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Bonus Track: The Alchemist / The Executioness

The AlchemistAutore: Paolo Bacigalupi
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 90

Difficoltà in inglese: **

 

The ExecutionessAutore: Tobias S. Buckell
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 100

Difficoltà in inglese: **

A chiunque sia scoperto a usare la magia, sarà tagliata la testa sulla pubblica piazza: così ha deciso il Sindaco di Khaim. Ma non è una pena troppo dura, perché in gioco è la sopravvivenza stessa della città. Ogni volta che viene lanciato un incantesimo, da qualche parte nasce un rovo. E i rovi crescono, soffocano le piante, i campi, le case; e pungersi con le loro spine significa cadere in un sonno che può portare alla morte. E per quanto li tagli, sempre ricrescono. Così è caduto il grande impero di Jhandpara, un tempo governato da potentissimi maghi simili a dei: stretto nell’abbraccio mortale dei rovi. Ora i rovi circondano Khaim. Eppure i suoi abitanti, nel cuore della notte o nel segreto delle loro cantine, continuano a lanciare magie per i propri scopi privati: e i rovi continuano a crescere.
Tana è la figlia del boia. Il mestiere di suo padre è la principale fonte di sostentamento della famiglia. Ma ormai suo padre è vecchio, e malato, e non riesce più a sollevare quell’ascia così pesante. Così, quando la chiamata arriva, Tana non può fare altro che indossare quel cappuccio che nasconde il volto, fingersi suo padre e diventare lei stessa boia. Ancora non sa che, quello stesso giorno, tutto a Khaim sta per cambiare – e la vita della sua famiglia sarà sconvolta per sempre.
Jaoz è un alchimista. Un tempo uno dei più facoltosi e ricercati orafi di Khaim, da più di dieci anni si è messo in testa di salvare la sua città e trovare un metodo alchemico per distruggere i rovi una volta per tutte. Ma tutti i suoi tentativi sono falliti. Oppresso dai debiti e dalla malattia della figlioletta Jiala, sa di non avere più molto tempo a disposizione, e metterà tutte le sue energie in un ultimo, disperato tentativo. Quello che non sa, è che anche se riuscisse, la sua scoperta potrebbe essere utilizzata in modi che non immagina…

Ogni volta che viene castato un incantesimo, da qualche parte nel mondo un coniglietto muore sbocciano rovi mortali: questa è la premessa dell’ambientazione condivisa di The Alchemist e The Executioness, due novellas scritte rispettivamente da Paolo Bacigalupi e Tobias Buckell in questo progetto collaborativo orchestrato da Subterranean Press. Entrambe le storie prendono le mosse da due persone normali, due abitanti della città di Khaim – la figlia del boia e l’alchimista – quando la loro vita e quella dei loro cari viene completamente sconvolta. Nonostante qualche richiamo reciproco, i due libri sono del tutto indipendenti, e possono quindi essere letti in qualunque ordine si voglia.
Di solito sono scettico delle collaborazioni, e me ne tengo alla larga. Cosa mi ha fatto cambiare idea questa volta? Primo, la presenza di Bacigalupi, uno scrittore davvero bravo che ho amato per The Windup Girl (mentre non posso dire lo stesso di Buckell, un tizio ignoto che è famoso soprattutto per i suoi libri sul franchise di Halo); secondo, e più importante, questa ambientazione condivisa sembrava offrire una visione della magia diversa dal solito. Se molti autori di fantasy medievaleggiante cercano di limitare lo strapotere della magia circoscrivendone l’uso a pochi individui e poche occasioni, in The Alchemist e The Executioness la logica è quella opposta: proprio perché la magia è diffusa e alla portata di tutti, e quindi tutti ne abusano, la civiltà rischia di essere spazzata via.
Ai fini della mia ricerca sui sistemi magici, di cui vi ho parlato nello scorso articolo, in questa Bonus Track mi concentrerò in primo luogo sul modo in cui è concepita la magia e solo in seconda battuta sulla qualità complessiva dei romanzi.

Magic Bramble Creeper

Le infestazioni di rovi magici possono essere davvero terribili.

Uno sguardo approfondito
Abbiamo visto nello scorso articolo che la magia, pur avendo sempre un ruolo fondamentale per il worldbuilding (nelle storie in cui esiste), può avere diversi gradi di importanza per le storie particolari che andiamo a raccontare – per il destino dei nostri protagonisti e personaggi pov. Nel caso di queste due novellas, non soltanto la magia è il motore della storia – Tana è la figlia del boia incaricato di giustiziare chi viene scoperto a usare la magia, Jaoz ha dedicato alla sua vita a combattere i rovi magici – ma è anche il fulcro di un affascinante moral play. Lanciare magie è sbagliato, certo. Ma se tua figlia sta male? Se quando tossisce sputa sangue? Se fosse in pericolo di vita, e un piccolo incantesimo potesse regalarle mesi di vita, non sareste disposti a farlo, anche se questo dovesse significare che da qualche parte – nel cortile del vostro vicino, nei campi della città o persino in una contrada lontano – spunta qualche nuovo rovo?
E’ ciò che si chiede Jaoz in uno dei primi capitoli di The Alchemist, quando guarda la sua figlioletta peggiorare di giorno in giorno:

I avoided using magic for as long as possible, but Jiala’s cough worsened, digging deeper into her lungs. And it was only a small magic. Just enough spelling to keep her alive. To close the rents in her little lungs, and stop the blood from spackling her lips. Perhaps a sprig of bramble would sprout in some farmer’s field as a result, fertilized by the power released into the air, but really it was such a small magic, and Jiala’s need was too great to ignore.

