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I Consigli del Lunedì #14: Bug Jack Barron

Jack Barron e l'eternitàAutore: Norman Spinrad
Titolo italiano: Jack Barron e l’eternità
Genere: Slipstream / Thriller politico / Literary Fiction
Tipo: Romanzo

Anno: 1969
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 370 ca.

Difficoltà in inglese: ***

Off-camera gruff barroom voice over shouts: ‘Bugged?’ And an answering sound-collage as camera holds on the title: students heckling People’s America agitator, amens to hardrock Baptist preacher, mothers crying soldiers griping sour losers outside the two-dollar window.
Barroom voice in cynically hopeful tone: ‘Then go bug Jack Barron!’

Scocciate Jack Barron è uno dei programmi più seguiti d’America. Per un’ora, ogni mercoledì sera in prima serata, il frizzante Jack Barron prende telefonate dal pubblico e ascolta le lamentele della gente, per poi andarle a cantare in diretta ai potenti d’America. E’ potente, Jack Barron: il pubblico la ama, perché sta dalla loro parte; politici e industriali lo temono, perché nel giro di una puntata è in grado di rovinare la loro reputazione e compromettere la loro carriera. Quello che non sanno, è che Barron è un venduto, un corrotto, che contratta con i pezzi grossi per non sputtanarli, o per danneggiare degli avversari – insomma, il programma è truccato.
Ma la vita di Jack Barron è destinata a cambiare, il giorno in cui si mette sulla strada di Benedict Howards – uno degli uomini più potenti d’America, proprietario di una compagnia di criogenizzazione che studia un sistema per donare agli uomini la vita eterna. Ora Howards vuole far passare al Congresso una legge che gli dia il monopolio sulla criogenia, ma ha parecchi scheletri nell’armadio, e non ha nessuna intenzione di permettere che Barron gli rovini la festa. E Barron sarà costretto a decidere, se dannare definitivamente la sua anima accettando le folli proposte di Howards, o ritrovare l’onore perduto…

Alla sua uscita alla fine degli anni Sessanta, Bug Jack Barron fu etichettato come esempio rappresentativo della fantascienza New Wave. In realtà, gli elementi fantascientifici del romanzo – la criogenizzazione e il trattamento per l’immortalità – sono soltanto un pretesto per mettere in piedi un romanzo che parla d’altro: di politica, di corruzione, del potere della televisione, di intrighi. Un romanzo sociale con quella spruzzata punk da “anni della contestazione”.
Spinrad è già stato ospite di questo blog, quando ho parlato di quel libro singolare che è The Iron Dream – un romanzo interessante, benché pieno di difetti. Come vedremo, questo è anche il caso di Bug Jack Barron.

Putin's kiss

La politica è una cosa sporca.

Uno sguardo approfondito
Per capire il modo in cui è scritto Bug Jack Barron, immaginiamo un triangolo.  A uno dei vertici abbiamo lo stile trasparente; al secondo vertice, uno stream of consciousness logorroico in stile James-Joyce-dei-poveri-ma-quanto-sono-literary; al terzo vertice, una parlata slang che mi ha fatto pensare a GTA. Ecco: per tutto il romanzo, la prosa di Spinrad oscilla ora verso l’uno, ora verso l’altro di questi vertici, secondo l’estro del momento.
Se l’elemento slang è carino e non inappropriato, le derive literary sono semplicemente atroci. Quando un personaggio comincia a monologare, a riflettere su sé stesso e sulla sua vita, potete star certi che Spinrad ci infilerà pagine e pagine di nauseante e spocchioso flusso di coscienza 1. Flussi non soltanto difficili da seguire – perché hanno una punteggiatura e una sintassi ridotta al minimo – ma che dicono poco, perché si riducono a ripetere fino alla nausea (magari con costruzione differente) sempre gli stessi pochi concetti, le stesse poche immagini; come Howard, che è ossessionato dal cerchio della morte che si stringe attorno a lui, e continua a ripetere questa immagine ogni volta che entriamo in uno dei suoi monologhi. E non si può dire nemmeno che questi flussi caratterizzino meglio i personaggi, dato che spesso vediamo espressioni idiomatiche o immagini che credevamo tipiche di un personaggio passare nel monologo di un altro. Con poche differenze, quindi (per esempio, quelli di Howard sono più sconnessi e ossessivi di quelli degli altri), questi monologhi sono pure tutti uguali!

La regola aurea della narrativa di genere è: tutto ciò che non porta avanti la trama è inutile; elimina i dettagli inutili, evita i punti morti, perché altrimenti perderai l’attenzione del lettore. I monologhi di Bug Jack Barron commettono proprio questo errore, perché allungano il brodo, affaticando e annoiando a morte il lettore, senza aggiungere informazioni rilevanti.
Le cose peggiorano ulteriormente quando questa logorrea di Spinrad filtra nelle scene d’azione. A un certo punto della storia, muore un personaggio importante. La cosa, di per sé, colpirebbe il lettore. Senonché, Spinrad dilata la scena a dismisura, concentrandosi su ogni minima variazione nei pensieri del personaggio. Il risultato è che il lettore intuisce che il personaggio morirà pagine e pagine prima che ciò avvenga realmente, sicché alla sorpresa subentra la prevedibilità e quindi la noia (“Sì, ma quand’è che muore?”). La stessa morte del personaggio in questione, praticamente è girata al ralenti2. Risultato? Scena potenzialmente ottima, carica di pathos ed emozioni, completamente annacquata e resa insulsa da una scrittura clueless.

