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Bonus Track: The Alchemist / The Executioness

The AlchemistAutore: Paolo Bacigalupi
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 90

Difficoltà in inglese: **

 

The ExecutionessAutore: Tobias S. Buckell
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 100

Difficoltà in inglese: **

A chiunque sia scoperto a usare la magia, sarà tagliata la testa sulla pubblica piazza: così ha deciso il Sindaco di Khaim. Ma non è una pena troppo dura, perché in gioco è la sopravvivenza stessa della città. Ogni volta che viene lanciato un incantesimo, da qualche parte nasce un rovo. E i rovi crescono, soffocano le piante, i campi, le case; e pungersi con le loro spine significa cadere in un sonno che può portare alla morte. E per quanto li tagli, sempre ricrescono. Così è caduto il grande impero di Jhandpara, un tempo governato da potentissimi maghi simili a dei: stretto nell’abbraccio mortale dei rovi. Ora i rovi circondano Khaim. Eppure i suoi abitanti, nel cuore della notte o nel segreto delle loro cantine, continuano a lanciare magie per i propri scopi privati: e i rovi continuano a crescere.
Tana è la figlia del boia. Il mestiere di suo padre è la principale fonte di sostentamento della famiglia. Ma ormai suo padre è vecchio, e malato, e non riesce più a sollevare quell’ascia così pesante. Così, quando la chiamata arriva, Tana non può fare altro che indossare quel cappuccio che nasconde il volto, fingersi suo padre e diventare lei stessa boia. Ancora non sa che, quello stesso giorno, tutto a Khaim sta per cambiare – e la vita della sua famiglia sarà sconvolta per sempre.
Jaoz è un alchimista. Un tempo uno dei più facoltosi e ricercati orafi di Khaim, da più di dieci anni si è messo in testa di salvare la sua città e trovare un metodo alchemico per distruggere i rovi una volta per tutte. Ma tutti i suoi tentativi sono falliti. Oppresso dai debiti e dalla malattia della figlioletta Jiala, sa di non avere più molto tempo a disposizione, e metterà tutte le sue energie in un ultimo, disperato tentativo. Quello che non sa, è che anche se riuscisse, la sua scoperta potrebbe essere utilizzata in modi che non immagina…

Ogni volta che viene castato un incantesimo, da qualche parte nel mondo un coniglietto muore sbocciano rovi mortali: questa è la premessa dell’ambientazione condivisa di The Alchemist e The Executioness, due novellas scritte rispettivamente da Paolo Bacigalupi e Tobias Buckell in questo progetto collaborativo orchestrato da Subterranean Press. Entrambe le storie prendono le mosse da due persone normali, due abitanti della città di Khaim – la figlia del boia e l’alchimista – quando la loro vita e quella dei loro cari viene completamente sconvolta. Nonostante qualche richiamo reciproco, i due libri sono del tutto indipendenti, e possono quindi essere letti in qualunque ordine si voglia.
Di solito sono scettico delle collaborazioni, e me ne tengo alla larga. Cosa mi ha fatto cambiare idea questa volta? Primo, la presenza di Bacigalupi, uno scrittore davvero bravo che ho amato per The Windup Girl (mentre non posso dire lo stesso di Buckell, un tizio ignoto che è famoso soprattutto per i suoi libri sul franchise di Halo); secondo, e più importante, questa ambientazione condivisa sembrava offrire una visione della magia diversa dal solito. Se molti autori di fantasy medievaleggiante cercano di limitare lo strapotere della magia circoscrivendone l’uso a pochi individui e poche occasioni, in The Alchemist e The Executioness la logica è quella opposta: proprio perché la magia è diffusa e alla portata di tutti, e quindi tutti ne abusano, la civiltà rischia di essere spazzata via.
Ai fini della mia ricerca sui sistemi magici, di cui vi ho parlato nello scorso articolo, in questa Bonus Track mi concentrerò in primo luogo sul modo in cui è concepita la magia e solo in seconda battuta sulla qualità complessiva dei romanzi.

Magic Bramble Creeper

Le infestazioni di rovi magici possono essere davvero terribili.

Uno sguardo approfondito
Abbiamo visto nello scorso articolo che la magia, pur avendo sempre un ruolo fondamentale per il worldbuilding (nelle storie in cui esiste), può avere diversi gradi di importanza per le storie particolari che andiamo a raccontare – per il destino dei nostri protagonisti e personaggi pov. Nel caso di queste due novellas, non soltanto la magia è il motore della storia – Tana è la figlia del boia incaricato di giustiziare chi viene scoperto a usare la magia, Jaoz ha dedicato alla sua vita a combattere i rovi magici – ma è anche il fulcro di un affascinante moral play. Lanciare magie è sbagliato, certo. Ma se tua figlia sta male? Se quando tossisce sputa sangue? Se fosse in pericolo di vita, e un piccolo incantesimo potesse regalarle mesi di vita, non sareste disposti a farlo, anche se questo dovesse significare che da qualche parte – nel cortile del vostro vicino, nei campi della città o persino in una contrada lontano – spunta qualche nuovo rovo?
E’ ciò che si chiede Jaoz in uno dei primi capitoli di The Alchemist, quando guarda la sua figlioletta peggiorare di giorno in giorno:

I avoided using magic for as long as possible, but Jiala’s cough worsened, digging deeper into her lungs. And it was only a small magic. Just enough spelling to keep her alive. To close the rents in her little lungs, and stop the blood from spackling her lips. Perhaps a sprig of bramble would sprout in some farmer’s field as a result, fertilized by the power released into the air, but really it was such a small magic, and Jiala’s need was too great to ignore.

