Archivi del mese: giugno 2012

I preferiti del Tapiro

Top 50Tempo fa, un individuo molesto che risponde al nome di Giovanni mi aveva chiesto di stilare la Top 10 dei miei libri preferiti. Dato che adoro stendere elenchi e classifiche, ho deciso di accontentare lui e tutti (?) i miei fans. Ma visto che sono megalomane e mi lascio sempre prendere la mano, dopo averci lavorato per un mesetto invece che una Top 10 m’è uscita una Top 50.
Ma non temete! Ho cercato di essere breve, nulla di simile ai miei soliti commentarii. Ci sono riuscito quasi sempre. Per i libri già apparsi sulle pagine di questo blog, mi limiterò in genere a linkare l’articolo in cui ne ho parlato in maniera approfondita.
Il post, comunque, è il più lungo che abbia mai scritto. Ops.

I criteri
Nello stilare la classifica, ho seguito una serie di regole. In primo luogo, limiti di tempo: nessun libro pubblicato prima del 1884. Perché il 1884? Perché è la data in cui è stato pubblicato il più ‘vecchio’ libro di cui si è parlato su Tapirullanza – Flatland, Consiglio #01 – e volevo rispettare la “cornice temporale” del blog. Inoltre mi sentirei a disagio a mettere sullo stesso piano di paragone un libro di Hemingway e uno, per esempio, di Diderot, o anche solo di Stendhal. Infine, almeno in questo modo eviterò di spammare i soliti titoli ‘classici’ sui vari Dostoevskij, Flaubert, Balzac, and so on.
In secondo luogo, un limite di categoria: ammessi solo romanzi e novellas, esclusi i racconti. Certo, in questo modo ho dovuto escludere raccolte che adoro, come Finzioni di Borges, Amori ridicoli di Kundera, Cronache marziane di Bradbury o Casi di Daniil Charms, ma volevo mantenere una certa coerenza e confrontabilità tra le varie entrate.
In terzo luogo, ho deciso di limitare al minimo il numero di entrate per ogni autore. Con la sola eccezione di un autore, che appare ben tre volte nella classifica (e potete ben immaginare di chi si tratti), tutti gli altri appaiono con solo uno o al massimo due libri. Così c’è più varietà ed è più divertente.
Non mi sono dato limiti, invece, per quanto riguarda il genere. Così facendo ho voluto rispettare la volontà dell’individuo molesto di cui sopra; d’altronde, mi è stato chiesto altre volte quali fossero i miei gusti al di fuori della narrativa fantastica.

La nuova sezione
A parte il puro divertimento di redigere (e, spero, di leggere) una classifica, conoscere i miei gusti personali potrebbe aiutarvi a inquadrare meglio il lavoro che faccio di solito. In tutti i miei articoli cerco di essere oggettivo e di fornire al lettore gli strumenti tecnici per capire da sé se vale la pena che spenda il tempo su questo o quell’altro libro, ma di sicuro nella selezione dei libri di cui parlare sono influenzato dai miei gusti personali. Conoscendoli meglio, potrete decidere se sono la persona giusta da seguire in materia di narrativa.
E’ per questo che ho deciso, assieme alla pubblicazione di questo articolo, di creare una nuova pagina nel menu orizzontale – La Mia Classifica. Mentre non metterò più mano a questo post – che diventerà, potremmo dire, una “fotografia” dei miei gusti e della mia cultura letteraria in questo momento – sarà mia premura tenere aggiornata “La Mia Classifica”. La nuova pagina potrà essere utile soprattutto a chi arriva qui per la prima volta e vuole capire meglio di che tipo di libri ci si occupa su Tapirullanza.
E ora andiamo avanti.

La classifica

50. Sotto gli occhi dell’Occidente

Sotto gli occhi dell'OccidenteAutore: Joseph Conrad
Genere: Mainstream / Politico
Anno: 1911

Nonostante la prosa ubriaca, Conrad rimane uno dei miei scrittori preferiti. Questo è uno dei suoi romanzi più atipici, essendo ambientato non nelle baie del sud-est asiatico ma a cavallo tra la Russia zarista degli ultimi anni e Ginevra. Il romanzo parla di un gruppo di rivoluzionari russi di matrice anarchico-populista con base a Ginevra, e del progressivo (ma combattuto) avvicinamento dello studente Razumov alla causa della rivoluzione.
Se Razumov, con le sue nevrosi e la sua espressione gelida, è un personaggio affascinante (che riecheggia il Raskolnikov di Dostoevskij), invece ne esce male la co-protagonista Nathalie Haldin, ritratto della virtù e dell’abnegazione femminile terribilmente belle époque (e con la complessità psicologica di un’aspirapolvere). La prima parte, quella ambientata a San Pietroburgo, è la più bella; piena di conflitti esterni e interiori. Passando a Ginevra, il ritmo si ammoscia un po’, e infatti la parte centrale del romanzo è spesso noiosotta. Comunque ben fatta la galleria dei rivoluzionari idealisti in esilio. Un romanzo che mi sentirei di consigliare ai cultori di Dostoevskij (tra i quali mi annovero pure io)1.

49. City of Saints and Madmen

City of Saints and Madmen

Autore: Jeff VanderMeer
Genere: Fantasy / Horror / New Weird / Urban Fantasy / Pseudo-trattato / Literary Fiction
Anno: 2001 / 2004

Tecnicamente questo non è un romanzo ma una raccolta di novellas, raccontini e schizzi. Tuttavia concordo con VanderMeer quando dice che tutti questi pezzi, insieme, formano un unico grande romanzo della città di Ambergris. E fino a questo momento, rimane il miglior VanderMeer che abbia mai letto.
Ho già parlato di City of Saints and Madmen nel Consiglio del Lunedì #20.

48. Auto da fé

Auto da féAutore: Elias Canetti
Genere: Mainstream / Picaresque / Umoristico
Anno: 1935

Stimato sinologo e forse l’uomo più colto della sua epoca, Peter Kien è però anche un misantropo che vive segregato nella sua immensa biblioteca, incapace di affrontare i più basilari problemi della vita quotidiana. L’arrivo di una governante meschina e semi-ritardata segnerà l’inizio della sua rovina.
La bellezza di Auto da fé è quella di presentare situazioni e individui assurdi e paradossali, immersi in una deliziosa atmosfera tragicomica. I personaggi sono caratterizzati alla perfezione; in particolare, la stupidità e l’ignoranza da sub-normale della governante Therese sono mostrate benissimo: il suo vocabolario si comporrà forse di un centinaio di parole che continua a riciclare a sproposito, di modi di dire e frasi preconfezionate, e anche il suo comportamento è quello standardizzato di un animaletto. Nella seconda parte purtroppo Canetti si perde un po’ per strada, calando di ritmo e aprendo parentesi e digressioni a non finire su personaggi secondari (come il nano Fischerle, che sogna di diventare il più grande scacchista vivente).
Se Canetti vi piace e siete interessati al clima della Mitteleuropa (e in particolare, di Austria e Germania) negli anni Venti e Trenta, vi consiglio anche la sua trilogia autobiografica: La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi.

47. Il carteggio Aspern

Il carteggio Aspern

Autore: Henry James
Genere: Mainstream
Anno: 1888

Verso James ho sentimenti ambivalenti: nel corso della sua vita ha pubblicato con la stessa disinvoltura libri bellissimi, roba insulsa e schifezze indegne. Nel corso degli anni anche la sua scrittura è peggiorata notevolmente (si dice per colpa della dislessia), e alcuni dei suoi ultimi lavori sono talmente involuti da essere quasi illeggibili.
Il carteggio Aspern appartiene ai buoni. Breve novella a sfondo veneziano, racconta del tentativo di un compito critico americano di impossessarsi delle carte private del defunto poeta Jeffrey Aspern, verso il quale nutre una devozione infinita. Ma le carte sono in possesso della vecchia Juliana Bordereau, ex-amante del poeta, e della nipote Tina; le due vivono segregate in un palazzo veneziano, gelose della loro privacy. Il protagonista dovrà abbassarsi a ogni nefandezza per entrare in possesso del carteggio, fino a provare orrore di sé stesso e a distruggere l’esistenza alienata delle due donne.
E’ una novella davvero strana. I personaggi sono bizzarri ma ben tratteggiati, e rimangono impressi.

46. Ringworld

Ringworld

Autore: Larry Niven
Genere: Science Fiction / Hard SF / Space Opera / BDO
Anno: 1970

Il pianeta a forma di anello: una delle idee più fighe mai partorite da mente umana.
Ho già parlato di Ringworld nel Consiglio del Lunedì #03.

45. Ho sposato un comunista

Autore: Philip RothHo sposato un comunista
Genere: Mainstream / Storico
Anno:1998

Lo scrittore Zuckerman, alter-ego dell’autore, si fa raccontare da un suo vecchio mentore la storia di Ira Ringold, ex-operaio riciclatosi come attivista comunista e conduttore radiofonico di successo nell’America degli anni ’50. Il suo tentativo di conciliare un impegno proletario un po’ alla buona e il sogno di penetrare nei salotti buoni della società newyorkese lo farà precipitare dalle stelle all’abisso.
Il libro mi piace non soltanto perché racconta un periodo interessantissimo, ossia gli Stati Uniti nell’era del maccartismo – che contribuì alla completa distruzione del comunismo nel mondo politico americano – ma anche per la galleria dei personaggi (come la volubile moglie del titolo) e per l’umorismo amaro che attraversa la storia. A distanza di anni, mi è rimasto impresso nella memoria più di Pastorale americana, il più celebre romanzo di Roth – il che è tutto dire.

44. Starship Troopers

Fanteria dello spazioAutore: Robert A. Heinlein
Genere: Science Fiction / Militaristic SF / Utopia
Anno: 1958

Ad oggi, uno dei romanzi più convincenti che abbia mai letto nel descrivere la vita militare. Con tutto che non si tratta di un romanzo realista, né di fantascienza nuda e cruda, ma dell’illustrazione – quasi pamphlettistica – di come potrebbe funzionare un’utopia militarista.
Certi capitoli prendono proprio la forma di uno pseudo-saggio, una massa d’informazioni con il minimo sindacale di storia intorno – e onestamente sono quelli più brutti. E ovviamente, ho trovato particolarmente irritanti le due paroline sceme – che Heinlein mette in bocca al suo professore di filosofia morale – con cui pretende di dimostrare quant’è sbagliato il comunismo.
Devo comunque ammettere che quella di Heinlein è un’utopia che cerca di stare un minimo coi piedi per terra (benché la parte in cui spiega come l’utopia sia nata è quella più debole). E alcune scene sono magistrali, come la descrizione del raid nel primo capitolo.

43. I Buddenbrook

I BuddenbrookAutore: Thomas Mann
Genere:
Mainstream
Anno:
1901

La storia di una famiglia della media borghesia di Lubecca, nel corso del cinquantennio che vede l’annessione dei principati tedeschi alla Prussia e la nascita della Germania. La storia è vista principalmente attraverso i pov di Thomas e sua sorella Tony, da quando sono piccoli (e la ditta è di proprietà del nonno) fino a quando diventano i membri più anziani della famiglia.
Lo stile è quello piano e semplice del romanzone ottocentesco, con nessun’altra ambizione che quella di raccontare una bella storia: la storia della fine della borghesia ‘eroica’ dell’Ottocento. Quello de I Buddenbrook è il Mann che mi piace, il Mann che non ha bisogno di gridare ai quattro venti: “Sono un’artista, guardatemi, cito la cultura classica a caso!”. L’autore tenta di mostrare i suoi personaggi, al punto da replicare nelle loro parlate le differenti inflessioni regionali o altri tic. La parte più debole è l’ultima, in cui il punto di vista della storia si sposta su un nuovo personaggio (il piccolo Hanno).

42. Stations of the Tide 

Stations of the TideAutore: Michael Swanwick
Genere: Science-Fantasy
Anno:
1991

Miranda è un pianeta sottosviluppato posto sotto la benevola tutela della Terra. A cicli alterni, il pianeta viene sommerso dall’alta marea, trasformando le valli in gole sommerse e le montagne in isole, dove gli abitanti si ritirano in attesa del nuovo ciclo. Poche settimane prima della nuova Marea, un “burocrate” armato di valigetta viene mandato su Miranda perché catturi il misterioso stregone Gregorian, individuo geniale e pericoloso, colpevole di aver rubato qualcosa al Dipartimento della Tecnologia. Ma il suo viaggio nel pianeta cambierà il burocrate irreversibilmente.
Stations of the Tide è il più acclamato tra i romanzi di Swanwick, ed effettivamente è molto bello. A frenare il mio entusiasmo, il carattere troppo episodico di alcuni capitoli, il ritmo lento e la mania di Swanwick di fare l’intellettualoide. Questi sono difetti tipici dell’autore, ma in questo romanzo, ahimé, si fanno particolarmente sentire.

41. Rendezvous with Rama

Randezvous with RamaAutore: Arthur C. Clarke
Genere: Science Fiction / Hard SF / BDO
Anno: 1972

Una grossa navicella spaziale di origine aliena entra nel Sistema Solare senza dichiarare le sue intenzioni; una squadra di militari e scienziati viene inviata ad esplorarla. Ma la navicella, ribattezzata ‘Rama’, si rivelerà un ecosistema artificiale completamente autosufficiente… e pericoloso?
Un libro che non ha bisogno di presentazioni, e certamente il miglior romanzo del genere “Big Dumb Object” che abbia mai letto. Ottima la parte esplorativa, debole invece quella politica. Peccato inoltre per alcune buone idee lasciate sullo sfondo, come la Chiesa di Cristo Cosmonauta. Un piccolo capolavoro, un po’ azzoppato dal solito stile clueless di Clarke.

40. La città e i cani

La città e i caniAutore: Mario Vargas Llosa
Genere: Mainstream
Anno: 1963

Romanzo d’esordio di Vargas Llosa, mostra uno spaccato della vita di alcuni cadetti dell’ultimo anno dell’Accademia Militare Leoncio Prado di Lima – Alberto, lo Schiavo, il Giaguaro. Quando uno dei ragazzi finisce ammazzato durante un’esercitazione, il tenente Gamboa è chiamato a indagare su ciò che si nasconde nelle camerate dei cadetti. E per Alberto confessare ciò che sa diventa sempre più difficile.
Vargas Llosa ha frequentato per davvero una scuola militare quando era giovane, e si capisce che sa di cosa parla. L’interplay tra i personaggi è la cosa più interessante del romanzo, e prima che uno se ne accorga si è veramente appassionato alle vicende dei protagonisti. Gamboa, poi, è fikissimo – un personaggio che si ricorda a distanza di anni. Ma anche il Giaguaro.
Il difetto principale? Un eccesso di sperimentazione idiota, per cui vediamo nel corso dei capitoli succedersi tre o quattro stili diversi (il migliore, manco a dirlo, è quello più trasparente e meno raccontato). Il peggio del romanzo infatti sono le prime trenta-quaranta pagine. Un’altra cosa che non mi è andata troppo a genio è l’eccesso di flashback, soprattutto per quel che riguarda Alberto.

39. La follia di Almayer / Un reietto delle isole

La follia di AlmayerAutore: Joseph Conrad
Genere: Mainstream
Anno: 1895 / 1896

Ultima entrata per Conrad. La follia di Almayer e Un reietto delle isole sono i primi due volumi della cosiddetta “trilogia malese” di Conrad, nonché i suoi due primi romanzi. Generalmente sono considerate opere minori, ma non sono d’accordo. Le presento insieme non soltanto perché fanno parte dello stesso universo narrativo (benché autonome), ma anche perché trattano gli stessi argomenti in modi simili: l’alienazione e il degrado di uomini europei costretti da esigenze commerciali a vivere nelle profondità della giungla malese.
Il primo romanzo racconta la storia dell’olandese Almayer, uomo abbruttito che aspetta il giorno in cui con una ciurma potrà risalire il fiume alla ricerca dell’oro, mentre sua figlia sogna di fuggire dalla giungla con un principe malese. Il secondo si focalizza invece su Willem, un truffatore che trova rifugio nella giungla ma che compie l’errore più grosso della sua vita – tradire sua moglie e la sua famiglia con una diabolica donna del posto. La qualità della prosa è così così, ma i protagonisti sono tratteggiati in maniera superba e i comportamenti nevrotici dei personaggi sono paragonabili solo a quelli di Dostoevskij.
Se vi piacciono temi e ambientazioni, controllate anche Giorni in Birmania di Orwell.

