Autore: Hal Clement
Titolo italiano: Stella doppia 61 Cygni
Genere: Science Fiction / Hard SF
Tipo: Romanzo
Anno: 1953
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 220 ca.
Difficoltà in inglese: ***
In tutta la Via Lattea non c’è un pianeta come Mesklin. La violenza della sua accelerazione centrifuga gli ha dato una forma da pallone da rugby, schiacciato ai poli e stiracchiato all’equatore. Ha anche una massa immensa, e la sua attrazione di gravità varia dai 3G sull’Orlo (l’equatore) ai 700G ai poli. Ma nonostante le condizioni proibitive, Mesklin ospita vita intelligente: una razza di animaletti simili a millepiedi, robustissimi, che si muovono agganciandosi al terreno con le loro numerose zampe uncinate. E ora i terrestri hanno bisogno di loro.
Barlennan, capitano della nave mercantile Bree, è stato contattato dall’umano Charles Lackland per una missione della massima importanza. I terrestri hanno inviato un razzo al polo sud di Mesklin per compiere una serie di rilevazioni sulla gravità del pianeta; rilevazioni che potrebbero rivoluzionare le teorie fisiche sulla gravitazione dai tempi di Einstein. Ma proprio a causa dell’attrazione di Mesklin, il razzo non riesce più a lasciare la superficie. L’equipaggio di Barlennan dovrà raggiungere i poli – dove nessun umano potrà mai mettere piede – e recuperare le attrezzature per restituirle i terrestri; ma quale prezzo chiederanno i meskliniti per questa impresa? E cosa impareranno gli uni dagli altri le due specie?
Mission of Gravity è unanimemente riconosciuto come una delle massime vette raggiunte dall’Hard SF classica. Un romanzo che, come da tradizione del genere, parte da premesse incredibili – un pianeta schiacciato e dalla gravità altissima, e su cui c’è vita!? – e procede a illustrarle senza mai deviare dal rigore scientifico. Che genere di vita potrebbe ospitare un pianeta dalle condizioni così estreme? E come queste condizioni modificherebbero la forma mentis dei suoi abitanti? Come sarebbe percepito da loro il cosmo? Quali cose si potrebbero fare, e quali no? E così via.
Ma il romanzo di Hal Clement non è saggistica immaginaria – è anche un romanzo d’avventura! La ciurma della nave Bree, guidata dall’impavido (e scaltro) capitano Barlennan, e con l’aiuto di Lackland e dei terrestri in orbita attorno al pianeta, dovrà affrontare tutta una serie di ostacoli e imprevisti per raggiungere il polo sud. Pericoli che daranno all’autore l’occasione per illustrare vari aspetti della vita su Mesklin.
L’ambizione è quella di coniugare speculazione scientifica e narrativa di buon livello. Ci sarà riuscito?

Il mantra di Clement.
Uno sguardo approfondito
Una delle cose più spiazzanti del romanzo – e che contribuiscono a distinguere Mission of Gravity dal resto della Hard SF – sta nel fatto che i protagonisti, nonché punto di vista privilegiato della storia, non sono gli esseri umani ma i meskliniti. Il libro comincia infatti con il pov del capitano Barlennan, e attraverso i suoi occhi osserviamo i venti letali dell’inverno equatoriale che minacciano di spazzare via la loro nave spiaggiata, o il suo secondo Dondragmer che si erge sulle sei zampe posteriori per ancorare la nave.
Il bel sogno purtroppo dura poco. Da quando, alla fine del secondo capitolo, entra in scena l’umano Lackland, il punto di vista del romanzo retrocede a quello del narratore onnisciente. Per il resto del romanzo, Clement fa viaggiare la telecamera un po’ come gli capita, posandola osa su Lackland, ora sui generici scienziati in orbita attorno a Mesklin, ora su Barlennan, ora sui membri dell’equipaggio ‘in generale’, ora a volo d’uccello (onniscienza vera e propria). La cosa più sgradevole, è che questi salti di pov avvengono nel bel mezzo di un paragrafo senza alcun preavviso. Nel migliore dei casi, questo significa semplicemente poca immersione e percezione da parte del lettore di una ‘regia occulta’ che lo sballotta di qua e di là; in alcune situazioni più concitate, significa dover rileggere un passaggio più volte perché non si capisce più bene cosa stia succedendo o da quale angolo visuale si stia guardando la scena.
