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E quindi uscimmo a metter le stelline, o: consigli per gli acquisti

Stellina Super Mario“Tu quante stelline gli dai? Io tre e mezzo, max.”
“Quattro, dai…”
“Naaaah. Non arriva a quattro. Fight Club è da quattro, e questo non è all’altezza di Fight Club.”
“Be’, però era bello…”
“Sì, ma non da quattro stelline. Era bello da tre e mezzo.”
Lo so, è molto stupido. Sono in riabilitazione da anni. Ma ormai è diventata un’abitudine: quando usciamo dal cinema, la prima domanda dopo “piaciuto? / non piaciuto?” è “allora, secondo te quante stelline?”. Ce l’ha attaccata anni addietro la ragazza dell’epoca di un mio amico. La ragazza è uscita di scena, ma le stelline sono rimaste.
A quei tempi Amazon non era ancora arrivato in Italia, non avevo mai sentito parlare di Goodreads e Anobii muoveva i suoi primi passi. Le stelline erano quelle che si trovavano sulle mini-recensioni del Corriere, sulle rubriche prezzolate di D’Orrico e Genna, sui dizionari del cinema. Valevano quello che valevano, cioè niente. Ma riuscivano a muovere spettatori e lettori – o almeno, un certo tipo di spettatori e lettori con velleità intellettuali.
I lit-blog sono arrivati dopo.

Subito prima di Natale, il buon Taotor ha scritto un articolo sui lit-blogger in cui a un certo punto mi tirava anche in ballo. Con “lit-blog” – termine che mi fa abbastanza sorridere perché tenta di darsi importanza quando di importanza non ne ha – si intendono proprio gli spazi come Tapirullanza: blog (sia scritti, sia video-blog su Youtube) che si occupano di letteratura, e quindi, di norma, di recensioni di libri. Ci sono tanti tipi di lit-blogger: quelli che lo vivono solo come un hobby da condividere con gli altri e quelli che tentano di costruirci sopra una carriera; quelli che, come me, evitano contatti con le case editrici, e quelli che invece su questi contatti ci speculano sopra.
Conosco da tempo l’abitudine di alcuni blogger di farsi mandare gratis libri da qualche casa editrice per poi recensirli positivamente; almeno da quando, ancora nel 2008 o 2009, Gamberetta raccontava su Gamberi Fantasy delle offerte fattegli da questa o quell’altra, e da lei rifiutate perché evidentemente aveva l’ambizione di essere qualcosa di più di un leccaculo prezzolato. In genere funziona così: tu hai un blog in cui fai recensioni di libri, e ti sei ritagliato una nicchia di lettori che ti leggono e commentano. Un bel giorno ti arriva la mail di un PR di una casa editrice – di norma molto piccola, a meno che tu non muova davvero tante visite, e di certo non è il mio caso – che ti dice che ha visto il tuo blog, che è fatto molto bene, che le tue considerazioni sono acute e divertenti, che siete sulla stessa linea d’onda, e conclude chiedendoti se vorresti ricevere aggratis uno dei suoi libri appena usciti. La proposta, fate attenzione, è apparentemente non impegnativa: l’editore ti propone il libro e ti suggerisce che, se ti piace, potresti in caso scriverci una recensione positiva.

Gone Girl

“Quante stelline hai detto che mi dai scusa…?”

L’accordo di scambio rimane tacito, ma è molto evidente. Certo non ti stanno regalando un libro per altruismo. Il meccanismo che si innesca è riassunto molto bene da Taotor:

meccanismi psicologici elementari come la dissonanza cognitiva portano inevitabilmente a far parlare più o meno bene del prodotto. “Beh, me l’hanno regalato, come minimo ne parlo bene per ricambiare il favore”.

Anche a tenere a freno l’impulso emotivo e a ragionare a mente fredda sulla proposta fatta, è chiaro che non ci sono molte scappatoie. Mettiamo che accetto e che mi mandano il libro; se è bello tutto a posto, ma se fa cagare? Come reagisco? Potrei, in nome della mia etica di recensore, scriverne una recensione negativa: ma oltre a essere messo in difficoltà dal fatto che questo libro che sto cassando non l’ho comprato coi miei soldi ma me l’hanno regalato, è chiaro che romperò tutti i rapporti con l’editore. “Ma come, noi ti regaliamo un libro e tu ce lo stronchi?”.
Oppure potrei non recensirlo affatto. Ma in quel caso, dovrei accettare che ho buttato via il mio tempo: ho letto un libro che non mi è piaciuto e che probabilmente non avrei mai letto se non me l’avessero offerto, senza guadagnarci nulla. Nemmeno in termini di buone relazioni con l’editore, perché a che serve continuare a mandare libri gratis a uno che poi sta zitto e non te li recensisce?
Risultato:

Scorro i post, le recensioni dei romanzi ricevuti gratis non hanno valutazioni inferiori a 4/5. Che è come quando mi invitano a pranzo e se il pasto è insipido e mi chiedono com’è dico che ha un gusto delicato, se è salato dico che è molto saporito.

Dato che un blogger che riceve questi “regali” è portato o a fare una recensione positiva, o al massimo a non fare nessuna recensione, questo è l’unico tipo di recensioni che leggeremo. Ossia: articoli non attendibili per definizione. Per questo, pur essendo ad esempio in ottimi rapporti col Duca, non mi faccio mandare le uscite di Vaporteppa ma le compro io quando voglio io: non solo perché trovo giusto supportare economicamente il progetto, ma soprattutto per mantenere piena indipendenza in quello che faccio. Questo – unitamente a un metodo di valutazione il più oggettivo possibile – è l’unico approccio ragionevole per gestire un blog onesto e affidabile.

Pyramid Head Happiness

Ragionevolezza e affidabilità.

Di conseguenza la domanda diventa: come fare a trovare consigli di lettura attendibili, se non posso fidarmi di questa gente? La discussione è proseguita nei commenti, coinvolgendo anche la valutazione in stelline. Giustamente Angra nota che il sistema delle stelline è inutile: dato che il significato delle stelline è completamente arbitrario, quando andiamo a leggere “quante stelline” ha un libro o un film di fatto non acquisiamo alcuna informazione. Non sappiamo cosa significhino quelle stelline.
Se l’amico con cui sono andato al cinema mi dice che per lui Gone Girl merita quattro stelline, aldilà della stupidità della conversazione l’informazione può avere un valore: conosco il mio amico da tempo, so come valuta le cose, e il suo dirmi “quante stelline” può essere una sintesi efficiente del suo giudizio. Ma il recensore sconosciuto che dà 5 stelline alla nuova trilogia di VanderMeer su Amazon o Anobii o Goodreads potrebbe essere chiunque: uno di manica larga che dà 4 o 5 a tutti, uno che ha amato il libro alla follia perché in genere non va mai oltre il 3, uno scrittore agli esordi che spera di essere notato da VanderMeer con il suo giudizio positivo. Il libro di VanderMeer potrebbe essere il primo romanzo di science-fantasy che legge nella sua vita, e quindi tutto è nuovo e meraviglioso per lui; oppure potrebbe essere un navigato lettore di genere, e il romanzo un’effettiva ventata di novità e inventiva nel panorama del fantastico. Cercare qualcosa da leggere o regalare basandosi sulle stelline è chiaramente del tutto inutile.

