Autore: Norman Spinrad
Titolo italiano: Jack Barron e l’eternità
Genere: Slipstream / Thriller politico / Literary Fiction
Tipo: Romanzo
Anno: 1969
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 370 ca.
Difficoltà in inglese: ***
Off-camera gruff barroom voice over shouts: ‘Bugged?’ And an answering sound-collage as camera holds on the title: students heckling People’s America agitator, amens to hardrock Baptist preacher, mothers crying soldiers griping sour losers outside the two-dollar window.
Barroom voice in cynically hopeful tone: ‘Then go bug Jack Barron!’
Scocciate Jack Barron è uno dei programmi più seguiti d’America. Per un’ora, ogni mercoledì sera in prima serata, il frizzante Jack Barron prende telefonate dal pubblico e ascolta le lamentele della gente, per poi andarle a cantare in diretta ai potenti d’America. E’ potente, Jack Barron: il pubblico la ama, perché sta dalla loro parte; politici e industriali lo temono, perché nel giro di una puntata è in grado di rovinare la loro reputazione e compromettere la loro carriera. Quello che non sanno, è che Barron è un venduto, un corrotto, che contratta con i pezzi grossi per non sputtanarli, o per danneggiare degli avversari – insomma, il programma è truccato.
Ma la vita di Jack Barron è destinata a cambiare, il giorno in cui si mette sulla strada di Benedict Howards – uno degli uomini più potenti d’America, proprietario di una compagnia di criogenizzazione che studia un sistema per donare agli uomini la vita eterna. Ora Howards vuole far passare al Congresso una legge che gli dia il monopolio sulla criogenia, ma ha parecchi scheletri nell’armadio, e non ha nessuna intenzione di permettere che Barron gli rovini la festa. E Barron sarà costretto a decidere, se dannare definitivamente la sua anima accettando le folli proposte di Howards, o ritrovare l’onore perduto…
Alla sua uscita alla fine degli anni Sessanta, Bug Jack Barron fu etichettato come esempio rappresentativo della fantascienza New Wave. In realtà, gli elementi fantascientifici del romanzo – la criogenizzazione e il trattamento per l’immortalità – sono soltanto un pretesto per mettere in piedi un romanzo che parla d’altro: di politica, di corruzione, del potere della televisione, di intrighi. Un romanzo sociale con quella spruzzata punk da “anni della contestazione”.
Spinrad è già stato ospite di questo blog, quando ho parlato di quel libro singolare che è The Iron Dream – un romanzo interessante, benché pieno di difetti. Come vedremo, questo è anche il caso di Bug Jack Barron.
Uno sguardo approfondito
Per capire il modo in cui è scritto Bug Jack Barron, immaginiamo un triangolo. A uno dei vertici abbiamo lo stile trasparente; al secondo vertice, uno stream of consciousness logorroico in stile James-Joyce-dei-poveri-ma-quanto-sono-literary; al terzo vertice, una parlata slang che mi ha fatto pensare a GTA. Ecco: per tutto il romanzo, la prosa di Spinrad oscilla ora verso l’uno, ora verso l’altro di questi vertici, secondo l’estro del momento.
Se l’elemento slang è carino e non inappropriato, le derive literary sono semplicemente atroci. Quando un personaggio comincia a monologare, a riflettere su sé stesso e sulla sua vita, potete star certi che Spinrad ci infilerà pagine e pagine di nauseante e spocchioso flusso di coscienza 1. Flussi non soltanto difficili da seguire – perché hanno una punteggiatura e una sintassi ridotta al minimo – ma che dicono poco, perché si riducono a ripetere fino alla nausea (magari con costruzione differente) sempre gli stessi pochi concetti, le stesse poche immagini; come Howard, che è ossessionato dal cerchio della morte che si stringe attorno a lui, e continua a ripetere questa immagine ogni volta che entriamo in uno dei suoi monologhi. E non si può dire nemmeno che questi flussi caratterizzino meglio i personaggi, dato che spesso vediamo espressioni idiomatiche o immagini che credevamo tipiche di un personaggio passare nel monologo di un altro. Con poche differenze, quindi (per esempio, quelli di Howard sono più sconnessi e ossessivi di quelli degli altri), questi monologhi sono pure tutti uguali!
La regola aurea della narrativa di genere è: tutto ciò che non porta avanti la trama è inutile; elimina i dettagli inutili, evita i punti morti, perché altrimenti perderai l’attenzione del lettore. I monologhi di Bug Jack Barron commettono proprio questo errore, perché allungano il brodo, affaticando e annoiando a morte il lettore, senza aggiungere informazioni rilevanti.
Le cose peggiorano ulteriormente quando questa logorrea di Spinrad filtra nelle scene d’azione. A un certo punto della storia, muore un personaggio importante. La cosa, di per sé, colpirebbe il lettore. Senonché, Spinrad dilata la scena a dismisura, concentrandosi su ogni minima variazione nei pensieri del personaggio. Il risultato è che il lettore intuisce che il personaggio morirà pagine e pagine prima che ciò avvenga realmente, sicché alla sorpresa subentra la prevedibilità e quindi la noia (“Sì, ma quand’è che muore?”). La stessa morte del personaggio in questione, praticamente è girata al ralenti2. Risultato? Scena potenzialmente ottima, carica di pathos ed emozioni, completamente annacquata e resa insulsa da una scrittura clueless.
