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Saggistica: Storia economica dell’Europa preindustriale

Storia economica dell'europa preindustrialeAutore: Carlo M. Cipolla
Editore: Il Mulino
Collana: Storica Paperbacks

Anno: 1974
Pagine: 491

Una breve premessa
Per lo scrittore di narrativa fantastica, il worldbuilding è uno degli aspetti più delicati. Creare un’ambientazione non è solo questione di “colore”, ma è lo sfondo e la ragion d’essere di tutto ciò che accade nel romanzo. Worldbuilding non significa stabilire quanti gradi ci sono d’estate e d’inverno a Granburrone, o decidere i nomi di tutti i regnanti della dinastia di Stocazzo, o disegnare foreste e montagne e città su una mappa formato A4 – quelle sono minchiate. Worldbuilding significa che se decido di raccontare la storia di un giovane paladino che vuole salvare il mondo dai demoni della scabbia, devo innanzitutto chiedermi: che armi usa il mio sbarbatello? Se va in giro mulinando spade e tirando con l’arco, allora difficilmente verrà da un mondo che conosce l’elettricità e costruisce navi volanti 1. Quindi, qual’è il livello tecnologico di questo mondo? E, già che ci siamo, come mai va da solo? Viene da una famiglia povera? O è un reietto del suo gruppo? E quindi, com’è la società in cui vive? E così via…
La pianificazione dell’ambientazione di un romanzo in genere non avviene (e non dovrebbe avvenire) dal generale al particolare, ma dal particolare al generale. Come spiega Scott Card in How to Write Science Fiction and Fantasy, tipicamente lo scrittore parte con un’idea, una suggestione, un personaggio, e gradualmente la espande (combinandola ad altre idee) in una storia. Il worldbuilding avviene in un secondo momento, come un processo che dà supporto e consistenza all’idea di base. E sua volta, il worldbuilding interagisce con le idee di base, espandendole, modificandole e correggendole in modo che il risultato finale siano una trama e un’ambientazione reciprocamente coerenti 2.
Il problema, quindi, sorge quando io, aspirante scrittore, ho la velleità di creare un’ambientazione medievaleggiante (o pseudo-rinascimentale, o inizio-industriale, o vittoriana-steampunk, etc.) senza sapere una mazza di questi periodi storici. Come farò a creare un’ambientazione e una trama coerente, se non ho i mezzi per giudicarla? Difficilmente il risultato sarà differente da quella coppia di geni che fanno cianciare il loro cavaliere medievale di Costituzione, di democrazia e uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge (true story). E l’equo-solidale non ce lo mettiamo?

Con i miei articoli di Saggistica – e in particolare con il primo – ho voluto instradare la gente verso uno studio un minimo serio delle epoche storiche e delle ambientazioni. Oggi voglio continuare questa tradizione con un altro libro di grandissima utilità per chiunque voglia ambientare la sua trilogia elfica sbrilluccicosa in un’epoca pre-industriale. Un libro che quando lo lessi (circa un anno e mezzo fa) mi colpì moltissimo, e mi iniziò a una lunga serie di letture sul medioevo: Storia economica dell’Europa preindustriale.
Okay – il titolo è eccitante come un film muto bulgaro.
Ma, aspettate! Permettetemi di provare a convincervi. Ecco perché dovreste leggere questo libro:

  • Perché Cipolla scrive molto bene e non ci si annoia quasi mai.
  • Perché è una storia non soltanto dell’economia, ma anche della demografia, delle condizioni igieniche, dello stile di vita e delle aspirazioni dell’epoca.
  • Perché non considera il solo Medioevo ma si spinge sino alla metà del Settecento. Può quindi interessare chiunque voglia occuparsi di un periodo post-preistorico e pre-industriale.
  • Perché non richiede una preparazione pregressa in economia o altro, né, a dire il vero, uno studio manualistico (date, avvenimenti etc. della vera storia d’Europa).
  • Perché questo libro vale come altri tre o quattro sull’argomento, quindi è anche un risparmio di tempo ed energie.
  • Perché Cipolla è quello che ha scritto le Leggi fondamentali della Stupidità umana (un must per tutti i fan del Duca). Una garanzia di qualità.

Incuriositi?
Allora entriamo un po’ più nello specifico.

Final Fantasy XII nonsense

Final Fantasy XII. Sceneggiato dalla premiata ditta Siccardi-Montanaro?

Uno sguardo approfondito
Il saggio di Cipolla si propone il modesto compito di riassumere i punti salienti dell’organizzazione economica (e quindi, di riflesso, dello stile di vita) del mondo europeo dall’anno 1000 alla seconda metà del 1700, cioè alle soglie della Rivoluzione Industriale. L’idea forte alla base di questo scelta è che – tenuto conto delle modifiche nel tempo e del progresso – la vita economico-sociale dell’Europa nel corso di questi 700 anni abbia avuto notevoli tratti comuni. Il saggio si compone di due parti, chiamate “Un’approssimazione statica” e “Verso una descrizione dinamica”.
Se la prima parte considera questi 700 anni come un tutt’uno, vedendo cosa è rimasto invariato, o comunque quali sono state le note dominanti di tutto il periodo, il secondo mostra cosa è cambiato nel tempo, in cosa sia consistita l’evoluzione dal placido mondo agricolo dell’anno 1000 a quel laboratorio di tecnica e progresso che furono il Seicento e Settecento, e quali siano stati i fattori determinanti. Citando le parole di Cipolla all’inizio della seconda parte:

In certo senso le pagine che precedono [la prima parte] illustrano ciò che vi fu di permanente nell’economia europea tra l’età dei Comuni e la Rivoluzione industriale, mentre le pagine che seguenti illustreranno quello che cambiò.