38. The End of Eternity

The End of EternityAutore: Isaac Asimov
Genere: Science Fiction / Thriller
Anno: 1955

L’Eternità è un’organizzazione che esiste al di fuori del tempo, il cui scopo è monitorare tutte le epoche della storia dell’umanità in modo da scongiurare catastrofi. Ogni volta che la linea temporale prende una brutta direzione, agenti dell’Eternità vengono mandati in varie epoche ad apportare tutta una serie di cambiamenti accuratamente studiati per modificare il corso della storia. Ma il comportamento dell’Eternità è legittimo? E quali effetti collaterali sta provocando?
The End of Eternity è un piccolo capolavoro concettuale, e ad oggi, credo, il migliore e più coerente romanzo sui viaggi nel tempo che abbia mai letto. Ci voleva uno scienziato per fare un lavoro decente sull’argomento! I punti deboli sono quelli tipici di gran parte della fantascienza anni ’40 e ’50: personaggi piatti e funzionali, infodump e scene raccontate come se piovesse. Ma setting e intreccio sono affascinanti, e Asimov riesce a tenere sempre alta la tensione e il ritmo.

37. Queste oscure materie

Queste oscure materieAutore: Philip Pullman
Genere: Fantasy / Science-Fantasy / Young Adult (forse)
Anno: 1995 – 2000

Lessi i libri di Pullman tra i 13 e i 15 anni, e mi piacquero talmente tanto che li definii la miglior trilogia fantasy che avessi mai letto. Quello lo penso ancora, anche perché tutte le trilogie che ho letto in seguito facevano cagare. Essendo forse il libro che ho letto da più tempo tra quelli in classifica, non so se avrei la stessa impressione positiva a rileggerlo oggi. Certo che, quando ci penso, mi tornano in mente un sacco di ricordi carichi di sense of wonder: i daimon che ti seguono ovunque e materializzano il tuo inconscio, la Polvere, gli orsi corazzati, l’aletiometro che data una serie di premesse determina scientificamente le conseguenze, il coltello che apre portali dimensionali, i mulefa (elefanti che si muovono su ruote), il mondo della morte, Dio nella bara di cristallo… E poi i personaggi: l’ambigua signora Coulter, il titanico e amorale Lord Asriel, l’orso Iorek Byrnison, gli angeli gay Balthamos e Baruch! La risoluzione dell’intreccio nell’ultimo libro della trilogia non mi fa impazzire, e il destino di alcuni personaggi m’è parso un po’ buttato via, ma altre scene – come quella del giardino dell’Eden – mi sono piaciute un sacco. Insomma, secondo me mi piacerebbe anche se lo rileggessi adesso.

36. Per chi suona la campana

Per chi suona la campanaAutore: Ernest Hemingway
Genere: Mainstream / Romanzo di Guerra
Anno: 1940

Guerra civile spagnola. Robert Jordan è andato in Spagna per combattere contro i franchisti.  L’esercito repubblicano l’ha mandato sulle montagne tra Madrid e Segovia, a mettersi in contatto con un gruppo di partigiani. In qualità di esperto dinamitardo, il suo compito è quello di far saltare un ponte di vitale importanza strategica quattro giorni dopo. Ma tra sospetti, diffidenza, tradimenti e contrattempi, portare a termine l’impresa non sarà facile e costerà molte vite umane.
Uno dei capolavori di Hemingway, anche se spesso non viene letto perché è un malloppazzo. Da buon aristotelico amo l’unità di tempo e luogo del romanzo (tutta la storia si svolge in cinque giorni); inoltre molti dei personaggi sono straordinari, dal vecchio Anselmo a Pablo, un tempo eroe dei ribelli ma ormai consumato e meschino, e soprattutto Agustin, donna di ferro e nerbo morale del gruppo partigiano. Menzione di disonore invece per Maria, solita femmina hemingwaiana buona solo a sospirare e a snocciolare romanticume.
L’intreccio funziona benissimo e c’è anche la sua bella dose di violenza.

35. Lord of the Flies

Il signore delle moscheAutore: William Golding
Genere: Horror / Mainstream
Anno: 1954

Questo è uno di quei romanzi che, credo, abbiamo letto tutti (non è così scontato: io per esempio l’ho letto solo quest’anno). Un pugno di ragazzini britannici finisce, in seguito a un non meglio precisato incidente aereo, spiaggiato su un’isola deserta. Guidati dal carismatico Ralph, i bambini cercano inizialmente di ristabilire l’ordine e organizzarsi per chiamare i soccorsi. Ma la situazione sfuggirà loro di mano, e mentre gli istinti primordiali si sostituiscono alla disciplina, il paradiso tropicale in cui sono precipitati si trasformerà in un inferno…
Nonostante una gestione ubriaca del pov e un simbolismo un po’ esagerato nell’associare certi personaggi a certi concetti, quello di Golding è un romanzo dal ritmo serrato e dalla tensione in crescendo. Fino ad arrivare a un finale geniale. Giustamente, è diventato un classico.
E a proposito di Golding, di recente ho parlato di un suo romanzo minore: The Inheritors.

34. Il nome della rosa

Il nome della rosaAutore: Umberto Eco
Genere: Storico / Thriller / Literary Fiction
Anno: 1983

Prima entrata per un italiano! Il nome della rosa è uno di quei romanzi che non hanno bisogno di presentazioni. L’impalcatura è quello di un giallo medievale ambientato nello spazio chiuso di un antica abbazia cluniacense, con Guglielmo da Baskerville nei panni di uno Sherlock Holmes con la tonaca da frate e il discepolo Adso nel ruolo di Watson. Ma Eco ne approfitta anche per mostrarci i conflitti dell’epoca, il modus operandi dell’Inquisizione trecentesca, il sentire religioso medievale, e anche alcuni misteri sui manoscritti conservati nelle biblioteche delle abbazie.
A prescindere dal fatto che adoro il Medioevo, questo libro poteva essere un capolavoro. Se non lo è, la colpa sta nel fatto che Eco, tra un saggio di semiotica e un altro di filosofia del linguaggio, non ha mai avuto il tempo per studiare le tecniche di scrittura. Descrizioni lunghissime e improponibili di frontoni di chiese, elenchi lunghi pagine e pagine che non hanno alcuna rilevanza per la trama, e altre amenità da intellettuale rovinano in parte il piacere della lettura. Comunque molto bello.

33. L’amore di uno sciocco

L'amore di uno scioccoAutore: Tanizaki Jun’ichirō
Genere: Mainstream
Anno: 1924

Lo schivo Joji voleva una moglie perfetta e con cui fosse in intimità. Per questo, quando si presenta l’occasione, si prende in casa Naomi, insulsa camerierina quindicenne di un quartiere povero. Joji vuole insegnarle tutto e farla diventare la compagna ideale. Ma l’idillio dura poco: Naomi vuole essere bella, divertirsi, attirare gli sguardi dei ragazzi nelle sale da ballo. E prima che Joji se ne accorga, Naomi è diventata una perfida succube, traditrice e opportunista. Lui vorrebbe fermarla, punirla, o nella peggiore delle ipotesi dimenticarla, eppure più lei peggiora e lo maltratta e più lui sente di starne diventando schiavo…
Questa è la prima e ultima entrata di un autore giapponese nella classifica. I temi – le follie a cui l’amore e l’eccitazione sessuale ci spingono – sono quelli tipici di Tanizaki, ma questo romanzo gli riesce particolarmente bene. Se l’autore vi ha acchiappato, altri romanzi carini sono Neve sottile, La chiave e Diario di un vecchio pazzo.

32. Se non ora, quando?

Se non ora, quando?Autore: Primo Levi
Genere: Romanzo di Guerra / Mainstream
Anno: 1982

Primo Levi è sempre associato ai campi di concentramento e al libro-reportage Se questo è un uomo. Questo è un po’ un peccato, perché non solo Levi era molto bravo come scrittore di fiction, ma probabilmente, di tutti gli scrittori italiani (o almeno, quelli che conosco), è stato quello che più si è avvicinato allo stile limpido, secco, trasparente della buona prosa americana. Un bel calcio in faccia a tutti quei geni che dicono che la lingua italiana è naturalmente portata al barocchismo e a vomitare parole su parole anche per esprimere i concetti più semplici.
Se non ora, quando? narra la storia di un pugno di ebrei polacchi e russi che, fuggiti dalle linee sovietiche nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, si fanno strada in una mitteleuropa contesa fra nazisti e sovietici. Nel mentre, incontrano un gruppo di partigiani e si votano alla missione di farla pagare ai nazi. Alla prosa limpida si unisce uno sguardo freddo e amaro sulle vicende della guerra e una galleria di personaggi affascinanti, tra cui una giovane ebrea sexy, brutale e cinica che sembra una precedente incarnazione della Tengi 2.

31. La promessa

La promessaAutore: Friedrich Durrenmatt
Genere: Poliziesco
Anno: 1958

Il giallo è uno dei generi letterari che apprezzo di meno. Forse è per questo che mi piace tanto La promessa, una novella lunga più che un romanzo, che parte come un comunissimo poliziesco ma scardina cammin facendo i pilastri del genere.
Un pedofilo è a piede libero in una cittadina svizzera, e una bambina è stata brutalmente uccisa. Il geniale commissario Matthai promette alla madre di catturare il colpevole, e mette tutta la sua anima nell’indagine. Matthai ha le intuizioni giuste, la pista è buona, sembra che la cattura del pedofilo sia inevitabile… ma un evento del tutto casuale farà crollare il castello di carte. La morale della favola? La logica ferrea del romanzo giallo è priva di senso in un mondo dominato dal caso.

30. High Rise

High RiseAutore: James G. Ballard
Genere: Horror / Slipstream
Anno: 1975

Questo libro è come Il signore delle mosche, solo che con uomini adulti, un grattacielo autosufficiente al posto di un’isola deserta, e la bizzarra caratteristica che i residenti potrebbero uscire e interrompere il “gioco”, ma non lo fanno. C’è anche molta più mattanza e più follia. Per tutti questi motivi, mi piace di più.
Ho già parlato di High Rise nel Consiglio del Lunedì #05.

29. The Egg Man

The Egg ManAutore: Carlton Mellick III
Genere: Horror / Urban Fantasy / Bizarro Fiction
Anno: 2008

In un futuro prossimo decadente e misero, le persone nascono come insettoni simili a mosche ed evolvono gradualmente in esseri umani. Tutti sono proprietà di una corporazione, e devono dimostrare di valere il tempo e i soldi spesi per dar loro vitto, alloggio e un’educazione. Lincoln, un Odore, si mantiene come pittore per la Georges Corporations, e deve dimostrare di essere in grado di produrre tele creative o verrà gettato in mezzo alla strada. Ma una serie di incontri disgustosi cambieranno la sua vita e lo faranno diventare una persona… diversa.
Il capolavoro di Mellick, benché per qualche motivo sia anche una delle sue novellas meno conosciute. Le bizzarrie ci sono tutte, ma il tono questa volta non è ironico – è cupo e triste. I protagonisti prendono direzioni veramente inaspettate, e per una volta Mellick non si attiene a un canovaccio classico – quel che succede è veramente imprevedibile. A ciò si aggiunge la genialità del potere di Lincoln: il suo senso principale è l’olfatto, perciò il romanzo è pieno di odori e immagini olfattive descritte benissimo. Una storia che ti fa veramente sentire la puzza delle cose. Stupendo! Mi piacerebbe dedicarci un Consiglio in futuro.

28. A ciascuno il suo

A ciascuno il suoAutore: Leonardo Sciascia
Genere: Poliziesco / Mainstream
Anno: 1966

Anche stavolta si tratta di un poliziesco atipico. Ambientato nella Sicilia dei mafiosi, degli inciuci politici e degli amici di amici, racconta di un doppio omicidio durante una battuta di caccia, e del modesto professor Laurana, che per divertimento decide di provare a risolvere il caso. Scoprirà che non si ficca il naso in faccende serie senza pagarne le conseguenze, e che del resto le sue intuizioni geniali e gli altarini svelati in realtà sono il segreto di Pulcinella.
Un’altra storia breve e amara, che come il libro di Durrenmatt scompagina la struttura classica del giallo, aggiungendoci però il sapore deliziosamente corrotto del meridione italiano. Mi piace perché è rapido, cinico, e senza una parola di troppo. Il miglior Sciascia , quando ancora scriveva storie oneste e non quella robaccia pseudo-intellettuale come Todo modo o Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia.

27. Childhood’s End

Childhood's EndAutore: Arthur C. Clarke
Genere: Science-Fantasy
Anno: 1953

Il miglior romanzo di invasione aliena che abbia mai letto, con degli invasori così smaccatamente superiori che l’umanità non ha una chance fin dall’inizio. E al contempo l’invasione suggerisce l’esistenza di cose e specie viventi ancora più grandiose e in alto nella scala evolutiva… Un libro genuinamente apocalittico!
Ho già parlato di Childhood’s End nel Consiglio del Lunedì #16.

26. Le dodici sedie

Autore: Il’ja Il’f & Evgenij Petrov
Genere: Commedia / Picaresque
Anno: 1927

A pochi anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, il nobile decaduto Ippolit Matveevic’ Vorobjaninov scopre che sua suocera, per evitare che i Bolscevichi si impossessassero delle ricchezze di famiglia, le nascose all’interno di una delle dodici sedie della sala da pranzo. Ma le sedie sono state espropriate dalla politica del Partito, e sparpagliate in tutta la grande Russia! Assieme a Ostap Bender, farabutto professionista specializzato nella nobile arte del raggiro, Ippolit si metterà sulle tracce delle dodici sedie, alla ricerca di quella che cela tutta la sua fortuna. Seguiranno disavventure tragicomiche di ogni sorta, e un finale crudo davvero geniale.
Le dodici sedie è un romanzo fresco e divertente, una delle ultime opere decenti che la Russia ha prodotto prima dell’inizio dell’allegro periodo delle grandi purghe staliniste. Si prende in giro di tutto, dalle politiche sovietiche e il nuovo gergo proletario, agli angoli più tradizionali di Russia e alla stupidità dei villici, passando per l’ossessione russa per gli scacchi. Ci sono alcuni momenti di stagnazione e il romanzo non è perfetto, però scorre piuttosto bene e fa divertire. E poi, Ippolit e Ostap sono una coppia stupenda.

25. Neuromancer

NeuromancerAutore: William Gibson
Genere: Science Fiction / Cyberpunk / Thriller
Anno: 1984

Case era un hacker professionista, ma quando ha tentato di fregare i suoi datori di lavoro, gli hanno inoculato una micotossina che gli impedisse di continuare a collegarsi al cyberspazio. Da allora, Case conduce una vita misera, contrabbandando tecnologia nel quartiere malfamato di Chiba City. Finché un tizio si presenta alla sua porta e gli offre la possibilità di liberarlo dalla micotossina, in cambio di un servizio molto speciale…
Di recente si è parlato spesso di Neuromancer sul blog; prima per paragonarlo a Vacuum Flowers di Swanwick (un po’ più in alto nella classifica), poi nel pronosticare la riuscita dell’adattamento cinematografico di Natali. Nonostante la tendenza di Gibson di fare l’autore literary, alcune scene davvero troppo confuse per essere comprensibili (come quella della cattura di Riviera), e l’estetica del cyberspazio, che è invecchiato male, rimane un gran bel libro. Nonché una pietra miliare della fantascienza.

24. The Sirens of Titan

The Sirens of TitanAutore: Kurt Vonnegut
Genere: Science Fiction / Social SF
Anno: 1958

Quando un aristocratico d’antico stampo si infila con la sua navicella privata in un infundibolo cronosinclastico, il destino dell’intera umanità è destinato a cambiare per sempre. A molti commentatori del blog questo romanzo non piace, ma io continuo a ritenerlo un mix geniale di sense of wonder e umorismo.
Ho già parlato di The Sirens of Titan nel Consiglio del Lunedì #02.

23. La marcia di Radetzky

La marcia di RadetzkyAutore: Joseph Roth
Genere: Storico / Mainstream
Anno: 1932

Da quando il tenente di fanteria Joseph Trotta ha salvato la vita a Francesco Giuseppe sul campo della battaglia di Solferino, le vite della famiglia Trotta sono legate a doppio filo a quella dell’imperatore. Come ricompensa per il nobile gesto il tenente viene innalzato al titolo di barone e i Trotta entrano nella nobiltà; ma questo titolo si rivelerà una maledizione piuttosto che un premio, nell’impero avviato alla fine dei suoi giorni. Il romanzo segue la vita del figlio e del nipote del tenente Trotta, e le loro alterne vicissitudini mentre si approssima lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Il Duca continua a menarla con la Germania Imperiale, ma quando volo nostalgicamente all’Europa degli ultimi decenni del Lungo XIX Secolo, è all’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe che penso. Il libro di Roth è un romanzone dal ritmo pacato, di impostazione ottocentesca, sulla fine dei sogni imperiali e della felix Austria. A chi ha la pazienza di leggerlo regala momenti di vero struggimento monarchico!