Molto meglio le parti in slang, che a volte filtrano nei pensieri dei personaggi ma caratterizzano soprattutto i dialoghi del libro e le parti più concitate. Troviamo parole tagliate o storpiate (“nig” o “nigga” al posto di “nigger”), lingue mescolate (“get him on the line muy pronto“), turpiloquio (da “I don’t give a shit of you” in poi), verbi piegati a nuovi utilizzi (“I can always kamikaze you”), neologismi (“cats” inteso per “pezzi grossi” o “persone dell’ambiente”) e via dicendo. Questo stile non solo dà molto carattere ai dialoghi, ma soprattutto dà ritmo; le battute suonano più veloci, più vivaci, più piacevoli da leggere.
Questa parlata è una delle ragioni per cui vale la pena leggere il romanzo, ed è per questo che sconsiglio di leggere Bug Jack Barron in traduzione. Quella Urania che ho potuto vedere se la cava eliminando una buona metà delle espressioni slang e cercando di riprodurre in italiano (annacquandola) l’altra metà. I risultati sono piuttosto insulsi, ma la colpa non è soltanto dei sottopagati traduttori dell’Urania. L’italiano non ha il ritmo né la struttura compositiva dell’inglese, e non riesco a immaginare una traduzione capace di restituire la stessa “freschezza” dei dialoghi originali.
In realtà, neanche la componente slang è immune dal difetto di pigro appiattimento che abbiamo visto per lo stream of consciousness. In teoria, le parlate slang dovrebbero servire a differenziare una voce dall’altra, a dare un timbro particolare ad ogni personaggio. E fino a un certo punto ci riesce: i negri campagnoli che si collegano telefonicamente alla trasmissione di Barron parlano in modo diverso dal modo in cui parla il protagonista; i primi hanno un modo di parlare semplicemente rozzo, il secondo ha una lingua tagliente, inventa giochi di parole e neologismi. Ma spesso vediamo espressioni e costrutti che passano con nonchalance da un personaggio all’altro.
Un esempio: ad un certo punto, Howard definisce Barron un “baby-bolscevico”. La parola trasmette un’immagine denigratoria di Barron, colpevole non soltanto di essere uno sporco komunista, ma peggio, di essere un bambino, un bambino che gioca a fare il komunista. Fin qui, tutto okay: l’espressione in bocca a Howard ci sta molto bene. Ma poi vediamo che anche Barron pensa a sé stesso come un “baby-bolshevik”; e più avanti persino Sara, la donna che lo ama, userà questa espressione! Ecco quindi che il termine, invece che dare un timbro particolare ad uno dei personaggi, si spalma uniformemente su tutti, diventando inutile.
Nonostante questo, i personaggi principali riescono a ritagliarsi una loro individualità. Abbiamo il protagonista, uno stronzetto arrogante che sa fare il suo lavoro, ha una parolina cinica per tutti ed è disposto ad ammettere a sé stesso quanto ami essere pieno di soldi e donne che gliela danno; e che però, al contempo, è roso dal rimorso per essersi venduto e aver rinunciato agli ardori rivoluzionari giovanili. Benedict Howards è un vecchio cinico e aggressivo oltre ogni immaginazione, efficacemente paragonato a una lucertola, dalla faccia di pietra, gli occhi da matto e un’aura gelida che lo circonda, ossessionato dal desiderio di vivere per sempre; Sara Westerfeld, l’ex fiamma di Barron, che l’ha mollato dopo aver scoperto che si era venduto ma ancora segretamente innamorata di lui, gioca a fare l’attivista ma è una donna debole e un po’ nevrotica, bisognosa di un uomo forte e virilissimo che la protegga dal mondo; Lukas Greene, amico di Barron ai tempi del college, è un negro che vuole farsi largo nel mondo della politica nonostante il suo handicap razziale, ed è arrivato alla poltrona di Governatore ricorrendo ad ogni mezzo più o meno lecito.
Questi sono i quattro personaggi che si spartiscono il pov nel corso del romanzo. Le transizioni dall’uno all’altro non sono mai confusionarie, ma sono sempre segnate da un cambio di capitolo o di paragrafo. E il pov non regredisce mai a un narratore onnisciente, ma sta sempre ancorato ai pensieri del personaggio-pov del momento; di qui la plausibilità delle contaminazioni slang e stream of consciousness. Almeno da questo punto di vista, Spinrad ha fatto un buon lavoro.
Le scene ambientate durante la trasmissione sono le migliori. In video, Barron utilizza una parlantina sciolta che è quasi ipnotica. Fa filtrare le chiamate del pubblico dal suo assistente Vince Gelardi, e accetta solo quelle che gli sembrano particolarmente drammatiche o che sono in linea con il bersaglio che ha deciso di colpire quella sera. E sa gestire i tempi televisivi in modo impeccabile: calcola quanto manca al prossimo spot pubblicitario per assicurarsi di dire la battuta più ad effetto, il momento topico del discorso, subito prima del break; riesce a calcolare in tempo reale la scaletta del programma in modo da non lasciare punti morti nella serata; sa come pilotare un’intervista e come far dire ai politici in collegamento telefonico quello che vuole che loro dicano; e lanciando segnali a Gelardi, è in grado di accentuare l’effetto retorico delle sue parole con alcuni trucchetti di regia.