Se però togliamo lit-blogger e stelline, come recuperare informazioni utili all’acquisto? Ho già scritto qui e là, in passato, dei metodi che adotto io; ma vale la pena riassumerli.
In una prima fase, bypasso completamente i giudizi di valore e vado per argomenti e autori. Ho voglia di bel low-fantasy di ambientazione storica, o una space opera nel Sistema Solare (la cosiddetta Near Future Space Opera), o di un urban fantasy con le fatine, o di una speculazione sulla terraformazione di Marte? I siti dove trovo le migliori informazioni di partenza sono quelli che aggregano liste ed elenchi, come Worlds Without End: dalle nomination ai vari premi di fantasy e fantascienza, a tutte le uscite di collane antologiche come i Masterworks della Gollancz, c’è una miniera di dati su cui lavorare. Una mano ce lo dà anche il sistema di profilatura degli store e dei social: il “chi ha acquistato questo articolo ha acquistato anche…” di Amazon, o il “I tuoi amici hanno giocato anche a…” di Steam, è una delle migliori idee commerciali degli ultimi anni.1

Meanwhile at Valve

Cercare per autore è forse la cosa più utile in assoluto. Ogni autore ha una sua area di expertise in cui tenderà a tornare nei suoi vari romanzi, e se mi piace uno dei suoi libri è facile che mi piaceranno anche gli altri. Paolo Bagicalupi è specializzato in fantascienza sui disastri ecologici e le loro conseguenze, e di recente, sulla scia di Cory Doctorow (Little Brother, Homeland), si è dato allo Young Adult intelligente. Charles Stross scrive soprattutto speculazioni near-future, in particolare su sistemi informatici e intelligenze artificiali. VanderMeer scrive urban fantasy e science-fantasy con un approccio più vicino alla literary fiction e al realismo magico, che non alla narrativa di genere. Catherynne Valente (Palimpsest, la serie di Fairyland) scrive fiabe surreali ed è pesantemente literary.
Cercare per autore significa una distinzione non solo in termini di contenuti, ma anche in termini di prosa. So ad esempio che VanderMeer, di norma, è introspettivo, lento come la fame e depressivo; Lauren Beukes invece (Moxyland, Zoo City) è pop, ruvida, tutta azione; Stross scrive da uber-nerd e a volte è al limite dell’illeggibile. A seconda di che tipo di prosa ho voglia (o sono in grado di tollerare), sceglierò un autore diverso. E se non ho mai letto niente dell’autore? Un estratto gratuito (se disponibile) o scaricarmi la versione pirata (se esiste) risolve in fretta la questione.

E se il libro non è per me, ma è un regalo, come nel caso di Taotor? In realtà si tratta di un falso problema. L’approccio è sempre lo stesso: sapere quali sono i gusti della persona, e regalarle qualcosa in accordo con quei gusti, come faremmo per noi stessi. L’unica difficoltà consiste a quel punto nell’assicurarsi che il libro in questione non ce l’abbia già. Se si tratta di un amico o parente, bisognerebbe conoscerlo abbastanza da avere un’idea dei suoi gusti. Se non ce l’abbiamo, bisogna tastare il terreno con gli altri amici e parenti. Se non ne abbiamo idea e nessuno è in grado di aiutarci, significa che il nostro rapporto con questa persona è così superficiale che regalare un libro non è probabilmente una buona idea.
E se è una persona che legge poco, uno-due libri all’anno, perlopiù la roba famosa che leggono tutti? L’approccio è ancora lo stesso. Se è una persona con pretese intellettuali, le si prende un libro nella classifica del Corriere. Se queste pretese non le ha, allora si può andare sereni a spulciare le classifiche dei best-seller e regalarle qualcosa coerente con la sua fascia di età. Non è importante che poi gli piaccia o meno. Se parliamo di qualcuno che legge uno-due libri famosi l’anno, allora è il tipo di persona che usa i libri come argomento di conversazione (“ah, sì, l’ho letto”, “noooo, devi assolutamente leggerlo anche tu!”, “mah, a me non ha detto niente”) e non come esperienza di piacere. Il puro possesso del libro gli darà più soddisfazione del leggerlo.

Nuovi autori

Lauren Beukes, Cory Doctorow, Catherynne Valente

Ma mettiamo che il libro invece è per noi. Siamo sopravvissuti al Natale anche quest’anno e vogliamo farci un bel regalo. Dopo le nostre prime ricerche abbiamo identificato tre o quattro libri che ci interessano. Ma il tempo è quello che è, riusciamo a leggere solo qualche libro al mese, e comunque quando non si trovano su Library Genesis costano. Come scegliamo il nostro uomo? Qui rientrano in gioco le stelline!
Benché non utili di per sé, le stelline sono un ottimo strumento di indicizzazione. Raccolgono in sottoinsiemi quelli che hanno amato il libro, quelli a cui è piaciuto così così e quelli a cui ha fatto cagare. Il mio approccio è questo: vado alla scheda del libro su Amazon US e mi apro le recensioni con voto “3/5”. E me le leggo. Di norma le recensioni con tre stelline sono tra le più equilibrate, perché hanno abbastanza lucidità da aver individuato sia “pro” che “contro” dell’opera, e quindi sono un ottimo punto di partenza. Quando ne ho lette quattro o cinque (ammesso che ce ne siamo così tante), in genere tra l’una e l’altra sono già emersi degli elementi ricorrenti. Sulla Southern Reach Trilogy di VanderMeer, per esempio, continuano a ricorrere questi commenti: è un horror dal sapore lovecrafiano; il ritmo è lentissimo, nel secondo e terzo libro succedono anche meno cose che nel primo; molti misteri rimangono irrisolti; la prosa è molto “materica”, crea immagini vivide; è cerebrale.
Dopo aver letto un po’ di recensioni “medie”, posso passare a leggermi quelle con voto “4/5” e “2/5”. Troverò gente che loda il libro in modo più sperticato o lo sprofonda nella merda – ma, di norma, queste diverse valutazioni sono fatte partendo dagli stessi elementi. Anche qui troverò scritto: il ritmo è lento (ma ad alcuni piace moltissimo, altri invece lo odiano), i misteri rimangono irrisolti (geniale! per alcuni, fregatura! per altri), e così via. Tenete presente che il punteggio medio finale del libro è del tutto irrilevante: conta solo quante volte ricorrano nelle recensioni gli stessi pregi, gli stessi difetti, gli stessi commenti.

Alla fine mi sono fatto un’idea abbastanza precisa di cosa troverò nell’opera, pur evitando gli spoiler. La quantità di recensioni mi permette di eliminare le bias individuali e i rumori di fondo, per concentrarmi sugli elementi ricorrenti.2 Non importa che io concordi o meno con i vari recensori. Non importa nemmeno che le stelline di per sé abbiano un significato nebuloso. L’importante è che, partendo dall’indicizzazione per stelline, sono arrivato a un’idea di com’è fatto il libro, e quindi di quante probabilità ci siano che piaccia a me in questo momento. Ecco quindi a cosa servono le stelline, ed ecco come io decido quale prossimo libro leggere. Alla fine ho comprato Annihilation e l’ho letto, con un’idea approssimativa di ciò a cui stavo andando incontro. E anche questa volta – come quasi sempre – la lettura ha confermato quell’idea approssimativa: nel libro ho ritrovato quello che già molti altri recensori avevano, positivamente o negativamente, riscontrato.
In tutto questo, i blog di narrativa svolgono la stessa funzione: aggiungere una voce al coro, su cui fare la media. Anche il mio. Non accontentatevi di me che dico che The Deep di Crowley – libro relativamente oscuro – è interessante e originale. Andate su Amazon o dove volete, e mediate la mia valutazione con l’opinione degli altri.

Download a Bear

E ricordate: scaricare è come rubare!!

Tutto questo per dirvi che sì, parlerò prossimamente della Southern Reach Trilogy di VanderMeer. E anche di altri autori citati qui e là nel corso dell’articolo.
Ma anche che ho cambiato il sottotitolo del blog: non è più una vetrina di libri curiosi, ma “Una vetrina di narrativa curiosa”. Tapirullanza era nato per ospitare solo libri, ma nel corso di questi anni mi sono occupato di film, di anime, di videogiochi. Stupido, del resto, è limitarsi ai soli libri, dato che tutti questi sono medium narrativi. Il libro non è un oggetto di culto, così come il profumo della carta non è un allucinogeno (benché per alcuni sembri esserlo); questo mio spazio è dedicato a quanto di interessante esiste in ogni tipo di narrativa. E anche i suggerimenti che ho dato oggi riguardo ai libri, valgono ovviamente per ogni forma di narrativa.

E comunque sia: se Fight Club è da quattro, Gone Girl è tre stelline e mezzo. Max.