Ricordate però cosa vi dicevano da piccoli, quando buttavate una cartaccia per terra? “Certo, quella carta non è niente, ma se tutti facessero così…”. E questa è proprio l’impasse che vivono gli abitanti di Khaim. Tutti sanno che non si può fare a meno della magia, ma che al tempo stesso non si può lasciare impunito chi sia scoperto a farlo. Dov’è il punto in cui bisogna sacrificare il bene individuale per quello comune? Chi ha ragione, e chi ha torto?

La magia è integrata in modo elegante nell’ambientazione. Mentre va alla sua prima esecuzione, Tana si imbatte in una sorta di pompieri al contrario: uomini del Sindaco che, vestiti di pelle da capo a piedi – per evitare di entrare in contatto con le letali spine dei rovi – vanno in giro bruciando le radici che ogni giorno spuntano nei giardini o nelle crepe della strada. Ma quando un rovo brucia, delle piccole sacche contenute nella corteccia esplodono, liberando piogge di nuovi semi che finiscono ovunque e presto germoglieranno nuovi rovi. Per questo i bambini di strada, e i poveri che non hanno più niente – e tra questi Jiala, la figlia di Jaoz – possono essere visti passare le giornate a prendere i semi e metterle in appositi sacchetti. Ogni cento semi raccolti, il comune darà loro una moneta di rame.
Ma questo continuo bruciare e raccogliere della povera gente è come il mito di Sisifo: una fatica inutile e frustrante. Perché ogni giorni i rovi rispuntano, più robusti e più ramificati di prima, resi più forti dalle tante piccole magie che, con l’odore speziato che liberano nell’aria, vengono lanciate ogni giorno nel buio delle cantine o in mezzo ai campi nelle notti senza luna. I rovi stessi sono mostrati con efficacia e suscitano angoscia: in un passaggio, Bacigalupi indugia sulle minuscole spine attaccate a ogni singolo ramo, spine vive che si contorcono come vermi, e sono pronte ad attaccartisi alla pelle al minimo contatto e a liberare il loro veleno mortale. Il risultato è uno strana mescolanza di atmosfere alla Jack Vance – con queste città dal sapore mediterraneo e rinascimentale, la magia alla portata di tutti, l’indulgere sulla vita urbana e dei mercanti piuttosto che sul mondo feudale – e di una sottile angoscia sovrannaturale.

Sleeping beauty hipster

Delle due storie, quella che davvero si focalizza sul funzionamento della magia (pur non scendendo mai troppo nel dettaglio) e lo scontro con i rovi è The Alchemist. The Executioness, purtroppo, dopo un inizio molto promettente, centrato sul senso di colpa della protagonista nell’essere costretta a uccidere persone per crimini che hanno compiuto senza avere altra scelta, prende una via completamente diversa – diventando una quest di vendetta abbastanza classica. Con la scusa di avere una protagonista femminile che si trova a maneggiare un’ascia, la novella di Buckell diventa una storia – anche interessante – sul ruolo delle donne nella guerra.
La figlia del boia è una donna forte, abituata nella vita a sporcarsi le mani, a sgozzare maiali e a non piangere mai, ma Buckell riesce a evitare di cadere nei cliché del genere: a differenza della Nihal della Troisi, Tana sa di non poter vincere in un normale scontro fisico con un uomo, e quindi fonderà le sue strategie sugli attacchi a sorpresa, sui bluff, sul costruirsi una reputazione sovrannaturale. Alcune battaglie, e soprattutto gli scontri campali, mi sono suonati un po’ inverosimili, ma non sono abbastanza esperto sull’argomento per giudicare, e in ogni caso questi momenti sono raccontati da Buckell con troppa fretta, e troppo poco mostrato, per poterli visualizzare bene. In ogni caso, pur non essendo priva di punti di interesse, la direzione presa da The Executioness la allontana dal tema centrale, ossia il moral play magico. Il problema dei rovi è presente ma distante, se ne parla molto ma lo si vede poco – in definitiva, mi pare un’occasione sprecata.