Triangolo stilistico

Ciao, sono lo stile di Spinrad!

Molto meglio le parti in slang, che a volte filtrano nei pensieri dei personaggi ma caratterizzano soprattutto i dialoghi del libro e le parti più concitate. Troviamo parole tagliate o storpiate (“nig” o “nigga” al posto di “nigger”), lingue mescolate (“get him on the line muy pronto“), turpiloquio (da “I don’t give a shit of you” in poi), verbi piegati a nuovi utilizzi (“I can always kamikaze you”), neologismi (“cats” inteso per “pezzi grossi” o “persone dell’ambiente”) e via dicendo. Questo stile non solo dà molto carattere ai dialoghi, ma soprattutto dà ritmo; le battute suonano più veloci, più vivaci, più piacevoli da leggere.
Questa parlata è una delle ragioni per cui vale la pena leggere il romanzo, ed è per questo che sconsiglio di leggere Bug Jack Barron in traduzione. Quella Urania che ho potuto vedere se la cava eliminando una buona metà delle espressioni slang e cercando di riprodurre in italiano (annacquandola) l’altra metà. I risultati sono piuttosto insulsi, ma la colpa non è soltanto dei sottopagati traduttori dell’Urania. L’italiano non ha il ritmo né la struttura compositiva dell’inglese, e non riesco a immaginare una traduzione capace di restituire la stessa “freschezza” dei dialoghi originali.

In realtà, neanche la componente slang è immune dal difetto di pigro appiattimento che abbiamo visto per lo stream of consciousness. In teoria, le parlate slang dovrebbero servire a differenziare una voce dall’altra, a dare un timbro particolare ad ogni personaggio. E fino a un certo punto ci riesce: i negri campagnoli che si collegano telefonicamente alla trasmissione di Barron parlano in modo diverso dal modo in cui parla il protagonista; i primi hanno un modo di parlare semplicemente rozzo, il secondo ha una lingua tagliente, inventa giochi di parole e neologismi. Ma spesso vediamo espressioni e costrutti che passano con nonchalance da un personaggio all’altro.
Un esempio: ad un certo punto, Howard definisce Barron un “baby-bolscevico”. La parola trasmette un’immagine denigratoria di Barron, colpevole non soltanto di essere uno sporco komunista, ma peggio, di essere un bambino, un bambino che gioca a fare il komunista. Fin qui, tutto okay: l’espressione in bocca a Howard ci sta molto bene. Ma poi vediamo che anche Barron pensa a sé stesso come un “baby-bolshevik”; e più avanti persino Sara, la donna che lo ama, userà questa espressione! Ecco quindi che il termine, invece che dare un timbro particolare ad uno dei personaggi, si spalma uniformemente su tutti, diventando inutile.

Obama nigga

Come ci insegna GTA, tutti i neri parlano così.

Nonostante questo, i personaggi principali riescono a ritagliarsi una loro individualità. Abbiamo il protagonista, uno stronzetto arrogante che sa fare il suo lavoro, ha una parolina cinica per tutti ed è disposto ad ammettere a sé stesso quanto ami essere pieno di soldi e donne che gliela danno; e che però, al contempo, è roso dal rimorso per essersi venduto e aver rinunciato agli ardori rivoluzionari giovanili. Benedict Howards è un vecchio cinico e aggressivo oltre ogni immaginazione, efficacemente paragonato a una lucertola, dalla faccia di pietra, gli occhi da matto e un’aura gelida che lo circonda, ossessionato dal desiderio di vivere per sempre; Sara Westerfeld, l’ex fiamma di Barron, che l’ha mollato dopo aver scoperto che si era venduto ma ancora segretamente innamorata di lui, gioca a fare l’attivista ma è una donna debole e un po’ nevrotica, bisognosa di un uomo forte e virilissimo che la protegga dal mondo; Lukas Greene, amico di Barron ai tempi del college, è un negro che vuole farsi largo nel mondo della politica nonostante il suo handicap razziale, ed è arrivato alla poltrona di Governatore ricorrendo ad ogni mezzo più o meno lecito.
Questi sono i quattro personaggi che si spartiscono il pov nel corso del romanzo. Le transizioni dall’uno all’altro non sono mai confusionarie, ma sono sempre segnate da un cambio di capitolo o di paragrafo. E il pov non regredisce mai a un narratore onnisciente, ma sta sempre ancorato ai pensieri del personaggio-pov del momento; di qui la plausibilità delle contaminazioni slang e stream of consciousness. Almeno da questo punto di vista, Spinrad ha fatto un buon lavoro.