22. Il deserto dei Tartari

Il deserto dei tartariAutore: Dino Buzzati
Genere: Mainstream / Surreale
Anno: 1940

Nominato tenente, Giovanni Drogo viene assegnato alla Fortezza Bastiani. Il forte si trova sul confine della nazione, di fronte a una sconfinata pianura un tempo oggetto delle sortite degli invasori. E’ passato molto tempo dall’ultimo attacco, ma per gli uomini della fortezza ogni giorno potrebbero arrivare i nuovi attacchi del nemico. E Drogo si troverà intrappolato in questo clima di eterna attesa… ma arriveranno i Tartari?
Il deserto dei Tartari è senza dubbio il capolavoro di Buzzati, e un bellissimo esempio di surrealismo esistenziale. Lo scorrere del tempo, il senso di attesa, il terrore di una vita senza scopo e senza gloria che angoscia gli uomini della fortezza, colpiscono il lettore senza annoiarlo. E’ un altro dei libri che ho letto da più tempo ad essere entrati nella classifica, quindi non ricordo con precisione la qualità della scrittura.

21. Pantaleòn e le visitatrici

Pantaleon e le visitatriciAutore: Mario Vargas Llosa
Genere: Mainstream / Commedia
Anno: 1973

Nel cuore dell’Amazzonia, i soldati peruviani hanno la brutta abitudine di soddisfare i loro bisogni inappagati rapendo e stuprando donne indigene. Per porre fine a questa situazione indecorosa, l’alto comando incarica il capitano Pantaleòn Pantoja di studiare la situazione e istituire un servizio di “visitatrici” che si prendano cura dei bisogni dell’esercito ed evitino ulteriori danni d’immagine. Inizialmente inorridito dal compito, Pantaleòn è però anche un uomo dal rigido senso del dovere, e con la massima serietà si disporrà a eseguire gli ordini. Il servizio delle visitatrici si rivelerà non soltanto un toccasana per gli abitanti dell’Amazzonia, ma anche un compito complesso e appassionante che trasformerà Pantaleòn da così a così. Ma ci sono nemici pronti a screditare il suo operato e a gettare fango sull’esercito, e le cose potrebbero anche prendere una brutta piega…
Il romanzo più divertente di Vargas Llosa. Rispetto a quel pastrocchio di stili che è La città e i cani, qui siamo sulla buona strada, ma ancora sopravvive un certo barocchismo. L’autore utilizza una tecnica a incrocio per cui nello stesso paragrafo si intervallano battute dette nel presente e altre (richiamate nella conversazione nel presente) dette nel passato, per cui la storia continua a muoversi ogni poche righe tra due (e a volte più) periodi temporali differenti. Per certi versi l’idea è interessante e meriterebbe uno studio, ma così come la gestisce Vargas Llosa fa più che altro venire il vomito (oltre all’effetto “teste parlanti”). Altri capitoli sono costituiti da dispacci militari, lettere, questionari o script di trasmissioni radiofoniche.

20. A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court

Un americano alla corte di re artùAutore: Mark Twain
Genere: Fantasy / Gonzo-Historical / Commedia / Picaresque
Anno: 1889

Una bellissima satira del Medioevo e delle tinte nostalgiche e fiabesche in cui lo dipingevano i romantici ottocenteschi. E’ inoltre un ottimo antidoto per chi abbia fatto indigestione di cattivo fantasy.
Ho già parlato di A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court nel Consiglio del Lunedì #18.

19. Il valzer degli addii

Il valzer degli addiiAutore: Milan Kundera
Genere: Mainstream / Commedia
Anno: 1873

Una cittadina termale nella provincia di Praga diventa lo sfondo di un intreccio tragicomico in cinque giornate. Klima, trombettista nazionale belloccio, tradisce la gelosissima moglie Kamila con l’infermiera Ruzena. Scoperto che Ruzena è incinta, cerca di convincerla ad abortire e di interrompere la relazione, mentre viene inseguito da Frantisek, un pazzo in motocicletta convinto che Ruzena sia la sua ragazza. Intanto Jakub, ex-prigioniero politico a cui è stato accordato il permesso di lasciare la Cecoslovacchia, si trastulla con la pastiglia di veleno per commettere il suicidio datagli dal suo caro amico, Skreta, ginecologo della clinica che sogna di moltiplicarsi all’infinito versando di nascosto il proprio sperma nelle acque termali. E dall’America arriva il ricco magnate Bertlef, cristiano devoto nonché colmo dell’antico senso dell’onore. Il libro parte come una commedia rilassata ma finisce in modo serio – quasi metafisico – senza risparmiare un paio di pugni nello stomaco.
Kundera è un autore geniale, perché capace di passare insensibilmente, per gradi, dalla commedia alla tragedia; o di mostrare avvenimenti tragici col tono leggero della commedia. Il che per contrasto amplifica ancora di più gli avvenimenti tragici. Questo è il suo romanzo meno literary, meno intellettuale, e quindi anche uno dei più godibili. Potremmo definirlo: il vaudeville cecoslovacco con sorpresa. Oppure: Natale a Brno se fosse girato da un genio invece che dai Vanzina.

18. Do Androids Dream of Electric Sheep?

Do Androids Dream of Electric Sheep?Autore: Philip K. Dick
Genere: Science Fiction / Social SF / Thriller
Anno: 1965

In un mondo decadente, punteggiato di metropoli spopolate, in cui le forme di vita animali e vegetali sono quasi scomparse, in cui gli uomini abili emigrano sulle colonie spaziali e i sopravvissuti indulgono in una strana religione che permette a tutte le coscienze di fondersi nell’anima di un vecchio che sale una montagna mentre gli tirano le pietre, Rick Deckart viaggia per San Francisco a caccia di sei androidi fuggiaschi. Gliene capiterà di ogni e imparerà qualcosa.
Prima entrata del mio scrittore preferito nella classifica, ma ho cercato di controllarmi. La maggior parte di voi lo conoscerà grazie al film di Ridley Scott, ma lasciatemelo dire: Blade Runner ha stuprato questo libro. C’è così tanto qui dentro, e così poco in quel film. L’interrogativo alla base del film è la solita, annacquata domanda moralista-esistenziale: “non vedete che gli androidi sono umani come noi?”. Mentre nel libro Dick precisa che gli androidi non sono come gli esseri umani, e la domanda diventa: qual’è la differenza? Cos’hanno gli esseri umani che gli androidi non potranno mai replicare? Il tutto intriso in suggestive discussioni su entropia, empatia e ricerca della felicità.
In mezzo, un sacco di trovate creative e geniali come il Mercerismo, le macchinette che rilasciano umori e il bellissimo test Voigt-Kampf per scoprire se il soggetto è un essere umano o un androide.

17. Vacuum Flowers

Vacuum FlowersAutore: Michael Swanwick
Genere: Science Fiction / Hard SF / Space Opera / Cyberpunk
Anno: 1987

Neuromante a spasso per il Sistema Solare! Con in più, riprogrammazione mentale, ibridi pianta-macchina, e la Terra trasformata in un’unica coscienza collettiva. E una protagonista molto più simpatica del Case di Gibson (e che fa un sacco di sesso – ma questo perché Swanwick è un vecchio porcone).
Ho già parlato di Vacuum Flowers nel Consiglio del Lunedì #21.

16. Troppo buoni con le donne

Troppo buoni con le donneAutore: Raymond Queneau
Genere: Mainstream / Commedia
Anno: 1947

Durante la storica Insurrezione di Pasqua a Dublino, un pugno di repubblicani irlandesi guidati da John McCormack occupa un ufficio postale. Ammazzato il direttore, barricati dentro l’edificio, sono preparati a resistere a oltranza e a manifestare il loro odio verso la Corona britannica. Ma non avevano calcolato un imprevisto: una giovane impiegata con un’arma molto particolare.
Con Queneau ho rapporti altalenanti. I suoi romanzi irlandesi sono spassosissimi (se questo vi piace, provate anche Il diario intimo di Sally Mara), ma molti altri sono rovinati dalle sue ambizioni literary (per esempio non mi piace granché il tanto celebrato I fiori blu). Troppo buoni con le donne è una storia breve, rapida, tutta sesso&pallottole, e con qualche scena al limite del surreale. La parlata dei ribelli è resa benissimo, con frasi dalla sintassi dubbia, piene di slang e battutacce. La morale? Si è sempre troppo buoni con le donne!

15. Il mondo nuovo

Il mondo nuovoAutore: Aldous Huxley
Genere: Science Fiction / Distopia
Anno: 1932

Un altro libro talmente famoso da non richiedere molte parole. Eugenetica, produzione industriale di neonati, manip0lazione mentale, soppressione della libertà, tutto in un pratico pacchetto distopico. Il bellicoso (ma facilmente comprabile) intellettuale Bernard Marx e l’infelice selvaggio John sono due ottimi protagonisti, pieni di luci ed ombre in una storia che poteva facilmente sfociare nella bassa retorica. E fa riflettere seriamente sulla domanda: meglio la libertà o la felicità?
Il mondo nuovo è una delle distopie più riuscite nella storia della letteratura. Per quanto sia meno drammatica, la trovo più realistica di quella di 1984. Ciò che la frega è una prosa poco curata, piena di aggettivi e avverbi, e una gestione disordinata del pov. Rimane un libro geniale.
L’edizione Oscar Mondadori accorpa al romanzo un breve saggio del ’58, in cui Huxley si interroga sulle caratteristiche della società de Il mondo nuovo e si chiede se si siano già realizzate o siano sulla via per realizzarsi nel mondo reale.

14. Il vecchio e il mare

Il vecchio e il mareAutore: Ernest Hemingway
Genere: Mainstream
Anno: 1952

Breve novella che racconta della sfida di un pescatore solitario e ormai giunto alla fine dei suoi giorni contro un pesce che non vuol lasciarsi prendere e le insidie del mare.
E’ un altro libro molto famoso, e forse parrà banale che anch’io lo metta così in alto nella mia classifica. Però, che volete? E’ una storia minimalista, ma ha tutto quello che le serve. Penso anch’io che ci sia una certa vena epica nella lotta di questo vecchio contro un degno avversario. E sono stato davvero triste quando sono arrivati gli squali a banchettare sulla carcassa.

13. Una banda di idioti

Una banda di idiotiAutore: John Kennedy Toole
Genere: Mainstream / Commedia / Picaresque
Anno: 1980

Ignatius J. Reilly è un uomo assurdo. Ciccione, intellettuale, irascibile, misantropo, amante della filosofia scolastica e di Boezio, profondo odiatore della cultura pop e della rivoluzione sessuale, e convinto di essere il più grande genio vivente. Ma ha un problema:  deve trovarsi un lavoro. E così, eccolo aggirarsi per le strade della sozza New Orleans, in mezzo a poliziotti incapaci, spogliarelliste, buttafuori negri, omosessuali e un vecchio ossessionato dai comunisti.
Una banda di idioti non ha una vera trama, aldilà del leit motiv del protagonista che deve trovarsi un lavoro ma è incapace di tenersene stretto uno. Le sue peregrinazioni servono a Toole per introdurre una galleria di personaggi bizzarri, per poi approfondire e intrecciare le loro storie fino a un finale climatico e molto divertente. E’ un romanzo corale, in cui interi capitoli sono dedicati a personaggi secondari. Ma va bene, perché il succo del romanzo è un’epica suburbana un po’ retard sul palcoscenico della New Orleans degli anni ’60. Squisito.

12. Trilogia della Fondazione

Trilogia della FondazioneAutore: Isaac Asimov
Genere: Science Fiction / Politico
Anno: 1951 – 1953

La Fondazione di Asimov mi ha formato così come altri sono stati formati dal Signore degli Anelli o da Il richiamo di Chtulhu. Certo sono dei libri lontani dalla perfezione: la prosa lascia a desiderare (soprattutto nelle prime parti), la maggior parte dei personaggi sono manichini funzionali alla trama, senza una grande personalità, e Asimov ha questa sgradevole tendenza a montare la tensione verso una grande battaglia o una resa dei conti – per poi saltare la descrizione vera e propria di questa situazione e passare a un momento successivo, in cui se ne discutono gli esiti (immagino perché non fosse ferrato in questioni militari e non volesse fare una brutta figura).
Ma il concetto di psicostoria, e l’idea di un organismo politico costruito a tavolino che cresce, secolo dopo secolo, attraversando una serie di eventi più o meno drammatici mentre è controllato dalle mani invisibili di un pugno di scienziati-psichici, sullo sfondo di un Impero Galattico in rovina, mi piace davvero troppo. Per me la Trilogia della Fondazione è un distillato purissimo di sense of wonder.

11. Il processo

Il processoAutore: Franz Kafka
Genere: Surreale
Anno: 1925

Una mattina, due uomini si presentano in casa di Josef K. per notificargli il suo stato di arresto e che si trova molto processo. A nulla varranno i tentativi di K. di discolparsi o anche solo di scoprire quali siano i capi d’imputazione: la macchina processuale si è messa in moto, e nessuno è in grado di fermarla. Quel che è peggio, anche Josef, pur sapendosi innocente, comincia a sentirsi colpevole e a comportarsi come tale…
Credo che Il processo sia uno dei capolavori della letteratura mondiale. Raramente ho provato una tale sensazione di ansia, l’idea di un male così diffuso, pervasivo e inevitabile; l’idea che anche se non hai fatto niente, se dicono che sei colpevole in modo abbastanza autorevole finirai per sentirti colpevole. La scrittura secca, gelida, mostrata di Kafka fa il resto. Peccato solo per la sua abitudine ai wall of text.

10. La vita, istruzioni per l’uso

La vita istruzioni per l'usoAutore: Jacques Perec
Genere: Literary Fiction / Mainstream
Anno: 1978

Questo romanzo di Perec riassume tutto ciò che mi piace della literary fiction ben fatta. Ossia, la costruzione di un elegante gioco intellettuale, che il lettore è invitato a districare. Perec ci mostra una palazzina residenziale e la disposizione di tutti gli appartamenti, dopodiché procede a descrivere, appartamento per appartamento, l’arredamento delle stanze e la vita dei loro inquilini. A poco a poco, come in un puzzle, vediamo le vite e gli oggetti del condominio incastrarsi gli uni negli altri, fino a formare una storia.
La finzione scenica è palese. Immersione e sospensione dell’incredulità non sono pervenute. Il ritmo è bassissimo. Ma l’autore chiarisce fin dall’inizio il suo scopo, ossia presentare un divertente rompicapo. Il piacere di leggerlo e di far combaciare i pezzi è lo stesso di giocare a un puzzle game senza tempo limite.

09. Flatland

FlatlandAutore: Edwin A. Abbott
Genere: Fantasy / Pseudo-trattato
Anno: 1884

La cronaca immaginaria di un abitante di un mondo bidimensionale, che prima ci racconta il suo mondo e poi dell’avvento di un profeta venuto dalla terza dimensione. Uno dei libri più immaginifici che abbia mai letto, ha acceso in me una scintilla quando ancora ero quattordicenne.
Ho già parlato di Flatland nel Consiglio del Lunedì #01, ai veri e propri albori del blog!

08. Il castello

Il castelloAutore: Franz Kafka
Genere: Surreale
Anno: 1926

In pieno inverno, l’agrimensore K. raggiunge un piccolo villaggio alle pendici di un antico castello. K. è stato assunto dal Conte per lavorare al paese, e aspetta di incontrarlo per discutere dei termini dell’incarico. Ma l’agrimensore sbatte contro un muro di gomma: al villaggio nessuno sa di lui e nessuno ha intenzione di metterlo in contatto col Conte. Il bisogno di valicare la rigida burocrazia del castello e di raggiungere il Conte, di costruirsi una rete di alleanze e ritagliarsi uno spazio nella vita del villaggio diventerà l’ossessione di K.
Se questo romanzo è meno famoso de Il processo, è solo perché Kafka l’ha lasciato incompiuto. Lo preferisco perché è ancora più perverso: se Josef K. vorrebbe evitare il processo e riavere la sua vita normale, il protagonista de Il castello se la va a cercare. Il suo bisogno di ottenere l’impossibile udienza col Conte ha qualcosa di inquietante. Inoltre c’è tutta una galleria di personaggi assurdi: la scostante cameriera Frieda, l’instabile messaggero Barnabas, i gemelli Arthur e Jeremiah, assegnati a K. come assistenti ma che si comportano come bambinetti ritardati, o l’irraggiungibile e contegnoso burocrate Klamm, teorico superiore di K.
A chi avesse amato Il processo, consiglio di provare anche questo. Ma tenete conto che non ha un finale.

07. 1984

1984Autore: George Orwell
Genere: Science Fiction / Distopia
Anno: 1948

Ed eccoci a un altro romanzo che è quasi scontato trovare così in alto nella classifica. Come dicevo parlando de Il mondo nuovo, questa distopia è meno credibile di quella di Huxley, ma è così grottesca, lugubre, ansiogena, da essere memorabile. E infatti, sebbene abbia letto questo romanzo a diciassett’anni, è come se l’avessi letto ieri da quanto bene mi ricordo tutto quel che succede!
Ci si identifica subito in Winston Smith, nelle sue disavventure, nelle sue speranze e nella sua disillusione finale. Geniali anche le intuizioni sul bipensiero, l’ambizioso progetto della Neolingua e la riscrittura sistematica del passato (tutte caratteristiche prese di peso dall’URSS stalinista, ma ulteriormente amplificate). Se Il mondo nuovo colpisce soprattutto la testa, 1984 colpisce alla pancia. E fa male!