Ricordate però cosa vi dicevano da piccoli, quando buttavate una cartaccia per terra? “Certo, quella carta non è niente, ma se tutti facessero così…”. E questa è proprio l’impasse che vivono gli abitanti di Khaim. Tutti sanno che non si può fare a meno della magia, ma che al tempo stesso non si può lasciare impunito chi sia scoperto a farlo. Dov’è il punto in cui bisogna sacrificare il bene individuale per quello comune? Chi ha ragione, e chi ha torto?

La magia è integrata in modo elegante nell’ambientazione. Mentre va alla sua prima esecuzione, Tana si imbatte in una sorta di pompieri al contrario: uomini del Sindaco che, vestiti di pelle da capo a piedi – per evitare di entrare in contatto con le letali spine dei rovi – vanno in giro bruciando le radici che ogni giorno spuntano nei giardini o nelle crepe della strada. Ma quando un rovo brucia, delle piccole sacche contenute nella corteccia esplodono, liberando piogge di nuovi semi che finiscono ovunque e presto germoglieranno nuovi rovi. Per questo i bambini di strada, e i poveri che non hanno più niente – e tra questi Jiala, la figlia di Jaoz – possono essere visti passare le giornate a prendere i semi e metterle in appositi sacchetti. Ogni cento semi raccolti, il comune darà loro una moneta di rame.
Ma questo continuo bruciare e raccogliere della povera gente è come il mito di Sisifo: una fatica inutile e frustrante. Perché ogni giorni i rovi rispuntano, più robusti e più ramificati di prima, resi più forti dalle tante piccole magie che, con l’odore speziato che liberano nell’aria, vengono lanciate ogni giorno nel buio delle cantine o in mezzo ai campi nelle notti senza luna. I rovi stessi sono mostrati con efficacia e suscitano angoscia: in un passaggio, Bacigalupi indugia sulle minuscole spine attaccate a ogni singolo ramo, spine vive che si contorcono come vermi, e sono pronte ad attaccartisi alla pelle al minimo contatto e a liberare il loro veleno mortale. Il risultato è uno strana mescolanza di atmosfere alla Jack Vance – con queste città dal sapore mediterraneo e rinascimentale, la magia alla portata di tutti, l’indulgere sulla vita urbana e dei mercanti piuttosto che sul mondo feudale – e di una sottile angoscia sovrannaturale.

Sleeping beauty hipster

Delle due storie, quella che davvero si focalizza sul funzionamento della magia (pur non scendendo mai troppo nel dettaglio) e lo scontro con i rovi è The Alchemist. The Executioness, purtroppo, dopo un inizio molto promettente, centrato sul senso di colpa della protagonista nell’essere costretta a uccidere persone per crimini che hanno compiuto senza avere altra scelta, prende una via completamente diversa – diventando una quest di vendetta abbastanza classica. Con la scusa di avere una protagonista femminile che si trova a maneggiare un’ascia, la novella di Buckell diventa una storia – anche interessante – sul ruolo delle donne nella guerra.
La figlia del boia è una donna forte, abituata nella vita a sporcarsi le mani, a sgozzare maiali e a non piangere mai, ma Buckell riesce a evitare di cadere nei cliché del genere: a differenza della Nihal della Troisi, Tana sa di non poter vincere in un normale scontro fisico con un uomo, e quindi fonderà le sue strategie sugli attacchi a sorpresa, sui bluff, sul costruirsi una reputazione sovrannaturale. Alcune battaglie, e soprattutto gli scontri campali, mi sono suonati un po’ inverosimili, ma non sono abbastanza esperto sull’argomento per giudicare, e in ogni caso questi momenti sono raccontati da Buckell con troppa fretta, e troppo poco mostrato, per poterli visualizzare bene. In ogni caso, pur non essendo priva di punti di interesse, la direzione presa da The Executioness la allontana dal tema centrale, ossia il moral play magico. Il problema dei rovi è presente ma distante, se ne parla molto ma lo si vede poco – in definitiva, mi pare un’occasione sprecata.

Più interessante è The Alchemist. In poche pagine riesce a mostrare con efficacia i rapporti tra i personaggi principali, e come questi siano determinati dalla lotta ai rovi: la disperazione dell’alchimista, costretto a vendere i suoi ultimi lussuosi mobili per finanziare un progetto che sembra sempre più votato al fallimento; il disprezzo di Pila, l’ultima delle sue serve, nel vederlo cadere ogni giorno di più nella povertà; il misto di affetto e rancore della piccola Jiala.
Bacigalupi è anche il migliore dei due nella prosa. Entrambe le storie sono scritte in prima persona col pov del protagonista – il che è un bene, considerate le dimensioni ridotte delle due novellas – ma se per Buckell questo diventa occasione (soprattutto nelle prime pagine) per una sfilza di infodump sull’ambientazione e il background dei suoi personaggi, Bacigalupi riesce a tenerli al minimo, e questi pochi a filtrarli in modo più naturale attraverso la voce del pov. Bacigalupi mostra molto di più, soprattutto nel mostrare il lancio di incantesimi o il funzionamento del suo balanthast alchemico, mentre Buckell si abbandona facilmente al raccontato e ai riassuntini di avvenimenti, specie nell’ultimo (e cruciale) capitolo. Anche nei momenti drammatici, lo stile del Jaoz di The Alchemist è venato di rassegnato umorismo, laddove tutto The Executioness è scritto in modo grave, serio, monocorde.
Purtroppo anche The Alchemist è ben lontano dalla perfezione. Pur essendo più focalizzato sul tema centrale dell’ambientazione, anche la storia di Jaoz prende nel tempo un’altra direzione – cosa succederebbe se la sua invenzione finisse nelle mani sbagliate? – e diventa una parabola sull’avidità umana, sull’ipocrisia e sui sogni (forse) spezzati. Tutta la sua storyline, inoltre, si fonda sul concetto di trovare una via d’uscita rispetto allo “scambio equivalente” tra magia e maledizione dei rovi: un meccanismo che by definition vanificherebbe il conflitto centrale della storia. Perché, Bacigalupi? Perché?