Le scene ambientate durante la trasmissione sono le migliori. In video, Barron utilizza una parlantina sciolta che è quasi ipnotica. Fa filtrare le chiamate del pubblico dal suo assistente Vince Gelardi, e accetta solo quelle che gli sembrano particolarmente drammatiche o che sono in linea con il bersaglio che ha deciso di colpire quella sera. E sa gestire i tempi televisivi in modo impeccabile: calcola quanto manca al prossimo spot pubblicitario per assicurarsi di dire la battuta più ad effetto, il momento topico del discorso, subito prima del break; riesce a calcolare in tempo reale la scaletta del programma in modo da non lasciare punti morti nella serata; sa come pilotare un’intervista e come far dire ai politici in collegamento telefonico quello che vuole che loro dicano; e lanciando segnali a Gelardi, è in grado di accentuare l’effetto retorico delle sue parole con alcuni trucchetti di regia.
Barron dà effettivamente l’idea di essere bravo e di conoscere molto bene il mezzo televisivo, non rinunciando a neanche uno dei suoi trucchi. E bisogna plaudere a Spinrad per aver capito nella pratica come funziona una trasmissione televisiva di questo genere, e quale potere può dare al conduttore. Di conseguenza, queste scene sono appassionanti, spesso delle vere battaglie verbali che non hanno nulla da invidiare, per strategia e foga, a battaglie corpo a corpo. La puntata di Bug Jack Barron che chiude il libro (ottenendo così una chiusura ad anello molto elegante, dato che il romanzo comincia con una puntata) è estremamente avvincente; per contro, il finale vero e proprio è scialbo e poco in linea con il cinismo generale del libro.

Harry Potter battaglia rap

Anche le battaglie rap possono essere molto avvincenti.

Gli scontri verbali, le battaglie diplomatiche, la gara a chi fotte prima l’avversario, sono la vera anima del romanzo; i momenti più piacevoli da leggere, e quelli che danno un senso all’intera lettura. E sono gestiti con molta intelligenza – anche se talvolta ho avuto l’impressione che alcuni confronti girassero un po’ a vuoto.
Per contro, come già accennavo in apertura d’articolo, la trovata fantascientifica è puerile. Il segreto dietro il trattamento per l’immortalità, che costituisce una delle chiavi di volta della trama, è privo di qualsiasi base scientifica, e sembra architettato apposta per suscitare sdegno morale e conflitto nel lettore (e nel protagonista). Insomma, è una trovata pretestuosa e un po’ retorica; e del resto, è palese che a Spinrad della scientificità non fotte una sega.
Di conseguenza, chi cerchi un buon libro di fantascienza dovrebbe tenersi alla larga da questo romanzo. Bug Jack Barron è un thriller sulla politica e sui media, che fa un buon lavoro finché rimane in questo campo e diventa più improbabile mano a mano che se ne allontana. Nonostante le diverse falle, dovute in gran parte alla scarsa cura per lo stile tipica di Spinrad, Bug Jack Barron rimane un libro dalla forte personalità, un romanzo che non assomiglia a nessun altro nel panorama della narrativa di genere. Se l’argomento vi stuzzica, vale la pena di leggerlo.

The Barry Williams Show
Lo show di Jack Barron mi ha fatto venire in mente un altro show, quello di una canzone di Peter Gabriel. Dovevo avere 12 o 13 anni quando hanno dato la canzone su MTV (che allora guardavo), e ricordo che a quell’epoca il video mi aveva molto impressionato.

Lo show di Barry Williams è diverso da quello di Jack Barron; non è una trasmissione giustizialista, ma attinge al genere della tv del dolore. Questi due tipi di spettacolo hanno però una cosa in comune: fungere da valvola di sfogo per lo spettatore medio-basso. In un caso scaricano le tensioni della giornata guardando un potente che viene preso a calci in faccia e umiliato, nell’altro freaks e casi umani che si accapigliano o sciorinano un melodramma, ma lo scopo finale è lo stesso. Barry Williams e Jack Barron potrebbero anche essere la stessa persona.

Dove si trova?
In lingua originale, Bug Jack Barron si può trovare di sicuro su Bookfinder (solo txt), Library Genesis (txt, pdf, epub) e su mIRC. Fatto curioso, su Internet è quasi più facile trovare il libro in francese che non in inglese (ma si sa: questi francesi ci vanno a nozze con la denunzia sociale!).
Su Emule si può trovare senza problemi l’edizione italiana Urania, anche se, come ho già detto, leggere questo romanzo in traduzione toglie la metà del gusto…

Chi devo ringraziare?
Devo aver letto da qualche parte che Bug Jack Barron è uno dei libri preferiti di Francesco Dimitri (sì, quello del buon Pan e dell’orrido Alice nel paese della fuffosità). Forse l’ho letto proprio sul suo blog, ma non sono riuscito a ritrovare il post o il commento dove l’ha detto, quindi il mistero permane.

Qualche estratto
Per correttezza, ho deciso di inserire un estratto bello e un estratto brutto. Il primo è tratto dalla trasmissione di Jack Barron; il secondo, è il primo degli interminabili, osceni e probabilmente blasfemi monologhi di Howards (dove tra l’altro si esprime come un supercattivo dei cartoni animati):

