La lezione di Swanwick

Io“Scrivi di ciò che sai”: questo vecchio adagio vale anche per la narrativa fantastica. Joe Haldeman ha potuto scrivere The Forever War, uno dei classici della fantascienza militare, perché era un veterano della guerra nel Vietnam. Asimov ha potuto scrivere The Gods Themselves – che nasce dalla domanda: “sotto che condizioni potrebbe esistere l’isotopo plutonio-186”? – perché era un chimico. I romanzi marinareschi di Conrad – La follia di Almayer, Cuore di tenebra, La linea d’ombra – nascono dai viaggi che realmente fece, come marinaio, nelle terre semi-selvagge del Sud-Est Asiatico e del Congo belga.
E ciò che non sai? Ti documenti per saperlo. Alcuni scrittori hanno avuto una vita noiosissima, ma questo non li ha fermati. Né Gibson né Sterling sono vissuti nell’Ottocento, eppure hanno scritto The Difference Engine. Guardate però alla mole di lavoro che c’è dietro: gli studi sulla Londra vittoriana dell’Ottocento reale, sulla situazione politica mondiale dell’epoca, su Babbage e sull’informatica ottocentesca. Questo romanzo è diventato il punto di riferimento dello steampunk in letteratura in larga parte per tutto il lavoro di ricerca che c’è a monte (anche perché dal punto di vista della trama è noiosotto). E lo stesso Haldeman, a prescindere dal fatto di aver assaggiato la guerra sulla propria pelle, non avrebbe potuto scrivere con cognizione di causa di tute potenziate e battaglie nello spazio senza una preparazione in fisica.

E la fantascienza? Bisogna essere dei post-graduate di qualche scienza naturale per poterne scrivere? In effetti, gli autori ‘seri’ degli anni ’40 e ’50 erano per la maggior parte chimici, fisici, ingegneri. C’erano anche gli umanisti, come Philip K. Dick; ma nel loro caso l’elemento ‘scientifico’ era talmente tenue e implausibile da far girare i coglioni a più di un purista. Buona parte dei lavori di Dick si potrebbero tranquillamente definire ‘Fantasy con le pistole a raggi’. Poi negli anni ’60 e ’70 sono arrivati quelli della New Wave: Ballard, la Le Guin, Moorcock, Spinrad. Ma la loro fantascienza era quasi invariabilmente molto soft.
Ora, però, facciamo un salto nel tempo e arriviamo agli anni ’80. Chi si affaccia sulla scena fantascientifica? Michael Swanwick, William Gibson, Bruce Sterling, Kim Stanley Robinson: tutti personaggi di estrazione umanistica. Trattano con nonchalance nozioni scientifiche, talvolta arrivano a rasentare l’Hard SF, e scrivono pure meglio. Sterling immagina intere civiltà che vivono in colonie artificiali in orbita attorno alla Terra, a Marte, alle lune di Giove, o annidate negli asteroidi; Swanwick astronavi alimentate da querce bioingegnerizzate e alberi di Dyson che crescono sulle comete; Gibson ci parla di IA che colonizzano il cyberspazio e Stanley Robinson dedica tre libri alla terraformazione di Marte. Com’è possibile?

Minecraft terraforming

Un esempio di terraformazione.

Flogging Babel
Da un mesetto a questa parte ho cominciato a seguire Flogging Babel, il blog di Michael Swanwick. Mi ci sono imbattuto per caso: neanche mi era venuto in mente che potesse averne uno. Ma dato che Swanwick è uno dei miei scrittori preferiti e lo ritengo un uomo intelligente, ho passato le ultime settimane a spulciarmi qua e là i suoi post in cerca di roba interessante. E l’ho trovata. Nel 1997, Swanwick pubblica un racconto intitolato “The Very Pulse of the Machine”, che l’anno dopo vince il premio Hugo. Lo scenario è quello di Io, la più interna delle lune di Giove, nonché il corpo celeste più vulcanicamente attivo del Sistema Solare. Nel corso del racconto, Io è descritta nel dettaglio: dalle sue spianate di zolfo allo stato solido ai moti convettivi che coinvolgono il suo oceano sotterraneo, dai fiori di cristalli di zolfo che sbocciano sulla superficie al flusso di ioni che corre tra i poli di Io e quelli di Giove. Una mattina di Settembre del 2012, un utente fa a Swanwick questa domanda:

Where you got all the information and research for your short story “Pulse of the Machine” that dealt with the magnificent descriptions of Io. I would like to write a story about Io, but I can’t find any of the background information you found for this story. Any help would be appreciated.

