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Assassin’s Fail

Assassin's CreedChi mi segue sa che ho da alcuni anni una passione per il Medioevo. Non per i mondi pseudo-medievali alla Tolkien o alla D&D, con i vecchi re saggi, le foreste piene di elfi immortali e le legioni di orchetti che arrivano sempre dall’angolo nord-ovest della mappa (dall’altra parte della catena di montagne a punta dove il cielo è sempre scuro).
Parlo del Medioevo vero, quello degli imperi che si disgregano e dei signorotti avidi che si arroccano nei loro castelli; delle città contese tra vescovi, principi e banchieri; delle flotte mercantili che si imbarcano alla volta dei regni pagani, in cerca di qualche affare. Dai monaci che si allontanano dalle città in dissoluzione rinchiudendosi nei monasteri ai cavalieri teutonici che, nel gelo delle coste del Baltico, convertono anime a colpi di gladio; dalle invasate in unione mistica con Dio al milite scalcinato che cerca fortuna entrando in una compagnia mercenaria. In particolare mi ha sempre affascinato seguire la storia delle nazioni e dei popoli; vedere come dal caos del V secolo d.C. siano nate a poco a poco le nazioni e la cultura di oggi.

E’ stato questo afflato ad avvicinarmi, io ingenuo liceale, ad Assassin’s Creed nel lontano Natale 2008. Aggirarsi tra le città del debole regno crociato sul finire del XII secolo, nei panni di un Assassino, era la realizzazione di uno dei miei sogni proibiti. Questo stesso afflato, risvegliatomi negli ultimi mesi dalla roba di sapore medievale che sto cercando di scrivere, mi ha spinto a rigiocarlo da capo a Natale di quattro anni dopo.
Della serie mi ero disamorato in fretta. Il primo gioco ai tempi mi era piaciuto, seppure con qualche riserva, ma Assassin’s Creed 2 mi aveva fatto talmente cagare da metterci un anno buono a trovare il coraggio di finirlo. I capitoli successivi non li avevo neanche considerati. A quattro anni di distanza, di storia – e soprattutto di storia medievale e rinascimentale – ne capivo molto di più; pensai che un gioco come il primo Assassin’s Creed mi sarebbe parso ridicolo, infantile e antistorico. Ero quindi piuttosto in imbarazzo quando misi il blu-ray nella PS3.

Gatto Templare

Eppure – eppure non mi è dispiaciuto rigiocarci. Anzi: mi sono divertito di nuovo. E’ vero, il gioco ha molti limiti. La trama, e in particolar modo quella ambientata nel presente, con la teoria complottistica alla Kazzenger dell’eterna lotta tra Templari e Assassini, è roba buona per dodicenni. La meccanica è ripetitiva; non tanto per il fatto degli omicidi in serie – che è un po’ l’anima del gioco, è figo e offre una sufficiente varietà di situazioni – quanto per la parte di preparazione delle uccisioni, che è sempre uguale e quindi sa di finto: la raccolta di informazioni, il soccorso agli abitanti, l’arrampicarsi in cima alle torri per memorizzare la topografia della città. Le città sono un po’ anonime; certo, ciascuna ha qualcosa di particolare (Damasco il fiume, le ville dal tetto a cipolla e i musulmani, Acri i crociati, il porto e la cittadella dei cavalieri, e così via) e un filtro di colori diverso (ehm), ma alla lunga un vicolo vale l’altro. Alcune parti del gioco – in particolare l’inizio e la fine – si vede che sono state fatte di fretta, per rispettare la scadenza.
Di sicuro il primo Assassin’s Creed aveva ampi margini di miglioramento. Ma la formula era spettacolare – una sorta di GTA storico con contorno di Hitman. Ciò che soprattutto intravedevo quattro anni fa, arrivato alle fasi finali del gioco, era il potenziale della serie: dove sarebbe potuta arrivare nei capitoli successivi. Mentre mi scorrevano davanti i titoli di coda, pensai: “Non potevano ritardare l’uscita e hanno dovuto fare le cose di fretta. Ma ora hanno acquisito il know-how. Ora la serie è famosa, e possono prendersi più tempo per sviluppare il prossimo capitolo. Ora hanno capito che la formula funziona, e possono raffinarla”.
Un anno dopo esce Assassin’s Creed 2, e fa cagare a spruzzo.

Assassin's Creed 2

Cos’è andato storto?
Ho già avuto modo di dire in diversi articoli che le regole di base della narrativa valgono per qualunque medium narrativo – letteratura, cinema, fumetto, videogioco. Le stesse regole si applicano ad Assassin’s Creed 2. Questo gioco è sbagliato in talmente tanti modi che non saprei da dove cominciare. Bastano cinque minuti per accorgersi che non ci si sta muovendo davvero nell’Italia rinascimentale, ma in un cartonato hollywoodiano.
Cos’è che per primo fa scattare la molla? Difficile dirlo. Forse sono le texture: i muri di Firenze troppo puliti, troppo levigati, che ricordano più una ricostruzione disneyana che una città vera; l’illuminazione, lampioni a petrolio che sembrano usciti dall’Ottocento e non dal tardo Quattrocento. Quella stessa trascuratezza che più tardi trasforma Venezia da laguna in un’isola in mezzo all’oceano (salite su un campanile e guardate il panorama: mare aperto in tutte le direzioni). “History is our playground” è il motto del team di sviluppo del gioco, ma considerando l’accuratezza storica che ci mettono direi che “history is our whore” sarebbe più appropriato. Per non parlare della tristezza di mettere il quartiere Oltr’arno di Firenze in una DLC a pagamento.

