Philip K. Dick Mainstream

Philip K. DickMolti di voi forse non sanno che, all’inizio della sua carriera, Philip Dick tentò di sfondare non come scrittore di fantascienza ma come autore mainstream. Sapete, quel nutrito gruppo di scrittori che vuole scrivere il “grande romanzo americano”, da Fitzgerald su su fino a Don DeLillo, Philip Roth – realizzare un ritratto della loro epoca, dell’uomo americano, dei sogni e delle speranze spezzate della loro generazione, cose così.
Dick scriveva racconti e romanzetti sf per non morire di fame, ma ci si impegnava poco, dedicando invece tutti i suoi sforzi nella produzione non di genere. Purtroppo per lui, mentre la sua roba fantascientifica andava a ruba (per quanto gli editori lo pagassero una miseria), i romanzi mainstream venivano puntualmente respinti. Dick continuò a provarci per tutti gli anni ’50, scrivendo anche due o tre libri all’anno; ma, frustrato dai continui insuccessi, abbandonò il mainstream per dedicarsi alla sola fantascienza quando, nel 1961, vinse il premio Hugo con The Man in the High Castle (che in effetti ha molto di mainstream).
Per fortuna, diremo noi, viste le figate che ha scritto dopo. Ma il perché di tanti rifiuti rimane un mistero, dato che diverse delle sue opere mainstream – pubblicate in massa dopo la sua morte – sono belle o quantomeno decenti (di certo, svariate volte meglio la media dei nostri deprimenti premi Strega, Campiello e compagnia cantante). La formula di questi romanzi è quasi sempre la stessa: giovani uomini o giovani coppie degli anni ’50 inseguono la felicità e l’autorealizzazione attraverso il lavoro, le infedeltà o altri hobby, ma raramente hanno successo. Sono romanzi cinici e amari; l’atmosfera mi ha ricordato libri come Revolutionary Road di Yates (da cui qualche anno fa Sam Mendes ha tratto un buon film con Di Capro e Kate Winslet). A leggerne più d’uno si nota anche una certa sensazione di déjà vu, ma il motivo è semplice: dato che continuavano a rimbalzarlo, capitava spesso che Dick recuperasse di peso personaggi o situazioni di un vecchio insuccesso e le riciclasse per un nuovo romanzo.
Dick tornerà al mainstream solo negli ultimi anni della sua vita, dopo un quindicennio di sola fantascienza. Ormai scrittore alla moda, non più costretto a scrivere tre o quattro romanzi all’anno per pagare le bollette e a mangiare cibo per cani, può di nuovo tentare di realizzare il suo sogno. Come già si è visto in fondo al mio articolo su Dick e The Zap Gun, molti dei suoi romanzi di questo periodo – come Flow my Tears o A Scanner Darkly o VALIS – rientrano solo di striscio nella fantascienza. Più ci si avvicina agli ultimi lavori, più la narrativa di genere cede il passo al romanzo psicologico mainstream – fino a un ritorno al mainstream vero e proprio con l’ultimo libro, The Transmigration of Timothy Archer.

Revolutionary Road

Un’immagine dal film di Sam Mendes. Kate Winslet non è bellissima, ma che tettone.

Tre romanzi
Di tutta la produzione mainstream di Dick che ho letto, ho scelto i tre romanzi migliori; due sono tratti dal periodo ’50-’60, il terzo è l’ultimo romanzo pubblicato da Dick in vita.
Da un punto di vista formale, sono libri che reggono bene il confronto con la sua produzione fantascientifica – anzi, in media sono scritti molto meglio dei suoi romanzi di fantascienza, perché Dick ci si è impegnato di più. Tuttavia, pur avendo ciascuno di essi una certa dose di stranezze ai limiti del paranormale, si tratta di opere ben distanti dalla narrativa fantastica.
Spero che i miei aficionados ne rimangano almeno un po’ incuriositi, anche se non è il loro genere.

Confessions of a Crap Artist

Confessions of a Crap ArtistTitolo italiano: Confessioni di un artista di merda
Genere: Mainstream / Slice of Life / Commedia

Anno: 1959 / 1975
Pagine: 170 ca.