La risposta a questa domanda è diventato il breve articolo Researching Io. Non starò a riportare tutto il post; leggetevelo. Prendiamo soltanto un paio di brani, all’inizio e alla fine:

As it chances, I was inspired to write “The Very Pulse of the Machine” by a remark by (I think) Geoff Landis, who told a mutual friend that he was baffled by the fact that NASA had spent billions of dollars exploring the Solar System and then put all the information they found up on the Web available for free — and yet almost no SF writers were taking advantage of it.
So I chose Io because it seemed an interesting place to me and went to the NASA website to see what they had to say.
[…]
I realize this rather sidesteps your question — how to find these sources. But I’ve had no formal training on running searches (when I was a student, my college had exactly one computer, an IBM mainframe), nor was I particularly ingenious in my research. I just kept poking around, looking and finding until I had what I needed.
Go thou and do likewise.

E tenete conto che all’epoca non esisteva Wikipedia. Oggi, muovere i primi passi in un territorio che non si conosce – perché è a questo che può servire Wikipedia – è ancora più semplice di così.
Ma quanto ci vuole a condurre un lavoro del genere? Quanti giorni di lavoro può portar via una ricerca fatta bene? Sappiamo che Flaubert impiegò sei anni a scrivere Salammbò, il suo romanzo storico ambientato nell’antica Cartagine ai tempi della rivolta dei mercenari. Ma Flaubert non aveva bisogno di guadagnarsi da vivere coi suoi romanzi, quindi poteva permetterselo. E uno scrittore che ci deve campare, invece? Swanwick ci dice anche questo. In questo articolo (che vi consiglio di leggere) cita a titolo esemplificativo il suo racconto The Mask, ispirato alla storia di Venezia e alla figura dei dogi. Il racconto è lungo 1700 parole – circa sei pagine.

From Stan’s story to publication in the April, 1994 issue of Asimov took a mere thirteen years. I’ll leave it as an exercise for the student to work out how much I was earning by the hour.

Ancora sicuri di voler fare gli scrittori?

Vulcanismo di Io

Un esempio dell’attività vulcanica di Io. Le immagini sono state prese dalla sonda Galileo rispettivamente nel 1999 e nel 2000.

The Very Pulse of the Machine
Martha è sola sulla superficie di Io. E’ a quarantacinque miglia dalla navicella di atterraggio, e ha solo quaranta ore prima di finire l’ossigeno. Non può fermarsi, neanche per dormire. Dietro di sé, su una slitta messa insieme alla bell’e meglio, trascina il cadavere di Juliet Burton, la sua compagna di avventure. Andava tutto bene finché non si sono schiantate col moonrover contro un sasso, e un buco grande come un pugno si è aperto nella faccia di Burton. Ora Martha può contare solo su sé stessa. Finché alla radio comincia a sentire la voce di Burton che cita poesie del Settecento e dichiara di essere Io.
OK, documentarsi è importante, abbiamo afferrato il concetto; alla fine, però, ciò che conta è che la storia sia figa, no? E questo The Very Pulse of the Machine, stringi stringi, com’è? Cercherò di essere analitico: è bello in maniera esagerata. Il senso di solitudine di Martha, le routine della sua lunga marcia verso la navetta, l’assenza di vita della superficie di Io, sono rese alla perfezione dal ritmo lento e calmo (ma non noioso) della narrazione. Le descrizioni della ‘natura’ di Io si alternano con i tentativi di Martha di psicanalizzarsi (la ragazza si odia abbastanza…) e coi dialoghi folli con la voce che viene dalla radio.