E in realtà, bisogna ammettere che la presenza del narratore onnisciente è presente in tutto il romanzo, anche nelle scene mostrare attraverso gli occhi dei meskliniti. Le parti scritte col pov di Barlennan, infatti, danno più che altro l’impressione di un documentario naturalista: immagini di animaletti che si muovono nell’ambiente selvaggio, con voice over del narratore che ci spiega cosa pensano, cosa provano, cosa li preoccupa. Tra noi e il personaggio punto di vista percepiamo sempre il filtro dell’autore; di conseguenza non ci immedesimiamo mai nella specie aliena, li vediamo sempre dal di fuori anche quando sono loro a dominare la scena.
La presenza del narratore onnisciente rende anche più indigesti gli infodump. Quando va bene, gli elementi dell’ambientazione sono mostrati nelle conseguenze che hanno per i personaggi o, più spesso, discussi nei dialoghi tra Barlennan e Lackland. Questi dialoghi, specie quando entrano nel dettaglio tecnico, suonano un po’ artificiosi, ma rimangono comunque preferibili alla media degli espedienti da Hard SF (tipo l’As You Know, Bob). Quando va male, l’autore in persona interrompe la narrazione – o si inserisce in un punto morto della stessa – per spiegarci questa o quella caratteristica del pianeta.

Un’approssimazione del pianeta Mesklin?
In Mission of Gravity troviamo anche un altro limite tipico dell’Hard SF: personaggi funzionali e bidimensionali come manichini. Ognuno dei personaggi segue fedelmente il suo ruolo istituzionale: Lackland è lo scienziato-antropologo che vuole stringere amicizia con i nativi; il Dottor Rosten è il capo della missione severo e pragmatico, ma, essendo anche un biologo, è pronto ad andare in sollucchero e a perdonare gli errori di Lackland in cambio della promessa di esemplari della vita di Mesklin da analizzare; Barlennan è il mercante-esploratore astuto, pronto a portare a termine una missione rischiosa in cambio di una contropartita; Dondragmer è il secondo diffidente ma fedele al suo leader. L’unica nota positiva nella caratterizzazione dei personaggi è l’esistenza di una certa evoluzione di Barlennan e Dondragmer nel corso della storia; tanto che nel finale entrambi regaleranno al lettore qualche piccola sorpresa.
Ma la nota più fastidiosa è la ragionevolezza, il buon senso che pervade sempre i personaggi e il rapporto tra le due specie, anche nei momenti di maggiori tensione. Lackland e Barlennan sono sempre in grado di discutere su come superare un determinato ostacolo con la massima naturalezza. Ora, penso che nemmeno degli etnologi di professione possano avere rapporti così idilliaci e razionali con i nativi della tribù africana o polinesiana che vanno a studiare, e stiamo pur sempre parlando di uomini della stessa razza e dello stesso pianeta! Possibile che i rapporti tra terrestri e millepiedi di un pianeta a 700G possa essere così idilliaco e così scevro di incomprensioni?
Il che ci porta al terzo, e più grave problema del romanzo: la brutta caratterizzazione della psicologia dei meskliniti.
Da un lato Clement fa un buon lavoro, quando si concentra sulla fisica del loro corpo o sulle conseguenze psichiche dell’ambiente in cui vivono. I meskliniti sono bassi e lunghi per meglio resistere alla pressione gravitazionale del pianeta, e hanno tante zampe (uncinate) per potersi sempre tenere ancorati al suolo e non rischiare di cadere. Da dove viene l’equipaggio della Bree infatti – ossia dalle fasce temperate di Mesklin – la gravità è così elevata che anche una caduta di pochi centimetri può significare la lacerazione di tutti gli organi interni e la morte. Di conseguenza, il suo popolo ha un terrore folle sia per le altezze, sia per avere qualcosa – di qualsiasi materiale – sopra la loro testa, e difatti le loro case non hanno un tetto. Quando ha portato la sua ciurma alle basse gravità dell’Equatore, Barlennan l’ha avvisata di non prendere l’abitudine di saltare o di sollevarsi troppo sulle zampe anteriori: se infatti per distrazione lo facessero anche una volta tornati nella loro patria, finirebbero quasi certamente per ammazzarsi.
Ma a parte questi tratti derivanti dalle condizioni particolari del pianeta, i meskliniti suonano terribilmente umani. Il loro modo di ragionare, di fare affari, di darsi una gerarchia, è identico al nostro. Anche quando l’equipaggio della Bree si imbatte in altre tribù e altri popoli della loro specie, queste creature non sono più strane o variegate dei selvaggi d’Africa di un racconto d’avventura dell’Ottocento, e spesso meno. Clement non si è chiesto che tipo di psiche potesse svilupparsi in una specie di millepiedi schiacciati al terreno, né si è premurato di inventarne una da capo a piedi. I meskliniti sembrano esseri umani in un un corpo di insetti.
