Autore: Walter M. Miller
Titolo italiano: Un cantico per Leibowitz
Genere: Science Fiction / Post-Apocalyptic SF / Social SF
Tipo: Romanzo
Anno: 1959
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 320
Difficoltà in inglese: **
“A spiritu fornicationis,
Domine, libera nos.
From the rain of the cobalt,
O Lord, deliver us.
From the rain of the strontium,
O Lord, deliver us.
From the fall of the cesium,
O Lord, deliver us”
In un’America devastata da un’apocalisse nucleare e precipitata, tecnologicamente e culturalmente, in un nuovo Medioevo, la custodia del sapere dell’antica civiltà è affidata a quel che rimane della Chiesa cattolica. In particolare, al neonato Ordine Albertiano del beato Leibowitz, ordine monastico istituito dopo il fallout da un ingegnere ebreo convertito – Isaac Leibowitz – con il preciso scopo di salvare dalla distruzione i prodotti della civiltà moderna. L’abbazia dell’ordine, isolata nel mezzo di un deserto popolato solo di avvoltoi, banditi, mutanti, e macerie, si assume il compito di proteggere e copiare all’infinito, alla vecchia maniera degli amanuensi, i Memorabilia, brandelli di pagine scritte il cui significato non sono più capaci di comprendere. Copiando e memorizzando, i monaci attendono un futuro in cui questi frammenti saranno di nuovo comprensibili e permetteranno la rifondazione della civiltà.
E mentre l’abate dell’ordine si preoccupa di trovare il modo di far canonizzare il beato Leibowitz dalla Santa Sede di Nuova Roma, il novizio Fratello Francis assiste a un’apparizione nel deserto che cambierà il destino dell’abbazia…
La maggior parte dei romanzi ad ambientazione post-apocalittica sono storie di sopravvivenza: il protagonista deve cavarsela in un mondo ostile e trovare un porto sicuro. Il libro di Miller adotta una prospettiva del tutto diversa.
Il romanzo è diviso in tre parti, ciascuna delle quali è collocata 600 anni nel futuro rispetto alla precedente. Se la prima è ambientata in un nuovo Alto Medioevo, dove piccole comunità religiose che comunicano attraverso messi costituiscono gli unici bastioni di civiltà e sicurezza in un mondo desertificato, la seconda si colloca agli albori di un nuovo Rinascimento, un’epoca in cui sono sorte nuove nazioni che si contendono il controllo del continente; e la terza in un’epoca futuristica, in cui l’essere umano ha cominciato la colonizzazione dello spazio e si avvia all’esplorazione di nuovi sistemi solari.
Al centro, sempre l’abbazia e i suoi abitanti, eternamente immutabile (o quasi) mentre attorno ad essa il mondo si trasforma e torna alla civiltà. Ciascuno dei tre archi narrativi ha una propria trama principale e un sub-plot per ognuno dei personaggi; inoltre, i tre archi formano un’unica grande storia, quella dell’abbazia: attraverso 1800 anni di storia dell’abbazia, Canticle ci racconta il destino dell’intera umanità post-olocausto nucleare.

L’abbazia di Cluny ai tempi del suo massimo splendore. I monaci di Leibowitz una roba così se la sognano. Sfigati.
Uno sguardo dettagliato
E’ incredibile come, nonostante che a ciascun arco narrativo sia dedicato in media un centinaio di pagine, i personaggi principali siano tutti ottimamente caratterizzati: il pavido Francis, paradigma del monaco umile e ubbidiente; il bizzoso e pratico abate Arkos; e poi il Thon Taddeo, fisico geniale e arrogante, l’abate Paulo con i suoi problemi di stomaco e le sue incertezze, il monaco Kornhoer, combattuto tra la tecnologia e la preghiera, il Poeta schizofrenico, e l’abate Zerchi, il monaco Joseph, il razionale dottor Cors, l’ebreo errante Benjamin. Sono persone vive, ciascuna con le proprie idiosincrasie, il proprio modo di parlare e di muoversi, i propri obiettivi.