Barron dà effettivamente l’idea di essere bravo e di conoscere molto bene il mezzo televisivo, non rinunciando a neanche uno dei suoi trucchi. E bisogna plaudere a Spinrad per aver capito nella pratica come funziona una trasmissione televisiva di questo genere, e quale potere può dare al conduttore. Di conseguenza, queste scene sono appassionanti, spesso delle vere battaglie verbali che non hanno nulla da invidiare, per strategia e foga, a battaglie corpo a corpo. La puntata di Bug Jack Barron che chiude il libro (ottenendo così una chiusura ad anello molto elegante, dato che il romanzo comincia con una puntata) è estremamente avvincente; per contro, il finale vero e proprio è scialbo e poco in linea con il cinismo generale del libro.

Anche le battaglie rap possono essere molto avvincenti.
Gli scontri verbali, le battaglie diplomatiche, la gara a chi fotte prima l’avversario, sono la vera anima del romanzo; i momenti più piacevoli da leggere, e quelli che danno un senso all’intera lettura. E sono gestiti con molta intelligenza – anche se talvolta ho avuto l’impressione che alcuni confronti girassero un po’ a vuoto.
Per contro, come già accennavo in apertura d’articolo, la trovata fantascientifica è puerile. Il segreto dietro il trattamento per l’immortalità, che costituisce una delle chiavi di volta della trama, è privo di qualsiasi base scientifica, e sembra architettato apposta per suscitare sdegno morale e conflitto nel lettore (e nel protagonista). Insomma, è una trovata pretestuosa e un po’ retorica; e del resto, è palese che a Spinrad della scientificità non fotte una sega.
Di conseguenza, chi cerchi un buon libro di fantascienza dovrebbe tenersi alla larga da questo romanzo. Bug Jack Barron è un thriller sulla politica e sui media, che fa un buon lavoro finché rimane in questo campo e diventa più improbabile mano a mano che se ne allontana. Nonostante le diverse falle, dovute in gran parte alla scarsa cura per lo stile tipica di Spinrad, Bug Jack Barron rimane un libro dalla forte personalità, un romanzo che non assomiglia a nessun altro nel panorama della narrativa di genere. Se l’argomento vi stuzzica, vale la pena di leggerlo.
The Barry Williams Show
Lo show di Jack Barron mi ha fatto venire in mente un altro show, quello di una canzone di Peter Gabriel. Dovevo avere 12 o 13 anni quando hanno dato la canzone su MTV (che allora guardavo), e ricordo che a quell’epoca il video mi aveva molto impressionato.
Lo show di Barry Williams è diverso da quello di Jack Barron; non è una trasmissione giustizialista, ma attinge al genere della tv del dolore. Questi due tipi di spettacolo hanno però una cosa in comune: fungere da valvola di sfogo per lo spettatore medio-basso. In un caso scaricano le tensioni della giornata guardando un potente che viene preso a calci in faccia e umiliato, nell’altro freaks e casi umani che si accapigliano o sciorinano un melodramma, ma lo scopo finale è lo stesso. Barry Williams e Jack Barron potrebbero anche essere la stessa persona.
Dove si trova?
In lingua originale, Bug Jack Barron si può trovare di sicuro su Bookfinder (solo txt), Library Genesis (txt, pdf, epub) e su mIRC. Fatto curioso, su Internet è quasi più facile trovare il libro in francese che non in inglese (ma si sa: questi francesi ci vanno a nozze con la denunzia sociale!).
Su Emule si può trovare senza problemi l’edizione italiana Urania, anche se, come ho già detto, leggere questo romanzo in traduzione toglie la metà del gusto…
Chi devo ringraziare?
Devo aver letto da qualche parte che Bug Jack Barron è uno dei libri preferiti di Francesco Dimitri (sì, quello del buon Pan e dell’orrido Alice nel paese della fuffosità). Forse l’ho letto proprio sul suo blog, ma non sono riuscito a ritrovare il post o il commento dove l’ha detto, quindi il mistero permane.
Qualche estratto
Per correttezza, ho deciso di inserire un estratto bello e un estratto brutto. Il primo è tratto dalla trasmissione di Jack Barron; il secondo, è il primo degli interminabili, osceni e probabilmente blasfemi monologhi di Howards (dove tra l’altro si esprime come un supercattivo dei cartoni animati):
1.
“Okay, Mr Johnson (you silly fucker you),” Jack Barron said. “We’re back on the air. You’re plugged into me, plugged into the whole United States and all hundred million of us, plugged right into a direct vidphone line to the headquarters of the Foundation for Human Immortality, the Rocky Mountain Freezer Complex outside Boulder, Colorado. We’re gonna find out whether the Foundation’s pushing postmortem segregation, right here right now no time-delay live from the man himself, the President and Chairman of the Board of the Foundation for Human Immortality, the Barnum of the Bodysnatchers, your friend and mine, Mr Benedict Howards.”
Barron made the connection on his number two vidphone, saw the hard-looking (like to get into that) secretary chick’s image appear under him (ideal position) in lower right on the monitor, gave her a dangerous pussycat (claws behind velvet) smile and said, “This is Jack Barron calling Mr Benedict Howards. A hundred million Americans are digging that gorgeous face of yours right now, baby, but what they really want to see is Bennie Howards. So let’s have the bossman.” Barron shrugged, grinned.