Dove Clement dà il meglio di sé è nel worldbuilding. La velocità di rotazione del pianeta è tale che un giorno dura meno di 20 minuti. Nelle prime pagine del romanzo è piuttosto straniante sentire i personaggi parlare con nonchalanche di aspettare cento, duecento o cinquecento giorni, ma poi si comincia a vedere il sole sorgere e tramontare con una frequenza allarmante. Sempre a causa di questa velocità di rotazione, in alcuni periodi dell’anno i venti spirano dai poli verso l’equatore, e la regione dell’Orlo è spazzato da correnti talmente forti che i meskliniti devono ancorare sé stessi e la loro imbarcazione al suolo per non volare via. Ancora, i mari di Mesklin sono fatti di metano e i venti di cristalli di ammoniaca.
Il popolo di Barlennan non possiede un termine per “lanciare” né il concetto, perché da dove vengono loro, con una gravità vicina ai 700G, appena un qualsiasi oggetto lascia la mano, istantaneamente arriva al suolo. L’accelerazione è tale che l’occhio non percepisce il movimento attraverso l’aria. Al polo sud, un sassolino lasciato cadere da oltre duecento metri di altezza scava un buco di alcuni metri e solleva un’onda di pulviscolo (che comunque scema rapidamente a terra). Di conseguenza, il suo popolo non possiede armi da lancio, ma solo armi bianche. E così via.
Insomma, Mission of Gravity è lontano dalla perfezione, ma certo si tratta di uno dei romanzi di Hard SF meglio scritti e anche più piacevoli da leggere che abbia mai incontrato. Intendiamoci: il gusto del libro è quello di un “rompicapo scientifico”, una lettura che colpisce più il cervello che i sensi. La gestione distanziante del pov e gli infodump rallentano in parte il ritmo della storia, mentre personaggi piatti e la psicologia poco aliena dei meskliniti riducono il fascino dell’esperienza, ma per gli amanti del genere l’epopea della Bree attraverso Mesklin sarà divertente e regalerà molti momenti di sense of wonder. E Mesklin è probabilmente uno dei pianeti più “alieni” e meglio pensati nella storia della fantascienza.
Al terzo posto dopo Rendezvous with Rama e Ringworld, lo ritengo uno dei punti di partenza ideali per chi voglia esplorare il sottogenere dell’Hard SF.

Let’s do some fucking science!
Dove si trova?
In lingua originale, Mission of Gravity si può trovare su Library Genesis. Ci sarebbe anche su Bookfinder, ma al momento dice che il download non è disponibile, quindi lasciate stare.
Come ha fatto notare Talesdreamer, l’edizione italiana si può scaricare via Mulo cercando l’orrido titolo “Stella Doppia 61 Cygni”, nei cinque gusti .doc, .rar, .pdf, .lit o epub.
Qualche estratto
Entrambi gli estratti che ho scelto vengono dal primo capitolo, che è uno dei più interessanti in quanto adotta il punto di vista del mesklinita Barlennan. Il primo estratto dà un assaggio dell’ambientazione, ma anche del taglio documentaristico e distaccato della voce narrante anche quando ancora la telecamera nella testa del personaggio. Il secondo viene dal primo dialogo tra Barlennan e Lackland; è particolarmente interessante perché mostra la visione che, in conseguenza del loro sistema di riferimento, hanno i meskliniti del loro mondo: una scodella!
1.
The wind came across the bay like something living. It tore the surface so thoroughly to shreds that it was hard to tell where liquid ended and atmosphere began; it tried to raise waves that would have swamped the Bree like a chip, and blew them into impalpable spray before they had risen a foot.
The spray alone reached Barlennan, crouched high on the Bree’s poop raft. His ship had long since been hauled safely ashore. That had been done the moment he had been sure that he would stay here for the winter; but he could not help feeling a little uneasy even so. Those waves were many times as high as any he had faced at sea, and somehow it was not completely reassuring to reflect that the lack of weight which permitted them to rise so high would also prevent their doing real damage if they did roll this far up the beach.
Barlennan was not particularly superstitious, but this close to the Rim of the World there was really no telling what could happen. Even his crew, an unimaginative lot by any reckoning, showed occasional signs of uneasiness. There was bad luck here, they muttered — whatever dwelt beyond the Rim and sent the fearful winter gales blasting thousands of miles into the world might resent being disturbed. At every accident the muttering broke out anew, and accidents were frequent. The fact that anyone is apt to make a misstep when he weighs about two and a quarter pounds instead of the five hundred and fifty or so to which he has been used all his life seemed obvious to the commander; but apparently an education, or at least the habit of logical thought, was needed to appreciate that.