Allo stesso modo Miller ha saputo ricreare l’atmosfera di ciascuna epoca storica. In particolare, la prima parte ha qualcosa di magico: i salmi e le formule in latino; i monaci dello scriptorium che pazientemente copiano e miniano libri di cui non capiscono quasi più niente, trasformando disegni tecnici in allegorie religiose; i racconti di miracoli; la corte papale, distante tre mesi di cammino; l’impressione di isolamento completo e di silenzio. Ed è bello vedere come, in ogni epoca, cambi il rapporto tra l’abbazia e il mondo circostante.
Il ritmo (tranne che negli ultimissimi capitoli) non è mai frenetico; al contrario, pur succedendo molte cose, e nonostante le varie sottotrame continuino a intrecciarsi, gli eventi sembrano svilupparsi poco a poco. Soprattutto all’inizio, prevale un’atmosfera di grande calma.

A San Bernardino piace questo elemento.
La scrittura di Miller non è certo priva di difetti. Il controllo del pov è approssimativo: spesso nel mezzo di una scena la telecamera salta da un personaggio all’altro, e senza nemmeno che ce ne sia bisogno; altre volte, la telecamera scivola nelle mani del narratore onnisciente, che già che c’è fa un bell’infodump sull’ambientazione.
Infodump del tutto superflui: alcuni, perché non fanno che esplicitare elementi che si erano già intuiti in modo implicito; altri, perché avrebbero potuto essere mostrati attraverso il dialogo tra i personaggi, guadagnando in immersività senza sacrificare in chiarezza. Inoltre, spiegando dettagli dell’ambientazione attraverso le parole dei personaggi, si ottiene il doppio vantaggio di dire contemporaneamente qualcosa dei personaggi stessi: il punto di vista dei personaggi mostra la loro psicologia e il loro modo di vedere la realtà.
Non che Miller non sia in grado di farlo. Faccio un esempio (talmente bello che ne riporto un brano in fondo all’articolo): a un certo punto della storia, un monaco legge un racconto allegorico della guerra nucleare e delle sue cause, mischiando fatti storici e mitologia cristiana. In un colpo solo, Miller ci fa capire cos’è successo e come filtrano la realtà gli uomini religiosi dell’epoca: due piccioni con una fava! Sarebbe perfetto; ma che bisogno c’era, allora, di scrivere 50 pagine prima un enorme infodump del narratore onnisciente sullo stesso argomento? La verità è che, purtroppo, Miller non sembra affatto curarsi di questi problemi tecnici.
Altre volte, in genere all’inizio e alla fine di ogni arco narrativo, la narrazione si stacca dai personaggi e offre una panoramica a volo d’uccello dell’intera epoca storica. Tecnicamente sarebbe un’errore, ma trattandosi di aperture e chiusure di archi temporali così vasti, l’impressione generale è piacevole: quindi approvo.
Quello che invece proprio non digerisco sono gli occasionali lampi di lirismo dell’autore, che si lancia in bizzarrie verbali da literary fiction col solo risultato di confondere e nauseare il lettore. In particolare uno di questi lampi, in apertura della terza parte, è osceno. Ma per fortuna sono pochissimi.

Appestati guariti col potere della preghiera? Check. Tendenza ad attacchi isterici-epilettici in corrispondenza con visioni mirabolanti del Paradiso? Check. Orrore atavico del cazzo? Check. Cori angelici visti sul letto di morte? Check. OK bella: sei santa!
Per il resto, lo stile di Miller fa il suo lavoro, e in alcuni momenti è davvero eccellente nel trasmettere la psicologia e i valori dei personaggi. Alcuni dei conflitti tra i personaggi sono davvero stupendi (in particolare, quello tra Paulo e Thon Taddeo alla fine della seconda parte, e quello tra Zerchi, il dottor Cors e i poliziotti verso la fine della terza).