In realtà le due parti fanno molto più di così.
Nella prima, Cipolla introduce prima di tutto il neofita ad alcuni concetti fondamentali dell’economia, ossia cosa si debba intendere per domanda, per offerta, per beni di prima necessità e desideri (o, in inglese, “needs” e “wants”), per tesaurizzazione, per inflazione, e così via. In questo senso, il saggio dà fin dall’inizio tutti gli strumenti perché il lettore possa capire l’argomento, senza presupporre – come fanno altre pubblicazioni – una preparazione di base nel lettore. Inoltre Cipolla sfata falsi miti e idealizzazioni, mostrando quanto spesso sia sfumata la linea di demarcazione tra un concetto e l’altro: difficile, per esempio, etichettare il cibo come “bene di prima necessità” e la costruzione di una cattedrale come “lusso”, quando leggendo i documenti si trova gente disposta a patire la fame pur di compiacere Nostro Signore con un abside nuovo.

Duomo di Milano

Un esempio di bene di prima necessità.

Nella seconda parte, poi, Cipolla considera prima di tutto i singoli fattori che hanno determinato l’evoluzione del nostro sistema economico e sociale. Il primo capitolo, per esempio, è dedicato alla rivoluzione urbana del Basso Medioevo – uno dei principali motori del progresso dell’ultimo millennio. Rinascita della città, infatti, significa tanti lavoratori concentrati nello stesso luogo, e quindi più efficienza produttiva, più commercio, maggiore circolazione dei beni, della moneta e delle persone, e quindi più investimenti, e aumento del benessere economico di una parte della popolazione, e così via. Inoltre, la bilancia della ricchezza monetaria e del peso politico comincia (molto gradualmente) a spostarsi dalla classe dei proprietari terrieri – che, soprattutto in Occidente, avevano dominato anche per tutta l’epoca greco-romana – a quella dei mercanti- banchieri-imprenditori puri, o, più di frequente, a quella di coloro che mescolavano i profitti dati dalla terra a quelli dati da commercio e imprenditoria 3.
Un altro capitolo è dedicato alla storia della demografia – dove Cipolla si interroga, analizzando indici di natalità e mortalità, su come mai l’Europa abbia sempre avuto una popolazione notevolmente più bassa di altre aree del mondo, come la Cina o il subcontinente indiano – un altro alla storia della tecnologia – perché gli uomini del Medioevo accettarono con tanta facilità innovazioni tecniche, come il mulino ad acqua, che non presero mai piede presso i Romani? – un altro sulla storia delle monete e del rapporto tra circolazione di denaro liquido e floridità dei commerci internazionali. Si impara così che alcuni progressi furono dettati non solo da cause profondi, ma anche da colpi di fortuna: uno dei fattori che fecero impennare il progresso tra Cinquecento e Seicento, per esempio, sarebbe l’enorme afflusso d’oro e argento (e quindi di monete) dovuto ai ricchi giacimenti trovati nelle Americhe, i quali a loro volta avrebbero accelerato e semplificato la circolazione delle merci in Europa e nelle colonie. Fino alla fine del Quattrocento, infatti, un problema critico del commercio europeo parrebbe essere stato la penuria di minerali preziosi con cui coniare le monete.
Negli ultimi due capitoli, finalmente, Cipolla affronta in modo sistematico le ragioni del progresso tra il Mille e la Rivoluzione industriale. Il primo capitolo, che considera il blocco 1000 – 1500, mostra le conseguenze immediate della rivoluzione urbana; mostra come il consequenziale aumento della popolazione europea (a fronte dell’insufficiente progresso tecnologico, e dell’inesistente progresso medico) portò a livelli di insostenibilità che sarebbero sfociati nella crisi economica della metà del Trecento, nella grande diffusione della peste, e nel diffuso malessere che si sarebbe protratto fino alla metà del Quattrocento; e mostra gli inizi della ripresa della fine del Quattrocento. Il secondo, dedicato al periodo 1500 – 1700, oltre a spiegare come si realizzò il grande progresso che avrebbe portato l’Europa a dominare il mondo, ci mostra le differenze tra le varie nazioni europee e cosa portò alcune alla supremazia (come Inghilterra e Olanda) e altre all’oblio (Spagna, Italia).

Spagna

Finora ho parlato del libro come di un saggio di storia economica. Ma come si sarà capito fra le righe, nel libro di Cipolla c’è molto di più. Parlare dell’economia preindustriale significa infatti parlare di un sistema economico soggetto a continue crisi di sottoproduzione; un sistema fondato sull’agricoltura, e quindi sugli incontrollabili capricci del clima; un mondo in cui carestie e malnutrizione erano la norma più che l’eccezione, e quindi un mondo con aspettativa di vita, e qualità della vita, estremamente basse. Tutto questo significa parlare di distribuzione per età della popolazione europea, e della percentuale della popolazione abile al lavoro, e delle percentuali di ciascuna categoria di lavorati.
Parlare di carestie significa poi parlare di fiumane di contadini che si riversano nelle città. Significa quindi parlare di sovrappopolazione, del rapporto tra popolazione lavoratrici e mendicanti (tra cui, altissimo il numero dei trovatelli), di condizioni igieniche sempre più precarie – e quindi di storia della medicina. Significa anche parlare dei sistemi con cui i governi cittadini si premuravano di proteggere la popolazione dalle conseguenze di una carestia, allestendo scorte di cibo altri sistemi preventivi. E questa panoramica sulle condizioni di perenne precarietà dell’uomo preindustriale, a sua volta, spiega la forte religiosità della gente del periodo, e così si ritorna, ad anello, a uno dei problemi iniziali: come si fa a dire che per questa gente la pagnotta fosse più importante di raccomandarsi al proprio Dio con una chiesa nuova?
Cipolla quindi disegna una storia della società e della mentalità del mondo preindustriale. E il ritratto che emerge – oltre ad essere, in certe pagine, un vero pugno nello stomaco – insegna allo scrittore di fantasy una delle lezioni più importanti: quanto siano infantili, falsi, wish-fulfilling, i medioevi patinati come la Cyrodiil di Oblivion o la Contea di Tolkien. Soprattutto, ti fa riflettere seriamente se vuoi davvero ambientare il tuo romanzo in un periodo così ricolmo di sofferenza, precarietà, povertà, morte, al cui confronto anche l’ultimo immigrato del Burqina Faso sembra un privilegiato. Per dirla in poche frasi:

L’invocazione più frequente nell’Europa pre-industriale era: Domineiddio, liberaci dalla guerra, dalla carestia e dalla peste. […] Per chi è vissuto nell’Europa industrializzata del secolo XX è difficile immaginare cosa fossero la fame e la carestia dei secoli passati. […] La gente moriva letteralmente di fame e non era raro in tempi di carestia il trovare individui morti per la strada con i denti affondati nella terra o nell’erba.

Black Horse Courier

Il punto più basso mai raggiunto dagli Elder Scrolls.

Infine, tre considerazioni sullo stile di Cipolla.
Primo, l’autore dà l’impressione di sapere di cosa sta parlando. Le pagine sono corredate di tabelle e statistiche che disaminano argomenti di ogni sorta, dalle dimensioni delle maggiori città d’Europa nel corso dei sette secoli alla distribuzione della popolazione per tipo di impiego in differenti città, al costo medio di varie categorie di articoli in diversi periodi.
Una delle cose che si notano subito, e che ci portano al secondo punto, è la carenza di informazioni. Cipolla è il primo a dire che i documenti sono spesso lacunosi e scarsi, che molte considerazioni dello storico si basano più su ipotesi e supposizioni che su dati reali. Una patina di dubbio ragionato, di cautela, di rifiuto della spiegazione unica pervadono tutto il saggio. Cipolla è una persona schietta, che quando non è sicuro lo dice, che quando trova superficiale la spiegazione dominante di un certo fenomeno lo fa presente 4.
Terzo, Cipolla scrive bene. E’ immediato, leggero, fa battute, preferisce l’esempio concreto e l’immagine vivida a imbottirsi di termini tecnici – si trova, quindi, all’estremo opposto dello stile pomposo e ripetitivo di Norbert Elias. E’ molto difficile annoiarsi leggendo Cipolla, e si passa con curiosità da un argomento all’altro, dal modo sistematico in cui venivano sfruttati i bambini all’impatto rivoluzionario del mulino ad acqua o della sostituzione del cavallo al bue come animale da tiro.

Insomma, Storia economica dell’Europa preindustriale è piacevole da leggere e ricco di informazioni. Certo, come già per La guerra nel Medioevo di Contamine, il limite del saggio di Cipolla è quello di condensare in meno di 500 pagine quasi un millennio di storia, toccando molti argomenti solo per sommi capi. Ma lo scopo di questo saggio vuole proprio essere quello di dare un’infarinatura di base al neofita. Soprattutto, è degna di lode la capacità di Cipolla di collegare un’argomento all’altro, dalla numismatica alle condizioni di vita del contado, da una panoramica sulla Lega anseatica alla nascita dell’orologio meccanico, dando al lettore uno sguardo d’insieme del mondo europeo preindustriale.
Un notevole risparmio di tempo e fatica, dato che in genere queste stesse nozioni si trovano sparpagliate in più testi. Il curioso di storia medievale scoprirà un sacco di cose nuove; l’aspirante scrittore e worldbuilder avrà in mano gli strumenti di base per creare un’ambientazione credibile. Ho letto diversi volumi di storia dell’economia – come il noioso e compilatorio Storia economica del mondo di Cameron, che non consiglierei a nessuno – e mai nessuno mi ha preso quanto questo.
Uno dei saggi storici più belli che abbia mai letto.

Tabella riassuntiva

Una storia economica e sociale dall’anno Mille alla Rivoluzione Industriale. Impossibilità di approfondire i singoli argomenti.
Facile da seguire, non richiede conoscenze pregresse.
Stile schietto e piacevole.

—-

(1) No: Final Fantasy XII non è un esempio di buon worldbuilding. E’ più un esempio di: “voglio inculare a sangue un branco di 13enni che non sanno niente di niente”.Torna su

(2) Gamberetta esprime opinioni in alcuni punti analoghe nel suo ultimo post:

A proposito di descrizioni e world building: la qualità batte sempre la quantità. È meglio una città ben descritta che venticinque generiche. Meglio una fortezza interessante che cinquanta castelli tutti uguali.
I due approcci principali al world building sono: dal generale al particolare e dal particolare al generale. Io consiglio caldamente il secondo approccio.
Ovvero, quando progettate il vostro mondo fantasy, non partite da un pianeta, o da un continente, partite da una stanza. O da una piazza. O da un angolo di bosco. E, partendo dai dettagli che vedete intorno a voi, costruite l’ambientazione.
Perché è meglio? Perché, a meno che non stiate progettando una guerra interplanetaria, i personaggi non vedranno mai come le grandi montagne dell’Ovest si incuneano nelle pianure meridionali accanto al lago eterno; viceversa vedranno una grotta innevata che si apre sul fianco della montagna, vedranno una mandria di bufalogatti pascolare per la pianura, vedranno i canneti crescere sulla sponda del lago.
Raramente vi serve avere sottomano un intero pianeta, invece è vitale conoscere ogni dettaglio dei luoghi dove si svolgerà l’azione. Sento già l’appassionato di high fantasy frignare che lui ha bisogno di almeno un paio di continenti perché ci deve ambientare una guerra epica. Be’, la guerra epica può funzionare anche se i continenti sono appena abbozzati, l’importante è che si abbia una conoscenza dettagliata di dove si svolgono le battaglie.
Se mostrate a un marine in partenza per il Medio Oriente una cartina muta e gli chiedete di indicare l’Iraq, non avrà idea di dove posare il dito. Questo non gli impedirà di combattere, uccidere, farsi ammazzare e compiere gesta più o meno epiche.