Più interessante è The Alchemist. In poche pagine riesce a mostrare con efficacia i rapporti tra i personaggi principali, e come questi siano determinati dalla lotta ai rovi: la disperazione dell’alchimista, costretto a vendere i suoi ultimi lussuosi mobili per finanziare un progetto che sembra sempre più votato al fallimento; il disprezzo di Pila, l’ultima delle sue serve, nel vederlo cadere ogni giorno di più nella povertà; il misto di affetto e rancore della piccola Jiala.
Bacigalupi è anche il migliore dei due nella prosa. Entrambe le storie sono scritte in prima persona col pov del protagonista – il che è un bene, considerate le dimensioni ridotte delle due novellas – ma se per Buckell questo diventa occasione (soprattutto nelle prime pagine) per una sfilza di infodump sull’ambientazione e il background dei suoi personaggi, Bacigalupi riesce a tenerli al minimo, e questi pochi a filtrarli in modo più naturale attraverso la voce del pov. Bacigalupi mostra molto di più, soprattutto nel mostrare il lancio di incantesimi o il funzionamento del suo balanthast alchemico, mentre Buckell si abbandona facilmente al raccontato e ai riassuntini di avvenimenti, specie nell’ultimo (e cruciale) capitolo. Anche nei momenti drammatici, lo stile del Jaoz di The Alchemist è venato di rassegnato umorismo, laddove tutto The Executioness è scritto in modo grave, serio, monocorde.
Purtroppo anche The Alchemist è ben lontano dalla perfezione. Pur essendo più focalizzato sul tema centrale dell’ambientazione, anche la storia di Jaoz prende nel tempo un’altra direzione – cosa succederebbe se la sua invenzione finisse nelle mani sbagliate? – e diventa una parabola sull’avidità umana, sull’ipocrisia e sui sogni (forse) spezzati. Tutta la sua storyline, inoltre, si fonda sul concetto di trovare una via d’uscita rispetto allo “scambio equivalente” tra magia e maledizione dei rovi: un meccanismo che by definition vanificherebbe il conflitto centrale della storia. Perché, Bacigalupi? Perché?

Nihal della Terra del Vento

The Executioness: still better than Nihal.

Questa collaborazione Buckell / Bacigalupi mi lascia dunque due sapori contrastanti in bocca. Da una parte, riescono nell’intento di creare un mondo vasto e credibile, che sembra molto più grande della singola storia raccontata e pare vivere di vita propria oltre le pagine. Dall’altro, in queste due storie non accade niente di memorabile, non ci sono personaggi particolarmente memorabili, un conceptual breakthrough o un’epicità di fondo; entrambe le storie sanno di incompiuto, di potenziale sprecato, di inconcludenza. Quasi come se queste due novellas fossero un teaser da esibire su Kickstarter: “guardate di cosa siamo capaci, se volete il resto finanziate il nostro progetto”. Peccato che i due libri siano stati pubblicati nel 2011, e non si sia più visto niente: il progetto sembra, per il momento, concluso così.
Stando così le cose, non si chiude nessuno dei due libri davvero soddisfatti. Benché costino poco, non mi sento di consigliare nessuna delle due come lettura di puro piacere. Possono, però, essere interessanti come fonte di idee. Il meccanismo della magia e i conflitti morali che genera è affascinante e reso molto bene, e soprattutto si apre a decine e decine di possibilità non sfruttate. In caso siate interessati, ovviamente il mio consiglio è di partire da The Alchemist, ed eventualmente – in caso rimaniate piacevolmente colpiti – provare anche The Executioness. Posso solo sperare che da questo worldbuilding nasca un giorno qualcosa di più corposo.

Dove si trovano?
Entrambe le novellas possono essere scaricate in lingua originale da Library Genesis (qui il link per il download diretto dell’ePub di The Alchemist, qui invece l’ePub di The Executioness): ringrazio Mikecas per questa informazione.
In alternativa, e se volete premiare gli autori, potete comprarli su Amazon – il prezzo è davvero da fame: 1,99 Euro sia per The Alchemist che per The Executioness. Esiste anche un’audio-book che raccoglie entrambe le storie, ma costa un’enormità e non ha veramente senso per noi italiani.

Full Metal Alchemist meme

Alchimia: non funziona proprio così.

Qualche estratto
Ho scelto un brano per ciascuna delle due novellas, in momenti di conflitto all’inizio delle rispettive storie. In The Executioness, vedremo la protagonista Tana, camuffata nella divisa di suo padre, alle prese con la sua prima esecuzione. L’estratto da The Alchemist ci mostrerà invece l’alchimista Jaoz nel momento in cui sarà costretto a fare la cosa che più odia al mondo: lanciare una magia per salvare la vita della figlia.