1.
“Okay, Mr Johnson (you silly fucker you),” Jack Barron said. “We’re back on the air. You’re plugged into me, plugged into the whole United States and all hundred million of us, plugged right into a direct vidphone line to the headquarters of the Foundation for Human Immortality, the Rocky Mountain Freezer Complex outside Boulder, Colorado. We’re gonna find out whether the Foundation’s pushing postmortem segregation, right here right now no time-delay live from the man himself, the President and Chairman of the Board of the Foundation for Human Immortality, the Barnum of the Bodysnatchers, your friend and mine, Mr Benedict Howards.”
Barron made the connection on his number two vidphone, saw the hard-looking (like to get into that) secretary chick’s image appear under him (ideal position) in lower right on the monitor, gave her a dangerous pussycat (claws behind velvet) smile and said, “This is Jack Barron calling Mr Benedict Howards. A hundred million Americans are digging that gorgeous face of yours right now, baby, but what they really want to see is Bennie Howards. So let’s have the bossman.” Barron shrugged, grinned.
“Sorry about that. But don’t worry, baby, you can leave your very own private phone number with my boy Vince Gelardi.” (Who knows?)
The secretary stared through the smile like a lemur, her telephone-operator voice said, “Mr Howards is in his private plane flying to Canada for a hunting and fishing vacation and cannot be reached. May I connect you with our Financial Director, Mr De Silva. Or our — ”
“This is Jack Barron calling Benedict Howards,” Barron interrupted (what goes here?). “Of Bug Jack Barron. You do own a television set, don’t you? I have on the line a Mr Rufus W. Johnson who’s mighty bugged at the Foundation, and I’m bugged, and so are a hundred million Americans, and we all want to talk to Bennie Howards, not some flunky. So I suggest you move that pretty thing of yours and get him on the line muy pronto, or I’ll just have to bat the breeze about Mr Johnson’s public charge that the Foundation refuses to freeze Negroes with some cats who see things a little differently from the way the Foundation sees ‘em, dig?”

«Bene, signor Johnson (pezzo di imbecille)», disse Jack Barron. «Siamo di nuovo in onda. Lei è collegato con me, collegato con tutti gli Stati Uniti e siamo in cento milioni, collegati in linea diretta con il vidifono del quartier generale della Fondazione per l’Immortalità Umana, il Complesso delle Montagne Rocciose alla periferia di Boulder, Colorado. Adesso scopriremo perché la Fondazione spinge la segregazione razziale anche dopo la morte, proprio adesso, in diretta e senza indugio, e lo sapremo personalmente dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione per l’Immortalità Umana, il Grande Barnum degli Ibernatori, il suo e mio amico Benedict Howards».
Barron stabili il contatto sul suo vidifono numero due, vide la segretaria dall’aspetto duro (mi piacerebbe controllare personalmente se poi lo è dovvero) nell’angolo inferiore destro del monitor, le rivolse un pericoloso sorriso felino (con-gli-artigli-nella-zampa-di-velluto) e disse: «Qui è Jack Barron che chiama il signor Benedict Howards. Cento milioni di americani stanno vedendo in questo momento il suo bel faccino, ragazza mia, ma in verità ci tengono di più a vedere Bennie Howards. Perciò ci passi il grande capo». Barron alzò le spalle e sogghignò. «Mi dispiace moltissimo. Ma non si preoccupi, bella pupa, può lasciare il suo numero personale di telefono al mio scagnozzo, Vince Gelardi» (Non si sa mai).
La segretaria guardò il suo sorriso come uno spettro, e la sua voce da centralinista telefonica disse: «Il signor Howards è a bordo del suo aereo privato ed è diretto in Canada per andare a caccia ed è impossibile mettersi in contatto con lui. Posso farla parlare con il nostro Direttore Finanziario, il signor De Silva. Oppure con il nostro…».
«Qui è Jack Barron che chiama Benedict Howards,» interruppe Barron (che cosa succede?) «Di Scocciate Jack Barron. Lei avrà pure un televisore, no? Ho in linea un certo signor Rufus W. Johnson, che è scocciato parecchio con la Fondazione, e sono scocciato anch’io e sono scocciati cento milioni di americani, e tatti quanti vogliamo parlare con Bennie Howards, non con un uomo di paglia. Perciò le consiglio di sbrigarsi e di passarmelo su questa linea muy pronto, o dovrò proprio credere che l’accusa del signor Johnson, secondo la quale la Fondazione si rifiuta di ibernare i negri è fondata, chiaro?».

2.
Forever? Howards thought. Really, this time I could smell it on the doctors’ sweat, see it in their fat little bonus smiles. The bastards think they’ve done it this time. Though they’d done it before. But this time I can taste it, I can feel it; I hurt in the right places.
Forever… Push it back forever, Howards thought. Fading black circle of light, big-eyed night nurses, daytime bitch with her plastic professional cheeriness back in the other sheets in the other hospital in the other year tube, wormlike, up his nose down his throat, in his guts, membranes clinging and sticking to polyethylene like a slug on a rock, with each shallow breath an effort not to choke, not to reach up with whatever left rip-gagging tube from nose-throat rip blood-drip needle from left arm, glucose solution from right; die clean like a man, clean like boyhood Panhandle plains, clear-cut knife-edge between life and death, not this pissing away of life juices in plastic, in glass, in tubes and retches enemas catheters needles nurses faded faggot vases of flowers…
But the circle of black light contracting, son of a bitch, no fading black circle of light snuffs out Benedict Howards! Buy the bastard, bluff him, con him, kill him! No dumb-ass wheel flipping to goddam Limey limousine gives lip to Benedict Howards. Hate the bastard, fight him, burn him out, buy him, bluff him, con him, kill him, open up the circle of black light… wider, wider. Hate tubes hate nurses hate needles sheets flowers. Show ‘em! Show ‘em all they don’t kill Benedict Howards.
“No one kills Benedict Howards!” Howards found himself mouthing the words, the breeze now cold, warm weakness now gone, fight reflexes pounding his arteries, light cold sweat on his cheeks.