06. Il pendolo di Foucault

Il pendolo di FoucaultAutore: Umberto Eco
Genere: Mainstream / Surreale
Anno: 1988

Un po’ per gioco, un po’ stimolati dagli alchimisti, gli occultisti e gli altri strani personaggi che gravitano attorno alla casa editrice in cui lavorano, Casaubon i suoi colleghi, Belbo e Diotallevi, cominciano a rivedere l’intera storia europea, dal Tardo Medioevo all’epoca contemporanea, alla luce di teorie cospirative che ruotano attorno ai dannati Templari. Nel corso di mesi e anni prende forma il Piano, una rete di collegamenti che comprende il Santo Graal, Raimondo Lullo, Francesco Bacone, l’Ordine dei Rosacroce, la massoneria, i Protocolli dei Savi di Sion, il nazismo. Quello che non sanno, è che il gioco sta diventando più serio di quel che credono, soprattutto quando Aglié, un nobiluomo convinto di essere la reincarnazione del Conte di Saint-Germain, decide di impossessarsi delle loro “scoperte”…
Se Il pendolo di Foucault è salito così in alto nella mia classifica, lo si deve probabilmente al mio amore per le ucronie, le storie segrete e soprattutto la giusta derisione di tutte le teorie del complotto (soprattutto se comprendenti i fottuti Templari ^-^). Oggettivamente non meriterebbe un posto così in alto: Eco è verboso, stila elenchi lunghissimi e insulsi, e probabilmente si potrebbero tagliare 200-300 pagine senza compromettere l’intelligibilità della trama. Ma il Piano steso dai protagonisti è così folle da essere geniale, e qui e là ci sono altre perle, come il funzionamento della casa editrice a pagamento del signor Garamond.
Questa è anche l’opera italiana arrivata più in alto nella mia classifica.

05. A Canticle for Leibowitz

A Canticle for LeibowitzAutore: Walter M. Miller
Genere: Science Fiction / Apocalyptic SF
Anno: 1959

Dopo l’olocausto nucleare, spetta ai monaci il compito di custodire il sapere antico e ricostruire la civiltà. Ma l’umanità saprà evitare di commettere di nuovo gli stessi errori…?
Ho già parlato di A Canticle for Leibowitz nel Consiglio del Lunedì #06. Per inciso, si tratta del Consiglio (e dell’opera di fantascienza vera e propria) arrivata più in alto nella classifica.

04. Flow My Tears, the Policeman Said

Flow My Tears, the Policeman SaidAutore: Philip K. Dick
Genere: Slipstream / Mainstream
Anno: 1974

In seguito a un incidente, la star televisiva Jason Taverner diventa una non-persona – e questo può avere brutte conseguenze, in un’America trasformata in uno stato di polizia, in cui i college sono sigillati come caserme. Nel tentativo di recuperare la sua identità,Taverner incontrerà una serie di donne (più o meno felici, più o meno sane di mente) e conoscerà molti tipi di amore. Ma il suo destino è nelle mani di Felix Buckman, cinico commissario di polizia, e di sua sorella Alys, psicopatica lesbica tossicomane. E Buckman farà la sua scelta.
Ho notato che questo romanzo spacca in due i lettori, anche tra gli amanti di Dick: chi lo ama e chi lo reputa una roba insulsa. Io appartengo alla prima categoria, ma sono il primo ad ammettere che si tratta di una storia strana. E’ un romanzo in cui si chiacchiera molto e si incontrano molti personaggi, ma succede poco. E’ un romanzo di atmosfera più che di trama, e gli elementi fantascientifici servono solo da innesco (e d’altronde a Buckman la spiegazione nemmeno interessa…).
Ci sono almeno due scene da antologia: quella della pedofilia consensuale (ma Dick avrebbe potuto collegarla meglio alla storia principale), e quella finale alla pompa di benzina (la stessa che anni dopo avrebbe ispirato a Dick allucinazioni cristologiche). Quest’ultima mi aveva fatto venire le lacrime agli occhi.

03. Buio a mezzogiorno

Buio a mezzogiornoAutore: Arthur Koestler
Genere: Politico / Mainstream
Anno: 1940

Nicola Rubasciov, esponente di primo piano del Partito, viene arrestato per crimini politici. Era l’ultimo sopravvissuto tra quelli della vecchia guardia, ma ormai è giunto anche il suo turno. Tra interrogatori, pressioni psicologiche, e le sue riflessioni sulla sua vita e sulla sua devozione alla causa del Partito, assistiamo alla prigionia di Rubasciov e ai suoi ultimi giorni.
Questo romanzo ha per me un’importanza particolare, dato che parla del comunismo da parte di uno che ci capiva (Koestler fu attivo nel Partito Comunista tedesco per quasi dieci anni). Rubasciov è un personaggio immaginario, ma è il simbolo di tutti quei dirigenti di Partito sommariamente processati da Stalin durante le purghe della fine degli anni Trenta. Il protagonista rivede la sua vita, si chiese se il Partito abbia tradito la causa o sia stato lui a sbagliare, ad allontanarsi dalla scienza marxista, e sia stato quindi giustamente punito. Koestler si lascia un po’ troppo andare alle riflessioni astratte – Rubasciov può anche passare pagine e pagine a pensare, senza compiere alcuna azione concreta – ma succedono anche un sacco di cose tra quelle quattro pareti: le discussioni fatte battendo un cucchiaio sul muro contro il suo vicino di cella, un’ex-ufficiale zarista dal ferreo senso dell’onore e sommo disprezzo per il comunismo; l’osservazione dalla finestra della cella al cortile della prigione, frequentato da un prigioniero che sembra conoscerlo; i flashback di quando era ancora agente attivo della Rivoluzione, e compiva azioni più o meno belle; gli estenuanti interrogatori. Fino all’amara conclusione.

02. La vita è altrove

La vita è altroveAutore: Milan Kundera
Genere: Literary Fiction / Mainstream / Commedia
Anno: 1973

Da quando la sua cara mamma e il suo maestro gli dicono che è dotato nel disegno, Jaromil decide che farà l’artista. Ma quando, crescendo, scopre che non ha nessun talento nella pittura, cambia idea e decide che sarà un grande poeta lirico. La sua vita prosegue all’insegna di questa decisione, tra capricci, entusiasmi infantili, un alter-ego immaginario, la salita al potere del Partito comunista in Cecoslovacchia, un amore e un brutto raffreddore.
La vita è altrove è scritto in uno stile marcatamente literary: fin dalle prime righe l’autore interviene, spiega di cosa parlerà, commenta, fa digressioni. Il narratore commenta, chiosa e spiega man mano che ci mostra la vita di Jaromil. Messa così, sembra una roba irritante e votata al fallimento, ma Kundera è acuto e spiritoso, e il libro si trasforma in una specie di lungo commentario umoristico sulla vita di questo giovane pieno di sé, sull’adolescenza e sulla poesia. Lo lessi in due giorni quasi in apnea.
Del resto, neanche a me è mai piaciuta la poesia lirica.

01. A Scanner Darkly

A Scanner DarklyAutore: Philip K. Dick
Genere: Slipstream / Mainstream
Anno: 1977

C’è una nuova droga in circolazione a Los Angeles, la pericolosa Sostanza M. Robert Arctor, agente della narcotici che odia la sua vita e la sua famiglia perfetta, decide di dedicare la sua vita all’indagine e all’estirpazione della droga; assume i panni di un tossico e va a vivere tra i drogati. Ma col passare del tempo, le droghe cominciano a consumarlo; le sue due personalità cominciano a dissociarsi, e gli sembra che qualcuno stia cercando di tradirlo… Cosa cazzo gli stia succedendo…? E c’è per lui qualche speranza di una vita felice?
A Scanner Darkly è il mio romanzo preferito. Ci sono idee geniali (la tuta spersonalizzante, che genera connotati fisici in modo randomico e continuo), ci sono personaggi stupendi (il genio paranoide James Barris, lo schizofrenico Charles Freck, la gelida eroinomane Donna Hawthorne), dialoghi surreali da fattoni (memorabile il brillante piano di Barris per sorprendere i ladri in casa), momenti di tensione quasi sovrannaturale. Soprattutto, c’è il senso desolante dell’impossibilità di costruire vere e durature amicizie in quel mondo, dove si conduce una vita ai limiti della sussistenza e devi sempre stare attento che il tuo compagnone non cerchi di fotterti i soldi (o la vita) per una dose.
Il romanzo più sentito di Dick – che fece quella vita per un certo tempo – e anche il suo più bello. E’ fantascienza solo per modo di dire; in realtà è un gran bel mainstream.

In chiusura
Questa era la classifica dei miei cinquanta romanzi preferiti. Piaciuta? Vi ha stupito, o era proprio quel che vi aspettavate? E un’altra domanda: vi piacerebbe che dedicassi un articolo più lungo a uno dei libri che qui ho presentato di sfuggita? E’ più che altro una curiosità – alcuni di questi li ho letti molti anni fa, e dovrei rileggerli per poterci scrivere sopra qualcosa.
Ma mi piacerebbe sentire i vostri pareri, in generale.

WOW, che articolo lungo. Quasi 9000 parole, manco fossi il Duca.
Vi conviene leggervelo a puntate.

Pazzia

Una sintesi dei miei gusti letterari, per i pigri.

(1) Prima che Dago me lo chieda: no, non simpatizzo con i populisti anarchici. Tra l’altro, Lenin ci scrisse sopra un libro per mettere in guardia i bolscevichi da quel branco di idealisti privi di scienza: Che cosa sono gli “Amici del Popolo”?.Torna su
(2) Per chi non la conoscesse, secsi utentessa che frequenta i blog di Zwei e del Duca (e, se non ricordo male, il forum di Massacri Fantasy). Ma sono certo che Dago fornirà informazioni supplementari a chiunque sia interessato.Torna su

Tre film di Vincenzo Natali

Vincenzo NataliVincenzo Natali è un tizio che spunta a intervalli di anni nella mia vita. Regista canadese con nome italiano (tanto per cambiare), Natali è un regista di nicchia specializzato in fantascienza, ma che in realtà si muove anche nel territorio più ampio del fantasy surreale e dell’horror.
Scoprii la sua esistenza, come molti di voi, quando guardai l’inquietante Cube, il suo primo lungometraggio. Lo riscoprii quando un amico mi regalò per Natale (lol) il dvd del film Cypher – visivamente bello, ma povero nei contenuti. E infatti la sceneggiatura non l’aveva scritta Natali. Il terzo incontro con il regista avvenne nella lettura di questo articolo del 2010, in cui Natali dichiarava l’intenzione di girare degli adattamenti di Neuromancer di Gibson e High Rise di Ballard. A quest’ultimo progetto, peraltro, avevo già accennato lo scorso dicembre nel Consiglio del Lunedì su High Rise.
Mentre il progetto di adattare High Rise sembra ancora in alto mare – e, sempre che si faccia davvero, non mi aspetto che esca prima di due-tre anni da adesso – Neuromancer va avanti, e pare che le riprese siano cominciate nel corso del 2012. Il film potrebbe uscire l’anno prossimo. Proprio queste ultime notizie mi convinsero a dare un’occhiata alla filmografia di Natali. Neuromancer e High Rise sono due romanzi che mi piacciono molto: volevo assicurarmi che Natali avesse le capacità per fare qualcosa di decente e non rovinare la loro prima trasposizione sul grande schermo.

Ho visto (o rivisto) tre film diretti e sceneggiati da Natali; tre film che mi potessero suggerire come lavorerà sui suoi prossimi progetti. Qui di seguito le mie impressioni. Ovviamente sarò breve e più superficiale del solito, non sto scrivendo delle recensioni – voglio solo dare un’idea e poi tirare le somme.

Cube
Cube - Il cuboGenere: Horror / Science Ficion
Anno: 1997

Cube lo conoscono quasi tutti; per i pochi sfortunati, ecco la trama. Sei individui – un poliziotto, un criminale maestro della fuga, una studentessa di matematica, un medico, un impiegato e un ritardato – si risvegliano, senza alcuna idea del perché, all’interno di stanze cubiche variamente colorate. Le stanze comunicano le une con le altre, in un labirinto cubico che si sviluppa in tutte le direzioni. Ma il cubo è pieno di trappole mortali: se non si sta molto attenti si rischia di finire tagliati a cubetti da rasoi attivata da un pannello a pressione, o sciolti da una pioggia d’acido. I nostri eroi si alleeranno nel tentativo di uscire dal cubo e capire cosa sia loro successo, ma il terrore della morte e i reciproci sospetti li faranno diventare i peggiori nemici di sé stessi…
Vidi questo film nello stesso periodo in cui al cinema si accumulavano horror dal titolo minimale, come The Ring, The Eye o The Grudge. Ma ci si accorgeva subito che Cube era diverso. Parte del fascino deriva sicuramente dalla semplicità quasi metafisica del cubo, dal minimalismo delle premesse e dal mistero e dalla pericolosità che aleggia su tutto. Volendo dare qualche coordinata, sembra Kafka che incontra Borges che incontrano il gore (anche se di violenza esplicita nel film non ce n’è poi molta).
Parte deriva invece dalla gestione dei personaggi: l’estremo stress della situazione finisce, sul lungo periodo, col mettere a nudo i lati peggiori dei personaggi, anche dei più innocui (almeno – quelli che vivono abbastanza a lungo da mostrare questi lati peggiori). Per quanto riguarda il protagonista c’è una vera e propria inversione di ruoli, il che è piuttosto inusuale nella narrativa di genere a cui siamo abituati.
Insomma: trama e sceneggiatura di Cube sono veramente esili, ma il film è così avvincente e immersivo che non ce ne rendiamo conto.

In conclusione: PROMOSSO Si

Nothing
Genere: Fantasy / CommediaNothing
Anno: 2003

Andrew e Dave sono inseparabili. Sono diventati amici per necessità: Andrew è un individuo nevrotico con un tale terrore del mondo esterno da non avere il coraggio di uscire di casa, mentre Dave è semplicemente uno sfigato, sempre a corto di soldi, disprezzato e usato dai suoi colleghi al lavoro. Finora sono sempre riusciti a far fronte alle angherie del mondo esterno sostenendosi a vicenda, ma la situazione diventa ogni giorno più insostenibile. Proprio quando sembra che non ci sia più via di fuga, il mondo diventa improvvisamente silenzioso e vuoto: nulla, al di fuori della loro casa, sembra più esistere. E’ stato cancellato tutto. Cos’è successo? Dove sono finiti? Sono stati loro a farlo? E se davvero hanno un dono, sapranno farne buon uso?
Con Nothing, Natali riprende lo stile minimalista di Cube – invece che gente gettata in un cubo misterioso, abbiamo la misteriosa sparizione del mondo intero – ma li declina in commedia anziché in tragedia. In questo film si incontrano il fiabesco (la casa di Andrew, sola in mezzo a un dedalo di cavalcavia, sembra uscita dal libro dei fratelli Grimm), il surreale, e una genuina vena retard. E anche questa volta, l’ambiente sovrannaturale e inspiegabile diventa il palcoscenico per mettere in scena i lati oscuri dell’anima umana e dell’amicizia – ora che Andrew e Dave non hanno più bisogno l’uno dell’altro perché il mondo kattivo non c’è più, i nodi cominciano a venire al pettine.
Ma Nothing non funziona bene come Cube. Il film è girato a basso budget e si vede, ma non è questo il problema. Le premesse sono altrettanto esili che in Cube, ma non sono così avvincenti, né in grado di sostenere da sole un intero film. Natali si balocca con l’idea del mondo sparito e del potere dei due amici di cancellare cose a loro scelta, ma non va molto lontano; la storia gira sugli stessi due o tre concetti per tutto il film, senza regalare nulla di davvero sorprendente o inaspettato dopo lo shock iniziale. La parte più divertente infatti è prima che il mondo scompaia, quando Natali accumula disgrazie sui due protagonisti in un climax grottesco e demenziale.
Si potevano fare un sacco di cose con le premesse di Nothing, ma Natali combina poco. Il film quindi è carino e originale, ma nulla di davvero imperdibile.