Contrariamente a quello che il titolo farebbe pensare, questa non è un’autobiografia dello scrittore, ma la storia di un branco di borghesotti dalle idee confuse nella campagna di San Francisco.
I fratelli Isidore non sono gente sana. Jack, l’artista di merda del titolo, è uno sbandato di trent’anni, totalmente alienato dalla realtà e dai rapporti umani, che abita in una stanza ammobiliata ai limiti del vivibile e lavora in nero in una piccola attività illegale come ricostruttore di pneumatici consumati, per farli sembrare nuovi e rivenderli. Sua sorella Fay invece è una donna energica, capricciosa e nevrotica, che disprezza il fratello per le sue stranezze, gioca a fare l’intellettuale sofisticata ma quando si incazza parla come una scaricatrice di porto. Fay ha fatto il colpaccio sposando Charley Hume, pingue uomo d’affari benestante che non sembra avere altri interessi aldilà dei soldi e di una sana rispettabilità borghese. Ma mentre Charley adora la sua mogliettina sexy e intellettuale, Fay (pur amando i suoi soldi) disprezza la sua mediocrità – e cosa volete che succeda quando la coppia conosce Nathan e Gwen, lui studente universitario dalle grandi ambizioni, lei soltanto la sua timida ombra? Ignorato da tutti, trattato come un bambinetto ritardato, Jack Isidore osserva lo sfaldarsi e il deragliare delle due famiglie, fra tradimenti, manipolazioni, raptus di violenza e altre amenità. Complica la questione una setta di avventisti che preannunciano la discesa degli alieni per purificare l’umanità e la conseguente fine del mondo.
Il romanzo è strutturato come un esperimento sociale: prendiamo un po’ di individui con problemi irrisolti, gettiamoli in uno spazio circoscritto e vediamo cosa succede. Il punto di forza è naturalmente nei personaggi principali. Ce ne sono ben cinque, ma Dick riesce a caratterizzarli tutti benissimo: ognuno ha la propria voce, la propria visione del mondo, le proprie idiosincrasie. Tra tutti, il più interessante è sicuramente Jack Isidore, con la sua passione per le minchiate alla Voyager – la leggenda del Mar dei Sargassi, la teoria della terra cava, Atlantide, gli alieni – e la sua convinzione di guardare il mondo con la precisione di uno scienziato – colleziona fatti e oggetti, li raggruppa in categorie, li sottopone a stimoli e cerca di trarne conclusioni rigorose. Purtroppo, e nonostante il titolo del romanzo, Isidore rimane un po’ ai margini dell’intreccio, e le sue azioni hanno in genere un effetto minimo sulla trama: più che il protagonista della storia, l’artista di merda fa da cornice al romanzo.

Pneumatici consumati

Pneumatici consumati: la nuova frontiera dell’arte?

E questo mi porta a parlare di ciò che più azzoppa il libro, ossia la gestione sconclusionata dei punti di vista. Alcuni capitoli, come il primo, usando il pov in prima persona di Jack Isidore; altri, sempre in prima persona, quello di Fey; altri ancora hanno il pov di Charley e di Nathan, ma sono in terza persona. Il che non ha il minimo senso.
Sembra che da una parte Dick vorrebbe filtrare la vicenda attraverso il punto di vista stralunato di Isidore; ma che spesso sia costretto ad allontanarsene per seguire gli altri personaggi – le cui beghe avvengono spesso lontano dallo sguardo di Isidore. Le parti in prima persona col pov di Fay sono quelle riuscite peggio: Dick ha molto ben chiaro il personaggio quando lo guarda attraverso gli occhi degli altri quattro personaggi, ma quando prova a entrare nella sua testa la sua psicologia diventa fumosa e pasticciata. Meglio sarebbe stato se Dick si fosse accontentato di una terza persona ravvicinata che passasse da un pov all’altro al cambio di capitolo.
Nonostante questi difetti strutturali, Confessions of a Crap Artist è un bel romanzo mainstream. Pur non avendo l’esuberanza un po’ demente di The Zap Gun o di Ubik, è uno dei romanzi più divertenti di Dick, in parte grazie alla voce narrante lievemente autistica di Isidore (nei capitoli col suo pov), in parte perché tutto l’evolversi della vicenda ha un che di assurdo. Piccola nota di colore: l’Artista di merda sarà l’unico romanzo mainstream di Dick ad essere pubblicato durante la sua vita.

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The Man Whose Teeth Were All Exactly Alike

Titolo italiano: L’uomo dai denti tutti ugualiL'uomo dai denti tutti uguali
Genere: Mainstream / Slice of Life

Anno: 1960 / 1984
Pagine: 230 ca.