Per sempre? pensò Howards. Veramente, questa volta lo posso fiutare nel sudore dei medici, lo posso vedere nei loro sorrisi soddisfatti. Quei bastardi sono convinti di avercela fatta, questa volta. Anche prima credevano di avercela fatta. Ma questa volta posso sentirne il sapore, posso provarne la sensazione fisica: fa male nei punti giusti.
Per sempre… L’hai ricacciato indietro per sempre, pensò Howards. Cerchio di luce nera che sbiadisce, infermierine dai grandi occhi del turno di notte, infermiere del turno di giorno, quelle puttane, con quella fasulla gaiezza professionale, altre lenzuola nell’altro ospedale l’altro anno, e un tubo come un verme su dentro al suo naso giù per la sua gola, dentro alle sue viscere, membrane appiccicose attaccate al polietilene come una lumaca su di un sasso, ed ogni respiro poco profondo uno sforzo per non soffocare, per non muovere quello che è rimasto e strappare via quel tubo soffocante da naso e gola, strappare l’ago della trasfusione di sangue dal braccio sinistro, l’ago della fleboclisi al glucosio dal braccio destro; morire in modo pulito, come un uomo, pulito come nell’infanzia, con un confine netto come un taglio di coltello fra la vita e la morte, non questo pisciar via dei fluidi vitali nella plastica nel vetro nei tubi e vomiti enemi cateteri aghi infermiere maledetti vasi di fiori…
Ma il cerchio della luce nera si contrae, figlio di puttana, nessun cerchio di luce nera spegne Benedict Howards! Compra quel bastardo, imbroglialo, truffalo, distruggilo! Nessun cretino fottuto sceso da una maledetta berlina di gran lusso può dare ordini a Benedict Howards! Odia quel bastardo, combattilo, brucialo, compralo, imbroglialo, truffalo, distruggilo, spezza il cerchio della luce nera… più ampio, più ampio. Odia i tubi odia le infermiere odia gli aghi le lenzuola i fiori. Fallo vedere a tutti! Fallo vedere a tutti quanti che non possono uccidere Benedict Howards.
« Nessuno può uccidere Benedict Howards! » Howards si rese conto che stava aprendo la bocca per foggiare quelle parole, e la brezza adesso era fredda, la tiepida debolezza era scomparsa, i riflessi da combattente battevano nelle sue arterie e sulle sue guance c’era un leggero sudore gelido.

Tabella riassuntiva

Una storia piena di intrighi e battaglie dialettiche. Monologhi da brutta literary fiction.
La trasmissione di Jack Barron è una figata! Gli elementi fantascientifici sono pretestuosi.
Lo slang è divertente e dà carattere alla storia. I personaggi tendono a parlare tutti nello stesso modo.

(1) Peraltro, io sono contrario in generale all’uso dei flussi di coscienza. Per due motivi:
a. Il presupposto dello stream of consciousness è l’idea di riprodurre il flusso disordinato dei pensieri umani, che procede per associazione di idee piuttosto che secondo logica. Ma questo è impossibile. Il pensiero umano si muove su più piani contemporaneamente, percorrendo più di una linea di ragionamento alla volta, e mischiando tra loro parole, immagini, suoni, odori, scene. Uno stream of consciousness non potrà mai riprodurre in modo fedele il modo in cui pensiamo, è solo un altro artificio; allora, artificio per artificio, è molto più gradevole e onesto inserire i pensieri nella forma del normalissimo discorso diretto.
b. I nostri pensieri sono, per la maggior parte del tempo, triviali e insulsi. Frugare nella nostra testa con uno stream of consciousness non è molto diverso dallo scrivere una scena in cui il personaggio si sveglia, va in bagno, si lava, si fa la barba, torna in camera, apre l’armadio, sceglie i vestiti, si veste, va in cucina, prende il latte dal frigo e se lo versa in una tazza… Cioè, chissenefrega, no?
La sola eccezione che ammetto è quando il personaggio è allucinato/folle/in preda al panico, e si vuole trasmettere al lettore quel medesimo senso di smarrimento e di pensieri sconnessi. In questo caso, un uso moderato del flusso di coscienza può avere senso.Torna su

(2) Questo mi ha ricordato una scena dell’atroce jrpg Eternal Sonata. Credo che questa scena sia il capolavoro mondiale del ridicolo involontario: godetevela.

Ecco; Spinrad non raggiunge questi eccessi, ma l’impressione sgradevole rimane.Torna su

Gli Autopubblicati #03: L’ombra dell’incantatrice

L'ombra dell'incantatriceAutore: Giacomo “Dr. Jack” Mariani
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Romanzo

Anno: 2010
Pagine: 330 ca.





Clarion è un ladro professionista, con un passato che vuole dimenticare e tanta noia di vivere. Mette a segno un colpo dopo l’altro, ma nessuno sembra riempire quel vuoto che sente dentro; finché una notte, durante un furto alla torre dei maghi della città di Alveria, si imbatte in Isial Sethal. Isial fa parte di una rete di ribelli che vogliono rovesciare Wylhelm, il tiranno che ha conquistato l’arcipelago di Emeral con l’aiuto occulto di potenze straniere.
Inizialmente avversari, poi costretti a collaborare per salvaguardare i reciproci interessi, Clarion e Isial si imbarcheranno in un viaggio rocambolesco attraverso le città di Nevaria e di Emeral, e le isole dell’arcipelago, lui per dare un senso alla propria vita, lei per restituire la libertà alla sua gente. Sulle loro tracce, un nobile offeso nell’onore e uno spietato assassino del Kleg che sembra conoscere Clarion molto bene…