Forse è la trama. Il protagonista del primo Assassin’s Creed era un professionista che, in un mondo in guerra, era chiamato dal suo ordine ad ammazzare una serie di personaggi in vista per “riportare la pace”. Era un terrorista. Il clima di ambiguità morale che si respirava dietro ogni assassinio era affascinante, e il giocatore aveva voglia di scoprire assieme ad Altair quale fosse lo schema dietro gli ordini del Maestro.
La trama di Assassin’s Creed 2 è il Canovaccio Hollywoodiano Standard #652. Al ragazzetto sciupafemmine senza arte né parte viene ammazzata la famiglia. Ma il ragazzetto scopre che il padre era un Assassino, e che ad ucciderlo sono stati nientemeno che i Templari! Segue la solita trama di addestramento e vendetta. Il livello di banalità, la quantità di cliché è tale che tutto urla ‘finto!’; la sensazione di trovarsi sul set di un film d’azione prevale su quella di vivere cinquecento anni nel passato; non si riesce davvero a crederci, e questo è il FAIL più grande per un gioco che vorrebbe essere immersivo.
E oltre ad essere più banale, è anche più infantile. L’ambiguità morale del primo Assassin’s Creed è scomparsa. Là si gettava il seme del dubbio che i Templari potessero essere nel giusto; se gli Assassini fossero davvero migliori dei Templari, o se non fossero due facce della stessa medaglia. Nel secondo il problema non si pone: gli Assassini sono buoni, i Templari sono cattivi. Nel primo, anche le vittime sono interessanti; memorabile ad esempio il mercante omosessuale che organizza un banchetto per riunire i suoi rivali e poi ucciderli tutti insieme, o il vassallo frustrato di Riccardo Cuor di Leone che sfoga sui sottoposti i suoi istinti sadici. Nel secondo, i ‘cattivi’ sono gente genericamente assetata di potere, o di soldi, o di vendetta, individui talmente anonimi che li si confonde gli uni con gli altri. Quanto ai comprimari, sono tutte macchiette che esasperano la gestualità e la ‘veracità’ italiane, e la mancanza di fede religiosa che si attribuisce a quell’epoca.

Ezio Auditore Jackass

Forse è il fatto che la storia non è semplicemente insulsa; è pure raccontata male. Mentre il primo Assassin’s Creed aveva un arco narrativo compatto, il seguito si sfilaccia attraverso svariate decadi. Cosa succede nei mesi o negli anni che passano tra un capitolo e l’altro è infodumpato alla brutta nei dialoghi tra i personaggi; avvenimenti cruciali come il fatto che il ‘capo dei cattivi’ da un capitolo all’altro sia diventato Papa sono appena menzionati. Le distanze sono annullate. Nel primo gioco, il senso di realismo era accentuato dal fatto che le città erano collegate tra loro da ampi spazi di campagna (il ‘Regno’) da percorrersi a cavallo. Nel secondo, ogni ambiente è un compartimento stagno: esci da Firenze e sei a Monteriggioni, giri a destra di Monteriggioni e sei nei sobborghi di San Gimignano, e così via. Quelli di Ubisoft hanno pensato con arroganza di poter continuare a sfornare un gioco all’anno, e i risultati si vedono.
Forse è il background sempre più demenziale. Già il fatto di voler trascinare Assassini e Templari dal Medioevo nelle borghesissime città del Rinascimento italiano fa un po’ ridere. Ma la lotta tra le due fazioni assume proporzioni imbarazzanti. L’origine di Assassini e Templari (sotto altri nomi) vengono fatte risalire addirittura a Caino, neanche fossero i vampiri della Whitewolf; praticamente qualsiasi conflitto o avvenimento importante nella storia del genere umano è reinterpretato alla luce dello scontro tra Assassini e Templari. La Seconda Guerra Mondiale? Causata dai Templari. Giulio Cesare? Era un Templare. La Rivoluzione d’Ottobre? Templari. Non esiste nient’altro. Vengono pure messi in mezzo gli alieni! Diosanto. La sceneggiatura sembra scritta a quattro mani da Giacobbo e Ron Hubbard.

Tutte queste ragioni sono già sufficienti per fare del secondo Assassin’s Creed un gioco di merda. Ma no, il fatto peggiore è ancora un altro. E cioè, che la formula del primo capitolo è buttata alle ortiche: Assassin’s Creed 2 è un gioco su binari. Le uccisioni vanno ancora “preparate”, ma il giocatore non ha alcun controllo sulla suddetta preparazione. Questa consiste in una serie di minigiochi insulsi da eseguire nell’ordine prestabilito, seguendo di volta in volta gli ordini dell’aiutante dell’eroe di quel capitolo. “Vai dal punto X al punto Y, uccidi Z e poi torna a X”: questa è la formula di Assassin’s Creed 2. Tutto è scriptato, persino il modo in cui vanno uccisi i bersagli (espediente usato di rado nel primo gioco della serie). Anche un’escamotage banale come la possibilità di completare alcuni assassinii nell’ordine che si preferisce è sparito.
E dire che qualche timido passo in direzione di GTA viene fatto. Per esempio vengono introdotti il denaro e i negozi, che sono una cosa carina (benché nulla di nuovo) e danno più profondità all’esplorazione della città. Ma per ogni passo avanti, due passi indietro. Il gioco è talmente pilotato, e la storia talmente frammentata e mal raccontata, che è impossibile immergersi nell’ambientazione. Il giocatore smette di “vivere” la città rinascimentale (se mai ha iniziato) e comincia a pensare per obiettivi di gioco, del tipo: “adesso ammazzo questo bersaglio così mi si sblocca il nuovo quartiere”. La suspension of disbelief è morta, non dimentichiamo neanche per un secondo di stare stringendo uno stupido controller.