[…] No witness could have told precisely where the shore line now lay. A blinding whirl of white spray and nearly white sand hid everything more than a hundred yards from the Bree in every direction; and now even the ship was growing difficult to see as hard-driven droplets of methane struck bulletlike and smeared themselves over his eye shells. At least the deck under his many feet was still rock-steady; light as it now was, the vessel did not seem prepared to blow away. It shouldn’t, the commander thought grimly, as he recalled the scores of cables now holding to deep-struck anchors and to the low trees that dotted the beach. It shouldn’t — but this would not be the first ship to disappear while venturing this near the Run. Maybe his crew’s suspicion of the Flyer had some justice. After all, that strange being had persuaded him to remain for the winter, and had somehow done it without promising any protection to ship or crew. Still, if the Flyer wanted to destroy them, he could certainly do so more easily and certainly than by arguing them into this trick. If that huge structure he rode should get above the Bree even here where weight meant so little, there would be no more to be said. Barlennan turned his mind to other matters; he had in full measure the normal Mesklinite horror of letting himself get even temporarily under anything really solid.
Il vento che arrivava dalla baia sembrava una cosa viva. Lacerava e sconvolgeva la distesa d’acqua in un pulviscolo di frammenti cosi minuti che era difficile stabilire dove finisse l’elemento liquido e dove cominciasse l’atmosfera. Il vento sembrava sempre sul punto di sollevare ondate capaci di spazzare via la “Bree” come un sughero, ma poi le disperdeva in miriadi di spruzzi impalpabili, prima che riuscissero ad alzarsi di mezzo metro.
Solamente gli spruzzi arrivavano fino a Barlennan, che se ne stava comodamente sdraiato, in alto, sul castello di poppa della “Bree”. Già da un pezzo aveva portato la nave al sicuro in secca sulla spiaggia, cioè da quando aveva capito di dover passare l’inverno lì. Tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi un po’ a disagio anche dopo questa decisione. Quelle ondate erano le più alte che avesse mai visto in mare, e in un certo senso non trovava del tutto rassicurante nemmeno sapere che proprio la mancanza di peso, se da una parte permetteva alle onde di alzarsi tanto, dall’altra avrebbe anche impedito ai flutti di provocare veri e propri danni, se fossero riusciti a spingersi molto addentro sulla spiaggia.
Il Comandante Barlennan non era particolarmente superstizioso, ma trovandosi così vicino agli Orli del Mondo, non avrebbe davvero saputo dire cosa poteva succedere. Perfino l’equipaggio, che certo non era dotato di molta immaginazione, ogni tanto mostrava evidenti segni di malessere. Era la maledizione che regnava in quella regione, mormoravano… Qualunque mistero ci fosse al di là dell’Orlo, la cosa che mandava le terribili raffiche di vento invernale a spazzare per migliaia di chilometri quella parte del mondo poteva non gradire di essere disturbata dalla spedizione di Barlennan. Al minimo incidente l’equipaggio ricominciava a mormorare, e di incidenti, lievi o gravi che fossero, se ne verificavano spesso. Chiunque pesi poco più di un chilogrammo, invece dei duecentocinquanta a cui è stato abituato per tutta la vita, si trova nella condizione di commettere un sacco di errori. Era una costatazione ovvia per il Comandante, ma lui aveva una mentalità scientifica e l’abitudine a pensare in termini logici e razionali.
[…] Nessuno di loro, in quel momento, avrebbe potuto dire dove si trovava la linea costiera. Un vortice accecante di spruzzi e di sabbia bianca nascondeva ogni cosa che fosse a più di cento metri di distanza dalla “Bree”, in tutte le direzioni. Anche la nave cominciava a non essere quasi più visibile, mentre le goccioline di metano lanciate a tutta velocità dal vento colpivano come tante pallottole, spiaccicandosi sopra le conchiglie oculari. Per lo meno il ponte, sotto i suoi molteplici piedi, era ancora saldo come una roccia; e il battello, benché fosse alleggerito di molto, non sembrava disposto a farsi spazzare via dal vento. Cosa impossibile, ad ogni modo, si disse il Comandante, pensando alle decine di cavi che trattenevano la nave alle ancore profondamente sepolte nella sabbia e ai bassi alberi che punteggiava-no la spiaggia. Impossibile, certo, eppure la sua non sarebbe stata davvero la prima nave a scomparire durante una spedizione così pericolosamente vicina all’Orlo. Forse i sospetti dell’equipaggio nei confronti del Volatore non erano del tutto infondati. In fin dei conti, quella strana creatura lo aveva persuaso a fermarsi lì per tutto l’inverno e in un certo senso era riuscita a convincerlo senza garantire la minima protezione alla nave o all’equipaggio. D’altra parte, se il Volatore avesse voluto annientarli, avrebbe potuto farlo molto più facilmente e direttamente che non ingannandoli a parole. Se quell’immensa macchina su cui viaggiava avesse dovuto passare sulla “Bree” anche in questa parte del mondo, dove il peso aveva così poca importanza, sarebbe stata la fine. Barlennan si costrinse a pensare ad altro. Conosceva l’esatta misura del terrore congenito di tutti i meskliniti all’idea di stare, sia pure per breve tempo, sotto qualunque massa solida.