L’ombra dell’incantatrice è l’opera prima del Dr. Jack. Il romanzo è ambientato in un mondo che ricorda l’Italia rinascimentale, con la sua moltitudine di staterelli e città-stato, un’atmosfera mediterranea e un livello tecnologico paragonabile; in realtà non ne sono sicuro, perché come vedremo l’ambientazione del Dr. Jack è quantomai anonima. E’ un fantasy, ma il ruolo tutto sommato modesto della magia e la totale assenza di ogni forma di “bizzarria” e di sense of wonder lo rendono in realtà più vicino a un romanzo d’avventura alla Salgari.
L’idea alla base del romanzo è di scrivere un fantasy che abbia come protagonista un ladro anziché un guerriero o un mago, e che ponga in primo piano non combattimenti, battaglie campali e destini eroici, ma intrighi politici e diplomazia. La trovata non fa gridare al miracolo, ma poteva ugualmente uscirne una storia carina. Purtroppo non è così.
Long story short: L’ombra dell’incantatrice è un romanzo insulso e noioso, che non vale il tempo della lettura. Se ho scelto di parlarne ugualmente, non è per sparare a zero su un’opera che comunque verrebbe giudicata dal tempo, ma perché credo che individuarne con precisione gli errori e le possibili soluzioni sarebbe utile all’autore e a chiunque sia interessato di scrittura. L’approfondimento che segue sarà orientato a questo.
Anche Bakakura ha dedicato una recensione a L’ombra dell’incantatrice, in termini anche meno lusinghieri dei miei. Il suo articolo, rispetto al mio, si concentra più su dettagli e scene specifiche, mentre nel mio ho cercato una maggiore visione d’insieme; comunque, sono d’accordo con un buon 90% delle critiche mosse da Bakakura.

Salgari

“Come osi paragonar la mia persona a cotal imbrattacarte?” ingiunse flemmaticamente lo scrittore, carezzandosi gli eterni baffi.

Uno sguardo approfondito
Per rendere interessante una storia incentrata sulle trame politiche, è essenziale prima di tutto che le fazioni in gioco siano riconoscibili ed interessanti, in modo tale che il lettore si appassioni alla trama politica che le vede competere. In altre parole, è necessario da parte del lettore un investimento emotivo iniziale, prima di gettarlo in mezzo agli intrighi. E questo investimento si ottiene mostrando le fazioni in gioco prima di assegnarle dei nomi e dei ruoli, affidando poi il più possibile di worldbuilding alle deduzioni del lettore e il meno possibile agli spiegoni politici. Esempio: iniziare il romanzo con la presa del potere da parte di Wylhelm, in una scena che renda evidente la partecipazione occulta della potenza straniera; mostrare le prime fasi della resistenza, il modo in cui mercanti come il padre di Isial vengono spogliati di tutto mentre altri cercano riparo nelle isole selvagge, eccetera.
Il Dr. Jack fa l’esatto contrario, iniziando la storia in una città lontana dal cuore dei conflitti e gettandoci addosso da subito una pioggia di nomi, organizzazioni, alleanze, trame politiche che non solo sono pressoché incomprensibili (essendo noi all’inizio della storia), ma ammazzano istantaneamente la nostra curiosità. Nevaria, Emeral, Algeron: sono solo etichette di cui il lettore non ha esperienza diretta (ossia: mostrato) né attaccamento emotivo. Ergo: noia a palate 1.

D’altronde, le cose non migliorano quando dal piano del raccontato ci si sposta a quello dell’effettivo mostrato. Durante il romanzo ci si sposta molto, ma le città sembrano tutte uguali: anonimi agglomerati di case, palazzi e piazze, sfondi di cartapesta su cui si muovono mercanti, cortigiani, marinai e soldati altrettanto anonimi; così come anonime e cliché sono le scene che li coinvolgono, dallo scambio di malignità tra i cortigiani di Alveria alla rissa in stile western nella locanda di Nuova Luce. Le poche differenze tra un posto e l’altro sono ancora una volta affidate al raccontato – sotto forma di dialogo o di infodumpone in stile guida turistica: così, per esempio, la città di Olinam si differenzia dalle altre per la maggiore influenza che vi ha la Chiesa di Acham. E un bel chissenefrega no?

Guida a Nevaria

Venite a visitare questo bellissimo Paese, fatto di così tante parole e nessuna immagine!

Trattandosi di un romanzo basato sugli intrighi, poi, ci si aspetterebbe una certa attenzione a gestire la diplomazia in modo credibile e appassionante. E’ vero il contrario.
L’arte della diplomazia è basata sulle allusioni e sul non detto, più sui silenzi che sulle parole; il buon diplomatico cerca di esporsi il meno possibile ed esporre il più possibile il suo interlocutore, di impegnarsi il meno possibile e impegnarlo il più possibile, non tocca un argomento e non fa una domanda se non è ragionevolmente sicuro della risposta. In poche parole, la diplomazia è l’arte della sottigliezza. Al contrario, i personaggi de L’ombra dell’incantatrice – da Lady Isial al governatore di Nuova Luce a Lord Maer – parlano un sacco, sbraitano, provocano, si espongono, rivelano accidentalmente informazioni importanti, si stupiscono, tornano sui propri passi, sono sempre goffi, sopra le righe. Sembrano più le caricature di uomini politici che veri politici, dei ragazzini che recitano una parte. Il lettore non ha mai l’impressione di trovarsi in una corte, in mezzo a capaci uomini di Stato2.
Del resto, la maggior parte dei dialoghi del romanzo, compresi gli scontri verbali tra Clarion e Isial, suona artificiosa e poco ispirata. Prendiamo una delle scene iniziali: i due coprotagonisti che devono scappare dalla torre dei maghi dopo che è scattato l’allarme. Ora, quanto è credibile che, in una simile circostanza, Clarion e Isial continuino a provocarsi a vicenda (con Clarion che trova anche il tempo e lo spirito per fare l’arguto)? I personaggi del romanzo dovrebbero apparire moralmente ambigui e politicamente scorretti, ma la verità è che suonano semplicemente infantili. C’è qualche scena carina – come il gergo usato nella contrattazione tra Clarion e il delatore, a Olinam – ma costituiscono l’eccezione e non la norma.