Assassin's Creed 2

Come sarebbe dovuta andare?
Il primo Assassin’s Creed, dicevo, era sulla buona strada per l’immersività, ma aveva tutta una serie di limiti. Questi si possono così riassumere: troppa poca libertà, e meccanica ripetitiva. I seguiti avrebbero quindi dovuto potenziare proprio gli aspetti che sono stati eliminati.
Personalmente, avrei lasciato la struttura “ad assassinii”: che ogni capitolo di gioco abbia come obiettivo l’uccisione di un personaggio, culmini nell’omicidio e finisca dopo che l’assassino è riuscito a far perdere le proprie tracce. La libertà si costruisce attorno a questo scheletro. Attraverso una varietà di sotto-missioni tra cui il giocatore può scegliere (a seconda dell’approccio che preferisce), l’eroe comincia ad ambientarsi nella o nelle città di gioco e a trovare dei contatti. Da questi dovrà scoprire chi sia la vittima e quale sia il modo migliore per ucciderla. La cosa può essere resa più interessante dall’introduzione di scadenze: per esempio, ogni capitolo potrebbe durare un mese, al termine del quale se la vittima non viene uccisa si ha fallito e bisogna ricominciare.

Nel corso di questo “mese” la vittima non rimarrà immobile. E’ una persona ‘vera’, e come tale farà tutta una serie di cose; un giorno si troverà nel quartiere degli armaioli a contrattare una fornitura, il giorno dopo visiterà la villa di un politico nel quartiere dei ricchi, il terzo starà nascosto nei sobborghi della città. Questo richiede ovviamente l’introduzione del ciclo giorno-notte reale (a partire dal secondo capitolo, Assassin’s Creed avrebbe un ciclo giorno-notte, ma è puramente estetico). Di notte i negozi saranno chiusi e le porte della città chiuse, ma sarà possibile incontrare alcuni personaggi chiave in un vicolo o in una taverna, o giocare a dadi in uno sgabuzzino o andare a puttane. Di notte sarà anche più facile infiltrarsi in una proprietà privata, sfuggire agli occhi delle guardie; e anche, naturalmente, compiere gli omicidi.
E a proposito di infiltrazione e omicidi: bisognerebbe potenziare le dinamiche stealth nella direzione di un Metal Gear Solid, perché negli Assassin’s Creed sono piuttosto deboli. Le mosse, per esempio: appiattirsi contro le pareti, bussare per attirare l’attenzione, sporgersi. Ma anche la possibilità di entrare in case e palazzi, o almeno in una parte di questi. Assassin’s Creed si svolge praticamente sempre all’esterno, e quando si può esplorare un interno in genere è un evento scriptato; ma questo amplifica l’idea che la città di gioco sia solo uno scenario di cartapesta.
E così via.

Things that teach me history

Dove abbiamo sbagliato…?

Ma queste mie parole sono un esercizio accademico, dato che la serie ha ormai decisamente preso un’altra direzione.
Avendo l’opportunità di comprarlo a poco, qualche mese fa mi sono preso Brotherhood, il terzo capitolo della serie. Si vede subito qualche timido tentativo di ritorno a una struttura più aperta, con la possibilità di crearsi reti di alleati, e completare alcune missioni nell’ordine che si vuole. Ma è il solito, magro contentino all’interno di una struttura rigidamente su binari.
Non so quanto abbiano fatturato di preciso i vari capitoli di Assassin’s Creed, e quindi se le scelte di Ubisoft abbiano pagato. Ma l’impressione è che la serie sia in declino. L’ambientazione di Assassin’s Creed 3 non ha prodotto alcun seguito ad alto budget, com’era capitato invece per il secondo gioco.
Proprio mentre cominciavo a scrivere questo articolo sono uscite le prime notizie sul prossimo capitolo, Black Flag. Tristezza a palate: la decisione di Ubisoft di buttarsi su un’ambientazione blockbuster come il Mar dei Caraibi mi lascia pensare che in azienda non sappiano più che pesci pigliare. Ci si allontana sempre di più da quelli che erano gli unicum del primo Assassin’s Creed, annacquando il gioco in ambientazioni e meccaniche che non c’entrano niente (la possibilità di controllare una nave? Gli arrembaggi? WTF?). Del resto, già la decisione di spostare Assassin’s Creed 3 in America suonava bizzarra, e dettata più da esigenze di marketing che di trama.