Questo in parte è dovuto anche all’importanza ‘etica’ degli argomenti che sono motivo di conflitto. Il rapporto tra scienza e fede, e tra scienza e potere; il ruolo della religione nella civiltà moderna; il conflitto tra eutanasia e morale cristiana: sono argomenti interessanti di per sé, e Miller riesce a evitare la trappola del giudizio morale imposto dall’alto, senza dividere “buoni” e “cattivi” e senza offrire una risposta definitiva alle antitesi. Capisco la bravura dell’autore anche dal fatto che riesco a provare empatia anche per personaggi che difendono posizioni per me orribili.
Gli elementi fantastici sono ridotti al minimo, e quelli che ci sono, sono perlopiù funzionali alla trama. La cosa non mi è dispiaciuta: se c’è una cosa che preferisco alla fantasia selvaggia, è la fantasia disciplinata alle esigenze della trama, e Miller ci riesce alla grande 1.
A Canticle for Leibowitz è entrato nella classifica dei miei 10 libri preferiti in assoluto. Oggi è ritenuto da alcuni critici americani la migliore opera di fantascienza mai scritta; mi sembra un giudizio esagerato, ma non incomprensibile.
Dove si trova?
In italiano, Un cantico per Leibowitz è stato tradotto di recente nell’Urania Collezione N.84. Su Emule si trova comodamente.
Su library.nu si trovano due file in lingua originale, un pdf e un e-pub. L’e-pub è comodo, ma ha un problema: non vengono visualizzati i caratteri ebraici che Miller ha scritto in alcuni punti del testo, e sono sostituiti da asterischi. Nulla di trascendentale, i caratteri ebraici hanno un ruolo marginale e se ne può fare a meno – però capisco che la cosa possa dare fastidio.
Su Walter M. Miller
Miller è uno di quegli scrittori da opera unica. Leibowitz è l’unico romanzo completa che abbia mai scritto. Oltre al romanzo, abbiamo alcuni racconti – alcuni dei quali sono stati di recente raccolti nell’antologia Dark Benediction, edita nella collana SF Masterworks – e un midquel di Leibowitz – Saint Leibowitz and the Wild Horse Woman – che però lasciò incompiuto e che fu finito dopo la sua morte da un altro scrittore basandosi sui suoi appunti.
Non penso che leggerò mai questo seguito. Aldilà della mia naturale ostilità verso i seguiti, il fatto che Miller abbia intrapreso l’opera su commissione, e dopo aver temporeggiato per 30 anni, e che poi si sia suicidato prima di averla finita, mi lasciano pensare che non avesse troppa voglia di completarla.
Non ho letto nemmeno l’antologia; ma visto quanto m’è piaciuto Leibowitz, può darsi che in futuro lo faccia.

L’antichissima abbazia di Montecassino dopo la visita di Miller e dei suoi amici americani. Lievissimo senso di colpa?
Chi devo ringraziare?
In primo luogo Gamberetta, che me lo fece conoscere nominandolo in un commento. Il titolo mi incuriosì da subito, la descrizione su Wikipedia pure; tanto che una settimana dopo l’avevo già scaricato sul lettore. Ma per un motivo o per un altro continuai a posticiparne la lettura, finché me ne scordai.
In secondo luogo devo quindi ringraziare il Duca, che me l’ha riportato alla mente parlandone quest’estate nei commenti sul suo blog, e in termini assai elogiativi.
Qualche estratto
Ho scelto due estratti per questo libro. Il primo è tratto dal primo capitolo, e secondo me dà un’idea molto carina della psicologia neomedievale della prima parte. Il terzo estratto si colloca a metà libro, ma non fa spoiler su cose che non abbia già detto io, ed è una figata.
1.
He had never seen a “Fallout,” and he hoped he’d never see one. A consistent description of the monster had not survived, but Francis had heard the legends. He crossed himself and backed away from the hole. Tradition told that the Beatus Leibowitz himself had encountered a Fallout, and had been possessed by it for many months before the exorcism which accompanied his Baptism drove the fiend away.
