Archivi tag: free-roaming

Assassin’s Fail

Assassin's CreedChi mi segue sa che ho da alcuni anni una passione per il Medioevo. Non per i mondi pseudo-medievali alla Tolkien o alla D&D, con i vecchi re saggi, le foreste piene di elfi immortali e le legioni di orchetti che arrivano sempre dall’angolo nord-ovest della mappa (dall’altra parte della catena di montagne a punta dove il cielo è sempre scuro).
Parlo del Medioevo vero, quello degli imperi che si disgregano e dei signorotti avidi che si arroccano nei loro castelli; delle città contese tra vescovi, principi e banchieri; delle flotte mercantili che si imbarcano alla volta dei regni pagani, in cerca di qualche affare. Dai monaci che si allontanano dalle città in dissoluzione rinchiudendosi nei monasteri ai cavalieri teutonici che, nel gelo delle coste del Baltico, convertono anime a colpi di gladio; dalle invasate in unione mistica con Dio al milite scalcinato che cerca fortuna entrando in una compagnia mercenaria. In particolare mi ha sempre affascinato seguire la storia delle nazioni e dei popoli; vedere come dal caos del V secolo d.C. siano nate a poco a poco le nazioni e la cultura di oggi.

E’ stato questo afflato ad avvicinarmi, io ingenuo liceale, ad Assassin’s Creed nel lontano Natale 2008. Aggirarsi tra le città del debole regno crociato sul finire del XII secolo, nei panni di un Assassino, era la realizzazione di uno dei miei sogni proibiti. Questo stesso afflato, risvegliatomi negli ultimi mesi dalla roba di sapore medievale che sto cercando di scrivere, mi ha spinto a rigiocarlo da capo a Natale di quattro anni dopo.
Della serie mi ero disamorato in fretta. Il primo gioco ai tempi mi era piaciuto, seppure con qualche riserva, ma Assassin’s Creed 2 mi aveva fatto talmente cagare da metterci un anno buono a trovare il coraggio di finirlo. I capitoli successivi non li avevo neanche considerati. A quattro anni di distanza, di storia – e soprattutto di storia medievale e rinascimentale – ne capivo molto di più; pensai che un gioco come il primo Assassin’s Creed mi sarebbe parso ridicolo, infantile e antistorico. Ero quindi piuttosto in imbarazzo quando misi il blu-ray nella PS3.

Gatto Templare

Eppure – eppure non mi è dispiaciuto rigiocarci. Anzi: mi sono divertito di nuovo. E’ vero, il gioco ha molti limiti. La trama, e in particolar modo quella ambientata nel presente, con la teoria complottistica alla Kazzenger dell’eterna lotta tra Templari e Assassini, è roba buona per dodicenni. La meccanica è ripetitiva; non tanto per il fatto degli omicidi in serie – che è un po’ l’anima del gioco, è figo e offre una sufficiente varietà di situazioni – quanto per la parte di preparazione delle uccisioni, che è sempre uguale e quindi sa di finto: la raccolta di informazioni, il soccorso agli abitanti, l’arrampicarsi in cima alle torri per memorizzare la topografia della città. Le città sono un po’ anonime; certo, ciascuna ha qualcosa di particolare (Damasco il fiume, le ville dal tetto a cipolla e i musulmani, Acri i crociati, il porto e la cittadella dei cavalieri, e così via) e un filtro di colori diverso (ehm), ma alla lunga un vicolo vale l’altro. Alcune parti del gioco – in particolare l’inizio e la fine – si vede che sono state fatte di fretta, per rispettare la scadenza.
Di sicuro il primo Assassin’s Creed aveva ampi margini di miglioramento. Ma la formula era spettacolare – una sorta di GTA storico con contorno di Hitman. Ciò che soprattutto intravedevo quattro anni fa, arrivato alle fasi finali del gioco, era il potenziale della serie: dove sarebbe potuta arrivare nei capitoli successivi. Mentre mi scorrevano davanti i titoli di coda, pensai: “Non potevano ritardare l’uscita e hanno dovuto fare le cose di fretta. Ma ora hanno acquisito il know-how. Ora la serie è famosa, e possono prendersi più tempo per sviluppare il prossimo capitolo. Ora hanno capito che la formula funziona, e possono raffinarla”.
Un anno dopo esce Assassin’s Creed 2, e fa cagare a spruzzo.