Per recuperare il razzo dovevano chiamare lui.
2.
“What I really wondered about, Charles, was how long this blow was going to last. I understand your people can see it from above, and should know how big it is.”
“Are you in trouble already? The winter’s just starting — you have thousands of days before you can get out of here.” “I realize that. We have plenty of food, as far as quantity goes. However, we’d like something fresh occasionally, and it would be nice to know in advance when we can send out a hunting party or two.”
“I see. I’m afraid it will take some rather careful timing. I was not here last winter, but I understand that during that season the storms in this area are practically continuous. Have you ever been actually to the equator before?” “To the what?”
“To the — I guess it’s what you mean when you talk of the Rim.”
“No, I have never been this close, and don’t see how anyone could get much closer. It seems to me that if we went much farther out to sea we’d lose every last bit of our weight and go flying off into nowhere.”
“If it’s any comfort to you, you are wrong. If you kept going, your weight would start up again. You are on the equator right now — the place where weight is least. That is why I am here. I begin to see why you don’t want to believe there is land very much farther north. I thought it might be language trouble when we talked of it before. Perhaps you have time enough to describe to me now your ideas concerning the nature of the world. Or perhaps you have maps?”
“We have a Bowl here on the poop raft, of course. I’m afraid you wouldn’t be able to see it now, since the sun has just set and Esstes doesn’t give light enough to help through these clouds. When the sun rises I’ll show it to you. My flat maps wouldn’t be much good, since none of them covers enough territory to give a really good picture.”
“Good enough. While we’re waiting for sunrise could you give me some sort of verbal idea, though?”
“I’m not sure I know your language well enough yet, but I’ll try.
“I was taught in school that Mesklin is a big, hollow bowl. The part where most people live is near the bottom, where there is decent weight. The philosophers have an idea that weight is caused by the pull of a big, flat plate that Mesklin is sitting on; the farther out we go toward the Rim, the less we weigh, since we’re farther from the plate. What the plate is sitting on no one knows; you hear a lot of queer beliefs on that subject from some of the less civilized races.”
“I should think if your philosophers were right you’d be climbing uphill whenever you traveled away from the center, and all the oceans would run to the lowest point,” interjected Lackland. “Have you ever asked one of your philosophers that?”
“When I was a youngster I saw a picture of the whole thing. The teacher’s diagram showed a lot of lines coming up from the plate and bending in to meet right over the middle of Mesklin. They came through the bowl straight rather than slantwise because of the curve; and the teacher said weight operated along the lines instead of straight down toward the plate,” returned the commander. “I didn’t understand it fully, but it seemed to work. They said the theory was proved because the surveyed distances on maps agreed with what they ought to be according to the theory. That I can understand, and it seems a good point. If the shape weren’t what they thought it was, the distances would certainly go haywire before you got very far from your standard point.”
“Quite right. I see your philosophers are quite well into geometry.”
— Quello che mi stavo domandando, Charles, è quanto durerà questa bufera. So che i tuoi uomini possono vederla dall’alto, e dovrebbero quindi essere in grado di valutarne l’entità.
— Ti trovi già in pericolo? L’inverno è appena cominciato… hai davanti migliaia di giorni prima di poter uscire da questa zona.
— Lo so. Le scorte di vettovaglie sono più che abbondanti, ma ogni tanto si sente la necessità di un po’ di cibo fresco, e sarebbe utile sapere in anticipo quando potremo mandare fuori una spedizione di caccia, o anche due.
— Capisco. Ma ho paura che dovranno calcolare i tempi con molta precisione. Non mi trovavo in questa zona l’inverno scorso, ma so che durante l’inverno le bufere si susseguono in modo pressoché ininterrotto. Ci sei stato veramente nella regione equatoriale, in passato?
— Dove?
— Nella… ah, credo che quando parlate dell’Orlo in realtà vi riferiate all’Equatore.
— No, non mi sono mai spinto tanto vicino all’Orlo, e non vedo come qualcuno possa avanzare oltre un certo limite. La mia impressione è che se ci spingessimo ancora di più verso l’alto mare finiremmo per perdere anche gli ultimi residui di peso e voleremmo via come pagliuzze.