La cosa più interessante – anche ai fini di questo articolo – è che Io non fa semplicemente da sfondo alla vicenda, non è un pianetino buono come un altro. La geologia e la magnetosfera di Io diventano un vero e proprio personaggio. L’idea del pianeta autocosciente non è affatto nuova nella fantascienza – ad esempio, la troviamo nel romanzo Nemesis di Asimov – nuovo è invece come questa idea è veicolata e spiegata scientificamente. E allora si capisce che tutti i dettagli fisici che Swanwick ci centellina su Io non sono un semplice show-off (“avete visto quanto ho studiato?”), e neanche descrizioni-per-il-gusto-delle-descrizioni alla Tolkien.
Senza tutta quella ricerca, semplicemente The Very Pulse of the Machine non avrebbe potuto essere scritto. Ed è un peccato, perché ad oggi è il miglior racconto di Swanwick che abbia mai letto.
Potete leggere il racconto qui. Ci vorrà mezz’ora, quaranta minuti al massimo: credetemi, ne vale la pena. E non abbiate timore: pur con tutta questa scienza “dura”, The Very Pulse of the Machine rimane essenzialmente un racconto psicologico.

Magnetosfera di Giove

La magnetosfera di Giove e la sua interazione con Io (in giallo). Nel racconto di Swanwick si parla anche di questo!

Tornerò a parlare di Swanwick nel prossimo, e più corposo, articolo.

32 risposte a “La lezione di Swanwick

  1. Bell’articolo. Il racconto mi sconfinfera anche. Ci butto un’occhiata appena posso.

    Ah, hai ignorato il patrio saccheggiatore di biblioteche per antonomasia: Salgari.

  2. Davvero un gran bel racconto, grazie per averlo segnalato.
    Leggerò il prossimo articolo su Swanwick con grande interesse!

  3. Bell’articolo e gran bel racconto!

    Gli autori che non si documentano mi lasciano perplessa sotto molti aspetti. Last but not least: sembra che non concepiscano nemmeno che proprio documentarsi possa offrire un numero infinito di spunti originali per la storia.

  4. @Dago:

    Ah, hai ignorato il patrio saccheggiatore di biblioteche per antonomasia: Salgari.

    Non è che l’ho dimenticato, è che non l’ho proprio mai letto^^’
    E non mi sembra carino citare un autore che non conosco…

    @Tengi:

    Gli autori che non si documentano mi lasciano perplessa sotto molti aspetti. Last but not least: sembra che non concepiscano nemmeno che proprio documentarsi possa offrire un numero infinito di spunti originali per la storia.

    L’autore che non si documenta sull’argomento di cui scrive tradisce il suo reale disinteresse verso l’argomento stesso.
    Documentarsi è faticoso (e parecchi saggi sono scritti col culo), ma alla fine c’è sempre la gratificazione di stare imparando qualcosa che piace; e magari poter poi riutilizzare le nuove conoscenze per farle scoprire e piacere a qualcun altro…

  5. Se Turtledove non si fosse laureato in storia bizantina, non avrebbe mai scritto il ciclo di Krispos e quello dei disordini (anche se è un caso estremo 😉 ).
    Se non ricordo male, CiccioMartin ha speso un anno (o forse anche di più) a documentarsi prima di iniziare a scrivere i suoi romanzi.

    E in un’intervista a Ken Follet, diceva che lui non solo si documenta, ma ha addirittura un TEAM di ricercatori che si documenta per lui.

    E, personalmente, non ringrazierò mai abbastanza il curatore della biblioteca di C**** (distretto del Kafiristan Interno), per aver avuto la lungimiranza di acquisire la “Storia del Mondo Medioevale” della Cambridge University Press, “La società Feudale ” di Marc Bloch, e tanti, tanti altri tomi che mi hanno reso il formidabile cacaminchia che sono 😉

  6. La documentazione è importante per certi tipi di narrativa, come per tutto si può abusare anche di questo elemento, bombardando poi il lettore di infodump oppure, più semplicemente, rendendo un libro un pallosissimo trattato sull’argomento scelto.
    Grazie per il link al racconto di Swanwick, adesso è in lista.