Assassin's Creed 2

Cos’è andato storto?
Ho già avuto modo di dire in diversi articoli che le regole di base della narrativa valgono per qualunque medium narrativo – letteratura, cinema, fumetto, videogioco. Le stesse regole si applicano ad Assassin’s Creed 2. Questo gioco è sbagliato in talmente tanti modi che non saprei da dove cominciare. Bastano cinque minuti per accorgersi che non ci si sta muovendo davvero nell’Italia rinascimentale, ma in un cartonato hollywoodiano.
Cos’è che per primo fa scattare la molla? Difficile dirlo. Forse sono le texture: i muri di Firenze troppo puliti, troppo levigati, che ricordano più una ricostruzione disneyana che una città vera; l’illuminazione, lampioni a petrolio che sembrano usciti dall’Ottocento e non dal tardo Quattrocento. Quella stessa trascuratezza che più tardi trasforma Venezia da laguna in un’isola in mezzo all’oceano (salite su un campanile e guardate il panorama: mare aperto in tutte le direzioni). “History is our playground” è il motto del team di sviluppo del gioco, ma considerando l’accuratezza storica che ci mettono direi che “history is our whore” sarebbe più appropriato. Per non parlare della tristezza di mettere il quartiere Oltr’arno di Firenze in una DLC a pagamento.

Forse è la trama. Il protagonista del primo Assassin’s Creed era un professionista che, in un mondo in guerra, era chiamato dal suo ordine ad ammazzare una serie di personaggi in vista per “riportare la pace”. Era un terrorista. Il clima di ambiguità morale che si respirava dietro ogni assassinio era affascinante, e il giocatore aveva voglia di scoprire assieme ad Altair quale fosse lo schema dietro gli ordini del Maestro.
La trama di Assassin’s Creed 2 è il Canovaccio Hollywoodiano Standard #652. Al ragazzetto sciupafemmine senza arte né parte viene ammazzata la famiglia. Ma il ragazzetto scopre che il padre era un Assassino, e che ad ucciderlo sono stati nientemeno che i Templari! Segue la solita trama di addestramento e vendetta. Il livello di banalità, la quantità di cliché è tale che tutto urla ‘finto!’; la sensazione di trovarsi sul set di un film d’azione prevale su quella di vivere cinquecento anni nel passato; non si riesce davvero a crederci, e questo è il FAIL più grande per un gioco che vorrebbe essere immersivo.
E oltre ad essere più banale, è anche più infantile. L’ambiguità morale del primo Assassin’s Creed è scomparsa. Là si gettava il seme del dubbio che i Templari potessero essere nel giusto; se gli Assassini fossero davvero migliori dei Templari, o se non fossero due facce della stessa medaglia. Nel secondo il problema non si pone: gli Assassini sono buoni, i Templari sono cattivi. Nel primo, anche le vittime sono interessanti; memorabile ad esempio il mercante omosessuale che organizza un banchetto per riunire i suoi rivali e poi ucciderli tutti insieme, o il vassallo frustrato di Riccardo Cuor di Leone che sfoga sui sottoposti i suoi istinti sadici. Nel secondo, i ‘cattivi’ sono gente genericamente assetata di potere, o di soldi, o di vendetta, individui talmente anonimi che li si confonde gli uni con gli altri. Quanto ai comprimari, sono tutte macchiette che esasperano la gestualità e la ‘veracità’ italiane, e la mancanza di fede religiosa che si attribuisce a quell’epoca.

Ezio Auditore Jackass

Forse è il fatto che la storia non è semplicemente insulsa; è pure raccontata male. Mentre il primo Assassin’s Creed aveva un arco narrativo compatto, il seguito si sfilaccia attraverso svariate decadi. Cosa succede nei mesi o negli anni che passano tra un capitolo e l’altro è infodumpato alla brutta nei dialoghi tra i personaggi; avvenimenti cruciali come il fatto che il ‘capo dei cattivi’ da un capitolo all’altro sia diventato Papa sono appena menzionati. Le distanze sono annullate. Nel primo gioco, il senso di realismo era accentuato dal fatto che le città erano collegate tra loro da ampi spazi di campagna (il ‘Regno’) da percorrersi a cavallo. Nel secondo, ogni ambiente è un compartimento stagno: esci da Firenze e sei a Monteriggioni, giri a destra di Monteriggioni e sei nei sobborghi di San Gimignano, e così via. Quelli di Ubisoft hanno pensato con arroganza di poter continuare a sfornare un gioco all’anno, e i risultati si vedono.
Forse è il background sempre più demenziale. Già il fatto di voler trascinare Assassini e Templari dal Medioevo nelle borghesissime città del Rinascimento italiano fa un po’ ridere. Ma la lotta tra le due fazioni assume proporzioni imbarazzanti. L’origine di Assassini e Templari (sotto altri nomi) vengono fatte risalire addirittura a Caino, neanche fossero i vampiri della Whitewolf; praticamente qualsiasi conflitto o avvenimento importante nella storia del genere umano è reinterpretato alla luce dello scontro tra Assassini e Templari. La Seconda Guerra Mondiale? Causata dai Templari. Giulio Cesare? Era un Templare. La Rivoluzione d’Ottobre? Templari. Non esiste nient’altro. Vengono pure messi in mezzo gli alieni! Diosanto. La sceneggiatura sembra scritta a quattro mani da Giacobbo e Ron Hubbard.