I personaggi sono piatti. Il Dr. Jack ha forse creato Clarion come reazione ai soliti eroi fantasy alla D&D, ma il risultato è l’archetipo del rogue d&desco: arrogante, dalla parlantina sciolta, falsamente amorale, vive di colpi gobbi, ed è in cerca di forti emozioni, con in più il bonus del passato oscuro dal quale vuole redimersi. La sua relazione con Belthar sembra presa di peso da quella tra Roxas e Axel di Kingdom Hearts II – e già quella non era il massimo dell’originalità. Isial è la tipica tsundere; nelle intenzioni dell’autore dovrebbe essere una “stronza manipolatrice”, ma quello che viene mostrato al lettore è una tredicenne primadonna inadatta al ruolo di grande rivoluzionaria. Belthar è il personaggio con maggior potenziale, ma il suo conflitto interiore – tra la fedeltà al Kleg e l’affetto per il vecchio compagno – rimane poco sfruttato.
Gli altri comprimari sono delle macchiette: Lord Maer è l’aristocratico sdegnoso con l’onore ferito, Wairel il pirata arguto, Davir il rivoltoso duro e puro, e così via. Ognuno di loro ha un ruolo e vi si attiene. E quasi tutti parlano con la stessa voce, cosa che si nota soprattutto nei dialoghi più serrati, quando l’autore omette i nomi dei parlanti: più di una volta mi è capitato di non capire più chi stesse dicendo cosa.

L'arte della diplomazia

La prosa è sciatta. L’unica cosa che il Dr. Jack sembra gestire bene è il pov, che rimane sempre ancorato a uno dei tre personaggi punto di vista – Clarion, Isial, Belthar – e si sposta dall’uno all’altro solo in caso di fine di capitolo o di paragrafo. In compenso, L’ombra dell’incantatrice ci regala aggettivi a pioggia, costruzioni sintattiche sballate (dall’uso di indicativi in luogo di congiuntivi a quello di una preposizione al posto di un’altra), metafore improbabili (gli alberi delle navi al tramonto come denti marci di squali), descrizioni vaghe, ed espressioni goffe, come uomini che cadono “producendo un tonfo”, gente che sente “il suono di un pianto”, “curatore” in luogo di “guaritore” o “dottore” e così via.
Altro esempio: scena romantica. “Clarion si avvicinò, un passo dopo l’altro, fino a trovarsi di fronte a lei. Isial non riuscì a dire nulla: si sentiva immobilizzata mentre un flusso di emozioni si contorceva dentro di lei, fino a mischiarsi in uno strano, scottante, sentimento“. Siamo dalle parti del troisiano ‘ponte gettato contro il suo intimo’, per intenderci.
Altre volte, ho avuto l’impressione che il Dr. Jack volesse mostrare ma gliene fosse mancato il coraggio. Per esempio la scena della prigionia di Isial. Scena potenzialmente interessante, perché Isial viene torturata e umiliata, le viene impedito di dormire e di lavarsi, eccetera. L’autore mostra diversi particolari, ma si nota una certa reticenza, una tendenza a soffermarsi poco sui particolari disgustosi, sicché la scena rimane annacquata. Posso capire che a uno scrittore possa fare troppo schifo una situazione del genere, per riuscire a soffermarsi più di tanto sugli umori corporei che impestano il corpo della bella piuttosto che sulla muffa e i vermi del cibo che è stata costretta a mangiare; ma se non ce la fai, non scriverla del tutto! Non accontentarti!
Completa la galleria del brutto una compilation impressionante di refusi, che accentuano l’impressione di un’opera poco curata.

Tirando le somme, L’ombra dell’incantatrice è un’opera quasi del tutto fallata, e che del resto non ha nulla di geniale o meraviglioso da offrire. In realtà l’idea di fondo del romanzo -ossia le avventure di un ladro braccato a morte sullo sfondo di intrighi politici fra potenze – potrebbero anche essere interessanti. Ma ci vorrebbe una riscrittura completa, che tenesse conto di questi quattro elementi:
1. Fazioni subito riconoscibili e interessanti, che vengano introdotte al lettore prima delle complicate trame politiche che le vedono coinvolte;
2. Riduzione al minimo degli spiegoni (anche nei dialoghi), sostituiti da eventi che mostrino gli avvenimenti politici principali;
3. Battaglie diplomatiche condotte in modo credibile – gli uomini di Stato non dovrebbero sembrare dei tredicenni deficienti;
4. Personaggi complessi e affascinanti, in luogo del piattume attuale – il romanzo infatti si regge sui personaggi e sui loro rapporti reciproci;
oltre a un generale miglioramento del livello di scrittura.