(1) Il sistema forse in assoluto più efficace è proprio lo slideshow sulla home page del negozio di Steam, grazie al quale ho comprato diversi bei giochi indie. Credo che il trucco di Steam consista in due features:
1. Un sistema di tag migliore rispetto a quello degli altri store. I tag non sono imposti dall’alto, ma creati dalla stessa comunità: tanti più utenti applicano un certo tag a un articolo, tanto più quell’articolo sarà taggato in quel modo. Di conseguenza, su Steam c’è una grande quantità di tag e al tempo stesso – dato che solo i tag più ricorrenti appaiono – una maggiore precisione nell’identificare (e catalogare) ogni articolo. E dato che la nostra profilatura viene fatta in base ai tag che visitiamo più spesso, questo significa una maggior precisione nell’identificare i nostri gusti.
2. La possibilità di indicare non solo gli articoli che ci piacciono, ma anche quelli che non ci piacciono.
Questi due elementi permettono a Steam di definire meglio i nostri gusti, e quindi di fare una miglior scrematura quando “sceglie” che giochi mostrarci nello slideshow.Torna su


(2) Il problema rimane quando il libro ha una circolazione molto limitata e anche in inglese si trovano poche recensioni. In quel caso, potete essere voi i pionieri: correre il rischio, leggere il libro e poi aggiungere voi la vostra recensione per rendere più facile la decisione a chi verrà dopo di voi.Torna su

Gli Italiani #08: Caligo

CaligoAutore: Alessandro Scalzo (Angra)
Genere: Science Fiction / Ucronia / Steampunk
Tipo: Romanzo

Anno: 2014
Pagine: 210 ca.
Editore: Vaporteppa

Barbara Ann Axelrod, giovane rampolla dell’aristocrazia europea, nonché figlia del primo uomo a mettere piede su Marte, sta tornando a Genova per la prima volta dopo tre anni. Tutto, nella Repubblica di Zena, sembra rimasto come l’aveva lasciato: i fumi che appestano la città bassa, il collegio di suore che le dà vitto e alloggio, lo zio Watson che si prende cura di lei. Nulla di più sbagliato.
C’è un assassino a piede libero in città, un tizio soprannominato il Cannibale che va in giro a mangiare la faccia di giovani ragazze. Gruppi insurrezionalisti si danno convegno la notte inneggiando alla rivolta e al ritorno del Vero Re. I livelli di onde Z nell’aria continuano a salire. E come se non bastasse, da un po’ di tempo Barbara Ann è perseguitata da una brutta emicrania e dalle allucinazioni – attacchi così forti che nemmeno i Massaggi Medico-igienici per Signorine riescono a darle un duraturo sollievo! Che abbia a che fare con l’ossessione che assalì suo padre di ritorno da Marte, e che lo spinse a girare i quattro angoli del pianeta fino a che non scomparve in un tragico incidente? Barbara Ann ancora non lo sa, ma stanno per succedere delle cose, a Zena, che sconvolgeranno la sua vita – e non solo la sua – per sempre.

Ho comprato Caligo il giorno stesso che è uscito. Tre i motivi. E’ il primo romanzo italiano inedito pubblicato da Vaporteppa, quindi un banco di prova importante per valutare la qualità della neonata collana del Duca. E’ la seconda opera di Alessandro Scalzo (aka Angra), di cui avevo letto e recensito un paio di anni fa il bel Marstenheim: ero quindi curioso di vedere se fosse migliorato. Infine, è un raro esempio di romanzo steampunk italiano, sponsorizzato tra l’altro da uno – il Duca medesimo – che ne sa a palate.
Caligo è un’ucronia ambientata in un 1912 in cui l’Italia non è mai diventata una nazione unita. Gran parte del Nord Italia è ancora una provincia dell’Austria, il Piemonte è rimasto un piccolo regno e la Gran Bretagna, prima potenza europea, ha fatto della Repubblica di Zena (Genova in dialetto genovese) un suo protettorato. Si viaggia in aeronave, gli eserciti europei hanno in dotazione mech da combattimento e l’uomo ha già posato i piedi sul suolo marziano. Il romanzo si sviluppa come una storia d’investigazione strutturata in giornate – ogni giornata è un capitolo – in cui a poco a poco Barbara Ann porterà alla luce cosa c’è di marcio sotto la patina (già marcia) della città di Zena. Intrighi internazionali, sovrannaturale, copie di contrabbando di Superomo – non manca niente. Finalmente anche noi italiani abbiamo un romanzo steampunk degno di questo nome?1

Steampunk goggles cat

Ecco: di questi ne abbiamo avuti pure troppi.

Uno sguardo approfondito
Da un’opera brandizzata Duchino, ci si aspetta prima di tutto che ponga molta cura nello stile; che sia scorrevole, immersivo e vivido – e Caligo non delude. La storia è narrata in prima persona al tempo presente dal pov di Barbara Ann. Il romanzo si sviluppa nell’arco di una settimana in cui, attraverso gli occhi della bella italo-britannica, scorrazziamo in giro per la città di Zena (e non solo) e scopriamo a poco a poco lo strano 1912 steampunk immaginato da Angra. La densa coltre di smog che appesta la città bassa, e che obbliga la gente a spostarsi con una maschera antigas addosso; le brutte isole galleggianti al largo della costa genovese, dove si ergono i grigi casermoni dei condomini dei proletari che non possono permettersi una casa sulla terraferma, e che Barbara vede dall’alto dell’aeronave mentre si appresta ad atterrare; le piccole pasticcerie artigianali dai nomi tradizionali, dove comprare un sacchettino di sfogliatelle alla crema al whisky: tutti questi dettagli concreti arrivano al lettore attraverso le peregrinazioni di Barbara Ann e compongono pezzo per pezzo il puzzle che è l’ambientazione di Caligo.
Oltre a essere immersivo e ridurre al minimo i filtri tra noi e la storia, l’uso della prima persona ha un altro importante vantaggio: la gestione degli infodump. Come ho già ricordato altre volte, un’ambientazione ucronica è problematica da gestire, perché bisogna dare al lettore molte informazioni solo perché riesca a orientarsi, ma al tempo stesso bisogna resistere alla tentazione di spiattellare nozioni con un brutto raccontato. Ma usando la prima persona, si può far passare un piccolo infodump come un ricordo o una riflessione della protagonista, risvegliato da un avvenimento presente. Barbara Ann torna al collegio delle orsoline dopo tanti anni, e ricorda la sua infanzia e gli insegnamenti delle suore; rilegge uno stralcio dei diari di suo padre, e ripensa alla sua vita e alle sue ossessioni, permettendo anche a noi di imparare qualcosa del colonnello Axelrod. Altri elementi dell’ambientazione non sono mai spiegati, ma si capiscono dal contesto, come le misteriose Onde Z che piagano la Repubblica di Zena e i suoi abitanti: niente “As you know, Bob” e niente “Le onde Z sono…”; semplicemente, vediamo cosa succede alla gente quando i livelli di onde Z nell’aria diventano troppo alti. Perché le uniche informazioni che servono al lettore sono quelle che fanno accadere le cose, sono quelle che impattano direttamente sulla trama.

Da ultimo, è bello essere nella testa di quella matta di Barbara Ann. Inizialmente ero un po’ preoccupato: la protagonista di Caligo pareva un concentrato di fanservice ambulante. Minorenne, bellissima, tette enormi, bisessuale, trombate come merce di scambio, devota seguace della scuola del Dr. Herzog e dei suoi massaggi medico-igienici per signorine per bene: divertente, per carità, e a tratti squisitamente retard, ma pareva uscito dalla mente di un ciccionerd che non vede una figa dall’anno in cui è uscito Pong. E invece Barbara Ann è un ottimo protagonista.
Innanzitutto, è un’eroina forte e attiva. Nel corso di tutto il romanzo, la maggior parte delle sue azioni sono frutto di decisioni personali, di una propria agenda; Angra evita l’espediente pigro – comune soprattutto tra scrittori alle prime armi – di fare del proprio protagonista un semplice esecutore delle decisioni di qualcun altro (sia esso un mentore, maestro, amico, superiore, e via dicendo). Campionessa di scherma fin da piccola, Barbara Ann non è una ragazza normale che d’improvviso si scopre guerriera – fin dalle prime pagine è stabilito che è una tipa superatletica e incline all’azione.

Fanservice

Nonostante la sua vacuità di facciata, inoltre, Barbara Ann è un personaggio complesso. Apparentemente progressista (si fa uomini e donne, studia matematica, da grande vorrebbe fare la pilota di mech), è pur sempre il frutto del suo rango sociale e della sua educazione: condivide le opinioni sulla superiorità razziale dei bianchi propria della sua epoca, rimane inorridita di fronte a un gendarme che la tratta come una plebea qualsiasi, e non può fare a meno di guardare dall’alto in basso un operaio che vive nella merda. Ipocrita nel midollo – come la classe sociale da cui proviene – vive il sesso con nonchalance ma non si concede orgasmi perché non è per bene. Insomma, in lei troviamo tutte le ambiguità e contraddizioni della gente reale.
Nell’analizzare la protagonista, tra l’altro, ci imbattiamo in un altro interessante corollario dello show don’t tell. Benché la narrazione sia in prima persona, noi abbiamo accesso solamente ai pensieri più superficiali del personaggio pov: quello che percepisce e fa qui ed ora, ed eventuali ricordi o associazioni di idee che qui ed ora le risveglia. Il personaggio non sta a psicanalizzarsi per il nostro beneficio (come non lo fanno le persone reali, a meno di averne una naturale inclinazione), né l’autore si mette a spiegarci il personaggio. Sta a noi capire le sue motivazioni profonde, in base a ciò che dice, fa, e pensa superficialmente; in base al non detto e alle contraddizioni tra pensiero e azione. Ad alcuni Barbara Ann è risultata un protagonista piatto e poco caratterizzato, ma è perché sono stati disattenti: in realtà è un personaggio molto affascinante, ed è indubbio merito di Angra essere riuscito a renderla tale senza spiattellarci in faccia il suo subconscio.
A fronte di tutto questo, le scene di pornaccio di serie c – che non mancano – il tripudio di tettone, ditalini, numeri di Superomo e monster cockz ci stanno e alla grande. E sono un piacevole diversivo rispetto alle investigazioni e agli scontri che costituiscono il cuore del romanzo.