Tutte queste ragioni sono già sufficienti per fare del secondo Assassin’s Creed un gioco di merda. Ma no, il fatto peggiore è ancora un altro. E cioè, che la formula del primo capitolo è buttata alle ortiche: Assassin’s Creed 2 è un gioco su binari. Le uccisioni vanno ancora “preparate”, ma il giocatore non ha alcun controllo sulla suddetta preparazione. Questa consiste in una serie di minigiochi insulsi da eseguire nell’ordine prestabilito, seguendo di volta in volta gli ordini dell’aiutante dell’eroe di quel capitolo. “Vai dal punto X al punto Y, uccidi Z e poi torna a X”: questa è la formula di Assassin’s Creed 2. Tutto è scriptato, persino il modo in cui vanno uccisi i bersagli (espediente usato di rado nel primo gioco della serie). Anche un’escamotage banale come la possibilità di completare alcuni assassinii nell’ordine che si preferisce è sparito.
E dire che qualche timido passo in direzione di GTA viene fatto. Per esempio vengono introdotti il denaro e i negozi, che sono una cosa carina (benché nulla di nuovo) e danno più profondità all’esplorazione della città. Ma per ogni passo avanti, due passi indietro. Il gioco è talmente pilotato, e la storia talmente frammentata e mal raccontata, che è impossibile immergersi nell’ambientazione. Il giocatore smette di “vivere” la città rinascimentale (se mai ha iniziato) e comincia a pensare per obiettivi di gioco, del tipo: “adesso ammazzo questo bersaglio così mi si sblocca il nuovo quartiere”. La suspension of disbelief è morta, non dimentichiamo neanche per un secondo di stare stringendo uno stupido controller.

Assassin's Creed 2

Come sarebbe dovuta andare?
Il primo Assassin’s Creed, dicevo, era sulla buona strada per l’immersività, ma aveva tutta una serie di limiti. Questi si possono così riassumere: troppa poca libertà, e meccanica ripetitiva. I seguiti avrebbero quindi dovuto potenziare proprio gli aspetti che sono stati eliminati.
Personalmente, avrei lasciato la struttura “ad assassinii”: che ogni capitolo di gioco abbia come obiettivo l’uccisione di un personaggio, culmini nell’omicidio e finisca dopo che l’assassino è riuscito a far perdere le proprie tracce. La libertà si costruisce attorno a questo scheletro. Attraverso una varietà di sotto-missioni tra cui il giocatore può scegliere (a seconda dell’approccio che preferisce), l’eroe comincia ad ambientarsi nella o nelle città di gioco e a trovare dei contatti. Da questi dovrà scoprire chi sia la vittima e quale sia il modo migliore per ucciderla. La cosa può essere resa più interessante dall’introduzione di scadenze: per esempio, ogni capitolo potrebbe durare un mese, al termine del quale se la vittima non viene uccisa si ha fallito e bisogna ricominciare.

Nel corso di questo “mese” la vittima non rimarrà immobile. E’ una persona ‘vera’, e come tale farà tutta una serie di cose; un giorno si troverà nel quartiere degli armaioli a contrattare una fornitura, il giorno dopo visiterà la villa di un politico nel quartiere dei ricchi, il terzo starà nascosto nei sobborghi della città. Questo richiede ovviamente l’introduzione del ciclo giorno-notte reale (a partire dal secondo capitolo, Assassin’s Creed avrebbe un ciclo giorno-notte, ma è puramente estetico). Di notte i negozi saranno chiusi e le porte della città chiuse, ma sarà possibile incontrare alcuni personaggi chiave in un vicolo o in una taverna, o giocare a dadi in uno sgabuzzino o andare a puttane. Di notte sarà anche più facile infiltrarsi in una proprietà privata, sfuggire agli occhi delle guardie; e anche, naturalmente, compiere gli omicidi.
E a proposito di infiltrazione e omicidi: bisognerebbe potenziare le dinamiche stealth nella direzione di un Metal Gear Solid, perché negli Assassin’s Creed sono piuttosto deboli. Le mosse, per esempio: appiattirsi contro le pareti, bussare per attirare l’attenzione, sporgersi. Ma anche la possibilità di entrare in case e palazzi, o almeno in una parte di questi. Assassin’s Creed si svolge praticamente sempre all’esterno, e quando si può esplorare un interno in genere è un evento scriptato; ma questo amplifica l’idea che la città di gioco sia solo uno scenario di cartapesta.
E così via.