    @Tapiro: “Non è che l’ho dimenticato, è che non l’ho proprio mai letto”
    Ma almeno ti vergogni un po’? Mi aspettavo una rapida stroncatura basata su qualche formuletta, ma non questo. Quale divinità vuoi che ti fulmini? Scegli pure.

    • Non proprio. La documentazione, in teoria, non è MAI troppa. Poi, lo scrittore può gestirla male. Certi possono essere talmente fissati col mostrarti QUANTO hanno studiato dal vomitarti addosso quintali di informazioni inutili.
      Altri saranno capaci di consacrare tutto alla storia. In quel caso non ci saranno inutili infodump. Semplicemente, ogni dettaglio della faccenda sarà corretto o perfettamente integrato nella logica dell’ambientazione.
      Non si studia mai abbastanza. Il guaio è che lo studio da solo NON basta ù_ù

  7. @Dunseny:

    ome per tutto si può abusare anche di questo elemento, bombardando poi il lettore di infodump oppure, più semplicemente, rendendo un libro un pallosissimo trattato sull’argomento scelto.

    Quello che ha detto Tengi.
    Fondamentalmente stai confondendo due cose (e momenti) diversi: la documentazione e la scrittura. La prima è a monte del progetto, ed è giusta a prescindere: più informazioni accumuli sulla materia trattata, più precisa e ampia sarà la tua visione, e meglio quindi potrai trattare l’argomento.
    La seconda è successiva, e significa selezionare e impiegare le informazioni raccolte al fine di raccontare una storia. Infodump e mancanza di ritmo sono problemi tecnici (= non sai scrivere), non di “eccesso di documentazione”. Tant’è vero che si può essere infodumposi, noiosi e logorroici anche con una documentazione pari a zero (per esempio se si parla di un mondo inventato da zero).

    Ma almeno ti vergogni un po’? Mi aspettavo una rapida stroncatura basata su qualche formuletta, ma non questo. Quale divinità vuoi che ti fulmini? Scegli pure.

    Salgari sa di vecchio.
    Credo non lo leggerò mai.

  8. @Tenger: “Non proprio. La documentazione, in teoria, non è MAI troppa”
    su questo rispondo a te invece che al pischello Tapiro, tanto per cambiare. La tua è una affermazione troppo radicale che non prevede eccezioni, e questo, se non viene dimostrato, può essere un problema. Se scrivi una storia di un vecchio che passa le sue giornate seduto su una vecchia poltrona in una stanza vuota e che ricorda la sua storia d’amore di tanti anni prima con una gelataia procace, devi saper scrivere, devi ritrarre bene la psicologia e il linguaggio dell’anziano. Non ti serve molto studiare le ricette del gelato artigianale, l’antica arte del tappezziere di poltrone e l’architettura degli anni 50. Nessuno ti vieta di farlo, ma non è affatto necessario in questo caso. Diverso è il discorso se prepari un racconto storico, fantascientifico o che comunque deve fare riferimento ad un’ambientazione complessa. Opinioni estremiste sullo scrivere e afa agostana non coesistono felicemente.

    @Prof.Tapiro: “Fondamentalmente stai confondendo due cose (e momenti) diversi: la documentazione e la scrittura”

    Oppure non hai capito.

    “Salgari sa di vecchio”
    LOL hai più pregiudizi di un leghista con il genero di colore. Non mi crei però un grande dolore perché Salgari non è certo uno dei miei preferiti.
    Ho letto il raccontino di Swanwick, la prima parte è carina. Mi giustifichi però l’ignobile finale aperto e la mancanza di una conclusione del vero background (non delle informazioni made in Nasa sul pianeta Io). Un racconto breve, più di ogni altro, richiede che alla fine sia tutto (o quasi) spiegato, magari con una trovata. Non ci siamo proprio. Sa di incompiuto.