E tuttavia…
C’è qualcosa di davvero affascinante in Assassin’s Creed. E’ l’idea dell’Animus; della possibilità di rivivere il passato e la vita dei propri antenati risvegliando la nostra memoria genetica. L’idea che tutta la nostra genealogia sia intrappolata nel nostro organismo e possa essere tirata fuori. Certo, Assassin’s Creed non ha “inventato” niente, sono temi presenti nel fantasy e nella fantascienza da tempo; ma gli ha dato una bella veste. Potrei arrivare a dire che forse giocare al primo Assassin’s Creed, quattro anni fa, potrebbe essere stata una delle molle che mi hanno spinto ad approfondire lo studio della storia medievale e rinascimentale. Di certo, rigiocarlo tre mesi fa mi ha ispirato la lettura di alcune cosine interessanti. Quindi, forse, la storia ha un lieto fine.
Quel che è certo, è che non ho intenzione di chiudere il mio rant su note negative. Ho pensato questo post come un articolo d’apertura per un piccolo ciclo di interventi che ha in vario modo a che fare col mondo evocato dal primo Assassin’s Creed: le Crociate, il Medio Oriente bassomedievale, eccetera. Sto lavorando a due o forse tre articoli curiosi che dovrebbero essere pronti nelle prossime settimane. Ovviamente non sono Zwei, non sono un vero esperto, e mi limiterò a parlarvi delle mie letture.
Lunedì prossimo, invece, per i nostalgici, dovrebbe essere pronto il nuovo Consiglio.

Assassin's Creed 3

Il declino inarrestabile della serie.

Appendice: A Modest Proposal
Benché ormai cercare di salvare la serie sia come voler rianimare un cadavere, e nonostante il fatto che non c’è una sola cosa della trama massonica su Assassini e Templari che non mi faccia cagare, la mia immaginazione senza controllo non ha potuto fare a meno di chiedersi dove potrebbe essere ambientato un seguito ‘ideale’ di Assassin’s Creed; un’ambientazione meno demenziale del Mar dei Caraibi. Ecco la mia idea in poche parole.

Due gli spunti da cui sono partito.
Uno: prima che annunciassero Assassin’s Creed 3, ero straconvinto che sarebbe stato ambientato a Parigi durante la Rivoluzione. Oltre ad essere un’epoca di per sé figa, è una delle ambientazioni più conosciute e mainstream della storia europea, assieme a Crociate e Rinascimento italiano. Sarebbe stata una continuazione più fedele allo spirito della serie rispetto alla Rivoluzione Americana.
Due: mi sono sempre chiesto perché non abbiano mai fatto un gioco ambientato nella Parigi trecentesca, all’epoca in cui Filippo il Bello sopprime l’ordine dei Templari. All’interno della storyline di Assassin’s Creed, dovrebbe essere un momento cruciale: una delle due fazioni fondamentali viene dichiarata illegale e sciolta. Il gran maestro dell’ordine, Jacques De Molay, fu arso vivo davanti a Notre Dame. Da allora, secondo la storia demente della serie, i Templari cominceranno a muoversi nell’ombra. Interessante, no?
Una risposta che mi sono dato alla domanda di cui sopra, è che la Parigi medievale (per non parlare della Francia feudale in generale) non è probabilmente un’ambientazione interessante come le altre; sceglierla sarebbe stato un azzardo. Ma poi mi sono detto: perché non mettere le due cose insieme?

Assassin's Creed 5

Immaginate. Un gioco a cavallo tra due epoche, tra due Parigi: quella trecentesca, e quella di fine ancien régime. Il gioco si muoverebbe tra l’una e l’altra, magari con un capitolo a testa, magari in modo più sofisticato (per esempio, il giocatore potrebbe scegliere con un comando apposito di spostarsi in qualunque momento dall’una all’altra). A livello narrativo, la cosa sarebbe giustificata prendendo come protagonisti due antenati parigini della stessa persona, che quindi può ripercorrere a piacere la propria memoria genetica dall’uno all’altro antenato.
Sul piano della trama, il giocatore potrebbe scoprire cosa sia successo veramente all’epoca del processo ai Templari. La cosa potrebbe essere resa ancora più interessante scegliendo come protagonista, questa volta, non un Assassino ma un Templare. Magari un Templare sbarbino: questo tizio si trova da un giorno all’altro a non poter più vivere alla luce del sole ma doversi muovere nell’ombra, da ricercato. Il punto di contatto tra le due timeline potrebbe essere la ricerca di uno di quei tristissimi Frutti dell’Eden: magari il Templare protagonista della prima timeline lo nasconde da qualche parte a Parigi (per esempio nelle Catacombe?), mentre il protagonista della seconda deve ritrovarlo. La necessità di rivivere entrambe le vite si spiega così con il bisogno di tracciare i movimenti del frutto.
Sul piano dell’esperienza di gioco, il giocatore potrebbe vedere come si è trasformata la stessa città da un’epoca all’altra. Cosa è rimasto, come Notre Dame, cos’è cambiato. Prendere alcune decisioni nella prima timeline potrebbe influenzare situazioni nella seconda – da cose importanti come biforcazioni nella trama ad altre più sottili come l’apertura o meno di un negozio esclusivo (fondato, magari, dal discendente di un uomo che potrebbe essere o non essere morto prima di avere figli nel passato).

Io l’ho buttata lì; secondo me, sarebbe una figata1.

It was Templars

I’m not saying it was Templars but…

(1) Pur rimanendo all’interno della cornice mongoloide della serie.Torna su

I Consigli del Lunedì #10: Jack Faust

Jack FaustAutore: Michael Swanwick
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Science-Fantasy / Ucronia
Tipo: Romanzo

Anno: 1997
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 330 ca.

Difficoltà in inglese: ***

“We are legion. A hundred libraries such as you have burnt could not contain our name”.
“Begin, and I will tell you when to stop. Tell me who or what you are”.
Dipping what might be a finger into the hearth, as if to pick up ashes, the creature wrote in bold black letters upon the white-plastered wall:

Mephistopheles

“Mephistopheles”, the scholar repeated.