Nihal della Terra del Vento

The Executioness: still better than Nihal.

Questa collaborazione Buckell / Bacigalupi mi lascia dunque due sapori contrastanti in bocca. Da una parte, riescono nell’intento di creare un mondo vasto e credibile, che sembra molto più grande della singola storia raccontata e pare vivere di vita propria oltre le pagine. Dall’altro, in queste due storie non accade niente di memorabile, non ci sono personaggi particolarmente memorabili, un conceptual breakthrough o un’epicità di fondo; entrambe le storie sanno di incompiuto, di potenziale sprecato, di inconcludenza. Quasi come se queste due novellas fossero un teaser da esibire su Kickstarter: “guardate di cosa siamo capaci, se volete il resto finanziate il nostro progetto”. Peccato che i due libri siano stati pubblicati nel 2011, e non si sia più visto niente: il progetto sembra, per il momento, concluso così.
Stando così le cose, non si chiude nessuno dei due libri davvero soddisfatti. Benché costino poco, non mi sento di consigliare nessuna delle due come lettura di puro piacere. Possono, però, essere interessanti come fonte di idee. Il meccanismo della magia e i conflitti morali che genera è affascinante e reso molto bene, e soprattutto si apre a decine e decine di possibilità non sfruttate. In caso siate interessati, ovviamente il mio consiglio è di partire da The Alchemist, ed eventualmente – in caso rimaniate piacevolmente colpiti – provare anche The Executioness. Posso solo sperare che da questo worldbuilding nasca un giorno qualcosa di più corposo.

Dove si trovano?
Entrambe le novellas possono essere scaricate in lingua originale da Library Genesis (qui il link per il download diretto dell’ePub di The Alchemist, qui invece l’ePub di The Executioness): ringrazio Mikecas per questa informazione.
In alternativa, e se volete premiare gli autori, potete comprarli su Amazon – il prezzo è davvero da fame: 1,99 Euro sia per The Alchemist che per The Executioness. Esiste anche un’audio-book che raccoglie entrambe le storie, ma costa un’enormità e non ha veramente senso per noi italiani.

Full Metal Alchemist meme

Alchimia: non funziona proprio così.

Qualche estratto
Ho scelto un brano per ciascuna delle due novellas, in momenti di conflitto all’inizio delle rispettive storie. In The Executioness, vedremo la protagonista Tana, camuffata nella divisa di suo padre, alle prese con la sua prima esecuzione. L’estratto da The Alchemist ci mostrerà invece l’alchimista Jaoz nel momento in cui sarà costretto a fare la cosa che più odia al mondo: lanciare una magia per salvare la vita della figlia.

1.
 I let the axe fall.
It swung toward the vulnerable nape of the man’s neck as if the blade knew what it was doing.
And then the man shifted, ever so slightly.
I twisted the handle to compensate, just a twitch to guide the blade, and the curving edge of the axe buried itself in the man’s back at an angle on the right. It sank into shoulder meat and fetched up against bone with a sickening crunch.
It had all gone wrong.
Blood flew back up the handle, across my hands, and splattered against my leather apron.
The man screamed. He thrashed in the chains, a tortured animal, almost jerking the axe out of my blood-slippery hands.
“Gods, gods, gods,” I said, terrified and sick. I yanked the axe free. Blood gushed down the man’s back and he screamed even louder.
The crowd stared. Anonymous oval faces, hardly blinking.
I raised the axe quickly, and brought it right back down on him. It bit deep into his upper left arm, and I had to push against his body with my foot to lever it free. He screamed like a dying animal, and I was crying as I raised the axe yet again.
“Borzai will surely consider this before he sends you to your hall,” I said, my voice scratchy and loud inside the hood. I took a deep breath and counted to three.
I would not miss again. I would not torture this dying man any more.
I must imagine I am only chopping wood, I thought.
I let the axe fall once again. I let it guide itself, looking at where it needed to be at the end of the stroke.
The blade struck the man’s neck, cleaved right through it, and buried itself in the wooden platform below.
The screaming stopped.
My breath tasted of sick. I was panting, and terrified as the Mayor approached me. He leaned close, and I braced for some form of punishment for doing such a horrible thing.
“Well done!” the Mayor said. “Well done indeed. What a show, what a piece of butchery! The point has well been made!”

2.
Jiala and I sat in the corner of my workshop, amidst the blankets where she now slept near the fire, the only warm room I had left, and I used the scribbled notes from the book of Majister Arun to make magic.
His pen was clear, even if he was long gone to the Executioner’s axe. His ideas on vellum. His hand reaching across time. His past carrying into our future through the wonders of ink. Rosemary and pkana flower and licorice root, and the deep soothing cream of goat’s milk. Powdered together, the yellow pkana flower’s petals all crackling like fire as they touched the milk. Sending up a smoke of dreams.
And then with my ring finger, long missing all three gold rings of marriage, I touched the paste to Jiala’s forehead, between the thick dark hairs of her eyebrows. And then, pulling down her blouse, another at her sternum, at the center of her lungs. The pkana’s yellow mark pulsed on her skin, seeming wont to ignite.
As we worked this little magic, I imagined the great majisters of Jhandpara healing crowds from their arched balconies. It was said that people came for miles to be healed. They used the stuff of magic wildly, then.
“Papa, you mustn’t.” Jiala whispered. Another cough caught her, jerking her forward and reaching deep, squeezing her lungs as the strongman squeezes a pomegranate to watch red blood run between his fingers.
“Of course I must,” I answered. “Now be quiet.”
“They will catch you, though. The smell of it—”
“Shhhh.”
And then I read the ancient words of Majister Arun, sounding out the language that could never be recalled after it was spoken. Consonants burned my tongue as it tapped those words of power. The power of ancients. The dream of Jhandpara.
The sulphur smell of magic filled the room, and now round vowels of healing tumbled from my lips, spinning like pin wheels, finding their targets in the yellow paste of my fingerprints.
The magic burrowed into Jiala, and then it was gone. The pkana flower paste took on a greenish tinge as it was used up, and the room filled completely with the smoke of power unleashed. Astonishing power, all around, and only a little effort and a few words to bind it to us. Magic. The power to do anything. Destroy an empire, even.
I cracked open the shutters, and peered out onto the black cobbled streets. No one was outside, and I fanned the room quickly, clearing the stench of magic.
“Papa. What if they catch you?”
“They won’t.” I smiled. “This is a small magic. Not some great bridge-building project. Not even a spell of fertility. Your lungs hold small wounds. No one will ever know. And I will perfect the balanthast soon. And then no one will ever have to hold back with these small magics ever again. All will be well.”