    • Non è quello che ho detto io. Io ho detto che lo studio non è mai troppo, non che è necessario avere un Phd in ogni aspetto dell’ambientazione.
      Nella storia del vecchio sarà necessario documentarsi sulla psicologia del personaggio e accessorio documentarsi sulla ricetta del gelato. Ok. In che cosa conoscere ANCHE la ricetta danneggia la trama?
      La danneggia se la infovomiti sul lettore. Ma puoi anche usarla per un dettaglio (tipo lui che incontra la ragazza col carrello della spesa o che l’aiuta a preparare). I dettagli concreti (dettagli, non infodump a cazzo) sono quelli che rendono viva una storia.
      Magari per come va la storia non sarà necessario niente del genre, o il riferimento è talmente minuscolo e vago da non essere necessaria documentazione. Magari per il lettore è uguale. Ma saperlo non fa mai male. Non sarà INDISPENSABILE, ma non esiste mai TROPPO STUDIO, esiste solo non saper gestire la mole di informazioni.
      E’ come avere una vasta gamma di colori. Non hai mai troppe sfumature sulla tavolozza. Puoi usarne solo una parte (anzi, lo farai di sicuro), ma non ne hai mai TROPPE. La tonalità Verde Suocera potrebbe sempre venire utile.
      L’unico problema è che le tavolozze, come le capocce, hanno dei limiti di capienza. Quindi uno dovrà decidere se schizzarci più giallo o più verde (favorire l’indispensabile sull’accessorio), ma in linea teorica non hai mai troppe frecce al tuo arco.

  9. Un racconto breve, più di ogni altro, richiede che alla fine sia tutto (o quasi) spiegato, magari con una trovata.

    E chi l’ha detto?
    Il finale aperto rulla.

    SPOILER
    Se Swanwick non avesse scelto il finale aperto avrebbe dovuto rivelare se si trattava tutto di un’allucinazione o se Io fosse realmente senziente. Nel primo caso sarebbe stato come dire “era tutto un sogno” (ritenuto il finale più scadente possibile per qualsiasi storia); nel secondo sarebbe stato inadatto a una storia breve: se Io è davvero senziente, quali sono le conseguenze di questa scoperta? A questo punto Swanwick si sarebbe ritrovato con una premessa grande come quella creata da Asimov tra L’Orlo della Fondazione e Fondazione e Terra.

  10. Dunseny: ovunque passi, una garanzia di flammoni retard.
    Grazie al cielo hanno già detto gli altri tutto quel che avessi da dire.

    @Daghino: ^-^

  11. @Tengi: “In che cosa conoscere ANCHE la ricetta danneggia la trama?”
    Mai insinuato nulla del genere. Essere irrilevante non danneggia per forza.
    Ho detto : “Nessuno ti vieta di farlo, ma non è affatto necessario in questo caso”.
    Se il Tapiro arrivasse a dire che per scrivere un bel romanzo bisogna vestirsi di blu e io dicessi che non è sempre necessario indossare qualcosa di blu, tu non dovresti uscirne con un “In che cosa indossare ANCHE qualcosa di blu danneggia la trama?”

    “Non sarà INDISPENSABILE, ma non esiste mai TROPPO STUDIO, esiste solo non saper gestire la mole di informazioni.”

    adesso parli da prof. non da scrittrice. Gli scrittori si documentano se e quanto ne hanno bisogno. Sanno che scrivere per es Hard SciFi oppure un techno-thriller richiederà un lavoro di documentazione enorme. Per la storia del vecchio nella stanza potrebbe bastare conoscere il nonno, se lo chiami “documentazione” per me è OK.

    @Giovanni: “E chi l’ha detto? Il finale aperto rulla.”

    E chi l’ha detto? Questo finale aperto non rulla.
    senza spoilerare: non manca solo il finale (qualche volta può anche starci) soprattutto mancano motivazioni e causa della situazione descritta. La descrizione del pianeta è dettagliata (suppongo anche esatta), il plot e le sue cause no. Ai quesiti della storia ci sono troppi “perché si”.

    @Tapiro: “ovunque passi, una garanzia di flammoni retard”
    stiamo discutendo di quello che hai scritto e confrontiamo le rispettive opinioni. Cosa ti disturba?