1.
 I let the axe fall.
It swung toward the vulnerable nape of the man’s neck as if the blade knew what it was doing.
And then the man shifted, ever so slightly.
I twisted the handle to compensate, just a twitch to guide the blade, and the curving edge of the axe buried itself in the man’s back at an angle on the right. It sank into shoulder meat and fetched up against bone with a sickening crunch.
It had all gone wrong.
Blood flew back up the handle, across my hands, and splattered against my leather apron.
The man screamed. He thrashed in the chains, a tortured animal, almost jerking the axe out of my blood-slippery hands.
“Gods, gods, gods,” I said, terrified and sick. I yanked the axe free. Blood gushed down the man’s back and he screamed even louder.
The crowd stared. Anonymous oval faces, hardly blinking.
I raised the axe quickly, and brought it right back down on him. It bit deep into his upper left arm, and I had to push against his body with my foot to lever it free. He screamed like a dying animal, and I was crying as I raised the axe yet again.
“Borzai will surely consider this before he sends you to your hall,” I said, my voice scratchy and loud inside the hood. I took a deep breath and counted to three.
I would not miss again. I would not torture this dying man any more.
I must imagine I am only chopping wood, I thought.
I let the axe fall once again. I let it guide itself, looking at where it needed to be at the end of the stroke.
The blade struck the man’s neck, cleaved right through it, and buried itself in the wooden platform below.
The screaming stopped.
My breath tasted of sick. I was panting, and terrified as the Mayor approached me. He leaned close, and I braced for some form of punishment for doing such a horrible thing.
“Well done!” the Mayor said. “Well done indeed. What a show, what a piece of butchery! The point has well been made!”

2.
Jiala and I sat in the corner of my workshop, amidst the blankets where she now slept near the fire, the only warm room I had left, and I used the scribbled notes from the book of Majister Arun to make magic.
His pen was clear, even if he was long gone to the Executioner’s axe. His ideas on vellum. His hand reaching across time. His past carrying into our future through the wonders of ink. Rosemary and pkana flower and licorice root, and the deep soothing cream of goat’s milk. Powdered together, the yellow pkana flower’s petals all crackling like fire as they touched the milk. Sending up a smoke of dreams.
And then with my ring finger, long missing all three gold rings of marriage, I touched the paste to Jiala’s forehead, between the thick dark hairs of her eyebrows. And then, pulling down her blouse, another at her sternum, at the center of her lungs. The pkana’s yellow mark pulsed on her skin, seeming wont to ignite.
As we worked this little magic, I imagined the great majisters of Jhandpara healing crowds from their arched balconies. It was said that people came for miles to be healed. They used the stuff of magic wildly, then.
“Papa, you mustn’t.” Jiala whispered. Another cough caught her, jerking her forward and reaching deep, squeezing her lungs as the strongman squeezes a pomegranate to watch red blood run between his fingers.
“Of course I must,” I answered. “Now be quiet.”
“They will catch you, though. The smell of it—”
“Shhhh.”
And then I read the ancient words of Majister Arun, sounding out the language that could never be recalled after it was spoken. Consonants burned my tongue as it tapped those words of power. The power of ancients. The dream of Jhandpara.
The sulphur smell of magic filled the room, and now round vowels of healing tumbled from my lips, spinning like pin wheels, finding their targets in the yellow paste of my fingerprints.
The magic burrowed into Jiala, and then it was gone. The pkana flower paste took on a greenish tinge as it was used up, and the room filled completely with the smoke of power unleashed. Astonishing power, all around, and only a little effort and a few words to bind it to us. Magic. The power to do anything. Destroy an empire, even.
I cracked open the shutters, and peered out onto the black cobbled streets. No one was outside, and I fanned the room quickly, clearing the stench of magic.
“Papa. What if they catch you?”
“They won’t.” I smiled. “This is a small magic. Not some great bridge-building project. Not even a spell of fertility. Your lungs hold small wounds. No one will ever know. And I will perfect the balanthast soon. And then no one will ever have to hold back with these small magics ever again. All will be well.”

Tabella riassuntiva

Il sistema magico è semplice ed elegante. Entrambe le storie tendono ad andare fuori tema.
Angoscioso moral play tra bene individuale e bene comune. Infodump e raccontato a pioggia, specie in The Executioness.
Ambientazione vasta, viva e coerente. Il progetto lascia un senso di incompiutezza.
Spunti interessanti ma niente di memorabile.

I Consigli del Lunedì #05: High Rise

High RiseAutore: James G. Ballard
Titolo italiano: Il condominio / Condominium
Genere: Horror / Slipstream
Tipo: Romanzo

Anno: 1975
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 200 ca.

Difficoltà in inglese: **

Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell’immenso condominio nei tre mesi precedenti. Ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c’era stato un inizio evidente, un momento aldilà del quale le loro vite erano entrate in una dimensione più sinistra…

Nella periferia di Londra hanno edificato un nuovissimo supercondominio. Si compone di cinque grattacieli di quaranta piani l’uno, ciascuno un microcosmo autosufficiente: al loro interno ci sono supermercati, parrucchieri, negozi, centri ricreativi, piscine. I piani sono ordinati gerarchicamente secondo le fasce di reddito: dal primo al decimo, i più modesti appartamenti della working class (piccoli reporter freelance, piloti di linea del vicino aeroporto, etc.); dall’undicesimo al trentesimo, gli appartamenti della middle class (dentisti, psichiatri, e altri professionisti); dal trentunesimo al quarantesimo, l’alta borghesia londinese, composta di star televisive, ricchi commercianti e top manager.
Inizialmente le cose vanno bene. Ci sono piccoli screzi, litigi per futili motivi, dispetti; il disprezzo degli abitanti dei piani alti per gli inquilini dei piani bassi, e l’invidia di questi ultimi per i primi; ordinaria amministrazione. Ma quando cominciano i primi guasti all’impianto elettrico, quando le cose smettono di andare come dovrebbero, le inibizioni degli abitanti del condominio si abbassano, gli istinti dormienti iniziano a risvegliarsi… e la violenza esplode.