Things that teach me history

Dove abbiamo sbagliato…?

Ma queste mie parole sono un esercizio accademico, dato che la serie ha ormai decisamente preso un’altra direzione.
Avendo l’opportunità di comprarlo a poco, qualche mese fa mi sono preso Brotherhood, il terzo capitolo della serie. Si vede subito qualche timido tentativo di ritorno a una struttura più aperta, con la possibilità di crearsi reti di alleati, e completare alcune missioni nell’ordine che si vuole. Ma è il solito, magro contentino all’interno di una struttura rigidamente su binari.
Non so quanto abbiano fatturato di preciso i vari capitoli di Assassin’s Creed, e quindi se le scelte di Ubisoft abbiano pagato. Ma l’impressione è che la serie sia in declino. L’ambientazione di Assassin’s Creed 3 non ha prodotto alcun seguito ad alto budget, com’era capitato invece per il secondo gioco.
Proprio mentre cominciavo a scrivere questo articolo sono uscite le prime notizie sul prossimo capitolo, Black Flag. Tristezza a palate: la decisione di Ubisoft di buttarsi su un’ambientazione blockbuster come il Mar dei Caraibi mi lascia pensare che in azienda non sappiano più che pesci pigliare. Ci si allontana sempre di più da quelli che erano gli unicum del primo Assassin’s Creed, annacquando il gioco in ambientazioni e meccaniche che non c’entrano niente (la possibilità di controllare una nave? Gli arrembaggi? WTF?). Del resto, già la decisione di spostare Assassin’s Creed 3 in America suonava bizzarra, e dettata più da esigenze di marketing che di trama.

E tuttavia…
C’è qualcosa di davvero affascinante in Assassin’s Creed. E’ l’idea dell’Animus; della possibilità di rivivere il passato e la vita dei propri antenati risvegliando la nostra memoria genetica. L’idea che tutta la nostra genealogia sia intrappolata nel nostro organismo e possa essere tirata fuori. Certo, Assassin’s Creed non ha “inventato” niente, sono temi presenti nel fantasy e nella fantascienza da tempo; ma gli ha dato una bella veste. Potrei arrivare a dire che forse giocare al primo Assassin’s Creed, quattro anni fa, potrebbe essere stata una delle molle che mi hanno spinto ad approfondire lo studio della storia medievale e rinascimentale. Di certo, rigiocarlo tre mesi fa mi ha ispirato la lettura di alcune cosine interessanti. Quindi, forse, la storia ha un lieto fine.
Quel che è certo, è che non ho intenzione di chiudere il mio rant su note negative. Ho pensato questo post come un articolo d’apertura per un piccolo ciclo di interventi che ha in vario modo a che fare col mondo evocato dal primo Assassin’s Creed: le Crociate, il Medio Oriente bassomedievale, eccetera. Sto lavorando a due o forse tre articoli curiosi che dovrebbero essere pronti nelle prossime settimane. Ovviamente non sono Zwei, non sono un vero esperto, e mi limiterò a parlarvi delle mie letture.
Lunedì prossimo, invece, per i nostalgici, dovrebbe essere pronto il nuovo Consiglio.

Assassin's Creed 3

Il declino inarrestabile della serie.

Appendice: A Modest Proposal
Benché ormai cercare di salvare la serie sia come voler rianimare un cadavere, e nonostante il fatto che non c’è una sola cosa della trama massonica su Assassini e Templari che non mi faccia cagare, la mia immaginazione senza controllo non ha potuto fare a meno di chiedersi dove potrebbe essere ambientato un seguito ‘ideale’ di Assassin’s Creed; un’ambientazione meno demenziale del Mar dei Caraibi. Ecco la mia idea in poche parole.

Due gli spunti da cui sono partito.
Uno: prima che annunciassero Assassin’s Creed 3, ero straconvinto che sarebbe stato ambientato a Parigi durante la Rivoluzione. Oltre ad essere un’epoca di per sé figa, è una delle ambientazioni più conosciute e mainstream della storia europea, assieme a Crociate e Rinascimento italiano. Sarebbe stata una continuazione più fedele allo spirito della serie rispetto alla Rivoluzione Americana.
Due: mi sono sempre chiesto perché non abbiano mai fatto un gioco ambientato nella Parigi trecentesca, all’epoca in cui Filippo il Bello sopprime l’ordine dei Templari. All’interno della storyline di Assassin’s Creed, dovrebbe essere un momento cruciale: una delle due fazioni fondamentali viene dichiarata illegale e sciolta. Il gran maestro dell’ordine, Jacques De Molay, fu arso vivo davanti a Notre Dame. Da allora, secondo la storia demente della serie, i Templari cominceranno a muoversi nell’ombra. Interessante, no?
Una risposta che mi sono dato alla domanda di cui sopra, è che la Parigi medievale (per non parlare della Francia feudale in generale) non è probabilmente un’ambientazione interessante come le altre; sceglierla sarebbe stato un azzardo. Ma poi mi sono detto: perché non mettere le due cose insieme?