— Se ti è di conforto, posso assicurarti che ti sbagli. Continuando ad andare verso l’alto mare, il vostro peso ricomincerebbe ad aumentare. In questo momento sei sulla linea dell’ Equatore, cioè proprio dove si pesa meno. E’ per questo che io mi trovo qui. Ora comincio a capire perché tu non vuoi credere che ci siano terre molto più a nord. All’inizio, quando abbiamo cominciato a parlare di queste cose, pensavo che dipendesse dalla nostra difficoltà di comunicare, ma adesso credo che tu abbia il tempo di spiegarmi le tue idee circa la natura di questo mondo. O forse possiedi delle carte geografiche, delle mappe…?
— Naturalmente, abbiamo una “coppa” qui, sul castello di poppa, ma temo che tu non possa vederla, adesso che il sole è appena tramontato ed Esstes non dà luce sufficiente con tutta questa nuvolaglia. Domani, quando sorgerà il sole, te la mostrerò. Le mie carte geografiche non ti sarebbero di molto aiuto, perché nessuna di esse riproduce territori abbastanza estesi da fornire un quadro sufficientemente chiaro della regione.
— Capito, Ma, in attesa dell’alba, non potresti descrivermele a voce?
— Non sono sicuro di essere padrone della tua lingua fino a questo punto. Comunque proverò. A scuola mi hanno insegnato che il nostro pianeta è come una grande coppa dalla cavità molto profonda. La zona in cui vive la maggior parte della popolazione è vicina al fondo della coppa, dove il peso è più forte. Secondo la teoria dei nostri saggi questo peso è causato da una specie d’immenso vassoio piatto su cui posa Mesklin. Più ci si allontana dal fondo verso l’Orlo, più il nostro peso diminuisce e, perché nello stesso tempo ci si allontana anche dal vassoio. Su cosa poi sia posato il vassoio, nessuno lo sa. Al riguardo si sentono raccontare una quantità di strane leggende, soprattutto da parte delle razze meno civilizzate.
— Mi sembra che i tuoi saggi avrebbero ragione, se uno si accorgesse di salire verso l’alto tutte le volte che si allontana dal fondo della coppa, cioè dal centro, e se tutti gli oceani tendessero a raccogliersi verso il punto più basso, vale a dire al centro della coppa — obiettò Lackland. — Non hai mai approfondito la questione con uno di loro?
— Da giovane ho visto un disegno che spiegava tutta la situazione. Il diagramma del mio maestro mostrava una grande quantità di linee che salivano dal vassoio e si piegavano per incontrarsi esattamente nel centro di Mesklin. Il loro tracciato lungo la coppa seguiva praticamente una linea retta, a causa della curvatura, e il maestro disse che il peso si scaricava lungo quelle linee invece di correre direttamente giù verso il vassoio. Non riuscii a capire bene, ma il ragionamento mi sembrò abbastanza logico. L’ipotesi, ho saputo poi, aveva la sua conferma nei fatti. Infatti le distanze rilevate sulle carte concordavano esattamente con quelle calcolate in base alla teoria. E questa è una cosa che posso capire facilmente, e mi sembra rappresenti un punto fermo. Se la forma non corrispondesse a quella indicata dai saggi, le distanze risulterebbero tutte sbagliate, appena si cominciasse ad allontanarsi dal nostro punto medio d’osservazione.
— Giustissimo. Vedo che i tuoi saggi sono molto istruiti in fatto di geometria.
Tabella riassuntiva
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
![]() |
Su emule il romanzo si trova, sia in inglese che in italiano. Non chiedetemi di postare link o cose simili, però, dall’alto della mia nabbaggine non ne sono in grado.
Per questa volta io passo, comunque. Cioè, questo signor Clement si inventa creature così fiqe come i millepiedi giganti e poi nemmeno si degna di svilupparli decentemente? Che idea sprecata. Se il libro fosse stato tutto dal punto di vista dei meskliniti l’avrei letto sicuramente…
Approposito, conoscete qualche romanzo in cui i protagonisti sono totalmente alieni? A parte il solito The Gods Themselves di Asimov.
Parlando poi di Hard SF, mai letta la Giants series di James P. Hogan, Tapiro? Io lessi i primi due, e Inherit the Stars in particolare era molto carino… Parla di un cadavere umano che viene ritrovato sulla luna.
E ha 50,000 anni.
Se ti piace il genere “scienziati che cercano di capire Cose”, stile Rendezvous with Rama, sono certa che apprezzerai anche questo.
Grazie dell’info. Ho aggiunto all’articolo gli estratti in italiano.