Siamo nella piccola cittadina di Carquinez, California. Costruita su un antico insediamento indiano, ciascun abitante se ne gloria ospitando nella propria casa quanti più cimeli antichi possiede, dalle punte di freccia ai frammenti d’osso. I Runcible e i Dombrosio sono vicini di casa.
Leo Runcible è un agente immobiliare di origini ebraiche; arrivato in città solo da pochi anni, non si è però mai integrato del tutto nella comunità, anzi – la sua intraprendenza commerciale e la sua prepotenza gli hanno guadagnato l’antipatia di molti. Non meno problematico è il suo rapporto con la moglie Janet, una donna dal temperamento fragile e nevrotico che passa le giornate sigillata in casa ad affogare le proprie angosce in alcol di pessima qualità. Anche Walt Dombrosio però ha i suoi problemi: artista senza ambizioni che lavora per una piccola compagnia pubblicitaria come designer di prodotti commerciali, è
velatamente disprezzato dalla moglie Sherry, donna bellissima e di ricca famiglia, che non esiterà a rendergli la vita un inferno.
Un piccolo screzio tra le due famiglie, un episodio di razzismo ai danni di Leo, una denuncia anonima, uno scherzo organizzato al vicino da parte di Walt, si trasformano in una valanga di ritorsioni e violenza che sconvolgerà per sempre la vita dei quattro personaggi e dell’intera cittadina. E che cos’è quel teschio dai denti tutti uguali sepolto nel sottosuolo del giardino dei Runcible?
Anche L’uomo dai denti tutti uguali è un romanzo psicologico; ma mentre l’Artista di merda mostra un numero chiuso di personaggi che interagiscono in un ambiente isolato, il teatro di questo romanzo è l’intera cittadina di Carquinez e la sua varia umanità. La vera protagonista della storia è quella trama di piccole invidie, opportunismi, tiri mancini, ripicche e pettegolezzi meschini tipica della vita di provincia. Anche l’atmosfera è diversa; il tono è cupo, non c’è umorismo, non ci sono personaggi positivi o simpatici, non c’è niente che stemperi la tensione e l’amarezza. Ciascuno dei protagonisti compirà, nel corso del romanzo, delle azioni spregevoli (tra cui una simpatica scena di stupro).

La prosa è meno curata rispetto a quella dell’Artista di merda, probabilmente perché il romanzo, essendo stato pubblicato postumo, non ha potuto avere un editing finale. Abbiamo così diverse cadute di ritmo – soprattutto nella seconda parte – e uno spazio eccessivo dedicato a eventi marginali e personaggi secondari.
In compenso la costruzione è migliore. Il pov si sposta, di capitolo in capitolo, tra i quattro protagonisti, ma la narrazione è sempre in terza persona. Nel corso della storia, poi, Dick inserisce tutta una serie di piccoli elementi e sottotrame – il piccolo cimitero abbandonato, le infiltrazioni nei tubi dell’acqua, i problemi alle fosse biologiche, la digressione sugli scherzi organizzati da Dombrosio, il racconto sugli uomini di Neanderthal – che paiono messi lì a caso, ma in realtà muovono la storia principale e si incastrano alla perfezione. Il risultato è che la cittadina di Carquinez suona viva e pulsante.
L’uomo dai denti tutti uguali è un romanzo tetro e un tantino angosciante, ma molto bello. Io lo trovo migliore dell’Artista di merda, ma in genere il primo riscuote più successo.

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The Transmigration of Timothy Archer

La trasmigrazione di Timothy ArcherTitolo italiano: La trasmigrazione di Timothy Archer
Genere: Mainstream / Slice of Life

Anno: 1982
Pagine: 250 ca.