  12. >>confrontiamo le rispettive opinioni.
    >>LOL hai più pregiudizi di un leghista con il genero di colore

    pick one

  13. mancano motivazioni e causa della situazione descritta.

    Non capisco a cosa ti riferisci. Se stai parlando del finale, mi sembra che la motivazione sia molto semplice: alla protagonista non rimane nessun’altra opzione.

  14. >>mancano motivazioni e causa della situazione descritta.
    ???
    Si trova sul pianeta per una missione scientifica. E’ in missione perché vuole scoprire qualcosa di importante ed essere importante.
    Trascina il corpo perché vuole che gli altri credano che lei sia una buona persona. E’ stata una persona mediocre tutta la vita e vuole essere notata almeno una volta.
    Salta perché ha la scelta tra morire anonima sulla superificie o diventare un’uber-intelligenza planetaria (o magari è tutto nella sua testa)

    Non vedo quale sia l’azione senza motivazione, qui ò_o

  15. @Tengi+Giovanni:
    vedo che siete ormai oltre lo spoiler e quindi mi adeguo: mi riferivo al pianeta macchina (il modo in cui parlava tra l’altro mi è piaciuto), perchè è una macchina? chi lo ha creato? perché vuole entrare in contatto? Questo è oltre il finale aperto, è mancanza di sostanza della storia.
    La possibilità che sia una allucinazione non è abbastanza enfatizzata perché sia una alternativa talmente forte da costituirne la trovata finale. Giovanni ha citato Asimov, bè Isaac era un maestro delle storie brevi (se hai dei dubbi su come sia possibile inserire una trama logica e una trovata finale leggi una delle sue storie brevi) oltre a documentarsi sul pianeta “Io” (per la precisione è un satellite) avrebbe pensato ad una trama più precisa. Chi lo ha costruito ? funzione? motivazioni? scopi segreti? perchè prova emozioni? Puoi lasciare qualche risposta insoluta ma non così tante, soprattutto in una storia breve. Non c’è nemmeno climax perché oltre al finale aperto e a nessuna trovata finale, viene rivelata subito l’idea del pianeta-macchina.

    @dagored: >>confrontiamo le rispettive opinioni. >>LOL hai più pregiudizi di un leghista con il genero di colore, pick one

    dai leggi meglio, la prima frase riguarda un discorso (la documentazione e il racconto di Swanwick), la seconda frase invece si riferiva al discorso su Salgari ed era una BATTUTA (come il tuo orso).

  16. >>Chi lo ha costruito ? funzione? motivazioni? scopi segreti? perchè prova emozioni?

    chi siamo? dove andiamo? perchè superman porta le mutande sui pantaloni? a che serve quel buchino sulla biro?

    >> Puoi lasciare qualche risposta insoluta ma non così tante, soprattutto in una storia breve.

    In una storia breve l’autore deve sfruttare e strizzare ogni sillaba e dittongo per ottenere la tua immediata immersione nella storia. Cosa tutt’altro che facile.
    Con 10 pagine a disposizione posso scusare l’autore di non aver specificato la marca dell’accendino negli alloggi del pilota in seconda..

    >>era una BATTUTA (come il tuo orso)

    stessa cosa, guarda

  17. @Dunseny:

    Secondo i tuoi presupposti, Incontro con Rama (non si capisce chi siano gli alieni), il film di 2001: Odissea nello Spazio (non si capisce chi abbia costruito i monoliti), Starship Troopers (non si capiscono le motivazioni profonde dell’ostilità con le due razze aliene del romanzo) sono tutti dei fallimenti di romanzi.
    No, volevo fare questa premessa, così comprenderai come mai dico che sei un idiota.

    Sei libero di continuare a commentare su questo articolo ma, come avrebbe detto Gamberetta, non ti risponderò più. E invito anche gli altri a non farlo. Non ne vale la pena.

  18. @Tapiro: “Secondo i tuoi presupposti, Incontro con Rama (non si capisce chi siano gli alieni), il film di 2001: Odissea nello Spazio (non si capisce chi abbia costruito i monoliti), Starship Troopers (non si capiscono le motivazioni profonde dell’ostilità con le due razze aliene del romanzo) sono tutti dei fallimenti di romanzi.”