Tabella riassuntiva

Il sistema magico è semplice ed elegante. Entrambe le storie tendono ad andare fuori tema.
Angoscioso moral play tra bene individuale e bene comune. Infodump e raccontato a pioggia, specie in The Executioness.
Ambientazione vasta, viva e coerente. Il progetto lascia un senso di incompiutezza.
Spunti interessanti ma niente di memorabile.

I Consigli del Lunedì #38: The Dancers at the End of Time

The Dancers at the End of TimeAutore: Michael Moorcock
Titolo italiano: I danzatori alla fine del tempo
Genere: Fantasy / Dying Earth / Commedia
Tipo: Romanzo (Trilogia)

Anno: 1972-1976 / 1993
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 670 ca.

Difficoltà in inglese: ***

The cycle of our Earth (indeed, our universe, if the truth had been known) was nearing its end, and the human race had at last ceased to take itself seriously…

Può esistere l’amore alla Fine del Tempo? Jherek Carnelian crede di sì.
Miliardi di anni nel futuro, quando il sole è ormai consumato e la Terra si avvicina alla fine della sua vita, gli esseri umani sono ormai diventati simili a dèi. Gli anelli che hanno alle dita permettono, con il più piccolo dei movimenti, di comporre e disgregare la materia a piacimento, così che in un secondo possono fare o disfare palazzi, città, interi continenti, esseri viventi. Non conoscono il dolore né la malattia, e possono vivere in eterno; perciò passano la vita a divertirsi, correndo da un party all’altro, creando capolavori di bellezza e scambiandosi complimenti.
Jherek Carnelian, l’ultimo essere umano ad essere nato da un ventre materno, è un’esteta, ammirato da tutti per il buongusto delle sue creazioni e delle sue maniere. E quando un bel giorno, durante un party, appare dal nulla una viaggiatrice del tempo venuta dalla Londra di fine ‘800, Jherek decide di innamorarsene e vivere una bellissima storia d’amore. Ma Mrs. Underwood è una donna di sani principi, e farà di tutto per resistere alle tentazioni e tornare nella sua epoca. E mentre Jherek si lancia attraverso il tempo e lo spazio per coronare il suo impossibile sogno d’amore, si avvicina il giorno della morte dell’intero Universo… Quella tra Jherek e Amelia Underwood potrebbe anche essere l’ultima delle storie d’amore.

Anelli dai poteri illimitati, viaggi nel tempo, banditi spaziali, inseguimenti, galassie che esplodono, intrighi diabolici che si dipanano lungo milioni di anni: The Dancers at the End of Time è una commedia d’avventura che non può essere presa sul serio. La Gollancz l’ha pubblicata negli SF Masterworks, ma anche se si maschera dietro il gergo della fantascienza l’opera di Michael Moorcock è un Fantasy spensierato. Ciò che mi ha incuriosito e affascinato da subito è il soggetto: esseri semidivini che riprendono l’atteggiamento decadente dei dandy fine-ottocenteschi alla Oscar Wilde, i cui unici timori sono la noia e il cattivo gusto.
The Dancers at the End of Time si presenta come una trilogia – composta da An Alien Heat, The Hollow Lands e The End of All Songs – ma a conti fatti è un’unico romanzo diviso in tre parti; ogni libro comincia dove finiva il precedente, ed elementi e subplot introdotti nel primo libro trovano risoluzione nel terzo. Nel complesso, seguiamo le avventure di Jherek e Amelia Underwood per quasi 700 pagine. La grande domanda con cui avevo avvicinato il romanzo era quindi: come farà l’autore ad acchiappare e mantenere l’interesse del lettore, con protagonisti virtualmente invincibili e un mondo senza conflitti?

I'm Bored

Pure gli abitanti della Fine del Tempo hanno i loro problemi.

Uno sguardo approfondito
I romanzi di Moorcock si possono dividere in due filoni. Ci sono quelli “seri”, drammatici, come Behold the Man o Gloriana (entrambi dei quali hanno un Consiglio dedicato su questo blog) o Mother London: romanzi ben strutturati, con un tema subito riconoscibile e una trama che si dipana in una catena di cause ed effetti. E poi ci sono le minchiate sword&sorcery, come i cicli di Elric, o Corum, o del Nomade del Tempo (The Warlord of the Air e seguiti): serie di episodi più o meno scollegati, che spesso nascevano come racconti autonomi sulle rivistacce di fantascienza e fantasy dell’epoca. Anche la qualità della scrittura era ben diversa. Benché Moorcock non sia mai stato un grande prosatore, i primi erano più curati, mentre i secondi paiono seguire la filosofia del “buona la prima”.
The Dancers at the End of Time è una via di mezzo tra i due filoni. Come le opere della seconda categoria, è scritto abbastanza da cani. La storia è raccontata da un narratore onnisciente, che per la maggior parte del tempo sta alle spalle o nella testa di Jherek, ma di tanto in tanto non si fa problemi a zoommare su altri personaggi, a fare commenti sull’ingenuità, o a parlarci di cose che esplicitamente il personaggio non vede o non nota. I sentimenti dei personaggi sono spesso raccontati, invece che mostrati attraverso le loro azioni. Quando Moorcock non ha voglia di scrivere una scena, ricorre ai riassuntoni e persino a lunghi discorsi indiretti. Interi episodi che vengono anticipati al lettore, e che ci si aspetterebbe sarebbero mostrati in ogni dettaglio, vengono invece risolti fuori scena e spiegati in due righe in maniera del tutto anticlimatica. Ecco ad esempio come vengono trattati i primi appuntamenti amorosi tra Jherek e Amelia: “They explored the world in his locomotive. They went for drives in a horse-drawn carriage. They punted on a river which Jherek made for her”. Pretty lame, huh?