Il vescovo Timothy Archer ha passato la vita nella lotta per i diritti civili e nello studio dell’antica filosofia gnostica, filone di pensiero mediorientale alla base di molte delle religioni misteriche di epoca greco-romana. Quando in Israele vengono rinvenuti i Rotoli Zadochiti, carte che dimostrerebbero che il pensiero attribuito a Cristo in realtà lo precederebbe di duecento anni, il vescovo diventa ossessionato dalla ricerca della verità circa le origini della religione cristiana. Le sue posizioni sempre più eretiche, assieme alla sua discutibile vita privata, lo renderanno impopolare e logoreranno tutta la sua famiglia fino a distruggerla.
Timothy Archer è un romanzo psicologico su una famiglia votata all’infelicità, ma anche un romanzo sulla ricerca della Verità attraverso la sapienza degli antichi, i medium, le peregrinazioni nel deserto (e altre amenità misticheggianti), passando per i culti new-age, i poteri psichici e John Lennon.
Ma ciò che lo rende affascinante è la scelta del pov: Timothy Archer è interamente scritto in prima persona attraverso il punto di vista di Isabel Archer, moglie del figlio del vescovo, alcuni anni dopo la quasi totale estinzione della famiglia. Con l’aiuto di Edgar Barefoot, un guru new-age mezzo ciarlatano, Isabel ripercorre la sua vita con gli Archer e le tappe che hanno portato alla loro morte, cercando di capire se Timothy è stato un profeta o solo un coglione; e soprattutto, che cosa deve fare, adesso che è sola, della propria vita.
La voce di Isabel è affascinante, e dà carattere a tutto il romanzo. Persona scettica e pragmatica, combattuta tra il rispetto per il vescovo e il rancore per quello che ha fatto a suo marito e alla sua amica, aspra, scazzata, ma anche fragile. Il suo filtro permette a Dick di parlare di visioni mistiche e misteri religiosi con la giusta dose di distacco critico.

Pedobear vescovo

Il vescovo Archer in una delle sue ultime apparizioni in pubblico.

Timothy Archer viene spesso considerato il terzo capitolo della famosa “trilogia di Valis” – la stessa Fanucci ha di recente pubblicato un volumozzo di 800 pagine circa chiamato così e comprendente il romanzo. In realtà non è così.
Dick aveva in programma un terzo romanzo per la trilogia – The Owl in Daylight – ma l’aveva appena abbozzato quando morì. E’ vero che scrisse Timothy Archer subito dopo VALIS e Divine Invasion, ma lo scrisse come romanzo autonomo: infatti è diverso il genere (non è fantascienza neanche nell’accezione più ampia del termine) ed è diverso anche l’approccio all’argomento mistico-religioso.
Fatta questa precisazione pignola, bisogna ammettere che ci sono molte somiglianze tra questo e gli altri due romanzi, se non altro perché pescano tutti dagli stessi argomenti: Dio, la religione cristiana, l’esistenza di un mondo spirituale e dell’anima, la predestinazione, il senso della vita. Dirò di più: rispetto agli altri due romanzi Timothy Archer ha un netto vantaggio, ossia l’essere scritto in modo più ‘normale’ e meno literary, senza le dissertazioni filosofico-saggistiche del primo e il simbolismo soffocante e quasi incomprensibile del secondo. A parte i salti avanti e indietro nel tempo – il tempo presente, con Isabel nella casa galleggiante del guru Barefoot, e i suoi flashback sulla vita degli Archer – la prosa è pulita e semplice. Per chi fosse incuriosito dall’ultimo Dick e dai suoi viaggi mistico-religiosi, La trasmigrazione di Timothy Archer è il romanzo da provare.

Dove si trovano?
Confessions of a Crap Artist e The Transmigration of Timothy Archer si trovano in lingua originale su library.nu, sia in pdf che in e-pub. Su Amazon.it, si può trovare The Man Whose Teeth Were All Exactly Alike in formato kindle a poco meno di 10 Euro – il che è un furto, ma meglio che niente. In alternativa, potete buttarvi sui torrent: quello comprendente Confessions of a Crap Artist e The Transmigration of Timothy Archer si trova qui, mentre quello con The Man Whose Teeth Were All Exactly Alike qui. Ringrazio Fos per la segnalazione dei torrent.
Tutti e tre i romanzi sono stati pubblicati in italiano dalla Fanucci, e sono tutti e tre disponibili su amazon.it; in particolare, Timothy Archer è compreso, come ho detto sopra, in un librone chiamato Trilogia di Valis, ma si può anche comprare sfuso in un’edizione più vecchia.

12 risposte a “Philip K. Dick Mainstream

  1. Sembrano tutti e tre molto interessanti, anche se in linea di massima preferirei quelli di fantascienza. Dico così, però Un oscuro scrutare mi è piaciuto di più degli Androidi, quindi può darsi benissimo che questi mainstream mi piacciano tanto ^^”’

  2. Uhm….Stavolta non mi hai convinto, bravo! 😀
    Il mainstream di Dick mi interessa poco, già lette così le prime due trame sanno di déjà-vu, e in ogni caso la sua produzione è molto più interessante. Anche perchè contiene comunque elementi di mainstream, quindi tanto vale buttarsi su quella.