In conclusione: MEH Meh

Splice
Splice Genere: Science Fiction / Horror
Anno: 2006

Clive ed Elsa sono un’affiatata coppia di ingegneri genetici specializzati nello splicing dell’RNA. Finanziati da un’impresa farmaceutica, lavorano alla creazione di ibridi animali per scopo medico. Dopo aver dato vita a una coppia di animaletti sintetici, vorrebbero passare allo step successivo e ibridare l’RNA sintetico con il genoma umano, ma l’impresa farmaceutica blocca la loro iniziativa, temendo ripercussioni. Elsa – una tipa vagamente nevrotica – spinge il compagno a continuare le ricerche in privato, ma l’esperimento sfugge loro di mano e finisce col dare alla luce un’ibrido umano-animale dal metabolismo accelerato. Ed ecco il problema: cosa fare di lei? Sopprimerla o nasconderla da qualche parte? Considerarla come una cavia da laboratorio, o trattarla da essere umano? Ma come farà Dren – così viene ribattezzata – ad integrarsi nella nostra società?
Di nuovo, siamo in presenza di un film che parte da premesse fike – manipolazione genetica! Esseri umani creati in provetta! L’etica scientifica! – ma che non sa che direzione prendere. Un po’ horror, un po’ dramma psicologico, un po’ pillolone esistenziale con sottofondo moralista, Splice è un film che tenta di fare dieci cose diverse e non gliene riesce una. Il succo della storia è la solita trita retorica sul pericolo di utilizzare la scienza in modo indiscriminato, e sul fatto che allevare una creatura nel modo sbagliato creerà in essa (o in lei) dei disturbi psichici. A questo aggiungiamo un finale “horror con mostri” davvero ridicolo, e che col resto del film ci sta come i cavoli a merenda.
Non è tutto da buttare. La fisica degli ibridi – dalle craturine vermose e luminescenti dell’inizio alla stessa Dren – è una gioia per gli occhi. Gli ibridi Ginger e Fred, in particolare, hanno quell’apparenza appiccicosa, viscosa, che ricorda Videodrome ed ExistenZ di Cronenberg (film mediocri, soprattutto il secondo, ma esteticamente suggestivi). Mi piace anche l’ambiente nerdoso e informale in cui si muovono i due protagonisti, che sembra verosimile senza essere pretenzioso. Ancora, mi piace il rapporto malsano tra i due scienziati e dei due con la piccola Dren: su una cosa Natali è sicuramente in gamba, ossia nella gestione della psicologia dei personaggi.
Ma tutti questi pregi isolati crollano sotto i colpi di una storia che non tiene. Se le mie parole vi hanno incuriosito guardate comunque questo Splice, ma non aspettatevi niente di geniale.

In conclusione: MEH, TENDENTE AL NO Meh

Dove si trovano?
Cube e Splice sono facili da trovare doppiati in italiano sul Mulo. Discorso diverso per Nothing, per il quale dovrete faticare di più.
L’unica edizione italiana che sono riuscito a trovare sul Mulo, infatti, era stata “doppiata” (se così possiamo dire) amatorialmente da un paio di mentecatti, con risultati deprimenti. L’unica soluzione dignitosa è scaricarsi l’edizione originale e i sottotitoli a parte.
A questo indirizzo potrete trovare il torrent di Nothing; a quest’altro i relativi softsub. I sottotitoli che vi interessano (cioè quelli perfettamente sincronizzati col film del torrent) sono i primi della lista, con nome: Nothing.2003.DVDRip.XviD-TML. Ringrazio Siobhàn che si era fatta ai tempi lo sbatti per trovare i sottotitoli, e se l’è rifatto l’altro giorno per ritrovarli.

Splicing

Splicing. Nella realtà non è così divertente, eh?

Come se la caverà Natali
Dopo la visione di questi film, che idea mi sono fatto di Vincenzo Natali?
Di sicuro, non è un genio. Non è un regista del fantastico e del surreale del calibro di Terry Gilliam, David Cronenberg o del miglior David Lynch1. L’impressione più forte, è che Natali abbia spesso buone idee di partenza, ma non sia molto bravo a svilupparle né a costruirci attorno una storia complessa. Quando le premesse sono interessanti e autosufficienti, allora il film è bello; altrimenti Natali cincischia, e se va proprio male la storia collassa su sé stessa. Ma si tratta comunque di un regista in gamba, e fortunatamente sia con Neuromancer che con High Rise si troverà ad avere un’impalcatura di base su cui costruire il film – non dovrà inventare niente.
Ancora, Natali sembra un regista capace di prendersi il suo tempo per capire l’opera su cui dovrà lavorare, e che preferisce la libertà del cinema indipendente alle restrizioni di Hollywood. Come dice in questo articolo parlando di Neuromancer:

E’ assolutamente un film commerciale, e ognuno si sta comportando a riguardo come per un film che potenzialmente potrebbe essere un successo, ma se l’avessimo realizzato con una grossa major mi sarei dovuto preoccupare di avere imposti dei limiti. Se invece possiamo racimolare indipendentemente 60 milioni di dollari, allora lavorerò in totale libertà, e questo è eccitante

Neuromancer si presterebbe benissimo, infatti, a diventare il solito film d’azione hacker&criminalità – formula che negli ultimi cinque o sei anni ha rovinato una decina e passa di film di fantascienza potenzialmente interessanti.
Natali sembra invece intenzionato a mantenere lo spirito originario dell’opera. Questo confronto / presa di distanza da Matrix mi fa ben sperare:

Neuromancer is about evolving our minds, and how we’re going to merge and interact with machine consciousnesses in the future. Which I also think is inevitable, and I don’t think The Matrix begins or even attempts to go into that territory. In fact The Matrix, in some respects is like a Philip K. Dick book, it’s really about what is real. And Neuromancer flirts with that, but I think it’s more about our evolution. It’s also tonally much more realistic. The Matrix which I really liked, is a movie that’s very much based in comic-book reality, and kind of relishes in it. Whereas my approach to Neuromancer would be to treat it quite realistically.

Ultima nota positiva, la benedizione dello stesso Gibson – che stando all’articolo di cui sopra avrebbe detto della sceneggiatura di Natali “uno dei migliori adattamenti mai letti”.
Insomma, Neuromancer ha le carte per essere bello come Cube o bruttino come Splice. Be’, dai. Poteva andare peggio. Potevano darlo a John Woo.

John Woo

Nel frattempo, dice il The Guardian che Joe Cornish – il regista che ha esordito con lo strambo Attack the Block, recensito qui da Mr. Giobblin – adatterà per il grande schermo Snow Crash, il primo romanzo cyberpunk di Neal Stephenson (o post-cyberpunk, come dice lui).
Cosa sta succedendo? Siamo alle porte di un revival del cyberpunk? OMFG.

(1) Per intenderci, quello di Eraserhead,  DumbLand o Mulholland Drive. Non il Lynch di Inland Empire, ormai ubriaco della sua stessa fama e rincoglionito da anni di “meditazione trascendentale” – il Lynch convinto che l’ermetismo estremo e l’assenza di trama siano il vero marchio del cinema d’autore.Torna su

I Consigli del Lunedì #23: Warrior Wolf Women of the Wasteland

Warrior Wolf Women of the WastelandAutore: Carlton Mellick III
Titolo italiano: –
Genere: Horror / Apocalyptic SF / Bizarro Fiction
Tipo: Romanzo

Anno: 2009
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 313

Difficoltà in inglese: *

McDonaldland è l’ultimo bastione della civiltà moderna, in un mondo devastato dall’olocausto nucleare. Sotto l’occhio benevolo della Benedetta Corporazione McDonald’s, gli abitanti lavorano sedici ore al giorno alla produzione di patatine fritte, pane per hamburger, carne di nu-mucca o nu-gallina, o altri cibi McDonald’s – gli unici legali a McDonaldland. A causa di questa dieta, gli abitanti sono quasi tutti grassi e sono incoraggiati a diventarlo ancor di più. Per chi si ribella alla volontà della corporazione, d’altronde, c’è un solo destino: essere esiliati da McDonaldland, aldilà del muro di trecento piedi che circonda la città, in una landa desolata infestata di famelici lupi mannari.
Un tempo anche i lupi mannari erano esseri umani – donne. In seguito alla guerra nucleare, un parassita si è insediato nei corpi di tutte le donne, infettandole con la sua maledizione. Da allora, ogni volta che una donna ha un orgasmo, perde un po’ della sua umanità e acquista tratti da lupo; il loro destino ultimo è di trasformarsi in bestioni di puro istinto grossi come autobus. Per questo, qualunque donna venga sorpresa a fare sesso o a masturbarsi senza aver ricevuto l’autorizzazione dal governo, viene immediatamente esiliata – condannata a trasformarsi in lupo mannaro o ad essere sbranata da uno di essi.
Daniel Togg conduce una vita infelice nella periferia di McDonaldland, producendo birra di nascosto con materiale di scarto e pensando a Nova, la sua fiamma del liceo, cacciata nelle terre selvagge dopo che un uomo l’aveva stuprata. Tra orari impossibili nella fabbrica di produzione di patatine e quel bullo di suo fratello, tenente di polizia di McDonaldland, la vita di Daniel non è mai stata facile – ma ora le cose stanno peggiorando. Devono aver messo qualcosa di sbagliato nel cibo, perché negli ultimi mesi a Daniel sono spuntate dal petto altre due braccia. Ora Daniel deve tenerle sempre nascoste sotto la maglietta, perché anche il destino dei mutanti, come quello dei lupi mannari, è di essere cacciati dalla città – e dati in pasto alle bestie là fuori.

Carlton Mellick III è un autore specializzato in novellas (racconti molto lunghi o romanzi brevi), ma con Warrior Wolf Women of the Wasteland torna al romanzo vero e proprio. Abbiamo già conosciuto questo campione della Bizarro Fiction con The Haunted Vagina e The Baby-Jesus Butt Plug prima, e con il modesto Sausagey Santa poi. In quel frangente, diversa gente aveva espresso sentimenti ambivalenti verso la Bizarro: uhm, sì, potrebbe essere interessante, però mi sembra un po’ troppo, e poi dai, gente che entra dentro la vagina di altra gente o il figlio di Dio infilato su per il culo, insomma, cioè! Bene – questo Consiglio è pensato proprio per voi!
Warrior Wolf Women of the Wasteland prende alcuni elementi tradizionali dell’horror pseudo-fantascientifico, come lupi mannari, mutazioni genetiche, e un mondo post-apocalittico, li inserisce in una struttura horror-action-splatter alla Grindhouse – Planet Terror e li shakera con un’ampia dose di Bizarro e di genialità.


Un importante precursore dell’opera di Mellick.

Uno sguardo approfondito
Una delle cose che mi ha sempre stupito di Mellick, è la sua capacità di mettere nello stesso romanzo un tale numero di idee che per un autore normale sarebbero bastate per tre o quattro libri diversi. Solo il primo capitolo introduce una tale quantità di trovate da abbagliare. Ma queste idee non sono un’accozzaglia di trovate messe insieme a caso, bensì discendono da un limitatissimo numero di premesse.
Premessa numero uno: una società governata dalla McDonald’s come se si trattasse di un’azienda, come funzionerebbe? Lo stile di vita dei suoi abitanti (obesi che muoiono prima dei cinquant’anni), la loro religione (una fusione di Cristianesimo e Islam con Ronald McDonald nel ruolo di Gesù), persino lo stile architettonico (rosso e giallo brillante nelle diverse sfumature, ovunque) discendono da quell’assunto.
Premessa numero due: come sarebbe organizzata una società in cui ogni esemplare femminile si trasforma progressivamente in un mostro orrendo ogni volta che ha un orgasmo? Mellick pensa a tutto: politica della castità totale, permessi rilasciati dal governo per avere figli, abbigliamento per donne che hanno avuto figli per nascondere le loro orribili fattezze, ma anche il disprezzo e la paura che gli uomini provano per le loro compagne e la trasformazione psichica a cui le donne vanno incontro mano a mano che si trasformano. E ancora, come potrebbero sopravvivere nelle lande selvagge le donne esiliate ma non ancora diventate pienamente lupo, come potrebbe organizzarsi una società di donne-mannare, che valori avrebbe, eccetera.
La premessa numero tre, ossia le strane mutazioni maschili che fanno spuntare braccia o gambe aggiuntive, all’inizio sembra quella più insulsa, poco più di un espediente per mettere il protagonista in una situazione di pericolo e innescare la vicenda. In realtà, andando avanti nella storia, Mellick riesce a innestare questa premessa in un insieme con le altre due che non solo è convincente, ma sembra anche l’unica spiegazione possibile per tutto quello che è successo. Mellick è stato spesso rimproverato di inserire elementi assurdi per il gusto di farlo; be’, in questo libro tutte le trovate scaturiscono da un background perfettamente coerente ed organico. Si capisce che ci ha lavorato molto, e i risultati si vedono 1.

I'm Vomiting It

Tutto questo è raccontato con il consueto stile di Mellick, ossia con la prima persona e tempo presente. Daniel Togg è il tipico protagonista mellickiano: sulla trentina, tranquillo, un po’ ribelle e anticonformista ma tendenzialmente passivo, razionale, dal timbro narrativo caldo e scorrevole. Ogni capitolo è costituito da tanti brevi paragrafi (ma nelle scene più concitate un paragrafo può essere lungo anche alcune pagine).
Quando deve introdurre informazioni di background, Daniel non ha problemi a interrompere la narrazione (magari con un nuovo paragrafo) e ad aprire una digressione come se si stesse rivolgendo direttamente al lettore ignaro. Se da un lato questo espediente è un po’ illogico e spezza il ritmo, dall’altro in genere gli infodump sono abbastanza divertenti e/o curiosi da non dare fastidio – tranne in alcune circostanze particolarmente demenziali, come quando durante un’adrenalinica fuga dai lupi mannari Daniel apre una digressione sulla trasformazione del gioco del football a McDonaldland (WTF?).
Bisogna anche riconoscere che questo modo di inserire infodump – brevi, bizzarri, riferiti con lo stesso timbro vivace della storia principale – rende la storia più scorrevole e più facile da seguire; il lettore non deve dedurre niente o quasi perché gli viene detto tutto. Come direbbe il Duca, la prosa di Mellick è molto scemo-friendly. Pure troppo: in diverse occasioni Daniel sottolinea l’ovvio o chiarisce punti che sarebbe stato meglio lasciare in una piacevole ambiguità. Lo stile ermetico di Swanwick mi irrita, ma non mi fa nemmeno piacere che l’autore mi tenga la manina come se fossi il fratello scemo di Charlie Gordon.

Ci sono anche dei passaggi in cui questa propensione di Mellick all’infodump appare del tutto incompensibile e fastidiosa. Ogni volta che un personaggio riferisce qualcosa di nuovo sull’ambientazione a Daniel, invece di un monologo o un dialogo adeguatamente mostrato, Mellick apre un nuovo paragrafo e riferisce al lettore tutte le informazioni in discorso indiretto. Ad esempio: “Guy tells us about the wolf women. They call themselves The Warriors of the Wild…”, e parte un paragrafo lungo una pagina; oppure: “Krall says there was a time when he never would have risked his own life to save another, especially not a woman. […] When he was young, Krall…” e via così per due o tre pagine.
Per quanto mi sforzi, non riesco a immaginare quale vantaggio possa esserci nel preferire paginate di discorso indiretto e informazione pura rispetto a un dialogo. Un dialogo non è neanche particolarmente faticoso da scrivere.

Ronald McDonald's si incazza

Non fare incazzare la Benedetta Corporazione McDonald’s.

Il che è un peccato, perché Mellick con i dialoghi, e con le interazioni tra personaggi in generale, ci sa fare. Protagonista a parte, tutti i comprimari sono ben fatti. Ciascuno ha dei tratti psicologici distintivi e ben motivati, ciascuno ha degli obiettivi e degli ostacoli privati da superare, non esistono solo in funzione della storia né di Daniel: Guy, il fratello del protagonista, tenente di polizia con un amore morboso per i propri baffi, un odio altrettanto morboso verso i licantropi e, curiosamente, una moglie giunta al terzo figlio e sulla buona strada della trasformazione completa; il freddo anatomo-patologo Robert Krall, e poi Nova, la licantropa sull’orlo della depressione, o la dura Slayer, quasi completamente trasformata benché tecnicamente sia ancora vergine. Menzione speciale per la psicopatica Pippi (che ha le treccine come la più famosa omonima!).
Per contro alcuni personaggi importanti per la trama, come il Maggiore McCheese o l’Hamburglar, sono introdotti troppo tardi nella storia, nonostante il protagonista sapesse della loro esistenza fin dall’inizio. Sembra quasi che Mellick abbia improvvisato la loro esistenza man mano che scriveva, forse perché non sapeva bene che direzione dare alla trama. Infatti, a differenza dell’ambientazione – che funziona alla perfezione e sembra organizzata a tavolino fin dall’inizio – la trama del romanzo sembra procedere un po’ come capita, senza alcuna direzione precisa. Se la prima metà (quando si tratta di inserire tutti i tasselli dell’ambientazione) funziona alla perfezione, la seconda sembra barcamenarsi nel tentativo di arrivare a un finale. L’ultima parte del romanzo si inserisce nei binari classici da film d’azione, con tanto di supercattivo chiaramente riconoscibile e megacombattimento finale, e sembra un po’ peccato che Mellick abbia imbastito un mondo e personaggi così interessanti per poi andare a finire in questo modo 2.