La storia segue le vicende di tre abitanti del grattacielo, ciascuno collocato a un differente livello gerarchico: Richard Wilder, piccolo produttore televisivo che abita al secondo piano con moglie e figli; il Dr. Laing, un pacioso psichiatra del venticinquesimo piano; e Anthony Royal, ricchissimo architetto nonché progettatore del supercondominio, che dall’alto del suo atelier su due piani in cima al grattacielo guarda in basso alla sua creatura. Attraverso le loro vicende personali, Ballard ci mette di fronte a una surreale ma fikissima escalation di violenza e follia collettiva.

High Rise

I sonnacchiosi palazzoni di periferia potrebbero rivelare delle sorprese…

Uno sguardo approfondito
Adoro la prosa di Ballard.
E’ una prosa gelida, distaccata, quasi giornalistica. Sta agli esatti antipodi dell’altro tipo di prosa che mi piace molto, quello di Mellick o di Gamberetta, dove tutta la storia è filtrata attraverso la voce querula e molto caratterizzata del protagonista. Qui il punto di vista è una via di mezzo tra la terza persona fotografica e la terza persona nella testa del personaggio: cogliamo frammenti dei pensieri e degli stati d’animo dei protagonisti, ma la loro psiche non ci è mai squadernata davanti agli occhi, permane sempre una zona di oscurità. Inoltre, anche quando la distanza tra la telecamera e la testa del personaggio si riduce al minimo, rimane sempre una sorta di distanza tra la voce narrante e il personaggio in questione. Quando i pensieri del personaggio-pov vengono riportati, è sempre in discorso indiretto, mai in quello diretto come accade ad esempio in King.
Ballard è anche un buon mostratore. I personaggi (in particolar modo Wilder) sono definiti soprattutto dalle loro azioni, anche se in alcuni casi il narratore indulge in lunghi raccontati su cosa passa per la loro testa (per esempio quando, all’inizio del capitolo 7, Ballard ci parla delle ambizioni deluse di Anthony). Non ci vengono fatte delle lunghe sbrodolate sull’oscenità e la crudeltà raggiunta dagli abitanti del condominio, come un certo autore di nostra conoscenza; Ballard ci mostra un gioielliere scaraventato fuori da una finestra, uno psichiatra che si cucina un cane, una piscina, dove prima facevano il bagno i bambini, gonfia di sangue, pezzi di cadaveri in decomposizione e umori assortiti.

A parte qualche rarissimo e breve scivolamento verso il narratore onnisciente, la telecamera rimane sempre ancorata al suo personaggio-pov. Nonostante questi siano tre, non c’è mai confusione: i salti di pov avvengono solo da un capitolo all’altro o, nei capitoli più concitati, da un paragrafo all’altro. L’idea di utilizzare più pov, e che i tre personaggi-pov ricoprano tre ruoli molto diversi all’interno della gerarchia del condominio, è stata una scelta molto felice. Come dice un commento al romanzo, infatti, “where you live in this structure will soon take on an importance beyond life itself”; possiamo così vedere il degenerare della convivenza tra gli abitanti del condominio da punti di osservazione molto diversi.
Wilder è in fondo alla gerarchia, ma è anche un innato arrampicatore sociale, aggressivo, furbo, dominatore per istinto, bigger than life, e il suo obiettivo è quello di arrivare in cima; Laing è il borghesotto educato, colto e soddisfatto di sé, desideroso soltanto di mantenere il proprio status e farsi coinvolgere il meno possibile dalla destabilizzazione; Royal è il wanna-be filantropo, il despota illuminato, desideroso di costruirsi un “feudo” di fedelissimi e di farsi amare dai suoi “sudditi”, ma impreparato alla vera violenza.

Defenestrazione di Praga

Defenestrazione di Praga. Gettare dalla finestra le persone antipatiche è un’antica e onorata tradizione.

Il fatto che la narrazione slitti fra tre personaggi che perseguono obiettivi diversi e sono l’uno contro l’altro, e l’assenza di un querulo narratore che faccia piovere dall’alto i suoi giudizi etici, creano un piacevolissimo clima di ambiguità morale. Il pericolo non viene dall’esterno: il “mostro” qui è costituito da quella rete di rapporti sociali di cui i protagonisti stessi fanno parte, e che contribuiscono ad alimentare. Non ci sono i Buoni e i Cattivi; tutti i personaggi-pov compiono, ad un certo punto, azioni molto discutibili.
A differenza di molti romanzi di King, in cui ci viene mostrata una progressiva crisi di follia collettiva dal punto di vista di individui che rimangono sani, in High Rise gli stessi personaggi-pov diventano sempre più mostruosi e “primordiali”. E’ una cosa che crea un certo disagio; ma al contempo, è difficile che non scatti una certa empatia per tutti loro o almeno alcuni di loro (vuoi perché la storia è filtrata attraverso i loro occhi, vuoi per il senso di pericolo che grava su di loro). Il lettore si trova a non sapere per chi debba “parteggiare”, o se sia anche solo il caso di parteggiare per qualcuno di loro.