Assassin's Creed 5

Immaginate. Un gioco a cavallo tra due epoche, tra due Parigi: quella trecentesca, e quella di fine ancien régime. Il gioco si muoverebbe tra l’una e l’altra, magari con un capitolo a testa, magari in modo più sofisticato (per esempio, il giocatore potrebbe scegliere con un comando apposito di spostarsi in qualunque momento dall’una all’altra). A livello narrativo, la cosa sarebbe giustificata prendendo come protagonisti due antenati parigini della stessa persona, che quindi può ripercorrere a piacere la propria memoria genetica dall’uno all’altro antenato.
Sul piano della trama, il giocatore potrebbe scoprire cosa sia successo veramente all’epoca del processo ai Templari. La cosa potrebbe essere resa ancora più interessante scegliendo come protagonista, questa volta, non un Assassino ma un Templare. Magari un Templare sbarbino: questo tizio si trova da un giorno all’altro a non poter più vivere alla luce del sole ma doversi muovere nell’ombra, da ricercato. Il punto di contatto tra le due timeline potrebbe essere la ricerca di uno di quei tristissimi Frutti dell’Eden: magari il Templare protagonista della prima timeline lo nasconde da qualche parte a Parigi (per esempio nelle Catacombe?), mentre il protagonista della seconda deve ritrovarlo. La necessità di rivivere entrambe le vite si spiega così con il bisogno di tracciare i movimenti del frutto.
Sul piano dell’esperienza di gioco, il giocatore potrebbe vedere come si è trasformata la stessa città da un’epoca all’altra. Cosa è rimasto, come Notre Dame, cos’è cambiato. Prendere alcune decisioni nella prima timeline potrebbe influenzare situazioni nella seconda – da cose importanti come biforcazioni nella trama ad altre più sottili come l’apertura o meno di un negozio esclusivo (fondato, magari, dal discendente di un uomo che potrebbe essere o non essere morto prima di avere figli nel passato).

Io l’ho buttata lì; secondo me, sarebbe una figata1.

It was Templars

I’m not saying it was Templars but…

(1) Pur rimanendo all’interno della cornice mongoloide della serie.Torna su

L’amaro destino del free-roaming investigativo

Cole PhelpsLa settimana scorsa io e Siobhàn abbiamo finalmente finito L.A. Noire. C’è voluto un anno. Il che riassume alla perfezione il bene e il male di questo gioco: continuamente mollato, l’abbiamo anche continuamente ripigliato in mano perché dovevamo sapere come andava a finire.

Ci troviamo nella Los Angeles di fine anni ’40. Una Los Angeles in cui i veterani della Seconda Guerra Mondiale faticano a reintegrarsi, la corruzione viaggia a tutti i livelli – dal municipio alla polizia al mercato immobiliare – la mafia ebrea controlla il narcotraffico, le radio mandano tutto il giorno orribili canzonette, radiodrammi e l’occasionale buon pezzo jazz, e giovani donne di belle speranze arrivano a vagonate per tentare la strada del successo a Hollywood.
Cole Phelps è uno di quelli che ce l’ha fatta. Tornato dal fronte a Okinawa con una medaglia al valore sul petto, è entrato nel LAPD, la polizia di Los Angeles. Di qui in poi il controllo passa al videogiocatore: dopo alcuni brevi livelli tutorial da poliziotto di pattuglia, Phelps diventa investigatore e il gioco vero e proprio comincia. E mentre noi facciamo far carriera al nostro protagonista, piano piano si disegna sullo sfondo una trama di ampio respiro – una storia che mette insieme il passato al fronte di Phelphs e il destino che lo attende nel mondo corrotto della polizia e della pubblica amministrazione di Los Angeles.


Il tema principale del gioco.