Siamo a Wittenberg, la città di Martin Lutero, nella prima metà del Cinquecento.  Johannes Faust, il celebre erudito, sta bruciando tutti i libri della sua biblioteca – le opere di Galeno, i testi di Tommaso d’Aquino, la sapienza di Tolomeo, i tomi di Aristotele, la Bibbia! La colpa di questi autori? Di essere tutti in errore, in contraddizione con sé stessi o con l’esperienza. Tutta la sapienza degli antichi è falsa.
Sull’orlo della disperazione, consapevole di aver inseguito chimere per tutta la sua vita e di non essersi avvicinato di un passo alla Verità, Faust si appella alle forze demoniache. Ed esse gli rispondono – nella forma di Mefistofele, un’intelligenza aliena collettiva mossa da un odio viscerale per ogni altra forma di vita. A Faust, Mefistofele fa un’offerta: gli donerà tutte le verità della fisica, della matematica, della chimica e di ogni altra scienza, in poche parole il sapere universale, in cambio di – niente. Perché Mefistofele sa che, con queste conoscenze, Faust stesso sarà la causa della rovina del genere umano.

Questa settimana consiglio un’opera che in Italia, credo, hanno letto in dieci. Jack Faust non è il romanzo meglio scritto di Swanwick – è meglio chiarirlo subito – ma è forse quello che mi ha più affascinato.
Swanwick parte da uno dei miti europei più fiki di sempre, quello del patto faustiano col diavolo, e dalle opere teatrali sul Faust di Marlowe e Goethe, per reinterpretarle in chiave ucronica. Dio e tutta l’epica cristiana del mito originale sono fatte accomodare fuori dalla porta – Mefistofele infatti è diventata un’entità aliena superevoluta, anziché un diavolo – per lasciare il campo al tema della conoscenza. Cosa succederebbe se, ad un uomo del Cinquecento, fossero date tutte le nozioni scientifiche di un uomo del Ventunesimo? Riuscirebbe ad affermarle, e a che prezzo? Che uso ne farebbe la sua epoca? E fino a che punto si può accelerare il progresso tecnologico?

Brutto Faust

Nel corso del tempo il Faust ha avuto parecchie rivisitazioni, non tutte proprio felicissime.

Uno sguardo approfondito
Swanwick è un maestro del racconto breve, e spesso i suoi romanzi tendono ad assomigliare più ad una concatenazione di racconti in progressione cronologica che ad un romanzo unitario. Jack Faust non fa eccezione. Ad eccezione dei primi capitoli – in cui facciamo conoscenza del protagonista e assistiamo al patto con Mefistofele – che sono strettamente allacciati tra loro, ogni capitolo del romanzo costituisce un’episodio a sé stante, un momento particolare nella vita di Faust. Ogni capitolo-episodio ha quindi il suo argomento principale e il suo ostacolo da superare; al termine del capitolo, c’è un salto cronologico più o meno ampio, ed entriamo in un nuovo episodio.
Così ad esempio c’è un capitolo dedicato alla peste, in cui Faust deve trovare un modo per combatterla e contemporaneamente approfittare dell’occasione per dimostrare ai contemporanei la superiorità della sua scienza sulle arti mediche dell’epoca; un altro capitolo è dedicato alla guerra tra l’Inghilterra e la Spagna, e al ruolo che vi ha Faust. I capitoli dunque variano molto tra loro per contenuto, livello di conflitto e percentuale di azione, e di conseguenza varia molto anche la loro qualità; alcuni, come quelli citati, sono molto belli, altri invece – come gli ultimi capitoli dedicati a Margarete – sono bruttini 1.
Il problema principale di questo modo di strutturare i romanzi, è il senso di smarrimento, di distanza, e la conseguente perdita di interesse che i frequenti stacchi temporali e tematici possono causare nel lettore. Se alla fine di un capitolo c’è un salto di, poniamo, un anno, e un cambio di location, e magari anche qualche modifica nel cast dei personaggi, il lettore farà fatica a riambientarsi; e se perdipiù l’incipit del nuovo capitolo non è buono, continuare a leggere gli costerà un grosso sforzo. Tutte cose che mi sono successe, e più di una volta.
Inoltre, questi salti obbligano Swanwick a raccontare in qualche modo tutte le cose che sono successe nel frattempo. E mentre a volte riesce a gestire la cosa in modo elegante – attraverso dialoghi naturali, o mostrando i cambiamenti e lasciando al lettore il compito di dedurre – altre volte non ci risparmia brutti infodump.