Ma per i novizi della Bizarro Fiction e del weird, il fatto che la trama del romanzo segua un canovaccio familiare potrebbe anche essere un pregio. Già dovranno fare i conti con cose assurde tipo sesso interspecie, cannibalismo, enormi ammassi di carne senza testa che stuprano… vabbé, smetto.
Warrior Wolf Women of the Wasteland è un ottimo romanzo horror d’azione, che unisce un certo gusto splatter-pulp con una buona dose di intelligenza e una creatività spropositata. C’è anche spazio per temi drammatici, come la questione su come possano convivere un uomo e una donna che si amano in un mondo in cui l’intimità e i rapporti sessuali hanno come conseguenza a lungo termine la distruzione di quello stesso rapporto. Infine, si tratta di un’opera di Bizarro Fiction in cui la weirdness sta più negli elementi dell’ambientazione che non nella struttura del romanzo, quindi è particolarmente adatta a coloro che hanno letto poco e niente del genere.

L’Hamburglar, uno dei cattivi del romanzo. Sì, Mellick non è normale.

Ma se ho deciso di dedicare questo consiglio a Warrior Wolf Women non è solo perché il romanzo è obiettivamente bello. Trovo anche che insegni un paio di cosine interessanti.
Primo: si può quasi dire che questo romanzo sia stato scritto su commissione. Era stato chiesto a Mellick di scrivere una storia sui lupi mannari, benché lui non ne fosse mai stato appassionato. Dopo un’iniziale reticenza, come spiega lui stesso nella nota autoriale all’inizio del libro, avrebbe scritto la prima bozza di getto in meno di un mese. Insomma: investimento emotivo iniziale scarso, tempi di gestazioni breve. Per contro la novella Adolf in Wonderland, progetto molto caro a Mellick, che rimaneggiò per otto anni prima di pubblicarla, è molto più brutta. La lezione che se ne ricava? Che non c’è alcun rapporto necessario tra l’importanza che una storia ha per lo scrittore, il tempo passato a lavorarci su e coccolarsela, e la bellezza dell’opera compiuta. Uno può stare vent’anni su un romanzo di 100 pagine e produrre una merda, mentre un altro può realizzare un’ottimo libro in un paio di mesi. Gli aspiranti scrittori dovrebbero quindi piantarla con la scusa “ci ho lavorato tanto, dev’essere per forza bella”: semplicemente non funziona così.
Secondo: a Mellick non interessavano i lupi mannari e la faccenda della luna piena lo annoiava a morte. Perciò che ha fatto? Ha tenuto fermi un paio di punti fondamentali (la trasformazione in bestia, la perdita della razionalità) e ha cambiato tutto il resto – tanto da chiedersi, “ma che cazzo, ho scritto una storia di lupi mannari o di furries?”. Warrior Wolf Women mostra che giocare con le ‘razze’ consuete della narrativa fantastica è bello e salutare, e si può arrivare a produrre una variante migliore dell’originale (almeno, a me piace molto di più!). Alla luce di questo, sperò risulterà più comprensibile il mio disappunto nel leggere le banali e già viste storie di Deinos3. Prendete esempio!

Bonus: Barbarian Beast Bitches of the Badlands
Barbarian Beast Bitches of the Badlands
Autore: Carlton Mellick III
Titolo italiano: –
Genere: Horror / Apocalyptic SF / Bizarro Fiction
Tipo: Raccolta di tre novellas collegate

Anno: 2011
Pagine: 284

Avete finito Warrior Wolf Women of the Wasteland e ne volete ancora? Vi chiedete cosa ne sia stato delle Bitches sopravvissute alla guerra? Mellick ha pensato a voi, con questo libro raccoglie tre novellas che riprendono l’ambientazione del romanzo. Le tre storie sono ambientate rispettivamente prima dei fatti di WWWW, durante e dopo, e si focalizzano su tre personaggi secondari del romanzo: Apple, l’Hamburglar e Hyena. Le tre storie sono in realtà collegate da un’unica trama, per cui si può dire che Barbarian Beast Bitches è una side-novel di WWWW divisa in tre parti.
I racconti sono tutti in terza persona con un pov tecnicamente ancorato sul protagonista, ma che nella sostanza balla un po’ (specialmente nelle scene di massa). Ahimé, devo ammettere che la qualità della scrittura è inferiore a quella del romanzo, e certe parti sembrano buttate giù proprio di fretta. Ancora, ci sono troppi combattimenti – ma davvero troppi – contro legioni di nemici piuttosto anonimi, benché Mellick sia abbastanza in gamba da dare a ogni combattimento caratteristiche particolari. Per contro, ci sono anche delle belle trovate (come la relazione tra Apple e il suo ragazzo Sam, la diatriba tra Horatio e Tomahawk se siano meglio le armi a corto raggio o quelle da tiro, o l’infanzia dell’Hamburglar). Nell’ultima novella è anche introdotta una nuova razza, che poteva essere molto interessante se non fosse che viene presentata in modo un po’ insulso.
Insomma, il libro è carino benché un po’ trascurato e ripetitivo. Ovviamente non ha senso leggerlo se prima non si è letto Warrior Wolf Women of the Wasteland.

Dove si trovano?
Le uniche copie piratate che sono riuscito a trovare di entrambi i libri sono dei pdf su Library Genesis. L’unico problema con questi pdf è che i romanzi sono pieni di immagini e abbellimenti estetici; convertire i file in epub o in altri formati comodi senza perdere le immagini può essere lungo e faticoso. Considerate perciò la possibilità – specialmente se avete già letto Mellick e sapete che vi piace – di comprare direttamente le versioni kindle disponibili su Amazon (qui e qui). Il prezzo è di 5,99 Euro, quindi accettabile (soprattutto considerando che si tratta di libri di 300 pagine circa e non di novellas striminzite).

Qualche estratto
I due estratti di oggi sono centrati sulle squisitezze della licantropia femminile. Il primo, preso dal primo capitolo, riassume la condizione femminile a McDonaldland e mostra il modo piuttosto infodumposo ma comunque gradevole che Mellick usa sempre quando deve spiegare qualcosa; il secondo mostra invece i piaceri (?) del sesso tra un essere umano e un lupo grosso come un camion.

1.
Molly is turning into a wolf. This happens to all women, once they begin to have children. Some women become less wolf-like than others. I haven’t seen a woman as wolf-like as Molly since my mother was pregnant with her third kid a long time ago.
It is a disease that came about in the early days of McDonaldland. They call the disease lycanthropy, which was named after a fictional disease of the same name that turned people into werewolves. But there is a big difference between this version of lycanthropy and the fictional one. For starters, only women are affected by this disease. It doesn’t affect men. Secondly, the disease isn’t spread from a werewolf bite. All McDonaldlandian women are born with this disease. Thirdly, the changes are not caused by a full moon. The changes occur only during the act of having sex. Fourthly, once the transformation occurs, the women do not return to human form as werewolves would the next morning. The mutation is permanent. Fifthly, the transformation doesn’t happen all at once. The changes happen a little at a time, each time the female engages in sexual activity, including masturbation.
It is believed that these changes occur during sex because the mutation is a result of the virus reacting to endorphins released in the brain during sexual stimulation and especially orgasm. This is a shaky theory, however, because endorphins are released in the brain for more reasons than just sex.
Because sex is the cause of these lycanthropic changes, sex has become illegal in McDonaldland. You can only partake in sexual activity if you obtain a permit from the board of directors. And you can only get a permit if you are married and only have sex to procreate. The permit is good for only five days and you are only allowed to have sex once per day. It doesn’t matter if the pregnancy is a success or not after the five days are up. If the new wolf-like features are not too serious, then you can apply for another permit to have a second kid in the future. The upper class, of which Guy is a part, is usually allowed to get a third permit. This is why Molly is now almost more wolf than human. Most women are not allowed to mutate this much.
[…] Molly is ferocious when Guy gives her the burgers. She rips open the wrappers on three Double Cheeseburgers at once and tears into them with her slobbery black jaws. After the first bite, she realizes what she is doing and composes herself. She sits her two daughters at the table into their chairs and gives them their meals. Then she sits herself down and continues eating in a more civilized manner.
Women who are as wolf-like as Molly often have problems controlling their instinctual urges. They become more wild and unruly. Molly has probably transformed so much that Guy isn’t allowed to let her out of the house. That is the law with some women who have been granted three sex permits.
If she becomes any more beast-like, the Fry Guys will have to capture her and release her into the wasteland outside of the walls. The only reason she hasn’t been taken out of town already is probably because of Guy’s status.
Even if they are not yet unruly, any woman who has sex without a permit is sent into the wasteland. It is not just against the law, it is considered heresy. It is McDonaldland’s strictest law. There is no leniency toward any woman. Even the Chief of the Fry Guys had to send his own daughter into the wasteland, because she had sex a single time without a permit. I know that story all too well.

Philosoraptor licantropi

2.
We sneak through bushes toward the noise, keeping a safe distance. The snarling becomes louder the closer we get. I can see hair and movement through the leaves. We get so close that I can almost feel the body heat of the enormous beast.
The man in the white suit motions for us to get down once we are close enough to see. We lie on our bellies and peek out of the bushes at the creature in front of us. The beast is not just snarling, it also appears to be moaning and breathing heavily. We also hear a man’s muffled cries.
Lying in a meadow, we find the blonde wolf who had attacked us on the road. She is on the ground, on her side, with her paws in her crotch. She is wiggling and thrashing her hips. Then we see the man. The yellow Fry Guy who the blonde wolf had carried into the woods. We only see his yellow legs, but we can tell it is him.
The wolf is shoving the man into her furry crotch with the pads of her paws. Most of his upper body is inside of her, inside of the wolf’s vagina. The creature is fucking his entire body.
The man in the white suit speaks quietly over my shoulder, “The more they grow, the bigger their sex drive.”
The blonde wolf seems to orgasm with the man inside of her. As she orgasms, her body grows. There is a stretching and popping sound coming from her muscles as her flesh expands.
“And the more they have sex, the bigger they grow.”
The man shrieks inside of her, as if he can feel her growing bigger around him.
“With that kind of sex drive, she might continue raping him over and over, and she’ll just get bigger and bigger.”
Then the blonde wolf digs her muzzle into her crotch and sucks the yellow man out of her vagina. We listen to his muffled cries as she chews and swallows him.
“Or maybe she’s more hungry than horny,” adds the white suited man.

Tabella riassuntiva

Una fikissima reinterpretazione dei lupi mannari. Infodump e discorsi indiretti quando se ne poteva fare a meno.
Ambientazione curata e coerente. Canovaccio un po’ classico e conclusione prevedibile.
Personaggi interessanti e trovate weird a palate. A volte è davvero troppo scemo-friendly.
Stupri interspecie! Yay!

(1) Mellick tenta anche di dare una spiegazione scientifica coerente con l’ambientazione a tutti i fenomeni strani del libro, ma non si tratta di una cosa da prendere troppo sul serio. Parassiti che modificano il proprio ospite umano fino a trasformarlo in una bestia grossa come un capannone? Conservanti chimici che donano la vita eterna (assieme a un’elegante pelle plasticosa)? WTF? Le cause profonde delle stranezze del romanzo seguono una logica interna, anche affascinante, ma non c’è nulla di scientificamente plausibile. Se quindi mi va bene di definire il setting del romanzo “Post-Apocalyptic SF”, mi rifiuto categoricamente di definire questo romanzo “fantascienza”.Torna su
(2) Mi riferisco alla “parte finale” e non all’epilogo vero e proprio, perché al contrario quest’ultimo è piuttosto insolito e divertente.Torna su
(3) Ovviamente non sto dicendo che qualsiasi sperimentazione o variazione sul tema vada bene. I vampiri di Twilight fanno cagare. Ma fanno cagare perché sono una roba retard, poco ispirata dal punto di vista fantastico e che non sta in piedi dal punto di vista della logica interna; non perché “si distaccano dal concetto originale di vampiro”. Non c’è nulla di male nel distaccarsi dall’originale, se si è in grado di realizzare qualcosa di meglio, o quantomeno una variante interessante e consistente.
A questo proposito (e per restare in tema di parassiti e horror), potreste dare un’occhiata a Peeps di Scott Westerfeld (sì, quello di Leviathan).Torna su

Bonus Track: The Inheritors

The InheritorsAutore: William Golding
Titolo italiano: Uomini nudi
Genere: Prehistorical Fiction / Horror
Tipo: Romanzo

Anno: 1955
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 230 ca.

Difficolta in inglese: ***

Lok, Fa, la piccola Liku, il vecchio Mal e i loro compagni stanno migrando dal mare verso le montagne per la primavera. Devono raggiungere la sporgenza rocciosa in cima alla cascata prima di notte, e rendere omaggio alla signora dei ghiacci che dimora tra le colline. Ma il posto non è più come lo ricordavano, e Mal è ormai troppo vecchio per arrampicarsi tra le rocce.
E c’è dell’altro. Non sono più soli ai piedi della cascata. C’è della gente nuova che si aggira nel bosco e tra le rocce ai lati della cascata. Hanno preso possesso dell’isola al centro del fiume, che le gente credeva irraggiungibile, e ora minacciano la vita del gruppo. E quando i loro compagni cominceranno a sparire misteriosamente, Lok e Fa capiranno che bisogna fare qualcosa – perché in gioco c’è la sopravvivenza della loro stessa specie.

Con oggi chiudo la serie dei consigli “preistorici” dedicati ai partecipanti all’antologia Deinos, recensita su questo blog ormai tre settimane fa.
William Golding è famoso soprattutto per Il signore delle mosche, ma in realtà lo scrittore britannico è autore di una valanga di altri romanzi. The Inheritors, la sua seconda fatica, nonché la sua opera preferita, è un breve romanzo che racconta il destino degli ultimi uomini di Neanderthal d’Inghilterra il giorno che sulle loro coste approdano i primi esemplari di Homo Sapiens. Appartiene quindi al genere poco esplorato delle storie ad ambientazione preistorica, con in più quella sfumatura horror che ci piace tanto.
Se la trama del romanzo è estremamente semplice e lineare, i suoi obiettivi sono piuttosto ambiziosi: cercare di farci entrare nella testa di un uomo di Neanderthal e capire come pensa; speculare su come potrebbero essersi svolti i primi rapporti tra due specie umane imparentate ma differenti; mostrarci perché i Sapiens sono sopravvissuti e si sono moltiplicati, mentre i Neandhertal si sono estinti. Soprattutto, mostrarci i nostri antenati dal punto di vista di un’altra specie. Sembra che Golding sia stato appassionato di paleontologia e del rapporto tra Sapiens e Neanderthal fin da piccolo; sarà riuscito a coniugare pazienza, serietà scientifica e abilità narrativa?

The Neanderthal Man

Lo stato della ricerca scientifica sull’uomo di Neanderthal ai tempi di Golding.

Uno sguardo approfondito
The Inheritors mi sembra la dimostrazione perfetta di come anche la migliore delle idee possa essere rovinata almeno in parte da una prosa inadeguata.
Dato che il punto di maggior interesse del romanzo è la possibilità di immedesimarsi nel punto di vista di un uomo di Neanderthal, uno si aspetterebbe un romanzo raccontato in prima o terza persona appiccicata. Invece no. Come gia’ in Lord of the Flies, Golding si affida a un narratore onnisciente posto “nei pressi” di Lok, uno dei Neanderthal, e che si avvicina o si allontana dalla sua testa a seconda del momento. E se col progredire del romanzo la connessione col pov di Lok diventa (fortunatamente) sempre piu’ solida, nei primissimi capitoli, quando ancora il gruppo è molto compatto, la telecamera pare schizzare ora verso uno, ora verso l’altro dei Neanderthal.

Questo crea fin dall’inizio due grossi problemi.
Primo: dato che non si capisce mai esattamenta che angolazione si sta guardando la scena, mappare l’esatta disposizione degli elementi dello scenario è oltremodo difficile. Piu’ volte mi sono trovato a dover rivedere la mia immagine mentale degli ambienti del libro, o a non capire piu’ in quali posizione reciproca palude, boschi, fiume, cascata, colline, terrazza e montagne fossero; il che è sempre grave, ma lo è ancora di piu’ in una storia – come questa – in cui la topografia è così importante.
Secondo: poiché il filtro dell’autore ci distanzia dai protagonisti della storia, ci sentiamo meno coinvolti. Espressioni come questa: “Then, as so often happened with the people, there were feelings between them”, ci ricorda che noi lettori non siamo membri della ‘gente’, non siamo nella testa dei Neanderthal, ma ci troviamo nella testa dell’autore che via via ci racconta le vicende dei suoi poveri personaggi. Non solo si perde l’occasione di vivere l’esperienza straniante di vivere ‘dentro la testa’ di un Neanderthal, ma difficilmente proveremo brividi di ansia e paura quando i primi membri del gruppo cominceranno a sparire senza lasciare traccia.

The Neanderthal Man

La lotta per la sopravvivenza tra Neanderthal e Sapiens. Sentite il brividino d’ansia corrervi su per la schiena?