L.A. Noire vuole coniugare i meccanismi di un gioco investigativo con quelli del free-roaming alla GTA. La città è esplorabile liberamente, a piedi o in macchina; si può usare la propria, ma si può anche fermare un’auto per strada e, facendo leva sul potere del distintivo (polizia! Ci serve la sua macchina!), portargliela via – il tasto è persino lo stesso che in GTA.
Al contempo, tutta l’azione di gioco si svolge all’interno dei Casi: è stato commesso un delitto e bisogna trovare il colpevole. Generalmente ogni caso segue questo canovaccio: arriva in centrale la comunicazione del delitto, per esempio che è stato trovato qualcuno ammazzato; si va sulla scena del delitto; si raccolgono gli indizi; si va a interrogare parenti/amici/conoscenti o a visitare i luoghi abitualmente frequentati dalla vittima; si stila una prima lista di imputati. L’investigazione continua con una serie di perquisizioni e interrogatori fino ad arrivare ad accusare un colpevole; a quel punto il Caso si chiude e viene assegnato un punteggio – da una a cinque stelle – in base alla bravura. Spesso i casi sono poi conditi da piccoli momenti d’azione: inseguimenti (a piedi o in macchina), risse, sparatorie.

Gli interrogatori sono di sicuro la parte meglio riuscita del gioco. Tutti i personaggi del gioco sono stati realizzati usando attori veri, e ricreando nel dettaglio la loro mimica facciale. I visi e le espressioni dei personaggi di L.A. Noire sono straordinari – credo i più realistici e vividi che abbia mai visto. …se la persona è sincera terrà gli occhi fissi, ma se sta mentendo o nascondendo delle informazioni, tradirà la sua malafede con tanti piccoli gesti: un tic nervoso alle labbra, lo sguardo che si abbassa, un movimento laterale della testa. Studiare l’imputato diventa essenziale. Se poi siamo in grado di dimostrare che sta mentendo, possiamo richiamare dal taccuino uno degli indizi che abbiamo rinvenuto nelle indagini e schiaffarglielo in faccia per indurlo a confessare.
Ma se un interrogatorio azzeccato regala parecchie soddisfazioni, non si può dire lo stesso del gioco nel suo complesso. Mano a mano che si va avanti nel gioco, ci si comincia a rendere conto che la libertà di L.A. Noire è più apparente che reale.
Faccio un esempio. Una volta avevo finito un caso con una sola stellina – la peggior valutazione possibile. Avevo mancato alcuni indizi, sbagliato qualche domanda, uno dei personaggi cruciali dell’indagine era finito ammazzato e un altro era scappato, e il mio boss mi aveva urlato dietro che mi rimandava a dirigere il traffico. Vabbé – il gioco continua. Nel post-game, ripeto il caso e questa volta lo faccio tutto giusto. Be’, la serie di eventi è assolutamente identica: la tipa viene ammazzata, il tipo se la squaglia. Ma questa volta il commissario è entusiasta e piglio 5 stelle. Morale: punteggio e discorso finale a parte, il caso si svolgeva nella stessa identica maniera, e con la stessa sequenza fissa di step a prescindere da come mi comportassi.

Cole Phelps

La libertà all’interno dei casi è minima. A volte non puoi abbandonare una scena se non hai trovato tutti gli indizi essenziali, o comunque il gioco trova qualche sgamuffo per farti arrivare comunque alla scena finale e farti trovare il colpevole. I casi che sviluppano la trama principale, poi (e specialmente nell’ultima parte del gioco), sono ancora più rigidi: che un interrogatorio riesca o fallisca, il giocatore entra in possesso dello stesso numero di informazioni, e sono poi eventi indipendenti dalle nostre azioni a pilotare l’indagine verso la sua conclusione.
Stesso dicasi per l’esplorazione libera di Los Angeles. Per carità, puoi andare dove vuoi – ma a fare che? Aldilà di un certo numero di sub-missioni (i “crimini per strada”, ciascuno dei quali è risolvibile in un paio di minuti è comprende in genere una rissa, un’inseguimento, una sparatoria o un pedinamento), non c’è assolutamente nulla da fare se non risolvere i casi. Nessun interno è visitabile se non per ragioni legate al Caso che si sta affrontando in quel momento. L’interattività è pari a zero; persino investire i pedoni è meno divertente che in GTA (e ha conseguenze molto meno gravi, sebbene tu sia un poliziotto!).
Questa rigidità di struttura fa emergere a sua volta una certa ripetitività nella struttura dei casi. Il capitolo della Omicidi, in cui si ha a che fare con un serial killer, ci mette di fronte a una serie di scene del crimine una uguale all’altra, e dopo un po’ subentra la noia. Si ha l’impressione di giocare fondamentalmente sempre allo stesso caso, e a un certo punto vien voglia di mollare il pad e non toccare il gioco per settimane o mesi.
Insomma, ti senti tradito: ma come, tutta questa libertà, e invece?