Se comunque sulla bontà di questa struttura a episodi si può discutere, una certa trascuratezza stilistica è indiscutibile. Swanwick sa scrivere molto bene, ma con questo Jack Faust non si è sforzato troppo.
A cominciare dal brutto incipit, con un narratore onnisciente che si esibisce in una lunga descrizione statica a volo d’uccello della città di Wittenberg, nell’atroce maniera di Balzac, Stendhal e Manzoni. Solo alla fine della terza pagina ci viene presentato Faust, e gradualmente entriamo nella sua testa, finché nel giro di un altro paio di pagine siamo ben piantati nel suo pov. Perché non cominciare subito con Faust? Se proprio voleva descrivere Wittenberg, poteva mandare Faust a farsi una passeggiata, dopo la scena del rogo dei libri che è ben più importante, essendo il vero motore della storia.
Alcuni capitoli brevi e alcune scene sono gestiti ancora peggio, con la telecamera che salta da un personaggio all’altro – pov usa-e-getta ovviamente – senza alcuno scopo pratico. Ad esempio, nel capitolo in cui Faust e il suo apprendista lasciano Wittenberg in carrozza, il pov, invece di essere fisso su uno dei due, come dovrebbe, si muove tra una serie di personaggi che assistono al passaggio della carrozza: un uccello, uno studente chiuso in uno scantinato, un prete, eccetera. Con grande confusione del lettore (ci ho messo un po’ a capire che l’incipit del capitolo era filtrato dal punto di vista dell’uccello) e successivo calo di interesse. Swanwick, insomma, si abbandona a una discutibile estetica literary, dimenticando che lo scopo della narrativa di genere non è pensare: “Oh! Ma che affascinante affresco! E che sublime spaccato di vita cinquecentesca!”, ma renderci partecipi della vicenda nel miglior modo possibile. Quando Swanwick si abbandona al quadro impressionista, insomma, rema contro il suo stesso romanzo.

Assassin's Creed 2

Un sublime spaccato di vita cinquecentesca. Circa.

In compenso, quando si ricorda di prendere le medicine, Swanwick è un bravo scrittore. I capitoli scritti bene sono saldamente piantati nel pov di uno dei tre personaggi principali – Faust, il fedele discepolo e servitore Wagner, e Margarete, la figlia di mercanti che il protagonista vuole sedurre – e ognuno di questi capitoli mantiene sempre lo stesso pov. Abbiamo così capitoli incentrati su Faust, capitoli incentrati su Wagner, capitoli incentrati su Margarete.
I personaggi principali (e anche alcuni secondari, come il ciarlatano dottor Schnabel o il truce fratello Josaphat) sono ottimamente realizzati, con una psicologia credibile e interessante, scopi e desideri determinati.
Le inclinazioni di ciascuno dei protagonisti saranno portate, nel corso del romanzo, fino alle estreme conseguenze. Faust è un uomo arrogante, saccente, violento, completamente devoto alla ricerca della Verità e all’affermazione della nuova scienza su quei villici dei suoi contemporanei; tutto in lui suona autentico, dal suo disprezzo per i tecnici e gli artigiani – caratteristica reale di molti ‘eruditi’ europei fino a Seicento inoltrato – al suo odio per la superstizione, fino allo sconcerto nei confronti di tutti quanti non riconoscono il suo Genio. Wagner è il discepolo fedele, che adora Faust come un Dio e gli si sottomette completamente, ma che dalla sua venerazione trarrà una incredibile forza nei confronti degli altri. Mefistofele unisce la giocosità e il sarcasmo del diavolo goethiano con l’odio gelido e implacabile che nutre verso le altre forme di vita e in particolare il genere umano; quest’ultimo muove ogni sua azione e rende il suo comportamento coerente dall’inizio alla fine. Il suo rapporto con Faust è affascinante, i loro dialoghi che si muovono tra il serio – Mefistofele che gli promette che i suoi tentativi di portare la Scienza alla sua gente porterà solo morte e distruzione – e il faceto – Mefistofele che per divertire Faust spoglia tutte le donne di Norimberga e gli dice come portarsele a letto – divertono. Solo Faust può vedere Mefistofele, e la complicità, il rapporto amore/odio che si crea tra i due ricorda ad esempio il rapporto tra Light e Ryuk in Death Note.
L’unico personaggio traballante è Margarete: all’inizio funziona bene, nel suo essere una giovane donna inesperta, combattuta tra la santa e la puttana, tuttavia man mano che il romanzo procede la sua psicologia diventa sempre più confusa. Sembra che Swanwick stesso si sia accorto che il personaggio di Margarete non è bene a fuoco, perché nei capitoli incentrati su di lei passa molto tempo a farla riflettere, a farle sviscerare i dettagli del suo comportamento, come se dovesse giustificarla di fronte al lettore e a sé stesso. Il risultato è un personaggio che si “racconta” da solo più che mostrare il suo comportamento, un po’ come Edward di Twilight che continua a dire “quanto sono tormentato” per mascherare il fatto che in realtà di tormenti ne ha ben pochi. Swanwick sembra essere combattuto tra il dedicarle più spazio – in modo da approfondirla meglio, ma a detrimento del resto del cast – e il lasciarla a margine della storia; non facendo nessuna delle due cose, ne esce un personaggio che ruba spazio ma non convince.

Edward Cullen delira

“Sono Edward Cullen e sono la persona più sfortunata del mondo. Ho la superforza, leggo nel pensiero, brillo alla luce del sole, non invecchio mai e tutte le femmine mi muoiono dietro. La mia vita è un’agonia, perché nessuno mi capisce?”

Una delle cose più belle di Jack Faust, una delle ragioni principali per leggerlo, è sicuramente l’atmosfera che si respira. Il rinascimento di Swanwick riproduce molto bene la cultura erudita dell’epoca: il culto della Sapienza degli antichi, i medici ciarlatani con la loro teoria dei quattro umori e la fissazione per i salassi, le processioni religiose e i falò delle vanità. Una delle prime scene del libro vede Faust che minaccia di distruggere la Fisica di Aristotele, l’Almagesto di Tolomeo e l’Antico Testamento, se Wagner non saprà dimostrargli la loro verità: la diatriba filosofica che segue è un puro distillato di cultura rinascimentale, ed è uno spasso.
Ed è affascinante vedere come, sotto l’azione della scienza nuova di Mefistofele, questo mondo rinascimentale si popoli nel giro di pochi anni di mongolfiere, antibiotici, illuminazione elettrica, treni, fabbriche, revolver, la stampa scandalistica, gli anticoncezionali… e come questo cambi la gente. Gli eccessivi time skip tra un capitolo e l’altro rovinano in parte questa sensazione di penetrazione progressiva della nuova tecnologia, ma la cosa fa comunque un certo effetto. E il processo è mostrato in modo credibile: Faust farà inizialmente molta fatica ad affermare tra i contemporanei una scienza avanti di secoli, e l’evoluzione tecnologica seguirà i ritmi dei bisogni economici e politici dell’epoca più che quelli pronosticati da Faust – è più facile avviare una produzione di massa di corazzate da guerra che non convincere che la Terra gira intorno al Sole.