    Meno male, se avessi tirato fuori altra roba interessante sarei stato costretto a togliere il tuo blog dal mio elenco di preferiti! 😀

  3. I torrent di Confessions of a Crap Artist e The Transmigration of Timothy Archer si trovano qui, mentre quello di The Man Whose Teeth Were All Exactly Alike qui

  4. Uno prova a fare una cosa diversa dal solito e guarda cosa ti dicono ù.ù

    @Fos: Bravissima, aggiorno l’articolo.
    E a questo punto eleggo Fos “fornitrice ufficiale di torrent” del blog xD

  5. XD
    Comunque ho passato luglio in compagnia della bibliografia di Dick (progetto di codifica in xml per un esame) e nel ’54 quest’uomo ha scritto decine di racconti, una cosa impressionante.

  6. Una rece molto bella, tutti e tre mi ispirano di brutto, anche se negli ultimi tempi ho un rapporto capriccioso con la lettura, comincio tante cose e finisco nulla, cosa che a te, a quanto leggo, sembra non succeda mai.
    (la foto del vescovo Archer in una delle sue ultime apparizioni in pubblico è deliziosa, lol)

  7. >The Man in the High Castle (che in effetti ha molto di mainstream).

    in che senso? perchè mancano robottoni e formiche elettriche? 😛

    Ammetto di non aver letto nessuno dei tre romanzi qui citati anche se anni fa ero stato tentato da “Confessions of a Crap Artist”, ma mi incuriosisce di più “L’uomo dai denti tutti uguali”, grazie per il suggerimento. Ho un rapporto di amore-odio per questo autore, alcune cose le adoro ma altre le trovo poco digeribili.
    Sarà per l’LSD che assumeva in abbondanza però Dick era IMO sempre geniale nella scelta dei titoli !
    Saluti Tapiro & Co …in particolare a Siobhán ovviamente 😉

  8. Comunque ho passato luglio in compagnia della bibliografia di Dick (progetto di codifica in xml per un esame) e nel ’54 quest’uomo ha scritto decine di racconti, una cosa impressionante.

    Considerando che il suo periodo di attività è di “soli” trent’anni, Dick ha prodotto una delle bibliografie più sterminate nella storia della letteratura (e un sacco di ciarpame, a dire la verità). Potrebbe gareggiare con Moorcock o con Simenon.

    negli ultimi tempi ho un rapporto capriccioso con la lettura, comincio tante cose e finisco nulla, cosa che a te, a quanto leggo, sembra non succeda mai

    Questo lo dici tu.
    Saranno tre settimane che provo a leggere (anche solo per interesse storico) The King of Elfland’s Daughter di Lord Dunsany, ma ogni volta cominciano a uscirmi fatine canterine dal naso e mi vengono i crampi allo stomaco.

    in che senso? perchè mancano robottoni e formiche elettriche?

    Perché il romanzo, pur essendo un’ucronia, ci mostra la vita quotidiana di gente (quasi tutta) comune.

    anni fa ero stato tentato da “Confessions of a Crap Artist”, ma mi incuriosisce di più “L’uomo dai denti tutti uguali”

    Fai bene, L’uomo dai denti tutti uguali è più bello.

  9. >The King of Elfland’s Daughter di Lord Dunsany

    lascia perdere non è il (mio) miglior lavoro.
    the gods of pegana e the book of wonder sono IMO ottimi

  10. Ho letto la merda e archer. L’artista di merda non mi è dispiaciuto, ma non mi ha entusiasmato, archer mi è piaciuto di più, ma preferisco romanzi dickiani più visionari.
    L’uomo dai denti tutti uguali mi ispira, ma meno del sognatore d’armi. Lo metto in lista senza fretta.
    Intanto ti ho assegnato uno di quegli stupidi blogpremi:
    http://conigliodellamoda.blogspot.com/2012/01/premio-liebsterliebster-prize.html

  11. the gods of pegana e the book of wonder sono IMO ottimi

    Vedremo ^-^

    Ho letto la merda

    Ehm, detto così…

    Intanto ti ho assegnato uno di quegli stupidi blogpremi

    LOL. Mi perdonerai se non lo consegno a mia volta ad altre cinque persone.

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