Di conseguenza, più spesso che no si spande sulle pagine di The Inheritors quella sostanza grigia e appiccicosa che è la noia. Da una parte, le lunghe descrizioni della boscaglia, del fiume, del rombo della cascata, degli scherzi che la luce del sole fa sulla vallata in differenti momenti della giornata; dall’altra, il ritmo lentissimo con cui gli episodi chiave del libro si succedono, intervallati da pagine e pagine di attività triviali e/o inconcludenti. All’inizio è interessante vedere i Neanderthal alle prese con occupazione quotidiana, vedere come risolvono i problemi più semplici legati alla sopravvivenza, vedere quante difficoltà incontrino in attività che per noi Sapiens sarebbero (o dovrebbero essere?) di una banalità estrema. Ma dopo un po’ il lettore capisce come funziona, e comincia a spazientirsi all’idea di doversi sorbire altre decine di pagine che ribadiscono il concetto, aspettando che accada qualcosa.
Nella ‘lotta’ tra Neanderthal e Sapiens, assistiamo a molte sortite inconcludente, a molti giri a vuoto, a piani che vengono tentati e rielaborati più e più e più volte. In parte questo riflette il carattere dei Neanderthal di Golding – l’incapacità a rimanere focalizzati per troppo tempo sulla stessa cosa, la tendenza a lasciarsi distrarre dalla prima minchiata, la volubilità emotiva, l’estrema difficoltà a sviluppare pensiero astratto. In questo senso, il comportamento irrazionale e ripetitivo dei protagonisti del romanzo è corretto. Tuttavia questa ripetitività diventa alla lunga indigeribile per il lettore medio (e so per esperienza che io ho più pazienza del lettore medio).

Se Golding non poteva certo far comportare i suoi Neanderthal diversamente da come si comportano, pena la perdita di credibilità/coerenza, dall’altra nulla gli impediva di ricorrere a un legittimo espediente: cioè di accelerare e vivacizzare la storia ad opera di qualcosa di esterno, come i Sapiens, gli animali, o qualche calamità naturale, eccetera. O ancora, si sarebbero potute fare delle cesure temporali, tagliando tutto ciò che sta in mezzo tra due momenti importanti della trama (o almeno, i meno significativi di questi episodi, che sono la maggior parte). Il fatto che i Neanderthal vivano la vita a un ritmo placido non significa che anche il mondo attorno a loro (o soprattutto, il mondo della storia) debba fare altrettanto.
Sono ragionevolmente sicuro che si sarebbe potuto scrivere The Inheritors con la metà delle pagine (o anche meno) senza perdere nulla dal punto di vista del contenuto. Probabilmente, data la ‘semplicità’ e linearità dell’argomento del libro, il formato della novella avrebbe funzionato alla perfezione.

Cranio di Neanderthal

Cranio di un uomo di Neandertha. Trasuda intelligenza da tutti i pori.

Tutto questo è un peccato, perché di per sé i Neanderthal di Golding sarebbero anche interessanti.
Tra le loro caratteristiche principe, il fatto che pensino (perlopiù) tramite immagini statiche invece che mediante parole o astrazioni; il loro modo di ricordare un evento passato, o di fare un piano per il futuro, o di spiegarsi un fenomeno, è creando un’immagine mentale (make a picture nel testo). Alcune volte ho avuto l’impressione che Golding approfittasse un po’ di questa locuzione, mascherando quelli che di fatto erano dei pensieri identici a quelli di noi umani Sapiens; ma il più delle volte si nota in effetti una certa differenza, una certa lentezza nello sviluppare un pensiero o l’incapacità di spiegare le tappe di un processo, avendo a disposizione solo la situazione iniziale e l’immagine del risultato finale.
Quando all’inizio del libro i Neanderthal vanno in crisi perché non c’è più il tronco che collegava le due sponde di un rigagnolo, continuano a prodursi nella testa immagini del tronco, e immagini di altri possibili tronchi da metterci, e ci mettono parecchio tempo (e parecchio brainstorming) prima di capire come fare a far sì che lì ci sia un altro tronco.
Non essendo né un paleontologo né un antropologo forense, non sono in grado di dirvi quanto il suo ritratto sia scientificamente attendibile. I suoi Neanderthal non sono in grado di costruire manufatti, né di decorarsi, mentre Piperita Patty mi ha raccontato che ci sono casi documentati di uomini di Neanderthal con perline tra i capelli – ma bisogna tenere conto che The Inheritors è stato scritto negli anni ’50, quando si sapevano meno cose sull’argomento. Interessante, piuttosto, che Golding abbia anticipato la possibilità di interbreeding tra Sapiens e Neanderthal (oggi si stima che noi Sapiens dell’Eurasia portiamo nel nostro codice genetico dall’1 al 4% di DNA Neanderthal; qui un brevissimo articolo sull’argomento e qui il paper di Science a cui si riferisce il primo articolo)1.

Golding fa invece appello alla licenza poetica quando i suoi Neanderthal di una debole forma di telepatia di gruppo. I Neanderthal comunicano di rado a voce tra di loro, perché il più delle volte possono comunicarsi a vicenda immagini (share a picture). Personalmente ho apprezzato questa caratteristica, e contribuisce a differenziare il comportamento dei Neanderthal da quello dei Sapiens nel romanzo. Mi ha lasciato molti dubbi, invece, la decisione di attribuire loro una specie di culto della non-violenza, per cui non mangiano altri animali a meno che non li abbiano trovati già morti.
Ho apprezzato anche l’idea di scegliere come protagonista Lok, il più stupido della ‘gente’, nonché quello che ha più difficoltà a produrre immagini e a condividerle col resto del gruppo. Di default, in questo tipo di storie l’autore sceglie come protagonista il personaggio più sveglio, più indipendente, l’outsider; Lok invece è il più “irrimediabilmente Neanderthal”, il meno evoluto della sua specie, quello che fa più fatica a capire quello che sta succedendo. Nonostante la presenza costante del filtro dell’autore, il pov di Lok amplifica l’effetto straniante di stare nella testa di una specie più stupida e più lenta. Questo fa sì che spesso gli eventi vengano descritti in modo semplice e scabro, come una sequenza di azioni che dev’essere il lettore a interpretare, perché Lok non ne è in grado. Questa variazione sul tema dell’unreliable narrator è interessante, anche se a volte ho avuto serie difficoltà a capire cosa stesse succedendo – ma potrebbe essere colpa del mio inglese non sufficientemente allenato, e non del libro.

Parentela Neanderthal Sapiens

Ha! Niente genoma Neanderthal per voi, negri!

Insomma, c’erano tutti gli elementi perché venisse fuori un bel romanzo. Se questo non succede, le ragioni stanno in una gestione barbina del pov – che vanificano in parte il buon tentativo di farci vedere il mondo attraverso gli occhi e gli atti di una specie più ‘stupida’ – e nell’organizzazione sbagliata dei tempi narrativi. Io stesso ho fatto parecchia fatica a portare a termine la lettura, nonostante la curiosità di sapere come Golding l’avrebbe fatto finire 2. Di conseguenza, sarei molto cauto nel consigliare The Inheritors, anche agli appassionati di preistoria. Quello che posso dirvi è: soppesate bene i pro e i contro che vi ho presentati prima di imbarcarvi nell’acquisto, anche considerato che è molto difficile trovare delle copie piratate del romanzo.
Oh! Ora che me ne accorgo, questa Bonus Track mi è venuta persino più lunga dell’ultimo Consiglio. E dire che avevo promesso che le Bonus Track sarebbero state brevi e sintetiche. Ah! Ah! Ah! Che deficiente.

Dove si trova?
Purtroppo, come dicevo poc’anzi, The Inheritors è uno di quei pochi romanzi di Golding che è molto difficile trovare piratato. Una versione kindle è comunque disponibile su Amazon a un prezzo tollerabile (6,24 Euro al momento in cui scrivo). Una traduzione italiana è storicamente esistita, ma è molto vecchia, e dubito che riuscirete a procurarvene un esemplare.

Chi devo ringraziare?
Come tutti, conoscevo Golding per Il signore delle mosche; ma se ho deciso di leggere questo The Inheritors lo devo soprattutto a Piperita Patty / Conigliettoassassino (saltuaria commentatrice di questo blog), che dopo lunga frequentazione è riuscita a trasmettermi un po’ di curiosità per il mondo preistorico e per i nostri antenati biologici. Ora sta cercando disperatamente di convincermi a leggere i libri della Auel – si vedrà.

The Clan of the Cave Bear

Primo libro della saga degli Earth’s Children di Jean Auel. Non l’ho letto.

Qualche estratto
Il primo estratto viene dal secondo capitolo, quando la ‘gente’ si riunisce per discutere e dà una dimostrazione del suo modo di pensare mediante parole e condivisione di immagini. Dà anche un’idea della posizione del protagonista Lok all’interno del gruppo. Il secondo estratto, più avanti nel libro, mostra invece i Sapiens attraverso lo sguardo di uno stupito Lok.

1.
Then Fa came and leaned her body against Mal so that three of them shut him in against the fire. He spoke to them between coughs.
“I have a picture of what is to be done.”
He bowed his head and looked into the ashes. The people waited. They could see how his life had stripped him. The long hairs on the brow were scanty and the curls that should have swept down over the slope of his skull had receded till there was a finger”s-breadth of naked and wrinkled skin above his brows. Under them the great eye-hollows were deep and dark and the eyes in them dull and full of pain. Now he held up a hand and inspected the fingers closely.
“People must find food. People must find wood.”
He held his left fingers with the other hand; he gripped them tightly as though the pressure would keep the ideas inside and under control.
“A finger for wood. A finger for food.”
He jerked his head and started again.
“A finger for Ha. For Fa. For Nil. For Liku—–”
He came to the end of his fingers and looked at the other hand, coughing softly. Ha stirred where he sat but said nothing. Then Mal relaxed his brow and gave up. He bowed down his head and clasped his hands in the grey hair at the back of his neck. They heard in his voice how tired he was.
“Ha shall get wood from the forest. Nil will go with him, and the new one.” Ha stirred again and Fa moved her arm from the old man”s shoulders, but Mal went on speaking.
“Lok will get food with Fa and Liku.”
Ha spoke:
“Liku is too little to go on the mountain and out on the plain!”
Liku cried out:
“I will go with Lok!”
Mal muttered under his knees:
“I have spoken.”
Now the thing was settled the people became restless. They knew in their bodies that something was wrong, yet the word had been said. When the word had been said it was as though the action was already alive in performance and they worried. Ha clicked a stone aimlessly against the rock of the overhang and Nil was moaning softly again. Only Lok, who had fewest pictures, remembered the blinding pictures of Oa and her bounty that had set him dancing on the terrace. He jumped up and faced the people and the night air shook his curls.
“I shall bring back food in my arms”–he gestured hugely–“so much food that I stagger—–so!”
Fa grinned at him.
“There is not as much food as that in the world.”
He squatted.
“Now I have a picture in my head. Lok is coming back to the fall. He runs along the side of the mountain. He carries a deer. A cat has killed the deer and sucked its blood, so there is no blame. So. Under this left arm. And under this right one—-he held it out—-the quarters of a cow.”
He staggered up and down in front of the overhang under the load of meat. The people laughed with him, then at him. Only Ha sat silent, smiling a little until the people noticed him and looked from him to Lok.
Lok blustered:
“That is a true picture!”
Ha said nothing with his mouth but continued to smile. Then as they watched him, he moved both ears round, slowly and solemnly aiming them at Lok so that they said as clearly as if he had spoken: I hear you! Lok opened his mouth and his hair rose. He began to gibber wordlessly at the cynical ears and the half-smile.
Fa interrupted them.
“Let be. Ha has many pictures and few words. Lok has a mouthful of words and no pictures.”

2.
At last they saw the new people face to face and in sunlight. They were incomprehensibly strange. Their hair was black and grew in the most unexpected ways. The bone-face in the front of the log had a pine-tree of hair that stood straight up so that his head, already too long, was drawn out as though something were pulling it upward without mercy. The other bone-face had hair in a huge bush that stood out on all sides like the ivy on the dead tree.
There was hair growing thickly over their bodies about the waist, the belly and the upper part of the leg so that this part of them was thicker than the rest. Yet Lok did not look immediately at their bodies; he was far too absorbed in the stuff round their eyes. A piece of white bone was placed under them, fitting close, and where the broad nostrils should have shown were narrow slits and between them the bone was drawn out to a point. Under that was another slit over the mouth, and their voices came fluttering through it. There was a little dark hair jutting out under the slit.
The eyes of the face that peered through all this bone were dark and busy. There were eyebrows above them, thinner than the mouth or the nostrils, black, curving out and up so that the men looked menacing and wasp-like. Lines of teeth and seashells hung round their necks, over grey, furry skin. Over the eyebrows the bone bulged up and swept back to be hidden under the hair. As the log came closer, Lok could see that the colour was not really bone white and shining but duller. It was more the colour of the big fungi, the ears that the people ate, and something like them in texture. Their legs and arms were stick-thin so that the joints were like the nodes in a twig.

Tabella riassuntiva

La lotta per la sopravvivenza tra Neanderthal e Sapiens! Gestione barbina del punto di vista che rovina le buone intenzioni.
Una speculazione su come pensavano e si comportavano i Neanderthal. Spesso è difficile farsi una mappa mentale dell’ambientazione.
Ritmo inesistente e noia a palate.

(1) Ecco un interessante estratto dall’articolo di Science a proposito dell’espansione dei primi Sapiens dall’Africa in Eurasia e dell’incontro (fisico e genetico) con i Neanderthal:

Implications for modern human origins. One model for modern human origins suggests that all present-day humans trace all their ancestry back to a small African population that expanded and replaced archaic forms of humans without admixture. Our analysis of the Neandertal genome may not be compatible with this view because Neandertals are on average closer to individuals in Eurasia than to individuals in Africa. Furthermore, individuals in Eurasia today carry regions in their genome that are closely related to those in Neandertals and distant from other present-day humans. The data suggest that between 1 and 4% of the genomes of people in Eurasia are derived from Neandertals. Thus, while the Neandertal genome presents a challenge to the simplest version of an “out-of-Africa” model for modern human origins, it continues to support the view that the vast majority of genetic variants that exist at appreciable frequencies outside Africa came from Africa with the spread of anatomically modern humans.

A striking observation is that Neandertals are as closely related to a Chinese and Papuan individual as to a French individual, even though morphologically recognizable Neandertals exist only in the fossil record of Europe and western Asia. Thus, the gene flow between Neandertals and modern humans that we detect most likely occurred before the divergence of Europeans, East Asians, and Papuans. This may be explained by mixing of early modern humans ancestral to present-day non-Africans with Neandertals in the Middle East before their expansion into Eurasia. Such a scenario is compatible with the archaeological record, which shows that modern humans appeared in the Middle East before 100,000 years ago whereas the Neandertals existed in the same region after this time, probably until 50,000 years ago.

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(2) Da questo punto di vista mi ritengo soddisfatto. Il finale di The Inheritors è costruito in modo intelligente e mi è piaciuto – consolandomi della noia dei capitoli precedenti.Torna su

I Consigli del Lunedì #22: Flowers for Algernon

Fiori per AlgernonAutore: Daniel Keyes
Titolo italiano: Fiori per Algernon
Genere: Slipstream / Science Fiction / Social SF / Slice of Life
Tipo: Romanzo

Anno: 1966
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 280 ca.

Difficoltà in inglese: **

Charlie Gordon ha trent’anni ed è ritardato. Ma Charlie ha una caratteristica che lo distingue dagli altri ritardati: il desiderio di imparare e diventare intelligente, così da guadagnarsi il rispetto e l’amicizia degli altri. Per questo si è iscritto al Centro per Adulti Ritardati del Beekman College e ha imparato a leggere e a scrivere.
Ora la vita di Charlie potrebbe cambiare per sempre, perché i ricercatori dell’università stanno mettendo a punto un’operazione chirurgica capace di potenziare l’attività del cervello, e adesso vorrebbero testarla su di lui. L’esperimento è già stato condotto con successo su Algernon, un topolino bianco, e ora Algernon è diventato un genio tra i topi ed è in grado di risolvere rapidamente labirinti di qualsiasi difficoltà. Charlie non sta più nella pelle. Ma se l’esperimento fallisse e il suo cervello si deteriorasse ulteriormente invece di migliorare? E la sua vita migliorerà davvero, quando sarà diventato intelligente e nessuno potrà più prendersi gioco di lui?
L’unica cosa certa è che le vite di Charlie e di Algernon sono legate a doppio filo.

Stanchi delle trame complicate e dell’ambientazione uberfantastica degli ultimi tre Consigli? Bene, perché quello di cui parliamo oggi è un romanzo più vicino al mainstream e al romanzo psicologico tradizionale che non alla narrativa di genere1. L’intreccio alla base di Flowers for Algernon è di una semplicità disarmante: cosa succederebbe se un ritardato diventasse gradualmente un genio? Come reagirebbe la gente attorno a lui? E quelli che lo conoscevano prima? E riuscirebbe l’ex-ritardato ad essere felice, o rimpiangerebbe la condizione precedente?
Flowers for Algernon è uno di quei pochi ‘classici’ della fantascienza con una certa popolarità anche in Italia, quindi immagino che diversi di voi l’abbiano già letto e che la maggior parte ne abbia almeno sentito parlare. A questi ultimi e a coloro che non sapessero proprio di cosa sto parlando è dedicato il Consiglio di questa settimana.