Torture medievali

Anche gli antichi sapevano come divertirsi…

Dove si trova?
Il romanzo è scaricabile gratuitamente su questa pagina del suo blog, Fantasy Eydor, nelle versioni pdf, doc formato A4 e mobipocket. In alternativa, si trova anche nella Zwei-List.

Qualche estratto
Il primo estratto viene dal ridicolo battibecco tra Clarion e Isial nel primo capitolo cui ho accennato prima; il secondo è una delle poche scene che mi sia piaciuta, ossia lo scambio tra Clarion e il delatore a Olinam.

1.
La donna si avvicinò al corridoio guardando fuori. «Mi hai messa in un bel casino.»
«Ti ci sei ficcata da sola. Cosa pensavi di fare?»
«Il mio piano era perfetto. Hai rovinato tutto.» L’intrusa si sporse nel corridoio.
«Dilettante…» replicò Clarion, avvicinandosi alla porta; le passò di fianco. Sentì una mano che premeva sull’addome. Lanciò un’occhiata alla donna che lo bloccava.
«Non penserai di lasciarmi qua?»
«Il piano era di far saltare la parete e andarmene da lì» spiegò Clarion. «Ma non mi fidavo a portare più di una boccetta.»
«Quindi siamo fregati?» La donna sollevò le sopracciglia.
«Non so te, ma io avevo più di un piano per andarmene.»
«Se mi lasci qua giuro che lancerò l’allarme.»
«Secondo i miei calcoli arriveranno qua tra… trenta secondi. L’allarme suonerà lo stesso.» Clarion si allontanò.
Certo non posso esserne sicuro, ma è bello fingere di saperlo.
La donna corse verso di lui. Lo trattenne per il vestito. «È qua. L’intruso è qua.»
«Sta zitta, maledizione.» La spinse contro un muro, tappandole la bocca. Sentì il libro che divideva i loro corpi. Notò anche un alone quasi invisibile a pochi millimetri dalla sua pelle.
«D’accordo. Andiamo. Spegni quella luce.»
[…] «Cosa stai aspettando?» chiese la donna.
«Tra poco lo scoprirai, sta’ zitta e rimani nascosta.»
«E se invece ti denuncio?»
«Non lo farai se vuoi portarti fuori quel libro.»
La donna mugugnò una risposta con tono offeso. Dopo alcuni istanti di silenzio aggiunse. «Senti… forse possiamo aiutarci a vicenda. Ma voglio sapere il tuo nome.»
«Perdonami. Non mi fido di chi si fa sbattere da un mago per fottergli la chiave di un laboratorio.»

2.
Il delatore serrò le labbra e sospirò. Dopo alcuni istanti riaprì i bottoni, ma mantenne l’espressione guardinga mentre lanciava uno sguardo nel punto dove aveva visto lo smeraldo. Gli occhi dell’uomo scintillavano di avidità.
«Devo tagliare la pietra del rosticciere» riprese Clarion.
«Serve un amico papero?» Gli occhi del delatore si aprirono, brillando di curiosità. «Pelli di nottola?»
«Percorsi dei nottola, ma rimani sull’argomento.» Clarion controllò di nuovo Jalmur: sembrava essersi calmato. «Devo solo tagliare e salutare.»
«Avrai bisogno di un battezzatore bravo dopo, e un cravattaio.»
«Rimani sull’argomento. Tagliare e salutare.»
Il delatore annuì, conciliante. «Quindi i nottola?»
Clarion si grattò il mento. Stavolta senza secondi fini, il delatore sembrò capirlo. «Anche i drizzi, e non riprovare a imbarcarmi con le tue domande.»
«Ci vuole fregare?» L’espressione di Jalmur si fece più dura.
«Mi ha chiesto quali guardie mi interessano per capire quando voglio fare il colpo. Ma sa che non sono fatti suoi. »
Jalmur aprì la bocca per parlare.
«Noi parliamo dopo.» Clarion tornò a fissare il delatore. «Puoi appiattirla o farmi avere il rotolo?»
«Ho un rotolo, proprio qua. Ma non posso dartelo.»
«Posso copiarlo?»
Il delatore annuì.
«Chi lo ha appiattito?»
«Qualcuno che porta solo le sue orecchie nel giro.» Il delatore mise una mano nella borsa e srotolò un foglio sul tavolo. Linee nere, e frecce. Una mappa.

Tabella riassuntiva

L’idea originale poteva essere interessante. Intrighi e battaglie diplomatiche infantili.
E’ gratuito! Ambientazione anonima, nomi che non dicono niente.
Personaggi piatti e cliché.
Stile goffo e infarcito di refusi.

In conclusione: BOCCIATO CON RISERVA No

Nottola

Esempio di nottola. Che simpatico animaletto.

(1) Questo, tra l’altro, è lo stesso problema che si riscontra nel secondo capitolo di Zodd. Problema che non può essere aggirato in nessun modo: l’unica soluzione, è ripensare la storia in modo tale da mostrare al lettore i gruppi politici del romanzo in azione prima di inserirli in uno schema politico.Torna su
(2) A proposito di buoni esempi di diplomazia mostrati in un romanzo, consiglio due libri di Swanwick che ho letto di recente: Vacuum Flowers e Stations of the Tide. In particolare il secondo; i dialoghi tra il burocrate, Korda e Philippe sono un ottimo esempio di gioco di potere diplomatico, non suonano mai infantili e, al contrario, possono mettere il lettore a disagio.Torna su