Anche dal punto di vista della struttura, The Dancers at the End of Time ricorda le storie pulp di Elric o Corum. La storia si sviluppa come una serie di episodi autoconclusivi, retti dal tema centrale della quest amorosa di Jherek per conquistare il cuore della bellissima viaggiatrice del tempo: prima Jherek deve scoprire dove si trova; una volta scoperto, dovrà trovare il modo di sottrarla all’uomo che la tiene prigioniera; una volta riscattata, deve riuscire a farla innamorare di sé; e così via, un ostacolo alla volta. E in generale, ho avuto più volte l’impressione che Moorcock sviluppasse la trama man mano che scriveva e gli venivano in mente le cose, senza un vero piano generale
Al contempo, però, diversamente dal filone sword&sorcery, si ha la sensazione ci una certa unitarietà della storia, e che la trama stia andando da qualche parte. Nel corso della vicenda si aprono una serie di subplot che non vengono mai abbandonati, ma si riaffacciano periodicamente e alla fine trovano una conclusione. All’inizio del primo libro, un buffo alieno arriva sulla Terra dai recessi della galassia per annunciare che si sono palesati i segni dell’imminente fine dell’Universo, dopodiché il tema è accantonato. Ma nel terzo libro la fine dell’Universo arriva davvero e i protagonisti dovranno affrontarla.

Big Crunch

A sinistra, il Big Crunch secondo la moderna cosmologia. A destra, il Big Crunch secondo JFK.

Il vero piacere di leggere The Dancers of the End of Time sta nel godersi le trovate e l’ambientazione fuori dal mondo di Moorcock. Gli abitanti della Fine del Tempo sono personaggi buffissimi, talmente abituati a vivere senza rischi o bisogni da essere mentalmente dei bambini: ogni volta che vogliono cambiano sesso, razza, forma, carattere. Non temono neanche la morte, dato che se accidentalmente vengono ammazzati possono essere resuscitati con uno schicco di dita. E’ divertente anche soffermarsi sulla loro immoralità. Affascinati come sono da ogni cosa esotica, amano collezionare alieni e viaggiatori nel tempo, per cui si divertono a catturare tutti quelli che trovano e a imprigionarli nelle loro menagerìe – dei veri e propri harem di schiavi. Ma loro non si accorgono di star facendo qualcosa di orribile; non si sono neanche posti il problema.
I personaggi sono adorabili. L’Orchidea di Ferro, la madre di Jherek, è una donna fine e volubile che ama dipingersi dei colori delle pietre più pure e ha concepito suo figlio con un perfetto sconosciuto per noia. Lord Mongrove è un gigante dal volto deforme che, per posa, passa il tempo ad autocommiserarsi e vive in un castello gotico munito di fulmini e pioggia eterna. E che dire dell’enigmatico Lord Jagged di Canaria, che veste sempre di giallo e non perde mai il suo sorriso beffardo, o del Duca di Queens, famoso per il suo cattivo gusto, o di Mistress Christia, la Concubina Eterna, o di Gaf il Cavallo in Lacrime, o dei Lat, alieni con tre occhi a forma di pera che vivono per stuprare e distruggere. Il romanzo di Moorcock è una galleria di personaggi cretini.

Ma se i comprimari sono perlopiù delle macchiette bidimensionali, i protagonisti sono più sfaccettati e capaci di una certa evoluzione nel tempo. La trasformazione più forte la vediamo in Amelia, che parte come lo stereotipo della donna vittoriana della piccola borghesia, tutto rispettabilità e “cosa penseranno i vicini” ed “esportiamo la civiltà britannica attraverso il tempo e lo spazio”, per poi essere davvero cambiata dagli eventi e diventare qualcosa di diverso alla fine della trilogia. E Jherek, che conosciamo come un dandy perfettamente a suo agio nel proprio mondo, sarà di colpo un fanciullo inerme quando finirà in un’altra epoca, dove i suoi anelli non funzionano.
Anche se i toni della commedia scanzonata sono il mood prevalente del romanzo, Moorcock sa toccare anche altre corde, e in alcuni momenti l’atmosfera diventa seria, o addirittura drammatica, o lirica e romantica. Stesso discorso per il genere: nel corso delle quasi 700 pagine di Dancers, si passa dal romanzaccio d’avventura alla storia d’amore, dal vaudeville alle piccole miserie della vita coniugale, passando per la commedia da salotto.

Vaudeville

Vaudeville. Una roba di questo genere.

Quel che è più importante, The Dancers at the End of Time non si prende mai sul serio. Sa di essere una mezza minchiata, ma vuole esserlo nel modo più appassionante possibile. Non è certo un capolavoro, sia perché è scritto un po’ alla cazzo, sia perché quando si chiude il libro non si ha una nuova visione del mondo né si ha scoperto una grande verità. E’ un romanzo di intrattenimento, puro e semplice, che però riesce a esserlo in modo intelligente, non banale, e fantasioso. Ed è un romanzo dal ritmo serrato, in cui succedono sempre cose e c’è sempre un motivo per andare avanti, e difficilmente ci si annoia. Alcuni dialoghi sono veramente deliranti, e mi è capitato una volta di scoppiare a ridere come un deficiente mentre ero in tram (e non è una cosa che mi capiti spesso). Chissà cos’avranno pensato le vecchiette.
Per gli appassionati dell’ambientazione condivisa moorcockiana del Campione Eterno (che io ho sempre trovato cretina, ma c’è a chi piace), l’opera non manca di lanciare riferimenti e strizzate d’occhio. Ritroviamo Oswald Bastable di The Warlord of the Air, Una Persson del ciclo di Jerry Cornelius, pure la macchina del tempo di Karl Glogauer di Behold the Man (e Glogauer stesso fa una breve apparizione). Né, visto l’elemento vittoriano, possono mancare citazioni de La macchina del tempo, e Wells stesso fa un cameo.