Certo: aver scelto una protagonista altolocata e dalla vita facile come Barbara Ann ha anche i suoi problemi. Per gran parte del romanzo il livello di conflitto percepito e la tensione rimangono bassi, e questo perché non sentiamo che la vita della protagonista sia davvero in pericolo, o che lei stia rischiando davvero grosso. Quando Barbara Ann all’inizio del romanzo si mette sulle tracce del Cannibale, esponendosi così al rischio di farsi mangiare la faccia, è lei che prende questa decisione – e per nessuna motivazione più impellente del mettersi in gioco e dimostrare agli altri di che pasta è fatta. Si ha sempre l’impressione che in qualsiasi momento potrebbe “uscire dal gioco”, tornare nella sua stanza e non le sarebbe torto un capello. Siamo lontani anni luce dal senso di angoscia che si prova, per esempio, con Jason Taverner di Flow My Tears, diventato una non-persona e braccato dalla polizia internazionale; o con i bambini di Ship Breakers, che morirebbero di stenti se smettessero di scavare pezzi di rame dai rottami delle navi spiaggiate; o nel conflitto tra umani e yilané in West of Eden, dove la posta in gioco è l’estinzione di una delle due razze. In Caligo, la posta si alza veramente solamente verso la metà del romanzo; e solo negli ultimi capitoli si fa strada quella sana sensazione di ineluttabilità che ti spinge a divorare le pagine successive per sapere se la tua eroina ce la farà o meno.
Senza questo senso di urgenza, i primi capitoli mantengono un ritmo molto lento ed è facile posare il libro. Nelle prime giornate, Barbara Ann vive una serie di episodi perlopiù slegati tra loro (l’indagine sul Cannibale, l’investigazione dei moti insurrezionalisti, l’appuntamento con la bella hostess elvetica, l’esame del cervello alla clinica austriaca). Il lettore, che sa di stare leggendo un romanzo, fa un atto di fede e si aspetta che prima o poi tutti i tasselli formino un unico mosaico e che nessun episodio sia inutile; ma appunto, è una riflessione meta-narrativa. E a trasmettere questa sensazione di lentezza contribuiscono alcuni dialoghi legnosi – soprattutto quelli con lo zio Watson – che si trascinano senza energia per un sacco di pagine e passano in modo poco naturale da un argomento all’altro in stile lista della spesa. A volte, a leggere questi scambi, mi immaginavo l’autore che spuntava voci da una checklist mentale: “Ok, devono parlare di questo, questo, e questo… fatto, fatto, fatto…”. La funzione di questi dialoghi è informativa, ma il modo meccanico in cui le informazioni vengono trasmesse e la quasi totale assenza di conflitto li rendono poco scorrevoli.

All the fucks I give

Alcuni dialoghi suscitano questa reazione.

Ma sono difetti passeggeri, e si dimenticano in fretta se ci si sofferma a godere l’ambientazione costruita da Angra. Dagli elementi più corposi (la proliferazione di condomini galleggianti per poveracci come conseguenza della conformazione di Genova, stretta tra il mare e le montagne) ai dettagli più piccoli (la pubblicità dell’eroina San Pellegrino!), tutto testimonia di una grande cura. Le trovate bizzarre abbondano, ma non sono mai gratuite – risultano sempre giustificate e coerenti col contesto. E nel descrivere molti macchinari, dai mech in dotazione all’esercito agli scafandri, l’autore mostra una precisione e una padronanza della terminologia davvero buona – del resto Angra è ingegnere – e al contempo mi convince che io (che una formazione scientifica degna di questo nome non ce l’ho) non potrei mai scrivere steampunk.
Insomma, in Caligo non ci sono forse quelli che Gamberetta chiamava gli WOW maiuscoli, quel sense of wonder cosmico che ti fa vedere la realtà sotto una nuova prospettiva; ma tutta una costellazione di piccoli “wow” fantascientifici. Io stesso, che in genere rimango abbastanza freddino di fronte alle scene di esperimenti scientifici all’opera, sono rimasto deliziato dalla descrizione della macchina che realizza riproduzioni in caramello del cervello del paziente. Dallo scafandro protettivo indossato dalla dottoressa agli elettrodi all’uso stesso del caramello per fare il calco, tutta la scena è geniale e trasuda sense of wonder.
Nessuna menzione particolare, invece, per i personaggi secondari. Il punto di vista saldamente ancorato su Barbara Ann impedisce di approfondirli più di tanto, e la maggior parte di essi non si distacca dal loro ruolo funzionale e dallo stereotipo. Rimane in testa qualche personaggio più variopinto, come Armando, fotografo di nudi e rivoluzionario, dai baffi a manubrio e il membro equino; o Gallo, classico teppista di strada senza prospettive su cui però Angra ha innestato una bella storyline.

Mi viene spontaneo paragonare Caligo a un’altra grande opera steampunk incontrata sulle pagine di Tapirullanza: The Difference Engine di Gibson e Sterling. Anche dietro quel romanzo c’era un lavoro di documentazione enorme e una cura quasi maniacale nei dettagli. Ma laddove The Difference Engine era pretenzioso, pesante, prolisso, il romanzo di Angra è scanzonato, ironico, plot-driven. Sa quando deve essere drammatico e cupo, e quando non prendersi troppo sul serio e infilare un aneddoto sulle suore. E una volta che ingrana, il ritmo diventa frenetico – ho divorato le ultime ottanta pagine una dietro l’altra. La protagonista, anche, evolve nel corso della storia ed esce trasformata dall’avventura: ragazza viziata e un po’ naif (nel suo modo sveglio e paraculo di esserlo) all’inizio del libro, ne passerà talmente tante che alla fine della storia la troveremo diversa.
Quanto al finale, devo ammetterlo, mi ha lasciato un certo senso di insoddisfazione. Benché l’arco narrativo del romanzo si chiuda e tutte le domande principali trovino risposta, diversi interrogativi minori (sul destino di personaggi secondari, sul futuro di Zena and so on) rimangono aperti; soprattutto, è un finale che non allenta – non del tutto – la tensione accumulata nelle sequenze finali, e che ti lascia che ne vorresti ancora. Tutto sembra preludere, insomma, a un secondo romanzo che continui le avventure della nostra eroina (non vi sarà sfuggita la dicitura “La prima avventura di Barbara Ann” sotto al titolo), magari da maggiorenne e vaccinata. Angra si trova tra le mani un’ambientazione con un potenziale enorme e ancora largamente inespresso, quindi non penso proprio che si lascerà sfuggire l’occasione.

Baffi a manubrio

Baffi a manubrio. So sexy…

Insomma, spero di poter leggere in futuro un secondo romanzo ambientato nel mondi di Caligo. Nel frattempo, posso dire che l’esperimento è pienamente riuscito, e che ci troviamo tra le mani un ottimo romanzo ucronico. Posso dire tranquillamente che, tra le opere recensite fino adesso in questa rubrica – che si chiamava “Gli Autopubblicati” e ora si chiama “Gli Italiani” – è senza dubbio la migliore. Non che ci fossero molti dubbi: come si può non adorare un romanzo con scritte frasi di questo tenore?

Il Signor Armando mi stantuffa con la foga di un ciclista in fuga, di un rematore olimpionico a poche lunghezze dal traguardo e dalla medaglia d’oro.

Vaporteppa non poteva cominciare la sua pubblicazione di inediti italiani meglio di così.

Dove si trova?
A questa pagina del sito di Vaporteppa troverete la scheda del libro. Potete comprare l’ePub del romanzo su Ultima Books; altrimenti, se siete possessori di kindle, rivolgetevi ad Amazon per il mobi. Il prezzo è un onesto 4,99 Euro.