Purtroppo, la storia si perde un po’ per strada verso la fine. Swanwick si concentra troppo sulla storia d’amore e sui problemi personali di Faust e Margarete, e troppo poco sulla cosa più interessante, cioè la guerra e le trasformazioni politiche causate dalla scienza di Mefistofele. Il finale abbozza a malapena una serie di sviluppi che avrebbero meritato molto più spazio; è un finale pigro, come se Swanwick non avesse più voglia di andare avanti. Forse l’atmosfera troppo tetra del romanzo lo aveva messo di cattivo umore?
Non importa: nonostante i difetti sopra elencati rubino al romanzo la palma del capolavoro, Jack Faust rimane un libro assolutamente originale e affascinante, che merita di essere letto.

Sistema tolemaico

Brucia, sistema tolemaico, brucia!

Dove si trova?
Speravo che, per quando avessi postato il Consiglio, il libro sarebbe stato disponibile per library.nu. Purtroppo non è così. A conti fatti, la soluzione più ragionevole rimane prenderlo su Amazon, ma a meno di comprarlo usato il prezzo è talmente irragionevole che non ne vale la pena. Ennesima dimostrazione di come la digitalizzazione (anche pirata) significhi la salvezza dei romanzi anziché la sua fine: un libro interessante come Jack Faust rischia di non essere più letto perché chi ne detiene i diritti non lo ristampa più, e potrebbe bloccarne la distribuzione per i prossimi 70 anni + n.
Vi terrò aggiornati sulla vicenda.
Ah, naturalmente il romanzo non è mai stato tradotto in italiano^^’

Chi devo ringraziare?
Tanto per cambiare, il merito se lo piglia Gamberetta, che con la sua venerazione per Cuore d’acciaio (testimoniata infinite volte sul suo blog) mi ha fatto conoscere Swanwick. In realtà Cuore d’acciaio è quello che mi piace di meno dei suoi; nondimeno, è stato il mio primo approccio a Swanwick.

Su Swanwick
Di Swanwick ho letto altri quattro romanzi, tutti piuttosto interessanti:
L'intrigo WetwareVacuum Flowers (L’intrigo Wetware, che titolo osceno) è un romanzo di fantascienza a metà tra la space opera e il cyberpunk. In un mondo in cui la specie umana ha colonizzato l’intero sistema solare, la bioingegneria si è sviluppata al punto da poter modificare la psiche degli individui e impiantare nei cervelli umani identità alternative. Eucrasia, wetprogrammer brillante e cinica, si è programmata nel cervello l’identità di Rebel Elizabeth Mudlark, una figlia di strega arrivata dalla nube di Oort; ma ora Rebel vuole essere libera. Inseguita dalla supercorporation Deutsche Nakasone e dalla Comprise, la coscienza collettiva che ha preso il controllo della Terra, Rebel viaggerà di avventura in avventura in giro per il sistema solare. Un romanzo cupo e angosciante, probabilmente quello meglio scritto tra i libri di Swanwick; anche se il linguaggio complicato e la mole esagerata di invenzioni e sotto-trame lo rendono una lettura piuttosto faticosa.
Domani il mondo cambieràStations of the Tide (Domani il mondo cambierà) è un’opera di sf con una punta di fantasy, ambientato su un mondo sottosviluppato – il pianeta Miranda – che a cicli alterni viene parzialmente sommerso dall’alta marea. Poche settimane prima della Marea, il “burocrate” viene mandato su Miranda perché catturi il misterioso stregone Gregorian: ma il suo viaggio nel pianeta lo cambierà irreversibilmente. L’ambientazione è stupenda e i personaggi carismatici, ma il carattere troppo episodico di alcuni capitoli, il ritmo lento e la mania di Swanwick di fare l’intellettualoide lo rendono a volte irritante e spesso difficile da seguire. Rimane un bel romanzo.
Cuore d'acciaioThe Iron Dragon’s Daughter (Cuore d’acciaio) è un fantasy ambientato in una versione cupa e più verosimile di Faerie. La changeling Jane, costretta assieme ad altri bambini a un lavoro massacrante nelle officine di riparazione dei draghi biomeccanici, troverà una possibilità di fuga e di salvezza nell’alleanza col perverso drago Melanchton. Il libro è diviso in quattro parti che corrispondono a quattro fasi della vita di Jane, mentre scopre poco a poco in che razza di mondo è finita a vivere. Le premesse sono fighe e la prima metà è molto bella, ma nella seconda metà il romanzo si affloscia e il finale è pura metafisica per gonzi. In compenso è uno dei romanzi preferiti di Gamberetta, che ne ha parlato in molti commenti e articoli (per esempio qui e qui, in occasione della riedizione italiana nella collana Urania).
Gamberetta ha anche recensito positivamente The Dragons of Babel, ambientato nello stesso universo di Cuore d’acciaio; io non l’ho ancora letto.
Ossa della terraBones of the Earth (Ossa della Terra) è un thriller fantascientifico su viaggi nel tempo e dinosauri. Il governo americano possiede il segreto del viaggio nel tempo, ma per ragioni misteriose lo utilizza per permettere ai paleontologi di viaggiare nel mesozoico e fare esperienza diretta dei dinosauri. E mentre un attentato messo in atto da una setta di creazionisti radicali intrappola un gruppo di paleontologi nel tardo Cretaceo, un pugno di burocrati dovrà scoprire cosa si cela dietro la contorta tecnologia del viaggio nel tempo e dietro i suoi creatori. Il romanzo è molto interessante, parla di paradossi temporali e di metodo scientifico, dei meccanismi dell’evoluzione e dell’ambizione degli scienziati, e propone una teoria affascinante sull’estinzione dei dinosauri; ma l’eccesso di personaggi e una gestione insensata dei pov e altri problemi strutturali appesantiscono la lettura. Piperita Patty potrebbe adorarlo.