Il mio interesse qui è puramente di costruzione della trama e non di stile di scrittura, quindi non tornerò sulla questione “mostra gli ambienti dove avviene la storia e non il background”, che comunque è giustissima. Il lavoro di worldbuilding, del resto, deve rimanere al 90% sotto la superficie: il lettore non deve neanche vederlo.Torna su

(3) La mancata compenetrazione tra queste due classi, e soprattutto la posizione subordinata di mercanti, tecnici e artigiani, fu infatti una delle ragioni del fallimento di alcune nazioni rispetto ad altre. Il caso della Spagna mi sembra emblematico.
La Spagna nel Cinquecento ebbe l’opportunità di diventare la più potente nazione d’Europa; ma la sua società difettava di borghesi e operai specializzati, e il potere era concentrato nelle mani di proprietari terrieri e burocrati incapaci di capire il valore della tecnica. Risultato? I soldi spagnoli, invece di alimentare le imprese patrie, fecero crescere le economie degli altri Paesi – cosicché la Spagna fu inculata nel breve periodo da Olanda e Inghilterra, e sul lungo periodo da tutta l’Europa occidentale. Per usare le parole di Cipolla:

La Spagna del secolo XVII mancò di imprenditori e artigiani ma ebbe sovrabbondanza di burocrati, preti e poeti. E il Paese sprofondò in una tragica decadenza.

Coglioni.Torna su

Torero incornato

Un riassunto della storia della Spagna dalla nascita a oggi.

(4) Se dovessi trovare un difetto, d’altronde, sarebbe proprio nell’eccesso di diffidenza che a volte mostra per certe teorie consolidate. Certo, non sono uno storico, e la mia opinione vale quello che vale – ma, per fare un esempio, la diffusione della schiavitù e la quantità di potere concentrato nell’aristocrazia fondiaria mi sembrano ancora le ragioni principali nella refrattarietà al progresso tecnico dell’antica Roma; e la conquista dell’Atlantico e il contemporaneo consolidamento degli Ottomani in Medio Oriente mi sembrano tutt’ora delle cause importanti del declino delle nazioni europee del Mediterraneo a partire dalla metà del Cinquecento.Torna su

Saggistica: Il processo di civilizzazione

La civiltà delle buone maniereTitolo: La civiltà delle buone maniere (Il processo di civilizzazione Vol.1)
Autore: Norbert Elias
Editore: Il Mulino
Collana: Biblioteca Paperbacks

Anno: 1939 / 1969
Pagine: 387



Potere e civiltà

Titolo: Potere e civiltà (Il processo di civilizzazione Vol.2)
Autore: Norbert Elias
Editore: Il Mulino
Collana: Biblioteca Paperbacks

Anno: 1939 / 1969
Pagine: 429

Non soltanto l’educazione, il tatto, la diplomazia, l’attenzione ai sentimenti altrui, le buone maniere a tavola, non sono un istinto naturale ma un’acquisizione sociale appresa nel corso del tempo; ma c’è una stretta correlazione tra l’evoluzione delle “buone maniere” e l’evoluzione della forma politica e sociale di una società. Il passaggio dal signorotto feudale autarchico al vassallo tardomedievale, e dal vassallo al cortigiano, e dal cortigiano al dandy ottocentesco, segnano altrettante tappe della trasformazione dei modi del singolo di stare con gli altri e del modo in cui la società viene amministrata.
E’ questa la tesi di Norbert Elias, sociologo e storico che applica la sociologia alla storia.

La civiltà delle buone maniere e Potere e civiltà sono le due parti, pubblicate separatamente, di un’unica opera – Il processo di civilizzazione – in cui Elias si propone di studiare l’evoluzione della società dal Basso Medioevo alla fine dell’ancien régime (con qualche piccolo excursus nell’Ottocento e nella belle epoque).
Possono essere lette separatamente, ma insieme creano un’unico quadro coerente. Inoltre, seguire il discorso che Elias sviluppa in Potere e civiltà è più semplice se prima si è letto l’altro tomo.

Uno sguardo approfondito
In La civiltà delle buone maniere, Elias studia com’è cambiata nel corso dei secoli l’etichetta dello stare a tavola, dello sputare, del fare i propri bisogni, del controllo della rabbia, e soprattutto il modo in cui queste regole vengono progressivamente assimilate dagli uomini dell’epoca. Elias muove da esempi concreti, e passa molte pagine a citare stralci di galatei d’epoca sui più svariati argomenti: dal consiglio di un autore medievale di non scaccolarsi con le mani sporche di cibo, di sputare il cibo addosso agli altri commensali e di non sdraiarsi sulla tavola durante il pranzo, a raccomandazioni, datate alla fine del Cinquecento, di non fare la cacca in presenza di altre persone e soprattutto di non farla negli androni o davanti alla stanza delle donne, ma in un luogo appositamente predisposto. Usanze che trovano conferma in altre letture che ho fatto: per esempio Cipolla, in Storia economica dell’Europa preindustriale, ricorda come, ancora alla fine del Cinquecento, i palazzi di molti lord inglesi avessero spesso i pavimenti insozzati di escrementi, non solo animali.