E già che parliamo di Vaporteppa…
La notizia dell’ultima ora è che proprio oggi Vaporteppa ha pubblicato una nuova opera a pagamento. La rivelazione è fonte di grande giubilo per questo blog, perché il libro in questione altro non è che la traduzione in italiano di War Slut di Carlton Mellick III, decano della Bizarro Fiction. Potete leggere l’annuncio qui su Vaporteppa, oppure andare immediatamente a comprare la vostra copia di Puttana da Guerra su Amazon o Ultima Books.
War Slut non è che la prima di tre opere che saranno portate in Italia da Vaporteppa nelle settimane a venire. Gli altri due titoli che potremo vedere in futuro nella nostra lingua sono The Morbidly Obese Ninja e The Haunted Vagina.

Puttana da Guerra

La copertina dell’edizione italiana di War Slut.

Qualche estratto
Dato che la protagonista è una parte così importante del romanzo, ho scelto due brani che ne mettessero in luce alcune delle caratteristiche più interessanti. Il primo mostra il suo primo ‘incontro’ con gli insurrezionalisti di Zena e le loro idee complottiste; il secondo, una scena di sesso.

1.
Davanti alla sala scommesse di Via Fratelli Bufera, due gendarmi di quartiere scherzano con uno storpio. Uno lo tiene per il naso, l’altro gli batte il manganello sulla gobba. Il primo gendarme lascia andare il malcapitato, e indica all’altro qualcosa avanti lungo la strada.
Un ragazzo in salopette blu e camicia grigia sta spennellando colla su un manifestino, appiccicato a fianco della vetrina della Pasticceria Sorelle Berardengo. Il secondo gendarme porta il fischietto alla valvola di sfiato della maschera antismog e fischia. Il ragazzo si volta di scatto, li vede. Getta via il pennello e un rotolo di manifestini e si dà alla fuga, nel vicolo a sinistra.
I gendarmi si lanciano all’inseguimento, sfollagente alla mano, spariscono anche loro nel vicolo. Il ragazzo schizza fuori di nuovo, e loro dietro. Corre dalla mia parte. È magro, con un ciuffo di capelli neri che spunta da sotto il cappello floscio. Sfrecciandomi accanto mi getta un’occhiata, sgrana i suoi occhi azzurri come se avesse appena avuto un’apparizione mistica. Lo seguo allontanarsi con lo sguardo.
I due gendarmi ne hanno avuto abbastanza di inciampare nei pastrani. Il primo si mette a strappare il manifestino dal muro, l’altro raccoglie quelli caduti. Li raggiungo, cerco di sbirciare. Quello intento a staccare il manifestino si volta, e mi agita il manganello davanti al naso.
«Via, via, non c’è niente da vedere! Circolare!»
Minacciarmi con il manganello, a me! Razza di carogna infame, ai tempi del mio bisnonno il Duca Pallavicini ti avrebbero bastonato a morte per quest’affronto, e lasciato a crepare con la testa infilata in una latrina, ché a ficcarti la punta del fioretto nel cuore sarebbe stato farti troppo onore!
Per sbollire la rabbia mi infilo nella pasticceria delle Sorelle Berardengo. Il profumo zuccheroso dei babà al rum e delle tortine all’arancia mi calma un po’. Ma domani presenterò senz’altro un esposto al Viceré britannico, ché questi sbirri italiani delle colonie non dovrebbero esser mandati di ronda senza un vero bianco a comandarli, o perlomeno non dovrebbero aver giurisdizione sui cittadini britannici, che diamine.
Esco con un sacchetto di sfogliatelle alla crema al whisky, sapendo già che poi mi pentirò scoprendo che la circonferenza del petto mi è aumentata di un altro pollice, ché da un po’ di tempo a questa parte sembra che tutto ciò che mangio vada a finire solo lì e basta.
Un manifestino è finito tra il cassone dell’immondizia e il bordo del marciapiede. Faccio un rapido controllo, i gendarmi non sono più in vista. Con discrezione mi chino e lo raccolgo, e lo nascondo nella borsetta. Mi allontano un po’ prima di ritirarlo fuori.

Svegliati Zena, apri gli occhi…
*** NESSUN UOMO È MAI ***
** STATO SU MARTE! **
Rigetta le sue menzogne in faccia
all’invasore britannico!
Boicotta l’Expo 1912!
È il Vero Re che te lo chiede!

Ohibò, questa poi è proprio bella. E mio padre allora, che fu il primo uomo a posare il piede sulle sabbie marziane nel 1894, un anno prima che io nascessi?

Oh ma non vedete che l’uomo non è mai stato sulla Luna Marte? SVEGLIAAA!

2.
Col grembiule tirato su a scoprirgli la pancia tonda, che trema come gelatina, il Signor Luciano mugola accompagnato dai gemiti del nastro trasportatore. Lo cavalco quasi nuda, con indosso solo le mie calze alla parigina, lui mi accarezza le cosce appena più su della calza. Il nastro ci trascina lungo le guide per tutto il perimetro della fabbrica, lui steso supino e io sopra a cavalcioni. Un paio di varianti nel percorso vanno a formare due grandi otto sbilenchi.
Ho la pelle d’oca, e il petto imperlato di sudore nonostante l’aria gelida che soffia dai bocchettoni refrigeranti. Gli scossoni del nastro mi fanno ballonzolare i seni. I miei capezzoli guardano in avanti, un po’ verso l’alto, tondi e duri come caramelle. Il Signor Luciano solleva le mani callose unte di grasso, mi afferra le mammelle e me le strizza forte.
Il nastro scorre fra le postazioni di lavorazione del tonno sott’olio come il trenino della Piccola Fabbrica degli Orrori al Luna Park. Ganci, pinze, ugelli, bracci meccanici, seghe a nastro. Tutto è immobile, ma gli sbuffi di vapore che ci investono al passaggio fanno capire che le macchine sono solo addormentate. Mi preoccupa l’idea che uno dei bracci articolati si rianimi all’improvviso e mi infili un uncino in un occhio. Il ronzio elettrico dei generatori vibra nel capannone di lamiera come uno sciame di calabroni impazziti, il motore a vapore principale copre i miei ansiti e i versi da tricheco del Signor Luciano, che sta aggrappato al nastro di gomma e ha gli occhi girati all’insù.
Il Signor Luciano non somiglia per niente a Padre Mizzi, che era giovane e bello come un Apollo e ci faceva stare nude inginocchiate sui ceci durante il sacramento della confessione, perché, diceva, “la nostra anima deve essere nuda dinnanzi al Signore”. Però, anche se è vecchio e grasso e peloso, il Signor Luciano ha un pene che è quasi due volte quello di Padre Mizzi. Dopo un quarto d’ora che lo cavalco devo pensare a qualcosa per distrarmi, altrimenti rischio di godere, e sai che figuraccia da sgualdrina?

Tabella riassuntiva

Ottima protagonista: tettona ma al contempo eroica e complessa. Inizio lento e dalla natura troppo ‘episodica’.
Ambientazione steampunk diversa dal solito e piena di trovate Nella prima parte del libro Barbara Ann non sembra davvero in pericolo.
Pov immersivo e prosa ‘mostrata’.
Rigore scientifico ovunque possibile.


(1) Ci sarebbe, a dire il vero, anche Assault Fairies di Gamberetta, di cui era stata autopubblicata la prima parte già nel lontano 2011. Ma ad oggi, Assault Fairies è – ahimé – ancora incompiuto. Spero che Gamebretta riesca prima o poi a finirlo perché era veramente figo.Torna su

Abbiamo fatto Gli Autopubblicati, ora bisogna fare Gli Italiani!

Pasta! HetaliaLa prima volta che mi venne in mente di riformare la sezione degli Autopubblicati fu un anno e mezzo fa, quando ebbi a che fare con la recensione di Ultimo Orizzonte di Valentina Coscia. A rigore, il libro della Coscia non era un autopubblicato: era edito, infatti, da una minuscola casa editrice digitale chiamata WePub. Per comodità, comunque, tirai dritto su questa magra distinzione e pubblicai l’articolo fra Gli Autopubblicati:

All’atto pratico, per il lettore, non fa molta differenza: si tratta di un romanzo digitale poco pubblicizzato di un autore abbastanza sconosciuto, che si può comprare ad un prezzo irrisorio (2,99 Euro).