In High Rise non c’è nulla di davvero “sovrannaturale”. Il condominio supermoderno del titolo è la versione esagerata dei quartieri autosufficienti che si è cominciati a costruire ai margini delle grandi metropoli dagli anni ’70 ad oggi, ma non c’è nulla di futuristico, di fantascientifico. Si può etichettare come romanzo horror, ma non c’è il Male, neanche nelle sue forme più sottili (come ad esempio in Shining). Come molti romanzi di Ballard, ha più l’aspetto di un esperimento sociale estremo, sulla scia di libri come Il signore delle mosche o, paragonandolo ad avvenimenti reali, il famoso esperimento carcerario di Stanford. Il gelido narratore osserva la vicenda come uno scienziato di fronte alle sue cavie, riportandola con fedeltà ma senza commentarla.
Non è nemmeno una violenza che indulga granché nello splatter o nel gore. E’ una violenza che punta su quel disagio nato dal fatto di vedere persone normali compiere gesti sempre più anormali; e dal fatto che non ci sia all’orizzonte nessun personaggio rimasto abbastanza sano a cui appigliarsi. Questo dà ad High Rise un’atmosfera molto surreale, anche se non sempre convincente. Alcuni passaggi da un grado di violenza al successivo sono troppo bruschi e non del tutto verosimili – ti fanno pensare: “Ma com’è che si è arrivati dal vandalismo all’omicidio multiplo?”. In più occasioni i condomini avrebbero l’occasione di interrompere il ‘gioco’, ma non lo fanno mai. L’impressione globale che ho avuto di High Rise è quindi più di un’esagerazione che di uno scenario possibile.
Anche se non c’è molto spazio per queste razionalizzazioni durante la lettura: il ritmo è serrato, la “situazione” del condominio evolve molto velocemente. E il finale è insolito e geniale (anche se ad alcuni potrebbe non piacere), tutto il contrario delle risoluzioni strascicate e banali alla King.

Exit

Nessuno pensa mai alla soluzione più semplice.

In definitiva, un’ottima lettura che mi ha colpito sia alla pancia che al cervello. Non escludo che un lettore di ultraviolenza più scafato di me – come il buon vecchio Zwei – possa rimanere indifferente o anche dire a Ballard “sftu n00b!”; riporterò come unica altra testimonianza quella di Siobhàn, che l’ha divorato in un giorno e mezzo ma dopo si è sentita fisicamente male. Evvai ^-^

Dove si trova?
Su library.nu si può trovare sia l’epub di High Rise in lingua originale, sia il pdf di un’edizione italiana, intitolata Il condominio. Purtroppo questa traduzione lascia un po’ a desiderare; e, nonostante la copertina ingannevole, non è la traduzione Feltrinelli, che è molto migliore.
A proposito: la maggior parte dei romanzi di Ballard sono editi da Feltrinelli in edizione economica, il che li rende facilmente reperibili e a prezzi abbordabili. Quando, un paio d’anni fa, ho comprato Il condominio, l’ho pagato solo 7,50 Euro. Un solo romanzo – L’allegra compagnia del sogno – e le raccolte di racconti sono edite da Fanucci.

Su Ballard
Ballard è un bravo scrittore, e ha delle ottime idee; il problema è che ne ha poche. Per tutta la sua carriera ha girato intorno a una manciata di intuizioni fondamentali, tornandoci sopra ancora e ancora: di conseguenza, se si arriva a leggere tre o quattro suoi libri comincia a farsi strada uno sgradevole senso di déjà vu. Altri suoi libri sono semplicemente noiosi.
Il grosso dei romanzi di Ballard si può dividere in due filoni, quelli in cui i protagonisti vengono trasformati da un ambiente o condizioni climatiche estreme, e quelli in cui i protagonisti vengono trasformati dall’interazione con le tecnologie e lo stile di vita moderno. Al primo filone appartengono, tra gli altri, The Drowned World (Il mondo sommerso), che forse è il più famoso, The Burning World (Terra bruciata), The Crystal World (Foresta di cristallo), The Day of Creation (Il giorno della creazione) e Rushing to Paradise (Il paradiso del diavolo). Al secondo filone, oltre a High Rise, Crash, Concrete Island (Isola di cemento) e la novella Running Wild (Un gioco da bambini).
Di questi, mi viene da suggerirne quattro, due per “tipo”:

Foresta di cristalloThe Crystal World (Foresta di cristallo). Un medico missionario si reca in Gabon, nell’Africa centrale, per raggiungere dei colleghi che lavorano in un lebbrosario locale. Ma la giungla è stata contaminata da una strana malattia, che cristallizza la terra e le piante, fermandole nel tempo, e ha uno strano effetto sulla psiche umana… La storia è inquietante al punto giusto, ma il protagonista è un po’ insulso e la pletora di personaggi secondari non approfondita come dovrebbe.