Brother Francis visualized a Fallout as half-salamander, because, according to tradition, the thing was born in the Flame Deluge, and as halfincubus who despoiled virgins in their sleep, for, were not the monsters of the world still called “children of the Fallout”? That the demon was capable of inflicting all the woes which descended upon Job was recorded fact, if not an article of creed.
Non aveva mai visto un “Fallout”, e sperava di non vederne mai uno. Una descrizione precisa del mostro non era sopravvissuta, ma Francis aveva udito le leggende. Si segnò e indietreggiò dal buco. La tradizione diceva che il Beato Leibowitz in persona aveva incontrato un Fallout, e ne era stato posseduto per diversi mesi prima che l’esorcismo che accompagnò il suo Battesimo cacciasse via il maligno.
Fratello Francis visualizzava il Fallout come mezzo-salamandra, perché, secondo la tradizione, quella cosa era nata nel Diluvio di Fuoco, e come mezzo-incubus che possedeva le vergini nel sonno, perché i mostri del mondo non erano forse ancora chiamati “figli del Fallout”? Che il demone fosse capace di infliggere tutti i mali che caddero su Giobbe era un fatto documentato, se non un articolo di fede.

Cinture di castità: proteggete le vostre figlie dal fallout.
2.
“And so it was in those days,” said Brother Reader: “that the princes of Earth had hardened their hearts against the Law of the Lord, and of their pride there was no end. And each of them thought within himself that it was better for all to be destroyed than for the will of other princes to prevail over his. For the mighty of the Earth did contend among themselves for supreme power over all; by stealth, treachery, and deceit they did seek to rule, and of war they feared greatly and did tremble; for the Lord God had suffered the wise men of those times to learn the means by which the world itself might be destroyed, and into their hands was given the sword of the Archangel wherewith Lucifer had been cast down, that men and princes might fear God and humble themselves before the Most High. But they were not humbled.
“And Satan spoke unto a certain prince, saying: ‘Fear not to use the sword, for the wise men have deceived you in saying that the world would be destroyed thereby. Listen not to the counsel of weaklings, for they fear you exceedingly, and they serve your enemies by staying your hand against them. Strike, and know that you shall be king over all.’
“And the prince did heed the word of Satan, and he summoned all of the wise men of that realm and called upon them to give him counsel as to the ways in which the enemy might be destroyed without bringing down the wrath upon his own kingdom. But most of the wise men said, ‘Lord, it is not possible, for your enemies also have the sword which we have given you, and the fieriness of it is as the flame of Hell and as the fury of the sunstar from whence it was kindled.’
“‘Then thou shalt make me yet another which is yet seven times hotter than Hell itself,’ commanded the prince, whose arrogance had come to surpass that of Pharaoh”.
“E così fu in quei giorni” disse il Frate Lettore: “che i prìncipi della Terra avevano indurito i loro cuori contro la legge del Signore, e al loro orgoglio non era fine. E ciascheduno di essi pensava entro di sé che era cosa molto migliore essere distrutto che permettere alla volontà di altri prìncipi di prevalere sulla sua. Perché i potenti della Terra contendevano fra loro per il supremo potere sopra ogni cosa: per inganno, violenza e tradimento essi cercavano di dominare, e temevano grandemente la guerra e ne tremavano; imperocché il Signore Iddio aveva permesso che gli uomini sapienti di quei tempi imparassero i modi per cui il mondo medesimo poteva essere distrutto, e nelle loro mani era affidata la spada dell’Arcangelo con la quale Lucifero era stato abbattuto, e per cui gli uomini e i prìncipi potessero temere Iddio ed umiliarsi davanti all’Onnipotente. Ma essi non si erano umiliati.