Galateo di Tannhauser

Commentando questi galatei, Elias fa alcune osservazioni più generali: per esempio, che oltre al tipo di raccomandazioni, nel corso dei secoli cambia anche il registro degli autori di galatei, passando dall’ammonizione formale (“non fare così”, “chi fa così è schifoso”, “quello sarebbe meglio non farlo” ecc.) a un tipo di ammonizione che tiene conto dello sguardo degli altri (“se farai così sarai disprezzato”, “fai così e cosà o il biasimo ricadrà su di te”, “per non doverti vergognare fai così”, ecc.); e dal rivolgersi agli adulti, al rivolgersi ai bambini (perché si presuppone che gli adulti abbiano già imparato come comportarsi). Questa analisi porta Elias a concludere che, aldilà degli specifici divieti e obblighi che i galatei via via impongono, l’evoluzione delle buone maniere va in un’unica direzione: quella dell’aumento dell’autocontrollo, del tenere a bada i propri istinti e le proprie emozioni per non urtare gli altri, dell’imparare a osservare gli altri. Come mai?
Perché, dal Medioevo a oggi, ciò che è andato sempre aumentando è l’interconnessione tra le persone, e quindi la necessità di relazione e collaborazione tra individui aldilà dell’uso della forza bruta. Il signorotto bannale del XII secolo vive in relativa autonomia; i suoi obblighi sociali non vanno aldilà del rispetto e del riconoscimento della superiorità del suo signore (posto che ne abbia uno e il suo potere non sia del tutto autarchico), e una certa dose di cameratismo nei confronti dei suoi uomini. Soprattutto, ciò che gli dà potere e autorità è la forza militare di cui dispone. Non deve essere particolarmente educato. Un cortigiano francese nell’età del Re Sole, al contrario, non dispone più di alcun potere militare, deve il mantenimento della sua posizione al suo rapporto personale col sovrano e con la corte: è quindi essenziale, perché mantenga intatto il suo prestigio, che sia bene educato, che si comporti bene; e quindi, che impari a controllare il proprio comportamento.
Contemporaneamente, la buona educazione diventa uno strumento di potere e di distinzione. I nobili si fanno forti delle loro buone maniere e del loro buon gusto per distinguersi dalla plebe, e soprattutto da quella parte della borghesia (come la nobiltà di toga francese) che minaccia il suo status politico; al contempo la cerchia più vicina al re, quella dei Grandi aristocratici, elabora arbitrariamente maniere sempre più raffinate per creare una distanza tra sé e il resto della nobiltà; e allo stesso modo, la borghesia si affanna per distinguersi dal popolino, copiando il galateo della nobiltà e ostentando atteggiamenti aristocratici.
Questo processo di raffinazione del comportamento porterà in certi ambienti a degli eccessi, soprattutto alla fine dell’ancien régime e nell’Ottocento, come la negazione dei bisogni corporali, di cui non si deve far parola, o l’esagerato pudore sessuale (ricorda Elias che ancora nel Cinquecento era cosa assolutamente normale parlare di sesso, puttane and the like, anche ad un bambino; il problema di “cosa rispondere se tuo figlio ti chiede come nascono i bambini?” non esiste prima dell’Ottocento).

Galateo di Erasmo da Rotterdam

Potere e civiltà assume una prospettiva più ampia. Qui Elias parla delle trasformazioni socio-politiche avvenute in Europa tra il Mille e la fine del Medioevo, muovendosi su due piani: quello macropolitico, in cui spiega l’evoluzione dei rapporti tra il potere centrale del monarca e i poteri locali dell’aristocrazia feudale; e quello microsociale, dell’evoluzione dello stile di vita e dei vincoli sociali del signore medievale.
Per esempio, Elias nota un meccanismo costante delle società premoderne: a un periodo di forte centralizzazione del potere (per esempio sotto un grande condottiero, e/o sotto la pressione di pericoli esterni) subentrano sempre periodi di disgregazione, in cui i subordinati del sovrano si rendono sempre più autonomi dall’autorità centrale. Questo perché, in una società con scarsa circolazione monetaria, il favore del sovrano nei confronti dei suoi fedeli deve prendere perlopiù la forma dell’assegnazione di terre, sotto forma di donazione, o trasformando il fedele in un funzionario col compito di amministrare un territorio. Ma l’assegnazione di terre, per sua natura, fa sì che il fedele si allontani dal sovrano e diventi sempre più autonomo, un piccolo re nelle terre che ha ricevuto.
Periodi di forte minaccia dall’esterno possono rinsaldare i principi territoriali sotto l’egida del sovrano, come accadde tra i principi germanici sotto Enrico l’Uccellatore e Ottone I, ai tempi della rivincita contro gli invasori Ungari; al contrario, periodi di calma alimentano i conflitti interni e le spinte disgregative dei signori feudali minori. Il meccanismo può spezzarsi solo quando, grazie a all’aumento del traffico commerciale (e quindi della circolazione della moneta) e al progresso tecnologico, il sovrano può progressivamente fare a meno dell’aiuto dei suoi vassalli (per esempio convertendo il servizio militare che gli devono in un prelievo di denaro, con cui il re pagherà propri mercenari). Sul lungo periodo, questo permetterà ai sovrani più accorti di appropriarsi delle prerogative militari della milizia feudale, fino a esautorarli completamente di qualsiasi potere e di fare della forza bruta un monopolio dello Stato. Elias sfrutta questo modello per spiegare il diverso destino della Germania e della Francia nel corso del Medioevo.