La cosa generò una brevissima polemica con lo staff di WePub, ma non interessò i lettori di Tapirullanza, che avevano colto il punto: se il libro ha la stessa presentazione di un autopubblicato, un editing paragonabile a quello di un autopubblicato di buon livello, e un livello di promozione analogo (cioè: basso), allora la distinzione per il lettore sarà irrilevante. Still, avevo fatto qualcosa di non del tutto corretto.

La seconda volta fu quando, dopo lo SteamCamp 2013, meditai di dedicare un articolo a Mondo9, la raccolta di racconti steampunk fantasy di Dario Tonani edita da Delos. Se con il libro della Coscia c’era ancora qualche margine per cavillare, Mondo9 non poteva essere associato agli autopubblicati neanche per sbaglio. Bisognava infilarlo tra le Bonus Track, oppure – in previsione di altre entrate future – aprire una nuova sezione per i libri italiani editi dai Grandi Vecchi.
Al contempo, in quella fase stavo perdendo le speranze e l’interesse verso il mondo degli autopubblicati nostrani. La qualità miserrima dell’offerta (in termini sia di stile che di idee) e gli attacchi che avevo ricevuto ogniqualvolta parlavo in termini critici di una di queste opere mi avevano fatto passare la voglia di occuparmene ancora.1 Con l’eccezione di Soldati a Vapore (ma lì c’era lo zampino del Duca), l’ultima recensione di un autopubblicato propriamente detto – la triste antologia Deinos di Mr. Giobblin – risaliva a un anno prima, e non ne vedevo altre all’orizzonte. Insomma, avevo tanta voglia di mandare a morire “Gli Autopubblicati” e ristrutturare la sezione dedicandola a tutte le opere italiane meritevoli, indipendentemente dal metodo di pubblicazione. Ma in mancanza di nuovi articoli, per oltre un anno non ne feci più niente.

Autopubblicati

Mi guardo alle spalle, e mi accorgo che Gli Autopubblicati sembrano tanto una galleria del FAIL.

Fino ad ora.
Lunedì prossimo dedicherò un articolo a Caligo, l’ultima fatica di Angra – che abbiamo già incontrato su Tapirullanza con Marstenheim, proprio uno dei primi Autopubblicati – nonché primo romanzo italiano edito da Vaporteppa. E per l’occasione, “Gli Autopubblicati” diventa “Gli Italiani”.
Cosa cambierà, in sostanza? Non molto. Nella nuova sezione, rientreranno tutte le opere italiane uscite in anni recenti che riterrò meritevoli di essere segnalate. Anche autopubblicati, naturalmente, posto che riesca a trovarne di sufficientemente interessanti. Saranno escluse solamente opere italiane “classiche” o di nomi importanti della narrativa italiana, che rientreranno o nei Consigli o nelle Bonus Track – come era accaduto, per esempio, con Il fascio sulle stelle di Massimo Mongai. Non che veda molte possibilità in cui possa venirmi questo dubbio di catalogazione: nomi importanti, nella narrativa fantastica italiana, ce ne sono pochi.

Prevengo da subito un’obiezione che mi si potrebbe rivolgere. Perché far confluire Autopubblicati e opere italiane edite da case editrici, e non invece far ricadere queste ultime in Consigli e Bonus Track? Creare una sezione dedicata agli Italiani non è come dire che siamo una nazione di handicappati, da tenere separati rispetto al resto della narrativa? Be’, che siamo una nazione di handicappati è un dato di fatto; ma no, non sono queste le ragioni della mia scelta. Ecco le mie ragioni:
– Nella maggior parte dei casi, queste opere edite da piccole case editrici vivono una situazione molto più simile a quella degli autopubblicati che non dei titoloni dei Consigli e delle Bonus Track. Poco budget, poca pubblicizzazione, e quindi difficoltà a raggiungere un alto bacino di elettori. I titoli di Vaporteppa o di WePub dipendono dal passaparola tra lettori affezionati tanto quanto le opere che un indipendente come Girola si gestisce da solo.
– Oltre al fatto che queste opere hanno bisogno di essere pubblicizzate, io voglio pubblicizzarle. Se le inserissi, mettiamo caso, tra le Bonus Track – una sezione che si “muove” a velocità più che doppia rispetto a quella degli Autopubblicati – oltre a trovarsi in un bacino di titoli molto più ricco (e quindi a partire con meno visibilità) sparirebbero dalla home page nel giro di pochi mesi. Guardate invece il menu degli Ultimi Autopubblicati (ora sapientemente ribattezzato “Ultimi Italiani”): diamine, nel momento in cui scrivo l’entrata più vecchia è ancora di inizio 2012! Riunire questi titoli sotto una sezione chiamata “Gli Italiani” è quindi un modo per farli risaltare e ribadire: ragazzi, venite a vedere, non c’è solo la roba in lingua inglese di cui parlo sempre, ogni tanto qualcosa di decente pure noi lo tiriamo fuori dal cilindro!

Massimo d'Azeglio

“Pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno Gl’Italiani”. Vai tra’ Massimo, ghe pensi mi.

Creare una sezione separata per le nuove uscite italiane, insomma, non è un modo per “ghettizzarle”. Non faccio trattamenti di favore ai nostri conterranei, non sono più morbido con la roba italiana – ben lo sanno gli autopubblicati di cui mi sono occupato, che non hanno mancato di farmi sapere che sono “troppo duro” e “criticone” e “acido” e che mi masturbo di gusto sulle mie stroncature. I metri di giudizio sono gli stessi, perché leggere Caligo di Angra mi costa lo stesso tempo e la stessa fatica che leggere Starship Troopers, quindi Caligo compete direttamente con Starship Troopers per guadagnarsi la mia attenzione. Ergo: non ha senso metterlo su un altro livello.
Il fatto di essere opere italiane non è un merito né un demerito – nel momento di analisi dell’opera è un elemento del tutto irrilevante, dato che conta solamente l’opera in sé. Solo, posso sperare in questo modo di mettere un po’ più in evidenza opere che mi sono piaciute e sperare di convincere qualcuno in più a provarle.

——-


(1) A conclusioni simili stanno arrivando più o meno tutti. A cominciare dal buon Zwei, che era partito lanciatissimo nel 2011 con la sua Z-List per poi abbandonare il progetto dopo pochi mesi di sconforto. Persino tra gli irriducibili si è ormai giunti all’accettazione di come stanno le cose, di fronte a un concorso fallito clamorosamente e all’osservazione dell’offerta media su Amazon.Torna su

Gli Autopubblicati #02: Marstenheim

MarsteheimAutore: Angra
Genere: Science-Fantasy
Tipo: Romanzo

Anno: 2009
Pagine: 300 ca.

Marstenheim è una città in rovina. Un tempo avamposto della razza terrestre su un pianeta lontano svariati anni luce, oggi, a centinaia d’anni dall’interruzione di ogni contatto con la Terra, Marstenheim è sull’orlo del collasso. In superficie, legioni di ottusi non-morti razzolano per gli stretti vicoli della città diffondendo la peste verminosa; sottoterra, dentro gallerie minuziosamente scavate nei secoli, sciami di uomini-ratto preparano la loro vendetta. Pellegrini e crociati fanatici si raccolgono attorno alla Torre di Ferro, enorme cattedrale sormontata da un’antica torre a traliccio, attendendo il ritorno di Grigor, il messia; soldati della Repubblica pattugliano le porte della città mentre il loro numero si fa sempre più sparuto.
E’ in questo scenario che si muovono un gruppo di saxxon, guidati da un vecchio sciamano dalle intenzioni poco chiare, una stregona con la passione per il sadomaso, un vampiro dai modi aristocratici e afflitto da manie di grandezza, un burattinaio pazzo, e molti altri. E tutti sembrano alla ricerca della stessa cosa: un terrestre dall’aria losca, e una cicatrice sulla gola che va da un orecchio all’altro…

Marstenheim è un romanzo autopubblicato da Angra un paio di anni fa, con la collaborazione di Gamberetta e del Duca nell’editing. Angra ha fatto anche qualche tentativo di pubblicazione con un’editore, con risultati grotteschi.
Nonostante che i nostri lungimiranti editori lo abbiano respinto, Marstenheim è un bel romanzo science-fantasy. Il ritmo e la struttura della storia, con la presenza massiccia di combattimenti e magie, ha più del fantasy che non della sf, tuttavia, citando Gamberetta: “La componente fantascientifica predomina su quella fantasy: creature tradizionalmente fantastiche come vampiri, zombie o uomini-ratto hanno una spiegazione scientifica”.

Cane quadriplegico

L’autore di fantasy ideale secondo l’intraprendente editoria moderna.