Il paradiso del diavoloRushing to Paradise (Il paradiso del diavolo). Un gruppo di ambientalisti prende il controllo di un’isoletta del Pacifico, che il governo francese utilizzava per gli esperimenti nucleare. Gli ambientalisti sognano di creare una comune autosufficiente, capace di vivere in armonia con la natura, ma l’avventura prende una strana piega e la nuova società degenera verso organizzazioni sempre più primordiali… Uno dei miei preferiti.

CrashCrash è un romanzo morboso che si potrebbe mettere sia nello scaffale della literary fiction che in quello del romanzo erotico, che in quello del mainstream un po’ strano. I protagonisti di Crash vengono eccitati dagli incidenti automobilistici, dalla carne che si mescola alle lamiere, dai corpi delle star del cinema deturpati e mutilati. C’è un sacco di sesso: sesso etero, sesso lesbo, sesso omo, sesso di gruppo, scambi di coppia, sesso in macchine accartocciate, sesso con protesi artificiali, incidenti stradali causati volontariamente per eccitarsi, eccetera. Le idee di base sono ottime, peccato per una certa ripetitività e il ritmo lento. Comunque è breve, meno di 200 pagine.

Un gioco da bambiniRunning Wild (Un gioco da bambini), breve novella investigativa in forma di diario. Uno psichiatra lavora al caso di un condominio della high class i cui abitanti sono stati tutti massacrati, tranne i bambini e i ragazzi, che sono scomparsi (rapiti?). La risoluzione è prevedibile e il finale “politico” non mi è piaciuto, ma la storia non è affatto male e ricorda l’atmosfera di High Rise. Ideale per chi voglia approcciare Ballard con qualcosa di breve e più semplice.

Chi devo ringraziare?
Ballard fu portato alla mia attenzione dal professore di fisica del liceo di un mio amico, che era suo grande fan. Ma a convincermi definitivamente a leggerlo è stato Crash di Cronenberg, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo ballardiano. La pellicola di Cronenberg è uno di quei rari film che riescono a cogliere in pieno lo spirito dell’opera originale, a tratti riuscendo anche a migliorarla.
Se siete incerti sul fatto che Ballard sia il vostro uomo, vi consiglio di scaricare il film e darci un occhio – anzi, dateci un occhio in ogni caso: sono sicuro che non avete mai visto niente del genere. Attenzione però a non confondervi: c’è una caterva di film intitolata “Crash”, ahimé.

Crash Cronenberg

Una delle immagini più soft del film.

A proposito di trasposizioni cinematografiche: Vincenzo Natali, il regista dell’ottimo Cube, ha in cantiere di girare un film ispirato proprio ad High Rise. Come scritto su questo articolo, “non c’è una data d’uscita ufficiale, ma il film è in lista per il 2012 su IMDb”.

Qualche estratto
Il primo estratto viene dal secondo capitolo, e offre un accenno dell’escalation di violenza e della regressione infantile dei condominio; il secondo, sempre nella prima metà del libro, dà un assaggio di scontro tra due personaggi-pov.

1.
As Laing waited to be served, what resembled a punitive expedition from the upper floors caused a fracas in the swimming-pool. A party of residents from the top three floors arrived in a belligerent mood. Among them was the actress whose Afghan hound had drowned in the pool. She and her companions began by fooling about in the water, drinking champagne on a rubber raft against the swimming-pool rules and splashing people leaving the changing cubicles. […]
The elevators were full of aggressive pushing and heaving. The signal buttons behaved erratically, and the elevator shafts drummed as people pounded impatiently on the doors. On their way to a party on the 27th floor Laing and Charlotte were jostled when their elevator was carried down to the 3rd floor by a trio of drunken pilots. Bottles in hand, they had been trying for half an hour to reach the 10th floor. Seizing Charlotte good-humouredly around the waist, one of the pilots almost dragged her off to the small projection theatre beside the school which had previously been used for showing children’s films. The theatre was now screening a private programme of blue movies, including one apparently made on the premises with locally recruited performers.
At the party on the 27th floor, given by Adrian Talbot, an effeminate but likeable psychiatrist at the medical school, Laing began to relax for the first time that day. He noticed immediately that all the guests were drawn from the apartments nearby. Their faces and voices were reassuringly familiar. In a sense, as he remarked to Talbot, they constituted the members of a village.
“Perhaps a clan would be more exact,” Talbot commented. “The population of this apartment block is nowhere near so homogeneous as it looks at first sight. We’ll soon be refusing to speak to anyone outside our own enclave.”