Galateo tedesco del Cinquecento

I cambiamenti politici si riflettono in un cambiamento dello stile di vita del nobile. Mano a mano che perde potere militare e che la sua corte e il suo castello diventano nient’altro che una “provincia” del monarca o del principe territoriale, il nobile deve scegliere tra una vita oscura e in povertà nelle sue terre, o l’andare alla corte del re e mettersi nelle sue mani. Poiché il potere militare è concentrato nelle mani dello Stato, l’unico modo per un nobile di fare carriera, è quello di conquistarsi il favore del re, salire di rango attraverso buoni matrimoni, intessere alleanze con altri nobili.
Come il cavaliere medievale si faceva strada dimostrando capacità e valore militare, distinguendosi ai tornei e nella caccia, ora che la forza bruta è inutile il cortigiano deve imparare l’arte del ben parlare, l’arte di fare buona impressione in tutte le occasioni sociali – quindi a tavola, nella conversazione, ai ricevimenti, eccetera – insomma, le buone maniere. Per capire se si sta comportando bene, se è rispettato, se è stimato, per capire chi sono i suoi potenziali amici e i suoi potenziali nemici, per capire quali sono i sistemi di alleanze a corte, per capire tutto questo, insomma, il cortigiano deve imparare a studiare gli altri, intuire quello che pensano osservando il loro comportamento esteriore, e deve imparare a osservare sé stesso per capire se e dove sbaglia, se si sta comportando in modo elegante, eccetera.
Il duca di Saint-Simon si vantava di poter capire da un solo gesto o dal tono della voce di un interlocutore, se presso quella persona era ancora in favore o era caduto in disgrazia. Chi non ci riesce, chi non ne è in grado, viene allontanato, perde la partita – così come nel Medioevo un cattivo condottiero o un nobile incapace di andare a cavallo diventavano oggetto di scherno e fonte di disonore per la propria famiglia.

Stans puer ad mensam

Educazione, galateo, autocontrollo, analisi di sé e degli altri, sono dunque tutte acquisizioni dettate da condizioni materiali. E’ questa la lezione di Elias.
Ed è solo la punta dell’iceberg. I due libri di cui ho parlato sono densissimi di informazioni e teorie, dalla moltiplicazione del numero di posate a tavola a come le costrizioni sociali nel tempo diventino autocostrizioni dell’individuo, da come nel Basso Medioevo i cavalieri si siano espansi fuori dall’Europa per accasare i figli senza dilapidare le proprie terre alla strategia dei primi Capetingi per sottomettere i signori feudali confinanti. Io ho riassunto soltanto alcune delle idee più importanti, quel tanto che potesse bastare a farvi venire l’acquolina in bocca.

Non c’è bisogno di particolari conoscenze pregresse per leggere i libri di Elias, anche se un’infarinatura di storia medievale non farebbe male. Per quanto leggere le cose schifose che nel Medioevo facevano anche i principi sia spassoso, poi, bisogna ammettere che la lettura non è facilissima. Ad ostacolarla c’è innanzitutto una certa pesantezza tedesca, unita alla tendenza – altrettanto tedesca – di infarcire il testo di termini inutilmente tecnici e di frasi contorte. Inoltre, il fluire delle idee di Elias non è sempre limpido; e nonostante i due libri siano strutturati in capitoli, gli capita stesso di saltare da un argomento all’altro, di riprendere un tema di cui aveva già parlato pagine prima e poi di mollarlo di nuovo, e così via. Di conseguenza, capita spesso di dover rileggere più volte una frase o un periodo mentre si pensa: “Ma che cazzo sta dicendo?”.
Questa macchinosità è compensata dalla tendenza di Elias a fare spesso il punto, a ricapitolare la situazione, e a ripetere i punti cardine del suo pensiero sino all’ossessività. Anche se non capite un passaggio, andate avanti, resistete: sicuramente dopo cinque, dieci o venti pagine ne parlerà di nuovo, possibilmente in modo più chiaro. A forza di ripetizioni anche il lettore più scemo assimilerà il grosso delle informazioni; e vi troverete facilmente a dire: “Sì, ho capito, basta! Passiamo al prossimo argomento, ti prego!“.
Se deciderete di leggerli, saltate la Prefazione de La civiltà delle buone maniere e cominciate dall’Introduzione a pag.101. La Prefazione è stata pensata per gli addetti ai lavori, parte dal presupposto che si conosca già il resto dell’opera ed è un’occasione per Elias per rispondere alle critiche mossegli da alcuni colleghi. Leggerla è faticoso e inutile.

Galateo di Giovanni Della Casa

Il processo di civilizzazione è un’opera tanto interessante per i curiosi di storia e sociologia, quanto utile per uno scrittore. Intanto perché dà una serie di informazioni pratiche sui costumi dell’epoca, dal modo di mangiare al livello (piuttosto basso) di pudori corporali e sessuali del periodo medievale e rinascimentale. Il che non significa che ogni civiltà medievaleggiante debba avere quel preciso livello di pulizia ed educazione e pudori: sappiamo che, nella stessa epoca e con una simile organizzazione sociale, i giapponesi erano molto più puliti degli europei. Significa però che lo scrittore deve sempre tenere a mente il rapporto tra costumi e condizioni materiali e sociali di vita; e in ogni caso, presentare il protagonista (o magari una bella donna) che fa la cacca nella sala comune mentre discute amabilmente col resto del party potrebbe aggiungere un tocco di realismo alla storia ^-^
Soprattutto, opere come questa sono utili perché danno all’aspirante scrittore una serie di nozioni teoriche di base, diciamo un’infrastrutturale mentale, che facilita il lavoro di worldbuilding e può renderlo più credibile. Certo, non sempre le elaborazioni teoriche di Elias sembrano discendere in modo convincente dalle informazioni empiriche, e il suo modello non riesce a spiegare tutto (per esempio non spiega, se non in modo imperfetto, l’allentamento dei costumi e della morale sessuale nel Novecento né la rivoluzione sessuale della fine degli anni Sessanta – d’altronde quest’opera è stata scritta trent’anni prima del ’69!); ma molti capisaldi del suo pensiero sono difficilmente discutibili.
Quindi, dateci un’occhiata!