“Sorry about that. But don’t worry, baby, you can leave your very own private phone number with my boy Vince Gelardi.” (Who knows?)
The secretary stared through the smile like a lemur, her telephone-operator voice said, “Mr Howards is in his private plane flying to Canada for a hunting and fishing vacation and cannot be reached. May I connect you with our Financial Director, Mr De Silva. Or our — ”
“This is Jack Barron calling Benedict Howards,” Barron interrupted (what goes here?). “Of Bug Jack Barron. You do own a television set, don’t you? I have on the line a Mr Rufus W. Johnson who’s mighty bugged at the Foundation, and I’m bugged, and so are a hundred million Americans, and we all want to talk to Bennie Howards, not some flunky. So I suggest you move that pretty thing of yours and get him on the line muy pronto, or I’ll just have to bat the breeze about Mr Johnson’s public charge that the Foundation refuses to freeze Negroes with some cats who see things a little differently from the way the Foundation sees ‘em, dig?”
«Bene, signor Johnson (pezzo di imbecille)», disse Jack Barron. «Siamo di nuovo in onda. Lei è collegato con me, collegato con tutti gli Stati Uniti e siamo in cento milioni, collegati in linea diretta con il vidifono del quartier generale della Fondazione per l’Immortalità Umana, il Complesso delle Montagne Rocciose alla periferia di Boulder, Colorado. Adesso scopriremo perché la Fondazione spinge la segregazione razziale anche dopo la morte, proprio adesso, in diretta e senza indugio, e lo sapremo personalmente dal Presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione per l’Immortalità Umana, il Grande Barnum degli Ibernatori, il suo e mio amico Benedict Howards».
Barron stabili il contatto sul suo vidifono numero due, vide la segretaria dall’aspetto duro (mi piacerebbe controllare personalmente se poi lo è dovvero) nell’angolo inferiore destro del monitor, le rivolse un pericoloso sorriso felino (con-gli-artigli-nella-zampa-di-velluto) e disse: «Qui è Jack Barron che chiama il signor Benedict Howards. Cento milioni di americani stanno vedendo in questo momento il suo bel faccino, ragazza mia, ma in verità ci tengono di più a vedere Bennie Howards. Perciò ci passi il grande capo». Barron alzò le spalle e sogghignò. «Mi dispiace moltissimo. Ma non si preoccupi, bella pupa, può lasciare il suo numero personale di telefono al mio scagnozzo, Vince Gelardi» (Non si sa mai).
La segretaria guardò il suo sorriso come uno spettro, e la sua voce da centralinista telefonica disse: «Il signor Howards è a bordo del suo aereo privato ed è diretto in Canada per andare a caccia ed è impossibile mettersi in contatto con lui. Posso farla parlare con il nostro Direttore Finanziario, il signor De Silva. Oppure con il nostro…».
«Qui è Jack Barron che chiama Benedict Howards,» interruppe Barron (che cosa succede?) «Di Scocciate Jack Barron. Lei avrà pure un televisore, no? Ho in linea un certo signor Rufus W. Johnson, che è scocciato parecchio con la Fondazione, e sono scocciato anch’io e sono scocciati cento milioni di americani, e tatti quanti vogliamo parlare con Bennie Howards, non con un uomo di paglia. Perciò le consiglio di sbrigarsi e di passarmelo su questa linea muy pronto, o dovrò proprio credere che l’accusa del signor Johnson, secondo la quale la Fondazione si rifiuta di ibernare i negri è fondata, chiaro?».
2.
Forever? Howards thought. Really, this time I could smell it on the doctors’ sweat, see it in their fat little bonus smiles. The bastards think they’ve done it this time. Though they’d done it before. But this time I can taste it, I can feel it; I hurt in the right places.
Forever… Push it back forever, Howards thought. Fading black circle of light, big-eyed night nurses, daytime bitch with her plastic professional cheeriness back in the other sheets in the other hospital in the other year tube, wormlike, up his nose down his throat, in his guts, membranes clinging and sticking to polyethylene like a slug on a rock, with each shallow breath an effort not to choke, not to reach up with whatever left rip-gagging tube from nose-throat rip blood-drip needle from left arm, glucose solution from right; die clean like a man, clean like boyhood Panhandle plains, clear-cut knife-edge between life and death, not this pissing away of life juices in plastic, in glass, in tubes and retches enemas catheters needles nurses faded faggot vases of flowers…
But the circle of black light contracting, son of a bitch, no fading black circle of light snuffs out Benedict Howards! Buy the bastard, bluff him, con him, kill him! No dumb-ass wheel flipping to goddam Limey limousine gives lip to Benedict Howards. Hate the bastard, fight him, burn him out, buy him, bluff him, con him, kill him, open up the circle of black light… wider, wider. Hate tubes hate nurses hate needles sheets flowers. Show ‘em! Show ‘em all they don’t kill Benedict Howards.
“No one kills Benedict Howards!” Howards found himself mouthing the words, the breeze now cold, warm weakness now gone, fight reflexes pounding his arteries, light cold sweat on his cheeks.
Per sempre? pensò Howards. Veramente, questa volta lo posso fiutare nel sudore dei medici, lo posso vedere nei loro sorrisi soddisfatti. Quei bastardi sono convinti di avercela fatta, questa volta. Anche prima credevano di avercela fatta. Ma questa volta posso sentirne il sapore, posso provarne la sensazione fisica: fa male nei punti giusti.