    Hai citato 2 romanzi lunghi e un film di più di 2 ore. Noi stavamo parlando di racconti brevi. Persino Dago aveva capito.

    “così comprenderai come mai dico che sei un idiota.”

    La tua reazione è da bimbominchia.
    Hai sperato pateticamente un flame che non c’è stato e allora ci provi tu. Sei diventato meschino come il Duca. Cresci al più presto perché l’alternativa è rimanere come sei.

    @dagored: “In una storia breve l’autore deve sfruttare e strizzare ogni sillaba e dittongo per ottenere la tua immediata immersione nella storia. Cosa tutt’altro che facile.
    Con 10 pagine a disposizione posso scusare l’autore di non aver specificato la marca dell’accendino negli alloggi del pilota in seconda..”

    Forse ti sei perso qualche passaggio della discussione che facevo con Tenger e Giovanni.
    Ripeto: puoi lasciare qualche risposta insoluta ma non così tante, soprattutto in una storia breve.
    Swanwick aveva poco spazio per creare una struttura logica, un finale, il climax in 10 pagine?
    Ha però avuto pagine sufficienti per fornire queste info “indispensabili” per il lettore: Dedalus sparge zolfo e biossido di zolfo ad un’altezza di 200 km, il funzionamento di un lateral-plume,
    ipotesi sulla formazione di cristalli di zolfo sulla superficie, i composti metallici del nucleo di Io, dettagli sulla sua magnetosfera, temperature F° della superficie e del lago di zolfo fuso ecc. ecc.
    Tutti sanno che scrivere bene una storia breve è difficile. Se poi trascuri la trama, la documentazione NASA non ti salverà.

    @Tenger e Giovanni:
    grazie per la discussione interessante e simpatica. La cosa ha infastidito il padroncino di casa e Dagino . Li faccio contenti e sparisco per sempre.
    Tengi, in bocca a lupo per la vita :). Rimani così e non aprire mai un blog, prima o poi i blogger diventano tutti stronzi.

  19. Chi lo ha costruito? funzione? motivazioni? scopi segreti? perchè prova emozioni? Puoi lasciare qualche risposta insoluta ma non così tante, soprattutto in una storia breve. Non c’è nemmeno climax perché oltre al finale aperto e a nessuna trovata finale, viene rivelata subito l’idea del pianeta-macchina.

    Quelle sono tutte cose che sarebbero state esplorate in un romanzo lungo (forse). In un certo senso capisco la tua frustrazione, ma penso derivi dal fatto che quando stavamo leggendo il racconto io (e gli altri?) siamo rimasti rapiti dal fatto che è quasi verosimile che un satellite come Io, per le “proprietà elettroconduttrici” che ha (e che non mi permetto di discutere, le prendo così come mi vengono date), possa in realtà essere un gigantesco supercomputer senziente. E per me questo è sufficiente per far scattere il benedetto sense of wonder per la durata di quelle 16 paginette lì.
    Mi è piaciuto, mi ha intrattenuto, mi ha fatto sognare e ha stimolato la mia fantasia. Per me storie che non possono permettersi di lasciare finali in sospeso sono altre (chi mi viene a dire che il finale di Lost era bello si becca un cazzotto!).

  20. First: io APRIRO’ un blog
    Second: io sono GIA’ stronza ^_^

  21. La discussione è troppo culturale per me ma rispondo a Dago: il buchino serve a far entrare l’aria se no l’inchiostro non esce. 😀

  22. Ho copincollato il racconto e ne ho fatto un ePub/mobi che leggerò al più presto. Nel frattempo mi son procurato Domani il mondo cambierà, che leggerò subito dopo. Incrocio le dita.