Jherek Carnelian è il fanciullo ingenuo e spontaneo di Rousseau, non conosce il dovere né il dolore. Ma la sua quest per trovare l’amore lo porterà a scoprire cos’è la moralità, la virtù, la colpa, il dubbio, il rimpianto, e la felicità. La sua sarà veramente l’ultima storia d’amore alla fine del Tempo?

Dove si trova?
The Dancers at the End of Time si può scaricare in lingua originale su Bookfinder (formati mobi ed ePub) e su Library Genesis (solo mobi); in italiano non l’ho trovato.

Are we human or are we dancer

Un romanzo che si pone domande importanti.

Qualche estratto
Ho scelto due brani il più possibile diversi. Il primo, tratto dal primissimo capitolo della trilogia, mostra una conversazione tra Jherek e sua madre, l’Orchidea di Ferro: Jherek, che si sta appassionando di letteratura vittoriana, vuole imparare ad essere ‘virtuoso’ ma non è sicuro di aver afferrato il significato. Intanto sua madre rievoca cose divertenti che hanno fatto (tra cui scatenare un olocausto nucleare). L’altro, tratto dal secondo libro, è un dialogo davanti a una tazza di tè tra Jherek e Howard Underwood, rispettabile borghese dell’Inghilterra del 1896, che col suo crescendo di assurdità e conflitto mi ha fatto rotolare per terra dal ridere.

1.
Jherek went to sit with his back against the bole of the aspidistra. “And now, lovely Iron Orchid, tell me what you have been doing.”
She looked up at him, her eyes shining. “I’ve been making babies, dearest. Hundreds of them!” She giggled. “I couldn’t stop. Cherubs, mainly. I built a little aviary for them, too. And I made them trumpets to blow and harps to pluck and I composed the sweetest music you ever heard. And they played it!”
“I should like to hear it.”
“What a shame.” She was genuinely upset that she had not thought of him, her favourite, her only real son. “I’m making microscopes now. And gardens, of course, to go with them. And tiny beasts. But perhaps I’ll do the cherubs again some day. And you shall hear them, then.”
“If I am not being ‘virtuous,’ ” he said archly.
“Ah, now I begin to understand the meaning. If you have an impulse to do something — you do the opposite. You want to be a man, so you become a woman. You wish to fly somewhere, so you go underground. You wish to drink, but instead you emit fluid. And so on. Yes, that’s splendid. You’ll set a fashion, mark my words. In a month, blood of my blood, everyone will be virtuous. And what shall we do then? Is there anything else? Tell me!”
“Yes. We could be ‘evil’ — or ‘modest’ — or ‘lazy’ — or ‘poor’ — or, oh, I don’t know — ‘worthy.’ There’s hundreds.”
“And you would tell us how to be it?”
“Well…” He frowned. “I still have to work out exactly what’s involved. But by that time I should know a little more.”
“We’ll all be grateful to you. I remember when you taught us Lunar Cannibals. And Swimming. And — what was it — Flags?”
“I enjoyed Flags,” he said. “Particularly when My Lady Charlotina made that delicious one which covered the whole of the western hemisphere. In metal cloth the thickness of an ant’s web. Do you remember how we laughed when it fell on us?”
“Oh, yes!” She clapped her hands. “Then Lord Jagged built a Flag Pole on which to fly it and the pole melted so we each made a Niagara to see who could do the biggest and used up every drop of water and had to make a whole new batch and you went round and round in a cloud raining on everyone, even on Mongrove. And Mongrove dug himself an underground Hell, with devils and everything, out of that book the time-traveller brought us, and he set fire to Bulio Himmler’s ‘Bunkerworld 2’ which he didn’t know was right next door to him and Bulio was so upset he kept dropping atom bombs on Mongrove’s Hell, not knowing that he was supplying Mongrove with all the heat he needed!”
They laughed heartily.
“Was it really three hundred years ago?” said Jherek nostalgically.