Bonus Track: La società di corte
La società di corteAutore: Norbert Elias
Editore: Il Mulino
Collana: Biblioteca Paperbacks

Anno: 1969
Pagine: 377

Di Elias ho anche letto quest’altro libro, che in sostanza riprende teoria e impostazione generale de Il processo di civilizzazione per applicarla a un caso concreto: la vita di corte francese sotto il regno di Luigi XIV e dei suoi due successori. Dall’architettura delle case di città dell’aristocrazia parigina al rituale mattutino della vestizione del Re a Versailles, dall’evoluzione dell’etichetta di corte nei due secoli dell’ancien régime alle conseguenze politiche della Fronda, Elias inserisce tutto nel suo quadro teorico. Scopriamo così come un rituale, creato da Luigi XIV per assicurarsi il controllo della nobiltà di corte e la distruzione in loro di qualsiasi forma di autonomia, si trasformi nel tempo in una macchina che vive di vita propria, ormai odiosa a tutti e agli stessi Re successivi a Luigi XIV, ma che nessuno è più in grado di fermare.
Il libro ha gli stessi pregi e difetti stilistici delle altre opere di Elias. A chi interessasse l’argomento della corte francese del Seicento, o in generale del funzionamento di una corte assolutistica, consiglio di leggerlo in aggiunta agli altri.

Tabella riassuntiva

Unisce una visione di ampio respiro con l’attenzione ai dettagli concreti. A volte le teorie generali schiacciano i dati specifici.
Una teoria che mette insieme evoluzione dei costumi ed evoluzione politica. Stile pesante, termini tecnici inutili.
Leggere le schifezze che facevano nel Medioevo è divertente!

Trittico per niubbi sul mondo feudale europeo

Battaglia di San RomanoCirca un anno e mezzo fa, complici alcune letture e una tutto sommato bella esperienza con i beceri Forgotten Realms, mi prese un’insana passione per una cosa che fino ad allora non mi aveva granché incuriosito: il medioevo e il rinascimento europeo. Volevo sia leggerne, che scriverne.
E’ così che ho cominciato, metodicamente, a leggere una serie di saggi sull’argomento.

In questo articolo, vorrei trasmettere qualcosa dell’esperienza che ho maturato in un anno e mezzo di letture sul Medioevo europeo. Un articolo per niubbi.
Non è facile cominciare a studiare un argomento che non si conosce per niente; per questo ho pensato di consigliare alcuni libri che mi hanno aiutato a darmi una prima immagine della società medievale. Ho scelto un argomento circoscritto, ossia il mondo feudale dei signori, delle curtes, dei cavalieri, lasciando da parte il mondo cittadino e borghese, a cui magari dedicherò un altro articolo in futuro.
Persone ben più esperte di me – nella fattispecie il Duca e Zwei – hanno steso delle pagine di bibliografia minima sul Medioevo, pagine a cui io stesso ho attinto. Se non l’avete già fatto, dateci un’occhiata:

La pagina del Duca è dedicata ai niubbi come la mia, mentre la bibliografia di Zwei è più ad ampio spettro, e più specialistica (oltre che in inglese). Va da sé che, se in qualche punto dovessi dire qualcosa sull’argomento che entra in contraddizione con quanto detto dal Duca o da Zwei, dovrete prendere per buono che io ho torto e loro ragione. ^-^’

Bloch, La società feudaleTitolo: La società feudale
Autore: Marc Bloch
Editore: Einaudi
Collana: Piccola Biblioteca Einaudi / Storia

Anno: 1939
Pagine: 551

Il libro di Bloch è la bibbia del mondo feudale.
Lo si potrebbe definire un libro di “sociologia storica”: suo argomento è infatti l’organizzazione del mondo feudale del Basso Medioevo, dall’epoca delle ultime grandi invasioni (Vichinghi, Ungari, Saraceni) fino alla nascita dei moderni stati nazionali. Dai rapporti vassallatici alle forme di sottomissione del contado, dalla frammentazione politica alla formazione della “nobiltà” come classe sociale, da quel che succedeva quando una castellana rimaneva vedova ai sistemi di spartizione dell’eredità tra i figli del signore, Bloch tocca pressoché tutti gli argomenti che possono venirvi in mente. Fa incursioni nell’economia – il signore feudale come mantiene sé stesso e la sua corte? – nell’antropologia – come vede il mondo il signorotto feudale? – nel diritto – come venivano regolati legalmente i rapporti tra un monastero e il suo protettore, o tra una famiglia contadina e il suo signore bannale? – nella politica – come fa un sovrano o un principe territoriale a riprendere il controllo dei signorotti minori che infestano il suo territorio e fanno il cazzo che gli pare?

Fight Club medievale

Su alcuni punti il modello di Bloch è stato rivisto e corretto dalla storiografia successiva (per esempio, Bloch avrebbe dato troppa importanza alle invasioni del IX-X secolo come causa della frammentazione feudale), ma nelle linee generali, a tre quarti di secolo dalla pubblicazione, è ancora un’ottima risorsa sul Medioevo. Soprattutto per uno scrittore che volesse creare ex novo la propria ambientazione medievale, La società feudale è un ottimo punto di partenza per il worldbuilding.