    @Anacroma: gli scrittori di grossa fama si rivolgono spesso ad agenzie che gestiscono proprio gli aspetti di ricerca tecnica di informazioni per i romanzi (Stephen King, alla fine di Under the Dome, ringraziava se non ricordo male degli amici consulenti per gli aspetti cruciali del romanzo, ovvero l’amico medico, il fisico ecc.).
    Considerando poi che molto probabilmente Follett (lui così come altri grandi scrittori) avrà un’equipe di ghost writer, oltre che un’equipe di editor, mi chiedo quale sia l’effettivo contributo di certi autori. xD

  23. E in un’intervista a Ken Follet, diceva che lui non solo si documenta, ma ha addirittura un TEAM di ricercatori che si documenta per lui.

    Oddio, da che ne so io i libri di Follet sono comunque zeppi di inesattezze storiche, basati su una visione del medioevo vecchia di almeno vent’anni… Ma considerando che la mia fonte principale di informazioni è tvtropes, non mi fido molto di quello che so.
    Nessun esperto di storia medievale che abbia letto roba di Follet, da queste parti?

  24. @Taotor:

    Nel frattempo mi son procurato Domani il mondo cambierà, che leggerò subito dopo. Incrocio le dita.

    Orribile titolo italiano di Stations of the Tide. Il romanzo è bello e l’ambientazione molto suggestiva, ma è scritto in un modo intellettualoide ed episodico che trovo difficile da seguire e un po’ sgredevole.

    gli scrittori di grossa fama si rivolgono spesso ad agenzie che gestiscono proprio gli aspetti di ricerca tecnica di informazioni per i romanzi (Stephen King, alla fine di Under the Dome, ringraziava se non ricordo male degli amici consulenti per gli aspetti cruciali del romanzo, ovvero l’amico medico, il fisico ecc.)

    Confermo, ho visto simili ringraziamenti in diversi suoi romanzi, così come in quelli di altri scrittori americani (es. McCarthy). Credo comunque che King avesse come amici personali dei medici e/o biologi; anche prima di diventare molto famoso si era servito delle loro dritte.

    @Tales:

    Nessun esperto di storia medievale che abbia letto roba di Follet, da queste parti?

    Prova sullo Zweiblog, ne troverai di sicuro (ho il vago ricordo che lo stesso Zeta fosse un lettore dei romanzi medievali di Follett) ^_^

  25. Tapiro, lo sto leggendo (in ita), ed effettivamente lo stile non manca di qualsiasi scelta sbagliata (aggettivi risparmiabili, avverbi inutili, ecc.). Ma gli do comunque una possibilità, finché resisto. >.<

  26. @ ZeroTheQueen (Tales): letti i pilastri della terra. Ci sono degli errori (approssimazioni e inesattezze), ma il lavoro di ricerca (suo o di altri) c’è e si vede , soprattutto nell’architettura (o Arte della Muratura), che è la vera protagonista del libro. Nel complesso un buon romanzo (anni fa avrei detto un capolavoro, ma l’immagine che ne serbavo si è un po’ ridimensionata).
    Dal punto di vista del cacaminchia storico, invece, la serie TV che è stata tratta dal libro l’ho trovata (personalmente) da buttare.
    Degli altri libri “medioevali” di Follet, so solo per sentito dire. Il mio dominus ha letto “Ritorno a Kingsbridge” (o come si chiama :-P) e non è stato tenero nei commenti. Cmq, a “I Pilastri della Terra” un’occasione la darei: indipententemente dai (pochi) errori e strafalcioni, resta una lettura avvincente, con una cura nell’ambientazione che si percepisce nettamente.
    Se ti interessa il periodo, c’è un’avvincente rendition fantasy della conquista normanna fatta da Elizabeth Moon in “Surrender None” (che, personalmente, ritengo sia forse il migliore fra i suoi libri che ho letto). O invece potresti dare una chance a Turtledove (magari partendo dal Ciclo di Krispos). Se invece vuoi cose “storiche”, suggerisco Morgan LLywellyn (anche se la sua ambientazione tende ad essere quasi monomaniacalmente celtica nelle più svariate accezioni: molto bello “L’ultimo Principe”, ambientato poco dopo la battaglia di Kinshale).
    Spero d’esserti stato d’aiuto

  27. Pingback: Dancing with Vaporteppa | Tapirullanza

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