Trovare un fisico che scriva fantascienza e sia anche bravo a scrivere e sia anche bravo nella caratterizzazione della psicologia dei personaggi è tipo un miraggio. Da questo punto di vista il miglior compromesso rimane ancora Ringworld.
Al momento non mi viene in mente gnente. Puoi provare Dragon’s Egg: la scrittura è atroce e gli alieni non sono protagonisti, ma sono molto molto molto strani.
Mai sentito nominare, ma me lo scrivo.
tralaciando le solite caz… questioni del pov, narratore onniscente ecc.
la parte che mi convince di meno è proprio quella scientifica, i millepiedi alieni vivono a 3G e se cadono da 3 cm muoiono spiaccicati ma possono tranquillamente sopravvivere a 700G senza implodere ???
spero di aver capito male, altrimenti lo avrei considerato per una lettura sotto l’ombrellone, amo la SF dell’epoca d’oro (che non è quella attuale, se non lo sapete)
Un commento profondamente legato al libro in questione: nell’immagine c’è un pallone da football, non da rugby
Una specie di OT
Io avevo iniziato a leggere “A mote in God’s Eye” che è scritto da Niven insieme a un altro tale che gli deve aver prestato l’universo in cui ambientarlo. Purtroppo mi sono dovuto fermare a metà causa impegni, e sembrava avere tutte le caratteristiche tipiche, nel bene e nel male (personaggi sempre razionali, pov inesistente, etc), però mi pareva un lavoro veramente ambizioso. C’erano un sacco di trovate intelligenti, gli scenari sociali futuri, oltre che quelli tecnologici, erano ben definiti e la biologia degli alieni era, oltre che fantasiosa, giustificata e credibile.
A tal proposito, oltre a chiederti se l’hai letto il libro e che ne pensi, volevo sapere in generale se gli scritturi di HardSciFi che conosci sono bravi solo con la fisica e l’ingegneria o riescono anche a tenere conto della credibilità politica dei loro futuri; e poi come se la cavano con la biologia aliena, specie in rapporto alle teorie dell’evoluzione.
Grassie, ciau!
@Dunseny:
Sì, tanto per cambiare hai capito male tu, e dire che l’ho scritto a chiare lettere. I protagonisti sono originari di una zona vicino ai poli, dove la gravità è prossima ai 700G, e in quell’ambiente, nonostante la loro robustezza, una minima caduta può comportare la morte.
Quando vanno a 3G ovviamente possono lanciarsi, saltare, buttarsi per terra senza conseguenze (nel romanzo succederà in diversi episodi), ma Barlennan mette in guardia la sua ciurma: non vuole che prendano cattive abitudini e comincino a sottovalutare la gravità, perché se per distrazione si comportassero così anche una volta tornati alle loro latitudini rischierebbero di ammazzarsi.
Hal Clement si è fatto un mazzo quadro per delineare l’ambientazione: dai un’occhiata a questo articolo su Wikipedia dedicato al pianeta, e se riesci, procurati l’articolo “Whirligig World” in cui l’autore spiega come abbia creato Mesklin – ispirandosi a un supposto corpo celeste reale, poi rivelatosi un errore della strumentazione – e quali calcoli abbia eseguito.
Sai che questi sono i criteri che seguo, nessuno ti obbliga a leggere il blog se ti senti offeso.
@marvablo:
Non l’ho letto, ma lo farò sicuramente se è vero quel che dice la pagina di Wikipedia, ossia che Heinlein l’avrebbe definito: “possibly the finest science fiction novel I have ever read”. Già Gamberetta se non erro aveva premiato da qualche parte la coppia Niven & Pournelle (anche se a proposito di un altro romanzo).
Tra l’altro, magari questa segnalazione risponderà alla richiesta di Tales di alieni alienosi.
Ah, una nota: il titolo esatto è The Mote in God’s Eye.
Dipende. La maggior parte degli scrittori di Hard SF non si occupa di sistemi politici, e se lo fa ottiene in genere risultati pietosi (vedasi Clarke e quell’obbrobrio di Earthlight; o ancora, le parti politiche di Incontro con Rama).
Ci sono alcune eccezioni, e su tutte Robert Heinlein. Il modello politico di Starship Troopers è interessante, benché lo trovi molto astratto e non-realizzabile nella pratica (sì sì, lo so, ha parlato il komunista…). Anche Farmer in the Sky dal punto di vista politico-amministrativo è ben fatto e credibile. Poi di sicuro ci sono altri esempi, ma ad oggi di Heinlein ho letto molto poco.
Un altro che ottiene risultati dignitosi è Asimov, a patto che consideriamo il ciclo dei robot (Abissi d’acciaio e seguiti) come Hard SF.