Due free-roaming investigativi alternativi
Sperimentando i difetti di L.A. Noire, ho cominciato a chiedermi come potrebbe essere una versione riveduta e corretta. Mi sono venuti in mente due modelli possibili, di complessità crescente:

Modello investigatore privato
L’alternativa più semplice. Scegliendo come protagonista un investigatore privato, si bypassano tutti i problemi relativi alla routine lavorativa. Un Philip Marlowe non ha orari: lavora quando vuole; e così il giocatore. Alcune attività potrebbero essere svolte solo di notte (per esempio visitare un localino malfamato per raccogliere informazioni…), così da dare profondità al ciclo giorno-notte.
Il livello di libertà sarebbe quindi analogo a quello di un GTA, benché questa volta si lavori dalla parte della legge; rispetto a GTA, comunque, rimarrebbe un solido elemento investigativo fatto di perquisizioni, raccolta di indizi e interrogatori.

Modello investigatore di polizia
Con un protagonista regolarmente inserito nella polizia, si dovrebbe invece integrare il free-roaming investigativo con elementi di gioco gestionale. Il nostro personaggio dovrebbe alzarsi tutte le mattine per timbrare il cartellino. Le sue indagini dovrebbero seguire determinate procedure.
Suona noioso, ma in realtà apre un sacco di potenzialità interessanti. Prima fra tutte quella della carriera: in base al nostro talento nelle indagini, si potrà salire di grado e passare, per esempio, dalla Furti alla Omicidi. Gestiremmo, a tutti gli effetti, il destino professionale del nostro personaggio. Il gioco potrebbe essere a tempo, con un finale diverso (o anche un pacchetto di missioni-casi conclusivi e conseguente finale) a seconda del livello gerarchico e del prestigio che siamo riusciti a raggiungere. Una serie di fallimenti potrebbe condannarci a dirigere il traffico in eterno, e quindi a un prematuro bad ending. O, nel caso di una condotta sbagliata, potremmo addirittura finire destituiti o in carcere: game over.
La città rimarrebbe liberamente esplorabile e il ciclo giorno-notte continuerebbe a esserci, ma avremmo molta meno libertà e dovremmo gestire il nostro tempo con precisione e pianificazione. Il motore di gioco non ci impedirebbe di cazzeggiare fino alle undici del mattino invece che andare al lavoro o di investire passanti, ma poi dovremmo pagarne le conseguenze… Un’esperienza più simile all’L.A. Noire originale, ma senza tutti i paletti.

Attori in L.A. Noire

“Figata, eh?”

In entrambi i casi, un free-roaming investigativo onesto dovrebbe essere aperto nella risoluzione dei casi. Manchi una serie di indizi o non riesci a cavare informazioni dagli indagati? Caso fallito. Perdi troppo tempo, o segui la pista sbagliata, e intanto il colpevole prende l’aereo per Mosca e chi s’è visto s’è visto? Andrà meglio la prossima volta. Accusi un innocente? Farai fare una brutta figura al dipartimento e poi sono cazzi tuoi.
Al giocatore dev’essere data la possibilità di sbagliare (o di risolvere il caso in maniere differenti) perché possa sentirsi libero e diventare un bravo detective. Il suo personaggio deve avere un destino lavorativo diverso a seconda che azzecchi ogni caso o che sia un incapace. Il finale dev’essere aperto. Molti programmatori ormai si riempiono la bocca con il mantra che “Il giocatore deve sentire che le sue scelte sono reali / pesano / fanno la differenza”, ma la realtà è che in quasi tutti questi giochi questa libertà di scelta è posticcia.
Certo: un gioco realmente libero, con centinaia di biforcazioni e varianti, è esponenzialmente più costoso da realizzare. La solita triste storia.

Il destino del free-roaming investigativo
Il Team Bondi, la squadra dietro L.A. Noire, ha chiuso. E’ successo un anno fa.
La ragione non ha niente a che vedere col gioco (che pur essendo una roba insolita ha venduto bene) ma, a quanto sembra, con l’incapacità gestionale dei manager. Il franchise ora è nelle mani di Rockstar, che non esclude di poter lavorare in futuro ad un seguito ma non ha progetti nell’immediato 1.
La verità è che il futuro del genere investigativo è tutt’altro che rosea. Gli ultimi anni ci hanno mostrato che ormai i giochi più originali provengono da sviluppatori medio-piccoli, che ci spendono budget relativamente bassi e possono correre il rischio di un fallimento. Le grandi case sono invece intrappolate nello stesso meccanismo di Hollywood: hanno bisogno della certezza di un successo enorme per rientrare dei costi dei loro giochi giganteschi.