Titolo: La guerra nel MedioevoContamine, La guerra nel Medioevo
Autore: Philippe Contamine
Editore: Il Mulino
Collana: Storica Paperbacks

Anno: 1980
Pagine: 435

Mille anni di storia militare – dalla caduta dell’Impero Romano alla nascita dei primi eserciti permanenti europei agli albori del Rinascimento – in poco più di 400 pagine: questo l’ambizioso obiettivo del libro di Contamine. La prima parte dell’opera si occupa, con un andamento cronologico, dell’evoluzione del servizio militare e della composizione degli eserciti medievali, mentre la seconda approfondisce una serie di argomenti secondari, dalle armi da fuoco tardomedievali al rapporto tra uomini d’arme e Chiesa.
Il limite principale di La guerra nel Medioevo è intrinseco al suo carattere compendiario: trattando moltissimi argomenti in poco spazio, molti argomenti rimangono poco approfonditi. In particolare, tutta la parte dedicata al tardo impero e all’Alto Medioevo mi sembra poco spendibile, mentre ho trovato molto ben fatte le parti sulle tecniche di assedio, sul ruolo dell’artiglieria a partire dal Trecento, e in generale tutta la parte dedicata al servizio militare e agli eserciti del Tardo Medioevo; l’esempio di battaglia campale quattrocentesca riportato nel capitolo sull’arte della guerra è stupendo.

Thou art performing yon task incorrectly!

Ma non si può pretendere che il libro di Contamine sia ciò che non è, e che non può essere. La guerra nel Medioevo serve da base per chi è a digiuno dell’argomento, per dargli un quadro minimo e dei punti di riferimento, affinché poi possa approfondire su libri più specializzati gli argomenti che più gli interessano. Dopo aver letto il libro di Contamine, si può per esempio passare agli Osprey (qui la sezione dedicata al Medioevo) o spulciarsi la sua ricca bibliografia.
Ah: ho scoperto questo libro grazie alla bibliografia minima del Duca, per cui ne approfitto per ringraziarlo ^-^

Flori, Cavalieri e cavalleria del MedioevoTitolo: Cavalieri e cavalleria del Medioevo
Autore: Jean Flori
Editore: Einaudi
Collana: Piccola Biblioteca Einaudi / Storia

Anno: 1998
Pagine: 286

I primi due libri consigliati erano dei grossi compendioni sul mondo medievale; questo invece tratta un argomento più specifico della società feudale. E mentre i primi si possono leggere indipendentemente, questo vi consiglio di considerarlo come una chiosa a Bloch e Contamine, un ponte tra i due libri.
Flori parte da una domanda: cos’è esattamente un “cavaliere”? E’ definito dalla sua classe sociale (il cavaliere è un nobile?) o dal suo mestiere (il cavaliere è colui che combatte a cavallo)? Ricordo una discussione che si era avuta l’estate scorsa sul blog di Zwei, in cui il Guardiano domandava se fosse possibile per un plebeo, un uomo qualsiasi, diventare cavaliere. La risposta si trova in questo libro. Da quando il miles era semplicemente l’uomo che possedeva un equipaggiamento da cavaliere e l’addestramento necessario a usarlo, magari al servizio di un potente, a quando la cavalleria divenne un’istituzione sociale, con la sua deontologia, i suoi valori, il suo prestigio, e un sistema di controllo che decidesse chi poteva entrarvi e chi doveva rimanere fuori; fino a che divenne il simbolo dell’élite europea, un costoso rituale privilegio di principi e pochi notabili – Flori ripercorre tutte le tappe di questa trasformazione. E ci fa capire cosa significhi, negli occhi di un uomo dell’epoca, cosa significhi essere un uomo d’arme.
Il libro di Flori studia sia la storia della mentalità, che quella sociale, che quella militare, mostrandoci il ruolo della cavalleria nell’esercito medievale, ma anche il costo per mantenere l’equipaggiamento da cavaliere – che non permetteva a tutti di accedervi e costringeva molti a decadere di condizione – come il cavaliere vedesse la guerra, la caccia, i tornei, come i cavalieri si mitizzavano nell’epica cavalleresca e nelle canzoni dell’amor cortese, e quanto questi ideali corrispondessero alla realtà, e così via. Questo recupera gli argomenti di Bloch e Contamine, e ne approfondisce e sviluppa alcuni punti, e per questo mi sembra un ottimo corollario alla lettura dei precedenti.

In conclusione
La lettura di questi libri – o quantomeno dei primi due – è utile soprattutto se si è tentati di scrivere qualcosa ad ambientazione medievale. Leggerli mi ha permesso:

1. Di capire che ero davvero interessato a un setting medievale, e non solamente al “colore” medievaleggiante fatto di armature piene di spunzoni, draghi cromati e altre minchiate D&Desche.
2. Di crearmi una prima impressione su come potesse essere una storia ambientata in un setting medievale: che tipi di personaggi potessero esistervi, che problemi avrei incontrato, di che argomenti avrei potuto parlare.
3. Di capire quali aspetti del Medioevo volevo approfondire, come cercarli, e come strutturare le ricerche successive.

Potreste optare per un’ambientazione monastica sul modello de Il nome della Rosa e, forti delle conoscenze preliminari sui rapporti tra monasteri e società feudale acquisiti con il libro di Bloch, leggere un libro un po’ più specialistico come I monaci di Cluny di Cantarella; o magari vi intriga l’idea di un pugno di cavalieri isolati in una zona di frontiera, dal clima estremo, circondati da indigeni ostili, e allora potreste dare un’occhiata a Le crociate del Nord di Christiansen; o ancora, alla noiosa nobiltà campagnola del Medioevo nordico potreste preferire una vivace ambientazione cittadina sul modello dell’Italia comunale (che io adoro), e provare l’ottimo Cavalieri e cittadini di Maire-Vigueur; oppure, spostando l’orologio in avanti di uno o due secoli, Signori e mercenari di Michael Mallett. E non dimentichiamo che la buona vecchia library.nu ci apre le porte allo sterminato mercato di lingua anglosassone, e che numerosi Osprey vi si possono trovare…
Insomma, sperimentate, ma per carità, state alla larga da quell’insulsa menata di Monaci e religiosi nel Medioevo di Marcel Pacaut!

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