@davide:
L’immagine l’ho trovata cercando su Google “pallone da rugby”. Per scrupolo ho controllato su Wikipedia, e:
– Alla voce “Football“:
– Alla voce “rugby” mi manda ad una pagina di disambiguazione che mi precisa che tutte le diramazioni dello sport rugby sono collettivamente chiamate “rugby football”.
– La voce “Rugby league” esordisce così:
– La stessa voce in italiano:
Da cui deduco che i termini “rugby” e “football” vengono utilizzati indifferentemente.
Poi credo di aver capito cosa intendi: una delle varianti del rugby, il cosiddetto “rugby union” (in italiano: rugby a 15) è in genere chiamato semplicemente “Rugby” e non “Football”, e utilizza una palla dall’aspetto un po’ diverso. Immagino che tu ti riferissi a questo.
Ciononostante, credo di aver dimostrato che dire che quella è una palla da rugby non sia scorretto.
piccola divagazione, ho dato un occhio a bookfinder ma continuo a chiedermi se sono cieco io o dove ci siano i link per scaricare i libri gratuitamente oltre le altre opzioni
@lu
Ci sono diversi siti che si chiamano bookfinder e solo uno permette il download di libri gratis. Quello buono è http://en.bookfi.org/ e il tasto per scaricare è blu in bella vista sotto il titolo per cui probabilmente cercavi nel sito sbagliato 🙂
@tapiro: “Hal Clement si è fatto un mazzo quadro per delineare l’ambientazione”
ok, allora si merita la mia attenzione ^__^
“Sai che questi sono i criteri che seguo, nessuno ti obbliga a leggere il blog se ti senti offeso.”
trovo i tuoi consigli del lunedì sempre interessanti, cerco di saltare le parti controverse (ed evidentemente qualche volta saltano via anche informazioni chiave) ma è tutto ok, non ti offendere nemmeno tu, io ho pazienza da vendere anche su e-Bay ^___^
Tapiro, ti odio.
“tanto che nel finale entrambi regaleranno al lettore qualche piccola sorpresa.”
Il fatto che mi debba aspettare una sorpresa mi ha totalmente ucciso la sorpresa stessa ahaha
No, comunque, volevo solo chiederti se farai uno “speciale” nel quale spieghi meglio e suddividi i sottogeneri della fantascienza, magari parlando degli autori chiave. Io tipo, adoro Asimov (Nonostante i suoi difetti), però non so a chi potermi approcciare dopo averlo letto. E Dick lo mettiamo già tra quelli da leggere perché fai ai tuoi lettori due palle così con lui 😀
Ovvio sarcasmo, eh
@Dunseny:
Ok.
@Sangi:
Una cosa simile a quella a cui tu ti riferisci c’è già, ed è la mia pagina di Terminologia, che raccoglie tutte le definizioni di sottogenere che uso negli articoli (o quasi: non riesco sempre a tenerla aggiornata), ne dà una breve descrizione ed elenca alcuni titoli rappresentativi di ciascuno di essi. Si trova nel menu orizzontale in cima al blog, sotto il banner.
Quanto ad Asimov, visto che mi è già stato chiesto da altri, penso che gli dedicherò un Consiglio una delle prossime settimane.
Mi piacerebbe anche scrivere un articolo un po’ retard sui Big Three (Asimov, Clarke, Heinlein) e su chi sia il più bravo, ma per ora non posso farlo perché ho letto troppi pochi romanzi di Heinlein. Magari se ne riparlerà quest’inverno o l’anno prossimo.
Ho un vago ricordo della mia infanzia in cui mio padre (al tempo gran collezionista di Urania, una buona parte della mia libreria è ancora piena dei suoi libri…) mi parla della trama di questo libro. È uno di quei ricordi che non hai la certezza siano veri, hai come la sensazione che magari te li sei immaginati. Ma in effetti di tutti i posti dove avrei potuto ritrovarlo, che sia proprio qui su Tapirullanza ha abbastanza senso. Andrò a cercarlo, se lo trovo ti ci faccio dare un’occhiata ^^
Le premesse sono promettenti (I protagonisti sono coriacei millepiedi con l’orrore delle altezze!) ma sia i difetti che hai citato nell’articolo che lo Spiegone presente nella tua seconda citazione mi scoraggiano. Me lo segno per quando avrò terminato tutti gli altri libri di hard SF che mi voglio leggere (tipo quando avrò 80 anni).
Molto interessanti invece sia Inherit the Stars che The Mote in God’s Eye, quelli penso che me li leggerò prima.
Pingback: Mondi alternativi cercasi | Tapirullanza
Pingback: Stella doppia 61 Cygni | ilcantooscuro
Pingback: I Consigli del Lunedì #32: Tau Zero | Tapirullanza