Per sempre… L’hai ricacciato indietro per sempre, pensò Howards. Cerchio di luce nera che sbiadisce, infermierine dai grandi occhi del turno di notte, infermiere del turno di giorno, quelle puttane, con quella fasulla gaiezza professionale, altre lenzuola nell’altro ospedale l’altro anno, e un tubo come un verme su dentro al suo naso giù per la sua gola, dentro alle sue viscere, membrane appiccicose attaccate al polietilene come una lumaca su di un sasso, ed ogni respiro poco profondo uno sforzo per non soffocare, per non muovere quello che è rimasto e strappare via quel tubo soffocante da naso e gola, strappare l’ago della trasfusione di sangue dal braccio sinistro, l’ago della fleboclisi al glucosio dal braccio destro; morire in modo pulito, come un uomo, pulito come nell’infanzia, con un confine netto come un taglio di coltello fra la vita e la morte, non questo pisciar via dei fluidi vitali nella plastica nel vetro nei tubi e vomiti enemi cateteri aghi infermiere maledetti vasi di fiori…
Ma il cerchio della luce nera si contrae, figlio di puttana, nessun cerchio di luce nera spegne Benedict Howards! Compra quel bastardo, imbroglialo, truffalo, distruggilo! Nessun cretino fottuto sceso da una maledetta berlina di gran lusso può dare ordini a Benedict Howards! Odia quel bastardo, combattilo, brucialo, compralo, imbroglialo, truffalo, distruggilo, spezza il cerchio della luce nera… più ampio, più ampio. Odia i tubi odia le infermiere odia gli aghi le lenzuola i fiori. Fallo vedere a tutti! Fallo vedere a tutti quanti che non possono uccidere Benedict Howards.
« Nessuno può uccidere Benedict Howards! » Howards si rese conto che stava aprendo la bocca per foggiare quelle parole, e la brezza adesso era fredda, la tiepida debolezza era scomparsa, i riflessi da combattente battevano nelle sue arterie e sulle sue guance c’era un leggero sudore gelido.
Tabella riassuntiva
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(1) Peraltro, io sono contrario in generale all’uso dei flussi di coscienza. Per due motivi:
a. Il presupposto dello stream of consciousness è l’idea di riprodurre il flusso disordinato dei pensieri umani, che procede per associazione di idee piuttosto che secondo logica. Ma questo è impossibile. Il pensiero umano si muove su più piani contemporaneamente, percorrendo più di una linea di ragionamento alla volta, e mischiando tra loro parole, immagini, suoni, odori, scene. Uno stream of consciousness non potrà mai riprodurre in modo fedele il modo in cui pensiamo, è solo un altro artificio; allora, artificio per artificio, è molto più gradevole e onesto inserire i pensieri nella forma del normalissimo discorso diretto.
b. I nostri pensieri sono, per la maggior parte del tempo, triviali e insulsi. Frugare nella nostra testa con uno stream of consciousness non è molto diverso dallo scrivere una scena in cui il personaggio si sveglia, va in bagno, si lava, si fa la barba, torna in camera, apre l’armadio, sceglie i vestiti, si veste, va in cucina, prende il latte dal frigo e se lo versa in una tazza… Cioè, chissenefrega, no?
La sola eccezione che ammetto è quando il personaggio è allucinato/folle/in preda al panico, e si vuole trasmettere al lettore quel medesimo senso di smarrimento e di pensieri sconnessi. In questo caso, un uso moderato del flusso di coscienza può avere senso.Torna su
(2) Questo mi ha ricordato una scena dell’atroce jrpg Eternal Sonata. Credo che questa scena sia il capolavoro mondiale del ridicolo involontario: godetevela.
Ecco; Spinrad non raggiunge questi eccessi, ma l’impressione sgradevole rimane.Torna su
I Consigli del Lunedì #07: The Iron Dream
Titolo italiano: Il signore della svastica
Genere: Science Fiction / Metafiction / Literary Fiction / Ucronia / Pulp-trash
Tipo: Romanzo
Anno: 1972
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 260 ca.
Difficoltà in inglese: **
Avete mai letto l’ultimo romanzo di Adolf Hitler, Lord of the Swastika? No? Ma se ha pure vinto il premio Hugo nel 1954! Se è nato un gigantesco movimento di fan del libro, e se le uniformi dei Sons of the Swastika sono tra le più cosplayate ai convegni di fantascienza…? Ah, no, scusate, errore mio: ho sbagliato realtà^^
Norman Spinrad immagina un mondo alternativo in cui Hitler non è mai diventato leader del partito nazionalsocialista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il nostro baffino preferito ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti, dove si è riciclato come disegnatore e scrittore di fantascienza pulp. I conoscenti lo ricordano come un tipo tranquillo, forse un po’ strano.
Il suo più grande successo, completato pochi giorni prima della morte, parla di un mondo decadente, corrotto dai meticci e dalle mutazioni genetiche. Heldon, l’ultimo baluardo della purezza genetica, è minacciato dalle orde dei Dominatori, creature spietate che piegano la volontà degli individui e delle nazioni con la forza della mente; solo un uomo di razza purissima e di volontà ferrea – il giovane Feric Jaggar – potrà, radunando attorno a sé un pugno di uomini devoti e pronti a tutto, salvare il genere umano dall’imbastardimento definitivo. Toccherà a Feric ricostruire a Heldon una legione di Veri Uomini e guidarli alla legittima riconquista del mondo – e dell’intero Universo!