“E Satana parlò a un principe, e disse: ‘Non temere di usare la spada, perché gli uomini sapienti ti hanno ingannato dicendoti che il mondo sarebbe distrutto. Non ascoltare il consiglio dei deboli, imperocché essi grandemente ti temono, e servono ai tuoi nemici
fermando la tua mano contro di quelli. Colpisci, e sappi che tu sa-rai il sovrano di tutto'”.
“E il prìncipe ascoltò la parola di Satana, e chiamò a sé tutti gli uomini sapienti di quel reame e comandò loro di dargli consiglio dei modi in cui il nemico poteva essere distrutto senza attirare la collera sopra il suo regno. Ma molti degli uomini sapienti dissero: ‘Signore, questo non è possibile, imperocché anche i tuoi nemici possiedono la spada che noi ti abbiamo data, e la terribilità di essa è come la fiamma dell’Inferno, e come il furore della stella-sole, alla quale un giorno fu accesa’.
” ‘E allora tu me ne foggerai un’altra che sia ancora sette volte più ardente dell’Inferno stesso’, comandò il principe, la cui arroganza era giunta a superare quella di Faraone”.
Tabella riassuntiva
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Bonus: La santità nel Medioevo
E’ bello vedere scrittori che si documentano. Un’altra delle ragioni della bellezza del libro di Miller, sta nel fatto che si capisce che si è documentato. Prendiamo la faccenda della santificazione.
Molti credono che nel Medioevo la Chiesa spammasse santi a destra e a manca. Niente di più lontano dal vero. Erano le comunità locali, quasi sempre, a richiedere che la Chiesa si interessasse a questo o a quel beato del posto e avviasse un processo di canonizzazione. E questi processi erano molto lunghi e complicati, segno che la Chiesa voleva mantenere un controllo serrato di cosa fosse la santità e di chi ne fosse degno.
Come so queste cose? Il merito è di un libro che, in maniera del tutto accidentale, ho letto nello stesso periodo in cui ho letto Leibowitz:
Titolo: La santità nel Medioevo
Autore: André Vauchez
Editore: Il Mulino – Storica Paperbacks
Anno: 1981
Pagine: 685
In questo saggio, l’autore mette a confronto come la santità fosse percepita dal popolo e come dalla Chiesa, come funzionavano i processi di canonizzazione, quali erano gli attributi riconosciuti della santità, e quale modello di santo la Chiesa cercasse di propagandare presso i suoi fedeli. E’ un testo molto specialistico, nel senso che spacca il capello in quattro e redige una caterva di tabelle (adoro le tabelle), e un lettore poco interessato all’argomento potrebbe annoiarsi. Per chi fosse realmente affascinato dal problema, invece, la consiglio come una lettura eccellente e precisa.
Nel periodo 1198-1431 (che è quello preso in esame dal libro), ossia quasi 250 anni, solo 33 processi di canonizzazione si conclusero con la santificazione del beato. 33 santi in quasi 250 anni, in pieno Basso Medioevo.
Alla luce di questi fatti, l’atteggiamento cauto dell’abate Arkos nel processo di canonizzazione del beato Leibowitz non sembra più tanto strano, eh? Nel libro di Miller, mi sembra di trovare una esemplificazione pratica di tutti quei problemi di cui parla (anzi: parlerà trent’anni più tardi) il libro di Vauchez. Il che significa che ha fatto un ottimo lavoro; e che chi chiude il suo libro, si ritrova un po’ più colto di prima.
Questo è trattare il lettore con rispetto!

Santa Fina: uno dei santi più insulsi della storia. Il suo merito? Avere passato gli ultimi anni della sua giovane vita a gemere in silenzio su una tavola di legno mentre il suo corpo si riempiva di piaghe e i topi la mangiavano viva. Proprio una prediletta del Signore.
(1) In realtà ci sono un paio di elementi che mi lasciano perplesso. Mi riferisco alla storia dell’occhio del Poeta e alla storia dell’ebreo errante: di per sé sono affascinanti, ma entrambe sfumano senza una conclusione, e la prima in particolare non mi sembra avere un ruolo sensibile nella trama.Torna su