Ora: si può fare un Catherine o un Disgaea con budget modesti, ma non un L.A. Noire. Non un GTA investigativo. Un free-roaming investigativo fatto come Dio comanda richiede una barca di soldi. E chi è che si prende il rischio di fare un gioco complicato come i due modelli da me proposti sopra? Forse ancora ancora il primo – magari un futuro L.A. Noire 2 targato Rockstar sarà fatto proprio così, e si ispirerà più direttamente ai romanzi di Chandler – ma il secondo? Soprattutto: a chi interesserebbe un gioco del genere? Di sicuro a una nicchia di mercato troppo piccola per giustificare lo sforzo.
Non è strano che in letteratura si producono molte più idee strane, molte più storie assurde e poco rodate, che in altri medium. Ci vuole una sola persona e il costo è quello delle notti passate a scrivere invece che a guardare un film o dei libri su cui ci si è documentati. E’ per questo che alla fine, anche dopo aver giocato un casino ed essermi divertito, torno sempre ai libri.

Macchina sporca di sangue

“Poffarbacco, un bagagliaio.”

La materia di cui sono fatti i sogni
Sia come sia, di L.A. Noire ricorderò soprattutto l’atmosfera. Giocare a L.A. Noire significa vivere l’America degli anni ’40; nelle musiche alla radio, nelle facce e negli abiti della gente, nel loro modo di parlare, nei telefoni a disco che si trovano nelle case o appesi a pali sui cigli delle strade.
Mi sembra pure di aver imparato delle cose su quell’epoca. Per esempio che tutti gli uomini avevano tagli di capelli orribili, corti e appiccicati al cranio, e che se li tagliavano così per potersi mettere un cappello; e che del resto il cappello era una parte indispensabile dell’abbigliamento, perché se te lo togli o ti cade, con dei capelli del genere, sei inguardabile.
Ho anche imparato che non mi sarebbe piaciuto vivere in quell’epoca. E’ abitudine comune rimpiangere le epoche passate, dirsi “ah, se solo fossimo vissuti in quegli anni invece che in quest’epoca disgraziata…” – specie se parliamo di periodi di boom economico – magari mentre si guarda un vecchio film, un Il mistero del falco, un Viale del tramonto, o un Il grande sonno. L.A. Noire ti guarisce. Scopri che fondamentalmente esistevano due tipi di uomini: il duro, insensibile, strafottente, che si fa rispettare e possibilmente fa i soldi (e guadagna qualche punto bonus se picchia la moglie), e lo sfigato che non ce l’ha fatta. Pochissima varietà nei gusti, negli hobby, nell’abbigliamento. Il filosofo della domenica dice che la società moderna va verso l’omologazione, ma cazzo, vai a guardarti quegli anni: allora sì che gli uomini erano – o dovevano essere – tutti uguali. E quelle bretelle non si possono vedere.
Ah, e ovviamente dare a qualcuno del rosso era peggio che dargli del figlio di puttana. Brutti tempi, signora mia, brutti tempi.

Alla fine è corretto dire che L.A. Noire sia un gioco d’atmosfera ancor prima che un gioco investigativo. Molti recensori ci hanno marciato e, nel tentativo di mettere in ombra le pecche del gioco, ne hanno parlato come di un “film interattivo”. Da infilare nella stessa categoria di un Heavy Rain, insomma: ogni tanto pigli il pad in mano, ma fondamentalmente ti guardi un’esperienza non tua.
A me non pare un complimento, e mi auguro che giochi futuri – se mai ce ne saranno – cambino strada. Ma di sicuro L.A. Noire offre una delle esperienze più affascinanti, e una delle storie più adulte che mi sia mai capitato di giocare. Finalmente un gioco anglosassone in cui i cattivi non sono i Massoni, non sono i Templari, non sono il Nuovo Ordine Mondiale “hahahaha, esistiamo da minimo 800 anni e abbiamo fatto cadere le Torri Gemelle”. Non è un gioco dove alla fine tutti i cattivi sono morti o dietro le sbarre, e i buoni in trionfo; perde solo chi non è riuscito a pararsi il culo abbastanza, e non è che un uomo solo possa eliminare definitivamente la corruzione di un’intera città. L.A. Noire è uno slow-burning, ma quando comincia a bruciare si passa sopra la ripetitività delle missioni per scoprire come va a finire. Gli ultimi quattro-cinque Casi ce li siamo fatti in apnea. E l’alienista Harlan Fontaine è un fiQo.
Se vi capita provatelo, e ditemi se non è un gioco curioso.

(1) Ecco le parole testuali, fonte questa FAQ sul sito della Rockstar:

While there won’t be any more DLC or additional content for the current release of L.A. Noire (we’re all too busy working on Max Payne 3, GTAV and other games to come), don’t count out the possibility of a new game in the L.A. Noire franchise in the future. We simply have not decided anything. We’re all very pleased with how that game turned out and are considering what the future may hold for L.A. Noire as a series. We don’t always rush to make sequels, but that does not mean we won’t get to them eventually – see Max and Red Dead for evidence of that – we have so many games we want to make and the issue is always one of bandwidth and timing.

Torna su