Mentre Laing attendeva di essere servito, quella che sembrava una spedizione punitiva dei piani superiori provocò un gran trambusto in piscina. Un gruppo di inquilini degli ultimi tre piani era sceso in atteggiamento bellicoso. Fra loro c’era anche l’attrice il cui levriero afghano era stato annegato nella vasca. Lei e i suoi compagni cominciarono a fare gli stupidi in acqua, bevendo champagne su un canotto di gomma contro le norme della piscina e schizzando la gente che usciva dalle cabine. […]
Gli ascensori erano pieni di gente aggressiva che spingeva e si faceva largo a gomitate. Le spie dei piani continuavano ad accendersi e spegnersi e i vani degli ascensori risuonavano dei colpi insistenti degli inquilini in attesa davanti ai cancelli. Laing e Charlotte si stavano recando a un party al ventisettesimo piano, quando il loro ascensore fu fatto scendere bruscamente al terzo da un terzetto di piloti ubriachi, che, bottiglie alla mano, tentavano da mezz’ora di salire al decimo. Afferrando Charlotte per la vita, uno dei tre cercò di trascinarla verso la piccola sala di proiezione posta dietro la scuola e, in precedenza, era stata usata per proiettare film per i bambini. Nella sala adesso si stava svolgendo una proiezione privata di film pornografici, uno dei quali, a quanto sembrava, era stato girato in loco con protagonisti reclutati nel grattacielo.
Laing cominciò finalmente a rilassarsi per la prima volta durante quella giornata al party del ventisettesimo piano offerto da Adrian Talbot, uno psichiatra effeminato ma simpatico, suo collega di facoltà. Notò subito che gli invitati venivano tutti dagli appartamenti vicini. Facce e voci erano rassicuranti nella loro familiarità. In un certo senso, come fece notare a Talbot, erano come gli abitanti di un villaggio.
“Forse sarebbe più esatto dire clan” commentò Talbot. “Gli abitanti di questo condominio non formano un insieme omogeneo come potrebbe sembrare a prima vista, Tra poco ci rifiuteremo perfino di rivolgere la parola a chi non fa parte della nostra enclave.”

2.
Two young women, Royal’s wife and Jane Sheridan, were crouching behind an overturned desk. Like children caught red-handed in some mischief, they watched Wilder as he beckoned theatrically towards them.
Holding the alsatian on a short leash, Royal pushed back the glass doors. He strode through the residents in the lobby, who were now happily breaking up the children’s desks.
“It’s all right, Wilder,” he called out in a firm but casual voice. “I’ll take over.”
He stepped past Wilder and entered the classroom. He lifted Anne to her feet. “I’ll get you out of here-don’t worry about Wilder.”
“I’m not…” For all her ordeal, Anne was remarkably unruffled. She gazed at Wilder with evident admiration. “My God, he’s rather insane…”
Royal waited for Wilder to attack him. Despite the twenty years between them, he felt calm and self-controlled ready for the physical confrontation. But Wilder made no attempt to move. He watched Royal with interest, patting one armpit in an almost animal way, as if glad to see Royal here on the lower levels, directly involved at last in the struggle for territory and womenfolk. His shirt was open to the waist, exposing a barrel-like chest that he showed off with some pride. He held the cine-camera against his cheek as if he were visualizing the setting and choreography of a complex duel to be fought at some more convenient time on a stage higher in the building.

Due giovani donne, la moglie di Royal e Jane Sheridan, si erano acquattate dietro un banco rovesciato. Come bambine prese con le mani nel sacco, fissavano Wilder che le indicava con gesti teatrali.
“Va bene, Wilder” gridò con voce ferma ma in tono noncurante. “Ci penso io”.
Passò davanti a Wilder ed entrò nella classe. Aiutò Anne ad alzarsi. “Vi porto via di qui… non preoccuparti per Wilder”.
“Io non sono…” Nonostante quello che aveva passato, Anne era incredibilmente serena. Fissava Wilder con evidente ammirazione. “Mio dio, è proprio matto…”.
Royal aspettava l’attacco di Wilder. A dispetto dei vent’anni che li separavano, si sentiva calmo e padrone di sé, pronto per lo scontro fisico. Ma Wilder non accennò a muoversi. Studiava Royal con interesse, battendosi sotto l’ascella in modo quasi animale, come se fosse contento di vederlo ai piani bassi, finalmente impegnato anche lui nella lotta per il territorio e le donne. Aveva la camicia aperta fino alla vita e metteva in mostra con un certo orgoglio un torace grande come una botte. Teneva la macchina da presa contro la guancia, come per visualizzare il set e la coreografia di un complicato duello, che si sarebbe dovuto combattere in un’occasione più propizia, su un palcoscenico più in alto nell’edificio.

Tabella riassuntiva

Una cruda storia di barbarie collettiva! Non c’è nulla di realmente “sovrannaturale” o “fantastico”.
Atmosfera ansiogena e disturbante, senza appigli di sanità mentale. I passaggi da un grado di violenza al successivo non sono sempre convincenti.
Scrittura gelida e priva di giudizio morale.