The Iron Dream è uno strano e delizioso esperimento diviso in tre parti: la prima, brevissima, consiste di una nota biografica sull’Hitler ucronico e della sua bibliografia; la seconda, che occupa il libro quasi per intero, è Lord of the Swastika, il romanzo scritto da Hitler; la terza, una Postfazione (Afterword) di una quindicina di pagine in cui un immaginario accademico commenta e analizza il romanzo.
L’esperimento è questo: se Hitler scrivesse un romanzo di fantascienza, cosa scriverebbe e come lo scriverebbe? Esperimento sviluppato in oltre duecento pagine di disgustosi meticci, uniformi di pelle nera, parate militari, baldi giovini dai capelli biondi e gli occhi azzurri, massacri su larga scala e iNioranza in dosi massicce.
Feric Jaggar è pronto a combattere per il futuro della razza umana! E TU?
Uno sguardo approfondito
In Lord of the Swastika confluiscono due anime.
Da una parte, la narrativa fantasy-fantascientifica di serie b (e in particolare l’heroic fantasy/sf) con i suoi cliché e le sue ingenuità. Feric Jaggar è il giovane predestinato che deve salvare il mondo; i cattivi sono cattivissimi, senza appello e senza motivazione; e mentre i buoni ce la fanno grazie all’intelligenza e all’organizzazione, i nemici sono orde senza cervello, che attaccano come zombie basando la loro forza sul numero. C’è anche l’arma leggendaria impugnabile soltanto da un eroe di stirpe regale, nella forma del Grande Manganello (Great Truncheon). Ci sono i balzi tecnologici improbabili. Soprattutto, è ripetuto e amplificato il wish-fulfillment nella sua forma più ingenua: tutto il romanzo non è che il susseguirsi di trionfi e di riconoscimenti della naturale superiorità dell’eroe su tutti i suoi avversari e su tutti i suoi discepoli 1.
Dall’altra parte, troviamo l’esasperazione della filosofia nazista e delle fissazioni private di Hitler. Per tutto il romanzo, il pov rimane saldamente ancorato sulle spalle di Feric: di conseguenza, noi vediamo il mondo filtrato dal suo tono di aristocratico esaltato, dal suo disgusto per le razze corrotte, dalla sua ossessione per la virilità, dall’eccitazione che gli provocano le uniformi e i bei giovani dai fieri occhi azzurri. Il disgusto di Feric per le “catastrofi genetiche” è palpabile. Ma non è solo questo. Tutto il mondo del romanzo si comporta in accordo con queste convinzioni: tutti i mutanti puzzano, e sono miserevoli; i Veri Uomini (Truemen) sono intelligenti, capaci e virtuosi quanto sono alti, biondi, con gli occhi azzurri e un fisico statuario.
Molti eventi del libro sono anche interpretabili come corrispettivi di alcune fasi storiche del Partito nazional-socialista 2.
Questi due elementi, messi insieme e portati all’eccesso, creano un romanzo grottesco-splatter che sfiora la parodia della bassa narrativa e in ogni caso è profondamente trash. La storia di Feric è un’escalation di violenza e di deliri di onnipotenza. Si va dal pestaggio di indifesi meticci fino ai genocidi, ma la violenza è talmente portata all’eccesso da essere cartoonesca più che gore.
The Iron Dream mi ha ricordato certi film di Rodriguez – Planet Terror, Machete, o anche il caro vecchio Dal tramonto all’alba – film che rifanno apposta il b-movie ma lo rifanno ridendoci sopra. The Iron Dream è un lungo b-movie.
Forse, come vedremo, troppo lungo.
Un gerarca dei Sons of the Swastika.
L’esperimento di Spinrad si porta infatti dietro degli handicap; in parte inevitabile conseguenza della natura iNiorante del romanzo e del fatto che a scriverlo sia Hitler, in parte dovuti alla sua incapacità come scrittore.
A partire dallo stile. Un po’ per ricalcare le ingenuità della letteratura di genere, un po’ per insistere sul dilettantismo e le ossessioni di Hitler, Lord of the Swastika è scritto male apposta. Abbondano le ripetizioni, le descrizioni statiche, l’aggettivazione pesante, gli infodump, personaggi piatti come un asse da stiro, il raccontato – anche se, all’occorrenza, l’autore è capace di mostrare efficacemente i momenti splatter o le parate militari del Partito. Ma Spinrad non è scusato del tutto: leggendo un altro suo libro, ho ritrovato in parte questa tendenza alle ripetizioni e all’aggettivo facile. Lo stile di Spinrad è realmente mediocre – in The Iron Dream questo aspetto è semplicemente amplificato. E comunque, calcare troppo la mano sullo scrivere male apposta può essere una buona strategia per un racconto breve o per una novella, ma non per un intero romanzo di oltre duecento pagine.
Lord of the Swastika soffre di ripetitività anche sul piano dei contenuti, soprattutto nella seconda metà del romanzo. Ogni capitolo si svolge su un piano più “grande” del precedente, ma la formula rimane la stessa. Ci sono pagine e pagine dedicati alle parate militari, alle nuove fikissime uniformi che Feric disegna per questo o quel corpo del Partito, ai nuovi esperimenti eugenetici promossi dai suoi laboratori.