Qualche estratto
Per questa volta ho deciso di presentare un solo estratto, più lungo del solito. E la scelta naturalmente è caduta sulla scena iniziale di Faust che brucia i suoi libri, e sull’inizio della sua discussione accademica con il discepolo Wagner.

From one lone chimney in the heart of the city, a wisp of smoke curled up into the hartbreakingly blue sky. Faust was burning his books.
With a shower of sparks, Thomas Aquinas was consigned to the flames. Pages fluttering, a slim manuscript book of extracts from Pythagoras flew into the fire. Bouncing from the blackened back of the hearth, Andreas Libavius’s
Alchymia entered that mystical alembic which would trasform its gross substance into the rarified purity of its component elements.
Faust worked systematically, condemning no book without a hearing, riffling through each text until he found a demonstrable lie, and then tossing it atop its dying brothers. Half his library was in the fireplace already, so many volumes that they threatened to choke the flames. A touch of wind coming down the chimney filled the room with the stench of burning paper and leather. The smoke made his eyes sting. Calmly, he gathered together another armful.
[…] “Magister!” Waving horrified arms, Wagner advanced into the smoke. “What are you doing?”
Faust extracted a volume of Galen from his armful, letting the rest spill to the floor. He waved the Greek physician under the young man’s nose. “Have you ever cut open a human body, Wagner?”
“Before Jesus, never!”
“If you had – if you had… I served for a time as a physician in the Polish army. So much sickness, and so rarely did my medicines work! During the campaigns against the Turk, I stitched up wounds and sawed off legs by the hundreds. So this elaborate horror you show for the sanctity of the dead is quite incomprehensible to me. […] Thus I began a series of investigations into the origins of disease. I quickly found that there were organs described by our good friend Claudius Galenus that are not to be found in human beings at all. Why? Because in his priggish regard for the sanctity of man, the old fraud examined instead the insides of butchered pigs, from which he extrapolated a similar anatomy for the human body. Pigs! For thirteen hundred years we have doctored the sick as if the were swine, and all on the word of one who could be disproved by any idiot with a knife and a corpse.”
“Speak not so of Galen, sir! Not of that greatest of the anatomists, that divinely ispired father of physicians, that -”
“Father of lies, you mean.” Fust clutched the Galen so tightly his knuckles turned white. “Here is another perjurer who will not mislead one more honest man!”
He skimmed the book into the flames.

Tabella riassuntiva

Un’ucronia che ci porta dal rinascimento alla rivoluzione industriale! Salti temporali troppo bruschi e frequenti.
Faust e Mefistofele sono personaggi straordinari. Alcune storyline malriuscite, e finale debole.
L’atmosfera della Prima Età Moderna riprodotta alla perfezione. Gestione dei pov a tratti inutilmente aulica e confusionaria.
C’è una guida su come scoparsi ogni ragazza di Norimberga!

Bonus Track: il Faust di Goethe
Faust di Goethe

Autore: Johann Wolfgang Goethe (ma và?)

Editore: Rizzoli BUR
Pagine: 1062

Non ho mai letto l’opera teatrale di Marlowe; in compenso ho letto la fonte d’ispirazione primaria di Swanwick, quella di Goethe. Personaggi e situazione iniziale sono prese direttamente da qui, anche se poi Swanwick si è sbizzarrito.
Il Faust di Goethe è un’opera strana; con centinaia di ruoli tra personaggi e comparse, e una durata complessiva che potrebbe aggirarsi sulle dieci ore, credo sia una delle sceneggiature più impossibili da rappresentare a teatro nella storia. E’ un’opera un po’ lontana dalla nostra sensibilità, ma alcune scene mi hanno colpito lo stesso.
Se vi incuriosisce, l’edizione Bur potrebbe essere la vostra scelta. Più economica di altre – come quella Mondadori o quella Garzanti – è un’edizione critica ben fatta (per testo a fronte, note, bibliografia) senza essere esagerata (come quella Feltrinelli, in due volumi contenenti le due diverse redazioni principali del Faust… un po’ troppo se non dovete farci una tesi o roba simile).

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(1) In particolare, il capitolo dedicato all’aborto gli è riuscito assai male, e non ha minimamente l’eleganza che ha Walter Miller quando in Leibowitz affronta il tema dell’eutanasia.Torna su