Nope, Still Bored

2.
A silence followed. He was handed a tea-cup.
“What do you think?” Mr. Underwood had become quite animated as he watched Jherek sip.
“There are those who shun the use of tea, claiming that it is a stimulant we can well do without.” He smiled bleakly. “But I’m afraid we should not be human if we did not have our little sins, eh? Is it good, Mr. Carnelian?”
“Very nice,” said Jherek. “Actually, I have had it before. But we called it something different. A longer name. What was it, Mrs. Underwood?”
“How should I know, Mr. Carnelian.” She spoke lightly, but she was glaring at him.
“Lap something,” said Jherek. “Sou something.”
“Lap-san-sou-chong! Ah, yes. A great favourite of yours, my dear, is it not? China tea.”
“There!” said Jherek beaming by way of confirmation.
“You have met my wife before, Mr. Carnelian?”
“As children,” said Mrs. Underwood. “I explained it to you, Harold.”
“You surely were not given tea to drink as children?”
“Of course not,” she replied.
“Children?” Jherek’s mind had been on other things, but now he brightened. “Children? Do you plan to have any children, Mr. Underwood?”
“Unfortunately.” Mr. Underwood cleared his throat. “We have not so far been blessed…”
“Something wrong?”
“Ah, no…”
“Perhaps you haven’t got the hang of making them by the straightforward old-fashioned method? I must admit it took me a while to work it out. You know,” Jherek turned to make sure that Mrs.Underwood was included in the conversation, “finding what goes in where and so forth!”
“Nnng,” said Mrs. Underwood.
“Good heavens!” Mr. Underwood still had his tea-cup poised half-way to his lips. For the first time, since he had entered the room, his eyes seemed to live.
Jherek’s body shook with laughter. “It involved a lot of research. My mother, the Iron Orchid, explained what she knew and, in the long run, when we had pooled the information, was able to give me quite a lot of practical experience. She has always been interested in new ideas for love-making. She told me that while genuine sperm had been used in my conception, otherwise the older method had not been adhered to. Once she got the thing worked out, however (and it involved some minor biological transformations) she told me that she had rarely enjoyed love-making in the conventional ways more. Is anything the matter, Mr. Underwood? Mrs. Underwood?”
“Sir,” said Mr. Underwood, addressing Jherek with cool reluctance, “I believe you to be mad. In charity, I must assume that you and your brother are cursed with that same disease of the brain which sent him to the gallows.”
[…] Mrs. Underwood, breathing heavily, sat down suddenly upon the rug, while Maude Emily had her lips together, had gone very red in the face, and was making strange, strangled noises.
“Why did you come here? Oh, why did you come here?” murmured Mrs. Underwood from the floor.
“Because I love you, as you know,” explained Jherek patiently. “You see, Mr. Underwood,” he began confidentially, “I wish to take Mrs. Underwood away with me.”
“Indeed?” Mr. Underwood presented to Jherek a peculiarly glassy and crooked grin. “And what, might I ask, do you intend to offer my wife, Mr. Carnelian?”
“Offer? Gifts? Yes, well,” again he felt in his pockets but again could find nothing but the deceptor-gun. He drew it out. “This?”
Mr. Underwood flung his hands into the air.

Tabella riassuntiva

Una commedia assurda e iperbolica ambientata alla Fine del Tempo. Struttura della trama molto episodica, poco “da romanzo”.
Fantasia scatenata e ritmo serrato. Moorcock scrive da cani.
Un romanzo d’avventura fantasy che è anche una storia d’amore. Difficile “immergersi” in un mondo così cretino ed esagerato.

E adesso, cosa leggerà il Tapiro?

TapiroulantMi trovo, in questo periodo, ad aver scaricato un bel po’ di roba da leggere, ma di non sapere da cosa cominciare. Per cui ho pensato di coinvolgere i lettori del blog in un simpatico giuoco: cosa volete che legga?
Più volte mi è capitato che mi chiedeste un parere su qualcosa che non avevo letto. Questa è la vostra occasione per convincermi a leggere qualcosa che a voi è piaciuto e sul quale volete conoscere la mia opinione; o qualcosa che non sapete se valga la pena leggere, e volete che sia io a fare la prova; o qualcosa che non avvicinereste mai neanche con un bastone ma che cionondimeno vi tormenta nei vostri sogni; eccetera. Ho aperto un sondaggio (il box è nella colonna destra, sotto il bel faccino del Colonnello Campbell) inserendo cinque categorie o sottogeneri del fantastico che mi stuzzicano al momento – Cyberpunk, New Weird, Sword & Sorcery, New Wave, Sci-fi contemporanea – più un generico “Altro”. Se tra i libri di queste categorie leggerò qualcosa di mio particolare gradimento, potrebbero scapparci articoli e, perché no, Consigli del Lunedì.
Il sondaggio ha valore consultivo, nel senso che sono curioso di sapere la vostra opinione e i vostri gusti, ma poi faccio quello che mi pare. Inoltre, i pareri motivati hanno un potere persuasivo svariate volte maggiori di un semplice numero statistico: perciò, se volete convincermi, accompagnate sempre il vostro voto con un commento! Infine, potete scegliere una sola categoria: non vale dire “ti consiglierei il cyberpunk ma anche il new weird non è male, e non tralasciamo la buona vecchia sword & sorcery”.

Qui di seguito, ecco un breve commento a ciascuna delle cinque categorie. Ogni sezione è accompagnata da un elenco di autori che ho particolarmente voglia di leggere. Ricordatevi, se non conoscete bene i sottogeneri o i suoi autori, di seguire i link e informarvi un attimo prima di votare.

Ragazza con piovra

Tra le cinque, non ho inserito la categoria "Hentai tentacolare". D'altronde non ho bisogno dei vostri voti per andare a guardarmeli.

Cyberpunk.
Mi è stato chiesto spesso se avessi mai letto del cyberpunk e cosa ne pensassi di questo o quell’altro romanzo. Beh, ecco la vostra occasione di convincermi; in questa categoria ho inserito tanto autori del cyberpunk prima maniera (cupo e distopico) tanto quello più light degli ultimi anni (da alcuni chiamato post-cyberpunk).
Tra gli autori che mi incuriosiscono:
William Gibson: la trilogia dello Sprawl (Neuromancer, Count Zero, Mona Lisa Overdrive) e la trilogia del Ponte (Virtual Light, Idoru, All Tomorrow’s Parties).
Bruce Sterling: Schismatrix, Islands in the Net, Heavy Weather.
Neal Stephenson: Snow Crash, The Diamond Age. Di Stephenson a dire il vero mi incuriosiscono anche i lavori non legati al Cyberpunk, come Cryptonomicon e il Baroque Cycle.