Spinrad lo fa per sottolineare il carattere ossessivo dell’Hitler-scrittore, ed è anche divertente vedere fino a che punto si spinga la sua immaginazione, ma alla lunga la formula annoia. Se vuoi parlare della noia, fai attenzione a dedicarci lo stretto spazio necessario, prima che il lettore stesso si annoi; allo stesso modo, va bene insistere sulle fissazioni del nazismo, ma almeno sii creativo nel mostrarle, varia, tieni il lettore sulla corda! Spinrad questo non l’ha capito 3. La seconda metà del romanzo è decisamente troppo ripetitiva – anche se viene riscattata dall’ultimo capitolo del romanzo, assolutamente geniale 😀
Un ultimo possibile difetto di The Iron Dream è implicato nella sua stessa natura di metafiction. Immergersi completamente nel romanzo hitleriano è impossibile, non tanto perché non si possa abbracciare il punto di vista di un meganazista (ho letto libri, come alcuni di Mellick, dove succedono cose più terribili e l’empatia scatta lo stesso), quanto perché il tono trash-grottesco della narrazione ci ricorda continuamente che stiamo leggendo un libro. Il fatto stesso che ci sia una finta Postfazione (che tra l’altro è stupenda) distrugge ogni possibilità di catarsi.
Il lettore si trova davanti più la mente dello scrittore-psicopatico che non il contenuto del romanzo. Momenti di immersione e partecipazione emotiva ci sono, ma sono rari.
L’idea complessiva che mi sono fatto di The Iron Dream, quindi, è di un esperimento interessante e divertente, ma non del tutto riuscito. Con più impegno e più consapevolezza tecnica, Spinrad avrebbe potuto farne un capolavoro; così com’è, rimane un libro unico nel suo genere, che vale la pena provare a leggere, ma con ampissimi margini di miglioramento. I numerosi momenti di stanca, del resto, sono inframezzati da lampi di genio che valgono la lettura.
Potrebbe essere il libro ideale per chi cerchi un po’ di sano trash ma abbia bisogno anche di un sottofondo un po’ intellettuale: The Iron Dream provvede a entrambi.
Dove si trova?
In Italia il libro è stato pubblicato con il titolo del romanzo-nel-romanzo, ossia Il signore della svastica. Nel 2005 è stato ristampato da Fanucci, ma per quanto ne so anche questa edizione è pressoché introvabile. Ci si può senza timore affidare al Mulo.
Su library.nu si trova invece l’edizione in lingua originale.
Su Norman Spinrad
Spinrad non è un autore che mi convinca troppo. E’ uno di quegli scrittori che vuole sempre fare l’impegnato e lo sperimentale, ma che non ha un sufficiente bagaglio tecnico alle spalle per poterselo permettere. E’ il tipico autore che fa della fantascienza un trampolino di lancio per parlare d’altro, ma che non ha ancora capito troppo bene come funziona un romanzo.
Perciò, di Spinrad ho letto solo un altro libro:
Qualche estratto
Questa volta voglio proporre la bellezza di tre estratti. Il primo è preso dall’inizio del romanzo, dove facciamo la conoscenza di Feric e della sua strana visione del mondo, mentre il secondo descrive invece uno dei massacri indiscriminati che punteggiano allegramente il romanzo.
Il terzo, infine, è un breve e delizoso brano tratto dall’Afterword in coda al romanzo.
1.
Finally, there emerged from the cabin of the steamer a figure of startling and unexpected nobility: a tall, powerfully built true human in the prime of manhood. His hair was yellow, his skin was fair, his eyes were blue and brilliant. His musculature, skeletal structure, and carriage were letter-perfect, and his trim blue tunic was clean and in good repair.
Feric Jaggar looked every inch the genotypically pure human that he in fact was. It was all that made such prolonged close confinement with the dregs of Borgravia bearable; the quasi-men could not help but recognize his genetic purity. The sight of Feric put mutants and mongrels in their place, and for the most part they kept to it.
[…] With his heart filled with thoughts of his goal in fact and in spirit, Feric was almost able to ignore the sordid spectacle that assailed his eyes, ears, and nostrils as he loped up the bare earth boulevard toward the river.
[…] as Feric elbowed his way through the foul-smelling crowds, he spotted three Eggheads, their naked chitinous skulls gleaming redly in the warm sun, and brushed against a Parrotface. This creature whirled about at Feric’s touch, clacking its great bony beak at him indignantly for a moment until it recognized him for what he was. Then, of course, the Parrotface lowered its rheumy gaze, instantly gave off flapping its obscenely mutated teeth, and muttered a properly humble “Your pardon, Trueman.” For his part, Feric did not acknowledge the creature one way or the other, and quickly continued on up the street staring determinedly straight ahead.
Feric Jaggar dimostrava di appartenere sotto tutti gli aspetti al genotipo dell’uomo puro. Questo lo aiutava a sopportare una vicinanza tanto prolungata con la feccia di Borgravia; gli umanoidi non potevano non riconoscere la sua purezza genetica. La vista di Feric rimetteva al loro posto mutanti e meticci, che per lo più ci rimanevano.
