “Terminologia”. E così via.
Quelle pagine hanno i commenti aperti apposta.
Ah ecco, era proprio la Carey “v.v
Also si, spiegatemi come razzo si fanno quei bolscevichi quote della malora.
E spiegatemi pure perchè non mi becca più il Gravatar “v.v
Scrivi “blockquote” (con le virgolette uncinate invece di quelle alte) prima del testo da citare, e “/blockquote” dopo.
Penso sia una nuova politica di WordPress. Se hai un account Gravatar collegato all’indirizzo e-mail devi fare login con quell’account o non posta il commento. Altrimenti accetta il modello sito+email, ma non hai più l’avatar. In ogni caso Tapiro ha corretto gli indirizzi e-mail dei commenti prima.
Grazie Sho, però potevi anche fare 31 e postare le boobs ^_^
Posta le tue che io posto le mie ^-^
Devo assolutamente leggerlo *W* Anche se i finali alla cazzo di cane mi disturbano.
Beh, diciamo anche che Haber diventa piu’ freddo e distaccato quanto piu’ sale in alto nella scala gerarchica grazie a Orr. All’inizio e’ poco piu’ di uno psichiatrucolo della mutua, dotato e ambizioso.
Premessa: ti odio e spero tu sia condannato a cercare in eterno un ago inesistente in un pagliaio di un Kilometro cubo: ho passato due ore a cercare quel cazzo di libro in giro per la stanza perche’ non mi ricordavo esattamente il finale.
Per quanto riguarda il finale, penso sia abbastanza buono per la storia: una volta accettato razionalmente il potere di Orr e trovato il modo di replicare le sue onde alpha, e’ nella natura di Haber creare direttamente senza usare l’inutile Orr come tramite. Io avrei fatto la stessa cosa.
Orr e’ troppo passivo per fermarlo e in tutto il racconto e’ evidente come Haber incolpi Orr e la sua psiche di tutti gli effetti collaterali del sogno lucido (e onestamente non mi sento di dargli torto).
L’epilogo nel mondo nuovo tutto sommato ci sta: Orr ritrova la persona che ama e, per la prima volta in tutto il romanzo, decide di non farsi trasportare dagli eventi.
Per il resto sono d’accordo con te: il POV di Heather e’ superfluo e lo stile della LeGuin non mi fa impazzire.
-Uriele
@Marco M. / Uriele: Sei Uriele di Baionette?
Comunque:
ATTENZIONE a tutti: seguono SPOILER sul finale.
Quando parlo di finale un po’ alla minchia non mi riferisco al fatto (perfettamente sensato) che Haber riesca a liberarsi di Orr e a fare tutto con la sua macchina (azione perfettamente sensata), né l’epilogo in cui ritrova la Heather cambiata (che è carino).
Mi riferisco al modo barbino in cui Haber viene fatto uscire di scena: la macchina che, in assenza di Orr, comincia a malfunzionare e a inghiottire la realtà. E’ una parte poco chiara e scritta di fretta (in un paio di pagine Orr ripercorre tutta la strada fino allo studio e spegne la macchina), e mi ha dato l’impressione un po’ di deus ex machina, di escamotage. Come se l’autrice volesse punire Haber della sua ubris, della serie: “Visto cosa succede a bypassare il protagonista e a fare tutto di testa tua?”.
Non era affatto implicito nelle premesse che in mancanza di Orr la macchina si sarebbe comportata in quel modo, quindi mi è sembrato un atto un po’ gratuito per giungere rapidamente a una soluzione che punisse Haber.
Ciò che avrebbe potuto convincermi della bontà del finale nonostante l’aria da deus ex machina, sarebbe stato uno stile più persuasivo. Ma essendo lo stile della LeGuin quello che è, il risultato è che non m’ha convinto.
Ah ok, comunque prima della deusexmachinata finale Orr cerca di mettere in guardia il dottore andando nel suo ufficio con la moglie e dicendogli: “Ciccio, non e’ cosi’ facile sognare come sogno io. Se proprio devi almeno urla GIGADRILLBREEEEEAKER cosi’ gli alieni ti vengono in soccorso”
Haber li manda a casa in fretta dicento che era un’ottima idea e che lo avrebbe fatto, ma Heather capisce subito che il dottore li voleva solo mandare a casa.
Che i sogni non fossero cosi’ facili da controllare veniva mostrato all’inizio del romanzo: il mondo mezzo distrutto in cui vivono i protagonisti sembra per la maggior parte, creato dagli incubi di Orr (il mondo postatomico da cui riesce a fuggire col primo sogno, prima di sbattere contro il poliziotto). Orr ci ha convissuto fin da quando era bambino con questi sogni e nonostante tutto ha continuato a creare casini su casini (vedi la zia).
Haber non solo ci si butta avendo solo una conoscienza teorica della materia, ma lo fa in grande e fottendosene degli alieni, usando l’Augmentor e, conoscendo il soggetto, cercando di risolvere tutto con un mega sogno omnicomprensivo.
Dal suo punto di vista, la scelta e’ razionale: Haber vede Orr come un debole, qualcuno con un grande potere, ma totalmente inadeguato; lui invece e’ un dottore di fama mondiale, il creatore dell’Augmentor e il primo uomo capace di riprodurre queste onde alpha da demiurgo.
Orr, fin dall’inizio e’ presentato come l’archetipo dell’uomo medio, quasi come il protagonista di Idiocracy; se un mediocre riesce a controllare i sogni, per un genio dovrebbe essere una passeggiata, no?
In un certo senso, gli indizi che Orr fosse necessario per sognare in modo equilibrato c’erano; poi si’ in due paragrafi Orr arriva nell’ufficio, preme un pulsante e passa un quarto d’ora a decidere se distruggere o meno il meccanismo, li’ era evidente che la LeGuin non c’aveva voglia di sviluppare l’incontro finale.
Se fossi stato in lei, potendo scegliere, avrei preferito vedere il POV di Haber sognatore che perde il controllo della sua creatura, decisamente piu’ interessante che vedere Orr scarpinare per due vicoli, salire le scale e premere off (anche perche’, come hai detto tu, non e’ che i cambiamenti subiti dal mondo e dalle persone siano mostrati durante il tragitto)
– Uriele (si’, quello di Baionette… purtroppo non riesco ad confermare i commenti usando l’account di wordpress e son costretto ad usare twitter)
Sono d’accordo con te.
Non è tanto il fatto in sé che l’Augmentor deragli in mancanza di Orr ad avermi dato fastidio e fatto pensare a un deus ex machina, quanto il modo raccogliticcio in cui quest’ultimo passaggio è raccontato. Sembrava che la LeGuin volesse affrettare un finale senza starci troppo a pensare.
I segni che sarebbe andata a finire male c’erano, ma avrei voluto vedere “mostrato” più esattamente cosa fosse andato storto, cosa esattamente nel sogno ambizioso di Haber e nella sua mancanza di una capacità innata avesse fatto “saltare” il processo. L’uso del pov di Haber sarebbe quindi stato l’ideale.
Lo so, è un disastro.
Quando ho aperto il blog, avevo scelto WordPress anche perché, per commentare, ti risparmiava quella trafila odiosa di identificazione e captcha di Blogger. Purtroppo da fine Marzo (più o meno da quando ho pubblicato questo articolo su The Lathe of Heaven) l’amministrazione WordPress si è instronzita e ha reso più difficile lasciare commenti. E non ci posso fare nulla u_u