New Weird.
A parte la Bizarro Fiction, il New Weird mi sembra oggi il filone più vitale del Fantasy. Se non ho capito male, l’ambizione del New Weird è creare mondi estremamente fantasiosi e curati, ma al contempo estremamente coerenti.
Tra gli autori che mi incuriosiscono:
Jeff VanderMeer: City of Saints & Madmen, Veniss Underground, Finch (quest’ultimo recensito qui da Gamberetta, che ha una moderata adorazione per il panzone olandese).
China Mieville: la trilogia di Bas-Lag (Perdido Street Station, The Scar, The Iron Council), The City & The City, Embassytown.
Mary Gentle: Rats and Gargoyles, Ash: A Secret History. In realtà non ho capito se la Gentle sia New Weird o meno, ma VanderMeer la mette in lista, e nel dubbio mettiamocela anche noi!
Felix Gilman: Thunderer, The Half-Made World (quest’ultimo recensito da Gamberetta in questo articolo).

New Wave.
Con “fantascienza New Wave” si intende una serie di opere sci-fi uscite negli anni ’60 e ’70 che si distinguevano per una maggior cura stilistica (fino a deteriori eccessi da Literary Fiction) e una maggiore attenzione a delineare psicologia dei personaggi e intreccio 1.
La New Wave è probabilmente la categoria in assoluto più rappresentata su questo blog, con scrittori come Dick, la LeGuin, Spinrad, Moorcock, Ballard, di cui ho parlato e tornerò a parlare ancora. Ma questo periodo ha prodotto tonnellate di narrativa di qualità, e ci sono ancora un sacco di autori che non ho esplorato e che mi piacerebbe assaggiare. Tra gli autori che mi incuriosiscono:
Samuel R. DelanyBabel-17, The Einstein Intersection, Nova, Dhalgren.
Thomas M. Disch: The Genocides, Camp Concentration, 334, On Wings of Songs, The Priest: A Gothic Romance.
Robert Silverberg: The World Inside, The Book of Skulls, Dying Inside, The Stochastic Man, Shadrach in the Furnace.
Frederik Pohl: The Space Merchants (con Cyril M. Kornbluth), Man Plus, Jem, Gateway.
Theodore Sturgeon: The Dreaming Jewels, More Than Human, The Cosmic Rape.
Christopher Priest: The Inverted World, The Space Machine (al quale accenna il Duca in questo articolo), The Affirmation, The Prestige.
E ancora, la famosissima antologia Dangerous Visions curata da Harlan Ellison, che un po’ mi vergogno di non avere ancora letto.

Harlan Ellison

Harlan Ellison dopo aver scoperto che non ho letto Dangerous Visions.

Sword & Sorcery.
Con Sword&Sorcery si intende un sottogenere del Fantasy che recupera l’ambientazione magica e pre-tecnologica dell’High Fantasy ma rinuncia ai pipponi epici in favore di trame più avventurose e scanzonate. In genere, ma non sempre, la Sword&Sorcery ha preso la forma di racconti o di storie a puntate autoconclusive. E’ il genere più simile a un moderno serial televisivo che abbia mai avvicinato. Sono ben conscio che il 90% del sottogenere (per fare una stima gentile) sia spazzatura, ma come ci insegna Alberello, anche a frugare in una discarica qualche tesoro lo si trova.
Tra gli autori che mi incuriosiscono:
Fritz Leiber: The Books of Lankhmar, che raccolgono le avventure di Fafhrd e del Gray Mouser.
Jack Vance: la trilogia di Lyonesse. Sempre di Vance, ho già letto la tetralogia Tales of the Dying Earth, di cui parlerò in futuro.
Poul Anderson: The Broken Sword, Three Hearts & Three Lions. In realtà di Anderson mi stuzzica un sacco anche la fantascienza (High Crusade, Tau Zero, Orion Shall Rise), ma quella la leggerò di sicuro qualunque cosa diciate!
Gene Wolfe: la tetralogia The Book of the New Sun, celebrata come capolavoro dagli scrittori più diversi (da Thomas Disch a Michael Swanwick).

Sci-fi contemporanea.
Nell’ultimo decennio e mezzo, sembra che la fantascienza abbia vissuto una nuova rinascita, soprattutto – ma non solo – nel campo dell’Hard SF e della Space Opera. Gli argomenti spaziano tra un rinnovato interesse per la conquista del Sistema Solare e dello spazio profondo, alle intelligenze artificiali, alla Rete e alle sue comunità, alle singolarità tecnologiche, al declino statunitense. Tra gli autori che mi incuriosiscono di più:
Greg Egan: Permutation City e la raccolta Oceanic.
Charles StrossSingularity Sky, Accelerando, Glasshouse, Halting State.
Ted Chiang: la raccolta Stories of Your Life and Others, il romanzo The Lifecycle of Software Objects (sì, sembra il titolo di un saggio ma è un romanzo!).
Paolo BacigalupiThe Windup Girl (di cui ha parlato anche Giobblin, in questo breve articolo), la raccolta Pump Six and Other Stories.
Cory Doctorow: Down and Out in the Magic Kingdom, Someone Comes to Town, Someone Leaves Town, o la raccolta A Place so Foreign and Eight More. Molti di voi forse lo conosceranno per il saggio Content e per il romanzo YA Little Brother, libri di cui Gamberetta ha parlato rispettivamente qui e qui.

E se avete altri sottogeneri che vi stimolano più di questi, votate “Altro” e parlatemene nei commenti^^
Nell’attesa di qualche risultato utile, torno ai miei Swanwick e Vance e ai miei saggi storici.

Discarica

Alberello va in vacanza.

(1) Faccio una precisazione. Generi e sottogeneri della narrativa sono, già di per sé, concetti un po’ fluide; le categorie “cronologiche” (come New Wave o Golden Age), poi, sono particolarmente imprecise, e bisogna prenderle con le pinze. E’ facile trovare opere che, pur essendo state scritte prima, sono pienamente New Wave (es. A Canticle for Leibowitz, del 1959), ed altre che, scritte in pieno periodo New Wave, in realtà sono più vicine allo spirito del periodo precedente (es. Ringworld, del 1970, o Rendezvous with Rama, del 1972).Torna su