[…] Assorto nelle riflessioni sulle proprie mete materiali e spirituali, Feric riuscì quasi a ignorare il sordido spettacolo che assaliva occhi, orecchie e narici mentre percorreva a lunghe falcate lo squallido viale terroso che portava al fiume.
[…] mentre si faceva largo a gomitate tra la folla puzzolente, Feric individuò tre tested’uovo dai crani nudi e fiammeggianti al sole, e si scontrò con un pappagalloide. Quest’ultimo si girò di scatto indignatissimo, ticchettandogli contro il beccaccio osseo per un attimo, prima di rendersi conto di chi era. Allora, naturalmente, abbassò gli occhi lacrimosi, smise all’istante di far crocchiare gli osceni denti da ibrido, anzi mormorò con la dovuta umiltà: «Mi perdoni Verouomo». Feric, da parte sua, fece finta di non vederlo e tirò diritto per la sua strada senza guardarsi intorno.
Hitler elogia la purezza genetica del suo alter-ego Feric durante una delle sue più celebri trasformazioni.
2.
Feric stood erect on the floor of the command car cabin bracing himself against the back of Best’s seat with his left hand; with his right, he pointed the shining steel fist that was the headpiece of the Great Truncheon at the heavens. “Hail Heldon!” he shouted, his mighty voice piercing the din. “Death to the Dominators and their Universalist slaves!” He brought the Steel Commander down in a great arc, and with an earthshaking roar of “Hail Jaggar,” the forces of the Swastika swept forward.
The line of motorcycles smashed into the leading edge of the horde in the park to the accompaniment of massed fire from squads of SS gunners. With great screams of fear and dismay, hundreds of the wild-eyed scum went down choking on their own blood while cold steel split skulls and wheels crushed the limbs of the fallen. Through the interstices in the forward line of motorcycles the Knights then charged, swinging their truncheons and swirling their chains, cracking limbs and smashing heads, consolidating the opening that the motorized SS had given them. Feric’s driver took the command car straight into the forefront of the battle. As Best and Render cut broad swathes through the panicked rabble with their submachine guns, Feric swung the Steel Commander in great arcs of destruction, smashing dozens of heads, crushing scores of limbs, cutting the torsos of the enemy in twain, wreaking incredible havoc with every blow. What a dashing sight this was to viewers all over Heldon, and what an inspiration to his men!
La prima linea di motociclisti si gettò contro l’avanguardia nemica sotto il fuoco di protezione di parecchi tiratori SS. Con grandi urla di terrore e sgomento, centinaia di miserabili dagli occhi allucinati caddero a terra nel loro stesso sangue mentre l’acciaio gelido disintegrava i crani e le ruote maciullavano le ossa di chi era al suolo. Lanciandosi negli spazi aperti dall’avanguardia di motociclisti, caricarono allora i Cavalieri, saettando i manganelli e facendo sibilare le catene, spezzando ossa e fracassando teste, e allargarono l’apertura che già le SS avevano creato per loro. L’autista di Feric portò la macchina proprio sul fronte principale degli scontri. Mentre Best e Remler decimavano la plebaglia stravolta a mitragliate, Feric descriveva con il Comandante d’Acciaio grandi archi di morte, maciullando dozzine di crani, spezzando decine di ossa, squarciando letteralmente a metà i nemici, per i quali ogni colpo rappresentava un’incredibile rovina. Che spettacolo eccitante per gli spettatori di Heldon, e che esempio per gli helder!
3.
As anyone with even a cursory layman’s knowledge of human psychology will realize, Lord of the Swastika is filled with the most blatant phallic symbolisms and allusions. A description of Feric Jaggar’s magic weapon, the so-called Great Truncheon of Held: “The shaft was a gleaming rod of … metal full four feet long and thick around as a man’s forearm … the oversize headball was a life-sized steel fist, and a hero’s fist at that.” If this is not a description of a fantasy penis, what is? Further, everything about the Great Truncheon points to a phallic identification between Hitler’s hero, Feric Jaggar, and his weapon. Not only is the truncheon fashioned in the shape of an enormous penis, but it is the source and symbol of Jaggar’s power. […] it is the phallus of maximum size, potency, and status, the sceptre of rule in more ways than one. When he forces Stag Stopa to kiss the head of his weapon as a gesture of fealty, the phallic symbolism of the’ Great Truncheon reaches a grotesque apex.
Tabella riassuntiva
(1) E’ interessante notare che comunque, pur essendo Feric truzzissimo e improbabile, è sempre meglio dei protagonisti del fantasy moderno. Feric vince sempre, ma effettivamente è meglio degli altri in tutto, e il rispetto dei suoi discepoli è perfettamente giustificato nel contesto del romanzo; Bella di Twilight (ed è solo un esempio) non sa fare niente, ma è un’eroina lo stesso.Torna su
(2) Questa mi è parsa una cattiva idea. L’esperimento di Spinrad sarebbe stato più interessante se Hitler avesse cercato vie alternative – più “fantastiche”, in accordo con la natura del genere – per far arrivare al potere il suo personaggio. Feric dovrebbe sembrare più una versione idealizzata di Hitler, che l’alter-ego dell’Hitler reale.Torna su
(3) Sulla ripetitività della formula di The Iron Dream si esprime pure Ursula K. LeGuin in questo articolo. Il suo giudizio sul romanzo è globalmente positivo, il suo giudizio sullo stile è “fai schifo”. In particolare:
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