Uno sguardo approfondito
Marstenheim è un romanzo corale; vale a dire, un romanzo che invece di un protagonista unico ha una serie di personaggi-pov che si passano la palla di capitolo in capitolo, o di paragrafo in paragrafo. Personalmente, adoro i romanzi corali. Vedere la stessa vicenda attraverso tante paia d’occhi diversi non solo permette al lettore di avere una visuale più ampia rispetto a quella che offrono le storie a pov singolo; ma, nel momento in cui i personaggi-pov sono gli uni antagonisti degli altri, moltiplica i livelli di conflitto – il che rende la storia più avvincente – e accentua l’ambiguità morale.
Schierarsi diventa più difficile quando due personaggi, con entrambi i quali abbiamo imparato a simpatizzare guardando il mondo attraverso i loro occhi, si mettono l’uno contro l’altro. In Marstenheim si respira spesso questa balsamica aria di ambiguità.

Ma i romanzi corali si prestano anche a una serie di svantaggi e di rischi, che non risparmiano nemmeno questo romanzo. A partire dalla gestione del pov.
I salti da un pov all’altro sono in genere ben definiti, ma in alcune scene, e specialmente nella prima parte del libro, la gestione del punto di vista diventa un po’ ballerina. A partire dalla famigerata scena del prologo con gli uomini-ratto 1, passando per alcune scene di combattimento concitate e con molti personaggi, in cui quando va a capo il pov salta da un contendente a un altro (diminuendo così il senso di partecipazione per il combattimento nel suo complesso), fino ad altre scene in cui il pov, pur essendo a rigor di logica ancorato a un personaggio, finisce – vuoi per la passività totale del personaggio-pov, vuoi per la distanza tra la testa di questo e la telecamera – per confondersi con un narratore onnisciente o comunque con una telecamera molto distanziata rispetto ai personaggi.
Esempio di quest’ultima circostanza è la scena del prologo intitolata “Sulla via”, dove per la prima volta facciamo la conoscenza della squadra di saxxon. Il punto di vista dovrebbe essere quello dello scout Aix – tuttavia, un po’ per il fatto che Aix non fa niente a parte guardare i suoi compagni di viaggio (sicché il suo pov prende la forma di una telecamera neutra), un po’ perché è la prima volta che il lettore incontra Aix e gli altri, il suo nome e il suo personaggio finiscono per confondersi con gli altri, diventare un nome tra i tanti, e la scena finisce per sembrare filtrata dal narratore onnisciente, o quantomeno da una terza persona neutra.

Città in rovina

Non c’è niente da fare, le città in rovine sono fike.

Questa sensazione di “pov che balla” è amplificata da altri due fattori: l’eccesso di personaggi-pov e l’anonimità (almeno iniziale) di alcuni personaggi.
I personaggi-pov sono davvero tanti, e questo, almeno all’inizio – diciamo per un 40-50 pagine – crea una certa, sgradevole sensazione di spaesamento. Inoltre molti di questi personaggi-pov sono superflui. Credo che un buon 85% delle scene del romanzo, con pochi aggiustamenti, potrebbe essere mostrato utilizzando solamente sette personaggi-pov (Losado, Morgause, Aix, Ygghi-Kan, André, Carmille, Skiapp). Delle rimanenti, alcune sono del tutto inutili (e quindi si possono eliminare), altre potrebbero essere rese inutili incorporando gli elementi utili in altre scene (e quindi si possono eliminare!). In altre ancora, eccezionalmente, si potrebbe mantenere un pov usa-e-getta con personaggi-pov che il lettore ha già imparato a conoscere attraverso gli occhi di altri (es. Henrei, Ran Shan, Alpine).
Non dico questo per un morboso attaccamento alle regole della narrativa, ma perché una sovrabbondanza di pov crea spaesamento, difficoltà di immersione e, quindi, calo dell’interesse. Questo vale soprattutto all’inizio, e, direi, per la prima metà o il primo terzo di un romanzo. I personaggi-pov andrebbero introdotti a poco a poco e subito ben consolidati, in modo tale che il lettore possa avere subito dei punti fermi a cui aggrapparsi. Siamo infatti ancora nella fase in cui il lettore sta cercando di capire com’è il romanzo e di cosa parla – troppa confusione o troppi salti di pov potrebbero fargli passare la voglia di andare avanti. Al contrario, una volta che la vicenda ha ben ingranato, e il ritmo è diventato serrato, ci si possono concedere più libertà. Per esempio non ho fatto alcuna fatica a leggere gli intermezzi con i soldati Kennedy, Rizzo e Tapper, o i dialoghi tra gli uomini-ratto Karburo e Phazze, che anzi, sono molto divertenti; ma a quel punto il romanzo è già bene avviato, i personaggi principali individuati, quindi lo scrittore può prendersi qualche libertà in più.

Dicevo, poi, dell’anonimità dei personaggi. Se alcuni risaltano subito per qualche dettaglio – come Morgause e le sue inclinazioni sadomasochistiche, o le gemelle speculari Gya e Madkeen – altri fanno un’entrata in scena piuttosto scialba – come Aix, o in generale la maggior parte dei saxxon – che non aiuta nell’individuarli come personaggi importanti.
Faccio un esempio. Tornando alla scena in cui ci viene presentata la squadra di saxxon guidata da Ygghi Kan, Angra commette un errore molto simile a quello dell’autore di Pirati di Atlantide, della raccolta Ucronie Impure: si lancia, cioè, in un profluvio di nomi che ovviamente il lettore non riesce, né ha voglia, di memorizzare. Alcuni personaggi, pressoché inutili, come Kunjeet, Drougas e Joriar Kan, sarebbe meglio non nominarli nemmeno; meglio definirli come anonimi “altri tre scout”, che fanno numero. Al limite si può dare il loro nome più avanti, poco per volta, quando faranno qualcosa di utile che li faccia risaltare un minimo. Altri, più importanti, come Henrei, Aix o Driun, che peccano di scipitezza, li personalizzerei di più da subito – per qualche tratto fisico, o caratteriale, o perché fanno in quel momento qualcosa di particolarmente interessante – cosicché il lettore capisca che sono importanti e li memorizzi. In generale, allungherei quella scena in modo tale da ambientare il lettore con i saxxon, e soprattutto renderei Aix più attivo.

Sevizie sessuali

Scene di sevizia sessuale potrebbero aiutare a memorizzare un personaggio.

Tra le altre cose che mi sono piaciute poco, c’è una certa tendenza dei personaggi a “girare a vuoto” per la maggior parte del romanzo: ci si incrocia, ci si manca per un soffio, ci si perde e ci si reincontra, si va in una direzione e poi si torna sui propri passi, ancora e ancora e ancora, in una maniera che fa un po’ “commedia degli equivoci”. Questa è una cosa realistica; nella vita reale simili fail accadono tutti i giorni. Ma nell’economia di un romanzo, ogni scena dovrebbe muovere quanto più possibile di trama e di caratterizzazione dei personaggi, mentre diverse di queste scene non muovono nulla di nulla (o tanto poco, da non rendersi giustificabili).
Molte di queste scene che vanno a vuoto sono di combattimento. La maggior parte dei combattimenti del romanzo, mi spiace dirlo, è inutile e un po’ noiosa. La ragione sta in questo: che spesso gli scontri vedono, da una parte, guerrieri più o meno fiki (e a volte scialbissimi, come Rosh o Silverel), dall’altra legioni e legioni di insulsi zombie. Non esattamente la formula del combattimento avvincente. Gli scontri sono ben mostrati, ma dato che si sa già che, 10 a 1, i “buoni” vincono e gli zombie perdono, e dato che su diversi dei “buoni” c’è anche poco investimento emotivo da parte dei lettore (come nel caso dei già citati Rosh, Silverel, Ran Shan eccetera), il tutto si riduce a una descrizione meccanica di serie di affondi, parate, schivate, tentativi di fuga. Diversi combattimenti potrebbero essere cancellati senza colpo ferire – come quello tra saxxon e zombie all’inizio del Secondo Giorno, o quello di Aix e Druin contro Daria più avanti – altri muovono la trama un minimo ma sono comunque troppo noiosi – come la sortita a Palazzo Marsten.