Retarded or noob

Uno sguardo approfondito
Il libro è scritto in prima persona dal protagonista, ed è strutturato come una serie di rapporti (ogni ‘Progress Report’ rappresenta un capitolo) che Charlie scrive su richiesta dei ricercatori per monitorare le sue condizioni mentali e i suoi progressi. L’evoluzione di Charlie è quindi rispecchiata nello stile del libro: i primi capitoli sono scritti in un inglese sgrammaticato e infantile, mentre mano a mano che gli effetti dell’operazione si fanno sentire la prosa diventa corretta e adulta.
All’inizio Charlie si limita a raccontare una dietro l’altra tutte le cose che gli succedono, senza virgole, senza virgolette per introdurre il discorso diretto, la mente intrappolata in un eterno presente. Quando si imbatte in un concetto nuovo è facile che non lo capisca o lo fraintenda. Quando un ricercatore prova a fargli risolvere un labirinto (“maze” in inglese), lui, che non ne ha mai sentito parlare, fraintende: “He tolld me that game was amazed”. Quando gli sottopongono un test in cui deve inventare una storia basata su delle immagini, si rifiuta di farlo perché non conosce quelle persone disegnate e gli hanno insegnato che non si dicono le bugie. Il principio è quello dell’unreliable narrator: il lettore si rende conto di cosa significhi pensare come un ritardato perché Keyes permette al lettore di capire cose che lo stesso Charlie – personaggio pov – non capisce.
Col procedere del libro, invece, Charlie diventa capace di ragionamenti complessi e astratti; la storia si punteggia di flashback mano a mano che il protagonista ricorda la sua infanzia; ci sono descrizioni di sogni e tentativi di interpretarli secondo il metodo psicanalitico. I Progress Report diventano una sorta di diario intimo.

Daniel Keyes dà l’impressione di essersi documentato sul ritardo mentale, e il suo protagonista è decisamente credible. In una delle prime scene, Charlie vine sottoposto al test delle macchie di Rorschach. Quando gli vine chiesto cosa vede nelle macchie, Charlie risponde che vede solo delle macchie d’inchiostro; per quanto si sforzi, il suo cervello non è in grado di elaborare quelle immagini attingendo all’inconscio. Le spiegazioni che prova a darsi sono idee che una persona con intelligenza normale non avrebbe mai: “I tryed hard but I still coudnt find the picturs I only saw the ink. I tolld Burt mabey I need new glassis”. E anche quando gli viene spiegato lo scopo dell’esercizio: “He just kept saying think imagen theres something on the card. I tolld him I imaggen a inkblot. He shaked his head so that wasnt rite eather. He said what does it remind you of pretend its something. I closd my eyes for a long time to pretend and then I said I pretend a bottel of ink spilld all over a wite card”.
Episodi della sue vita che Charlie ricorda con piacere infantile – come il modo in cui i ragazzi della panetteria dove lavora scherzano con lui – acquistano un significato inquietante quando l’operazione gli fa aprire gli occhi.

Labirinto 3d

I labirinti non fottono il cervello solo ai ritardati…

Altrettanto credibile è il mondo accademico in cui Charlie si trova immerso – le piccole rivalità tra scienziati, l’arroganza ansiosa di chi ha conquistato un po’ di fama e teme di vedersela portare via, il balletto tra il bisogno di pubblicare una scoperta rivoluzionaria e il terrore di fare una figuraccia che ti rovina la carriera, le banalità scambiate tra studenti universitari che si credono geni.
Anche se il riflettore della storia è sempre puntato su Charlie, tutti i comprimari – il Dr. Strauss, il Prof. Nemur, l’assistente Burt, Alice Kinnian, i suoi genitori – sono sviluppati con cura, personaggi a tutto tondo fatti di luci e ombre come le persone reali. Certo, queste persone vogliono davvero aiutare Charlie, e certo, sarebbero tutti felici se grazie ai loro sforzi si potesse curare il ritardo mentale, ma cio’ che li spinge è davvero l’altruismo? Persino il rapporto con la svampita artista newyorkese Fey Lillman, che dovrebbe essere la più spontanea, onesta, positiva relazione del libro, mostra sul lungo periodo dei lati bui.
Una certa atmosfera di cinismo, di ambiguità morale pervade tutto il romanzo. Elemento estremamente positivo, dato che la questione morale è il fulcro tematico di Flowers for Algernon. E questo cinismo di fondo, unito al filtro totale della personalità di Charlie (e quindi: identificazione completa del lettore nel protagonista), fa sì che alcuni momenti della storia siano davvero davvero tristi. Flowers for Algernon in un paio di punti mi ha fatto venire i lacrimoni, e questo non mi succede spesso.

Uno dei maggiori punti di forza del romanzo di Keyes è di non divagare. Tutti gli episodi del libro servono a sviluppare il conflitto centrale tra il protagonista e la società. Anche i flashback sull’infanzia di Charlie, che alle prime apparizioni mi erano apparsi superflui, in realtà contribuiscono al quadro, e alla fine Keyes riannoda i fili alla trama principale. L’autore è stato anche in grado di dare al tema del libro un forte correlativo oggettivo – il topo Algernon e i suoi labirinti. Il destino di Algernon rispecchia quello di Charlie; e poi, è così simpatico!
L’unica trovata che mi ha lasciato perplesso è l’idea che il trattamento debba rendere Charlie non semplicemente una persona intelligente, ma un genio. In questo modo è troppo facile rendere il proprio protagonista un emarginato; e non si è veramente dimostrato il punto, ossia la possibilità di un ritardato di reintegrarsi nella società una volta superato il proprio ritardo. Peraltro, Algernon diventa l’Einstein dei topi dopo l’operazione, ma prima non era un topo ritardato, era un topo normale – non si capisce quindi perché su Charlie debba avere un effetto così esagerato.

Topolino bianco

L’Einstein dei topi.

Questo comunque non cambia il giudizio finale.In conclusione, Flowers for Algernon è un piccolo capolavoro a metà tra il mainstream psicologico e la fantascienza sociale. Per quanto mi riguarda, la dimostrazione della sua bellezza sta nel fatto che mi ha coinvolto tantissimo nonostante non sia mai stato granché interessato al problema del ritardo mentale. Avevo deciso di provare a leggerlo più per la sua fama che per altro – ed è riuscito a colpirmi lo stesso.

Su Daniel Keyes
Keyes è famoso fondamentalmente per questo solo romanzo, ed è anche l’unico suo che abbia mai letto. In realtà ce n’è un altro che mi interessa molto e che probabilmente leggerò in futuro, ossia la biografia-reportage The Minds of Billy Milligan (in italiano Una stanza piena di gente). Il libro racconta la storia vera di Billy Milligan, un tizio affetto da disturbo di personalità multipla (ben 24!) finito in carcere e quindi in clinica dopo svariati crimini. Aldilà del caso umano, cio che mi interessa è che il libro dovrebbe mostrare il meccanismo di funzionamento delle differenti personalita e il modo in cui si davano il cambio. Sarà stato qualcosa del genere a suggerire a Swanwick il personaggio di Wyeth in Vacuum Flowers?

Dove si trova?
Procurarsi Flowers for Algernon è molto facile. Per il testo in lingua originale potete frugare su Bookfinder, Library Genesis o sul canale #ebooks di IRChighway; per quello in italiano guardate sul Mulo, o magari, se siete fortunati, lo potete ancora trovare in libreria in una recente edizione della Nord. Ho dato un’occhiata alla traduzione italiana e mi sembra accettabile, nonostante questo sia un romanzo che si appoggi molto al gioco linguistico. Certo, alcune finezze si perdono (come il labirinto “amazed” di cui ho parlato sopra), ma non è la fine del mondo.

Qualche estratto
I due estratti di oggi sono speculari. Li ho scelti con l’intenzione di mostrare il progresso mentale di Charlie nel corso del libro, e la corrispondente trasformazione nello stile del libro. Entrambi mostrano il rapporto tra il protagonista e il topo Algernon, così intelligente da risolvere i labirinti più velocemente di Charlie; nel primo caso, però, Charlie non si è ancora sottoposto al trattamento, mentre nel secondo i primi effetti di quest’ultimo cominciano a farsi sentire, almeno sul piano emotivo:

1.
We went up to the 5 th floor to another room with lots of cages and animils they had monkys and some mouses. It had a funny smel like old garbidge. And there was other pepul in wite coats playing with the animils so I thot it was like a pet store but their wasnt no customers. Burt took a wite mouse out of the cage and showd him to me. Burt said thats Algernon and he can do this amazed very good. I tolld him you show me how he does that.
Well do you know he put Algernon in a box like a big tabel with alot of twists and terns like all kinds of walls and a START and a FINISH like the paper had. Only their was a skreen over the big tabel. And Burt took out his clock and lifted up a slidding door and said lets go Algernon and the mouse sniffd 2 or 3 times and startid to run. First he ran down one long row and then when he saw he coudnt go no more he came back where he startid from and he just stood there a minit wiggeling his wiskers. Then he went off in the other derection and startid to run again.
It was just like he was doing the same thing Burt wanted me to do with the lines on the paper. I was laffing because I thot it was going to be a hard thing for a mouse to do. But then Algernon kept going all the way threw that thing all the rite ways till he came out where it said FINISH and he made a squeek. Burt says that means he was happy because he did the thing rite.
Boy I said thats a smart mouse. Burt said woud you like to race against Algernon. I said sure and he said he had a differnt kind of amaze made of wood with rows skratched in it and an electrik stick like a pencil. And he coud fix up Algernons amaze to be the same like that one so we could both be doing the same kind.
He moved all the bords around on Algernons tabel because they come apart and he could put them together in differnt ways. And then he put the skreen back on top so Algernon woudnt jump over any rows to get to the finish. Then he gave me the electrik stick and showd me how to put it in between the rows and Im not suppose to lift it off the bord just follow the little skratches until the pencil cant move any more or I get a little shock.
He took out his clock and he was trying to hide it. So I tryed not to look at him and that made me very nervus.
When he said go I tryed to go but I dint know where to go. I didnt know the way to take. Then I herd Algernon squeeking from the box on the tabel and his feet skratching like he was runing alredy. I startid to go but I went in the rong way and got stuck and a littel shock in my fingers so I went back to the START but evertime I went a differnt way I got stuck and a shock. It didnt hert or anything just made me jump a littel and Burt said it was to show me I did the wrong thing. I was haffway on the bord when I herd Algernon squeek like he was happy again and that means he won the race.
And the other ten times we did it over Algernon won evry time because I coudnt find the right rows to get to where it says FINISH. I dint feel bad because I watched Algernon and I lernd how to finish the amaze even if it takes me along time.
I dint know mice were so smart.

Abbiamo salito al 5° piano in nunaltra stanza con un mukio di gabie e annimali cerano scimie e alquni topi. Si sentiva nodore strano come di mmondizzia. E cerano altri indi vidui con il cammicie bianco che gioccavano congli annimali per cui sono pensato che fose un negozzio dannimali ma cueli non erano clienti. Burt ha tolto un toppolino bianko da na gabia e me la mostrato. Ha detto che si kiama Algernon e sa fare cuesto lab irinto benisimo. Ci o detto di farmi veddere come facieva.
Bene, sapete, a meso Algernon in una skatola grande come un tavolo con un mukio di serpentine e di svolte de limmitate da muretti e un INIZIO e una FINE come sul follio. Sol tanto cera una rete sopra la grosa scatola. E Burt sè tolto dal taskino lorologgio e a solevate una porticcina scorevole e il toppolino a fiuttato uno due volte e se messo a corere. Prima a corso lungo un reti lineo e poi cuando sè acorto che non poteva più andare avanti a tornato dietro dove aveva cominciato e a rimasto lì un minuto con i baffi vibbranti. Poi è partito ne laltra direzzione e a ri cominciato a corere.
Sembrava propprio che facieva la stesa cosa che Burt aveva voluto farmi fare con le righe su la carta. Ridevo perché pensavo che avrebe stata na cosa dificile da fare per un toppolino. Ma poi Algernon a continnuato in filando sempre la strada giusta fin che ussito dove ce skritto FINE e ha scuitito. Cuesto sinnifica a detto Burt chera contento perche aveva fatto la cosa giusta.
Per dinci sono detto cuesto sì che un topo inteligente. Burt ha dommandato: ti piacerebe garegiare con Algernon? Certo sono risposto e lui ha detto che aveva un tipo di lab irinto diffrente fatto di lennio con solki scavati drento e un bastoncino e letrico come una mattita. E poteva moddificare ne lo stesso modo il lab irinto di Algernon così saremmo fati tute due la stessa cosa.
A tolto tutte le sponde intorno a la skatola di Algernon perché si posono smontare e lha di sposte in modo diverso. E poi ci ha rimeso sopra la rete per impe dire a Algernon di scavvalcare le file e a rivare al FINE. Poi ma dato il bastoncino e letrico e ma mostrato come meterlo tra le file e non dovevo so levarlo ma soltanto segguire i picoli solki fin che non poteva più muoversi o sentivo na picola scossa.
A ripreso lorologgio e ciercava di nasconderlo. Così sono ciercato di non guardarlo e cuesto ma reso nervosisssimo.
Cuando a detto via sono ciercato di partire ma non sappevo dovandare. Non sapevo cuale strada prendere. Poi o uddito Algernon scuitire ne la skatola e le sue zampette raskiare come se stava già corendo. Sono partito ma o andato nel senso sballiato e o rimasto blokato e o sentito una picola skossa ne le dita. Non ma fato male né gnente soltanto su sultare un poko e Burt a detto chera per mostrarmi che avevo sballiato. Ero rivato a metà cuando o sentito Algernon scuitire come se era dinuovo contento e cuesto sinnifica che a vinto la corsa.
E le altre dieci volte che siamo ripetuti la gara Algernon a vinto tutte le
volte perché io non riussivo a trovare il solko giusto per rivare dove ce scrito FINE. Non ma dispiacciuto perché guardavo Algernon e sono imparato come finire il lab irinto anche se ma voluto tempo.
Non sapevo che i toppolini erano così inteligienti.

Slowpoke

Anche i Pokemon hanno i loro problemi.

2.
March 15 — Im out of the hospitil but not back at werk yet. Nothing is happining. I had lots of tests and differint kinds of races with Algernon. I hate that mouse. He always beets me. Prof Nemur says I got to play those games and I got to take those tests over and over agen.
Those amazes are stoopid. And those picturs are stoopid to. I like to drawer the picturs of a man and woman but I wont make up lies about pepul.
And I cant do the puzzels good.
I get headakes from trying to think and remembir so much. Dr Strauss promised he was going to help me but he dont. He dont tell me what to think or when Ill get smart. He just makes me lay down on a couch and talk.
Miss Kinnian comes to see me at the collidge too. I tolld her nothing was happining. When am I going to get smart. She said you got to be pashent Charlie these things take time. It will happin so slowley you wont know its happening. She said Burt tolld her I was comming along fine.
I still think those races and those tests are stoopid and I think riting these progress reports are stoopid to.

15 marzo – Sono fuori de lospedale ma non ancora al lavoro. Non sta suciedendo gnente. O fato molti test e divversi tipi di corse con Algernon. Lodio cuel topo. Mi vincie sempre. Il porfesor Nemur dicie che devo fare cuei gioki e rippetere cuei test tante tante volte.
Cuei lab irinti sono stuppidi. E anke cuei di segni sono stuppidi. Mi piace disenniare un uomo e una dona ma non vollio inventare buggie su la gente.
E non sono bravo a fare i puzzel.
Mi viene il mal ditesta a furria di sfforzzarmi di pensare e riccordare tanto. Il dotor Strauss avveva promeso daiutarmi ma non maiuta. Non mi dicie che cosa devo pensare o cuando divventerò inteligiente. Mi fa sol tanto stendere sun divano e parlare.
Miss Kinnian viene a trovarmi anche alla niversità. Ci o detto che non stava sucedendo gnente. Cuandè che divventerò inteligiente? Devi esere pazziente Charlie a risposto per cueste cose occore tempo. Acadrà così addagio che non te nacorgerai. Ma detto daver saputo da Burt che vado bene.
Continnuo a pensare che cuele corse e cuei test sono stuppidi. E 2° me sono stuppidi anche cuesti rapporti sui progressi.

Tabella riassuntiva

Un moral play sul destino di un ritardato nella società. Forse va fuori tema facendo diventare Charlie un genio.
Ci si identifica in Charlie – ci si entusiasma e si soffre con lui.
I capitoli sgrammaticati sono deliziosi!

(1) Lo definirei ‘slipstream’, perché anche se è un device fantascientifico a mettere in moto la vicenda, il focus del libro non è sugli elementi fantastici ma sul rapporto tra il protagonista e il mondo. E quel mondo è tale e quale al nostro.Torna su