Nonostante tutto questo, Marstenheim è un bel romanzo. La città è viva, pulsante – migliaia di volte più convincente del patinato mondo fantasy #453. I quartieri abbandonati, la gente che si chiude in casa, la tensione tra gli isolati controllati dai soldati della Repubblica e gli isolati controllati dai crociati, il contrasto tra gli antichi palazzi di plastocemento e le nuove costruzioni che scivolano verso il mattone, la pietra e il legno, la fobia per i vermi che portano la peste – tutto contribuisce a creare un’atmosfera lugubre, tetra, di decadenza. Ad essa si mescola un certo umorismo amaro, come il Demone Oracolo o il triste destino di Losado, che pur essendo un bandito fikissimo non fa che passare – senza colpa o quasi – da una sfiga all’altra. A ciò si aggiungono piccoli tocchi di weird, come la bottega di Porfirj, e alcune scene veramente ben riuscite, come quella con Anghelo e Daria nella locanda del porto, o il discorso di Skiapp dal sapore islamico-littorio.
I saxxon, nel loro essere una controparte più ferina e credibile degli elfi, fanno il loro dovere. Gli uomini-ratto sono spettacolari, e mi unisco all’appello di Gamberetta che vorrebbe più scene su di loro. Organizzatissimi e unanimemente sottovalutati, quando parlano tra loro ricordano le macchiette della commedia all’italiana – “Ingegnere!” “Geometra!” – e quando parlano con gli umani diventano degli infidi e adorabili pilipini. Adorabili sono anche i crociati, con quel modo di fare e di parlare da domenicano in mezzo agli albigesi.
Il finale è spettacolare e l’epilogo ancora di più; anche se alcune delle sottotrame individuali mi sembrano concluse in modo un po’ troppo affrettato, come quella di Ygghi Kan e ancor più quella di Morgause (alla quale avrei dedicato più spazio).

Diffida dei ratti

Non fidarti.

In definitiva, pur coi suoi difetti Marstenheim è un bel romanzo, tra i migliori autopubblicati che abbia mai letto e, se è per questo, tra i migliori fantasy italiani in generale. E’ assolutamente paragonabile a Pan di Dimitri – che molti ritengono la pietra miliare del fantasy italiano dell’ultima decina d’anni – e per certi aspetti, come l’assenza di un narratore moralista e l’ambientazione, migliore. Di sicuro è migliore di diversi romanzi di Grandi Autori internazionali che mi sono sciroppato quest’anno, come gli insulsi primi tre libri del ciclo hainita della LeGuin (Rocannon’s World, Planet of Exile, City of Illusions). Sul piano degli autopubblicati se la gioca con Assault Fairies, ma dalla sua ha che almeno è finito ^-^’

Dove si trova?
In questo articolo di Gamberi Fantasy potete scaricare Marstenheim in cinque formati diversi (pdf, mobipocket, rtf, odt, epub, o una cartella con tutti e cinque insieme); in alternativa potete scaricarlo dal blog dell’autore (solo pdf o mobipocket) o dalla Zwei-List (solo pdf).

Qualche estratto
Come estratti ho scelto due scene divertenti. La prima, verso l’inizio vede Morgause che interroga il Demone Oracolo, la seconda il primo incontro tra Aix e un uomo-ratto.

1.
Passò ancora un istante, poi la voce impersonale del Demone Oracolo risuonò nella stanza.
«Sono pronto. Dimmi il tuo nome.»
Lo schermo era diventato nero.
«Qwerty,» disse Morgause.
«Dimmi la parola segreta che squarcia il velo fra i mondi.»
«Qwerty,» ripeté lei.
«Bentornato, Qwerty. Devo metterti in guardia dall’usare una parola nsegreta uguale al nome: non è prudente.»
Morgause sospirò. «Me lo dici tutte le volte. Vedi, il fatto è che non trovo un modo per farti capire che non ho idea di chi sia questo Qwerty. Sarebbe anche opportuno che ti rivolgessi a me come regina o signora, ma lasciamo perdere.»
Il demone ronzò come un insetto.
«Cosa vuoi che ti mostri oggi, Qwerty?»
«Lo stesso di ieri, e sbrigati.»
Sul vetro si formò l’immagine di uno stagno di acqua limpida, circondato dalla vegetazione. A mollo tra le ninfee due languide fanciulle saxxon, una bionda del sud e una bruna del nord, si baciavano sulla bocca accarezzandosi il seno a vicenda.
Morgause si sentì avvampare.
«Non quella cosa, l’altra! Mostrami cosa sta facendo lui ora!»

2.
«Stai fermo lì!» lo avvertì Aix. «Ma tu, cosa… chi sei?»
L’uomo-ratto assunse un’espressione afflitta. «Oh siniori ilustre! Skiapp povero, povero mutanti! Nasciuto di molto disgrasiato. Beli siniori no regali mai nienti per mangiari, solo calci in culo fortisimi e dice: bruto topo, pussa via sciò!»
Aix corrugò la fronte. «Cosa dici? Non ti seguo.»
«No no, te prego! Belo eroe, risparmi tui beli stivali di consumo di calci in culo!» piagnucolò il mutante.
«Stai calmo,» disse Aix, «non ho intenzione di farti del male. Però ora devi dirmi perché ci stavi seguendo.»
«Io cerchi boconcini di rosichiare, siniori.» Con i baffi che fremevano, la creatura che diceva di chiamarsi Skiapp annusò la bisaccia appesa alla cintura di Aix. «Perché tu ha buoni fromagi di tua borsa, mio naso no sbalia!» disse toccandosi il grosso naso nero e umido sulla punta del muso. Singhiozzò, asciugandosi una lacrima con la piccola mano pelosa. «Eh, tu sei beli siniori, no ti muori da la fame come poveri mutanti soli al mondo!»
Aix abbassò l’arco. «Non hai parenti? Amici?»
«No, gueriero belisimo rotolato giù di montagni. Povero, povero Skiapp! Sui madri morta, sui padri morto, sui frateli tuti morti! Sui zii tuti morti! Sui cugini, tuti morti! Sui noni, tuti morti! Sui bisnoni, trisnoni, quatrisnoni, cinquisnoni…»
Aix tagliò corto. «Va bene, ho capito!»

Tabella riassuntiva

Tantissimi personaggi e vicende che si intrecciano. Troppi pov possono buttare fuori dalla storia.
La città è tetra e affascinante. Alcuni personaggi sono un po’ anonimi, soprattutto all’inizio.
Dagli uomini-ratto ai crociati, un sacco di belle trovate! Troppi giri a vuoto e combattimenti insulsi.
In conclusione: PROMOSSO

Crociati cristiani

Crociati kattivi. Sterminiamo infedeli dal 1095.

(1) La scena si svolge così. Alcuni uomini-ratto parlano tra loro in modo normale; poi arriva un essere umano, e quando gli uomini-ratto si rivolgono a lui, parlano in modo sgrammaticato e comico. L’impressione è quella di un salto di pov: dal pov dei ratti (in cui li sentiamo parlare in modo normale) al pov dell’umano, che li sente parlare in modo mongolo.
Angra ha giustificato la cosa dicendo che il pov rimane sugli uomini-ratto. Poiché loro smettono di parlare nella loro lingua e parlano invece in quella del terrestre, la loro pronuncia risulta mongola alle loro stesse orecchie. Da un punto di vista strettamente logico questa spiegazione è corretta, e tuttavia:
1. Quando parlo in un’altra lingua, anche se la parlo male, tendenzialmente mi sentirò parlarla meglio di come mi sentono parlarla i nativi (esperimento fatto personalmente). Questo perché, quando parlo, al modo in cui le parole mi escono effettivamente dalla bocca si sovrappone il modo in cui penso di stare parlando, ossia le mie parole pensate. Invece in questa scena gli uomini-ratto parlano male allo stesso modo in cui li sentiamo parlare in altre scene, in cui il pov è saldamente infilato nella testa di un umano.
2. Anche se tecnicamente le cose stessero come dice Angra, nel lettore scatta un meccanismo psicologico per cui gli sembrerà di spostarsi nella testa dell’umano. Quando infatti vediamo un personaggio che parla male la nostra lingua e uno che la parla bene; e perlopiù il primo è un umano, simile a noi, mentre il secondo un uomo-ratto, tendenzialmente ci identificheremo più col primo. E dato che il pov della scena per il resto non è ancorato a un ratto preciso, né a un personaggio particolarmente attivo, l’impressione di essere passati nella testa dell’umano è forte.
Una precisazione. La mia disamina di questa scena, che peraltro nell’economia dell’intero romanzo è abbastanza irrilevante, non incide in alcun modo sul mio giudizio nei confronti del romanzo. Era solo un esempio. Personalmente, e per le ragioni che mostrerò dopo, avrei risolto il problema eliminando la scena o filtrandola interamente dal punto di vista di André.Torna su