Come tutte quelle tecniche che alterano il semplice flusso lineare della narrazione, i flashback sono una brutta bestia. Nel suo manuale Plot, Ansel Dibell mette giustamente in guardia contro il loro utilizzo:
All this structural hanky-panky isn’t something to engage in just for the fun of it. Any departure from linear, sequential storytelling is going to make the story harder to read and call attention to the container rather than the content, the technique rather than the story those techniques should be serving.
There’s a principle called “elegance” which means that a theory or an object has no excess parts. It may be very complex, but it’s as simple as it can be and still work. This applies to fiction, too.
Tuttavia, ci sono storie che beneficiano realmente, in termini di chiarezza o di coinvolgimento, da un utilizzo intelligente dei flashback. E ci sono storie che semplicemente non funzionerebbero senza flashback.
Pensiamo a Lost: è una storia che non potrebbe mai funzionare se fosse raccontata in ordine cronologico. Dei personaggi non ci interessa nulla finché non sono sull’isola (la vita della maggior parte di loro è piuttosto ordinaria); e viceversa, la serie sarebbe solamente un mystery fantascientifico se non avessimo la possibilità di scoprire, poco a poco, chi erano i sopravvissuti prima di arrivare sull’isola. Si potrebbe raccontare la storia in modo lineare, partendo dallo schianto del volo Oceanic e proseguendo fino alla risoluzione finale ignorando le backstory dei personaggi – ma l’elemento più affascinante della serie (o almeno, delle prime stagioni, che poi sono quelle che funzionano meglio), la sua ragion d’essere, sta proprio nella giustapposizione e nel contrasto tra il prima e l’adesso dei sopravvissuti.
Ho nominato Lost perché è un esempio celebre, ma in realtà tutte le trame del tipo “crogiolo” (in cui una serie di personaggi senza precedenti relazioni tra loro si trovano forzati in uno spazio chiuso di pericolo) si prestano bene a una struttura narrativa che salta avanti e indietro nel tempo. La timeline che segue il presente concentra tutta l’azione, la tensione della vicenda, ed è il perno della storia; le timeline che indagano il passato dei protagonisti concedono dei momenti di respiro tra un momento adrenalinico e l’altro (così da evitare l’assuefazione), sono un piacevole cambio di scenario, accrescono la familiarità e l’affezione verso i personaggi, e permettono di esplorarne meglio le motivazioni e i comportamenti. Battle Royale e Le Iene sono altri due esempi di storia che funziona proprio grazie a questa struttura.
I crogioli sono forse l’esempio migliore, ma non l’unico, di trama che funziona bene quando non è lineare. Pensiamo a Pulp Fiction. Data la natura episodica del film (che racconta, in pratica, tre o quattro storie autoconclusive), non è difficile da seguire anche se è raccontato in modo non lineare. E in compenso, la storia ne beneficia tantissimo: la scena finale di Vic e Jules alla tavola calda, dove i due killer discutono della vita e del loro futuro, non avrebbe minimamente lo stesso impatto sullo spettatore se non sapessimo già come andrà a finire. E viceversa, l’ultimo episodio in ordine temporale è quello del boxeur in fuga interpretato da Bruce Willis: terminare il film con la sua storia sarebbe stato debole. L’episodio di Bruce Willis è divertente e pieno d’azione, ma non dà un senso di chiusura alla pellicola.
Questo pippone per dirvi cosa? Che anche se la chiarezza espositiva e la fluidità della trama sono il primo obiettivo da ricercare quando si crea una storia, bisogna accettare che ci sono trame che, semplicemente, sono più interessanti quando sono raccontate in modo non lineare. A volte, per il bene della chiarezza, si finisce per annacquare una storia e renderla più noiosa. E indovinate dove, a mio avviso, è successo proprio questo? In Attack on Titan.
Uno degli scogli più grossi alla visione di questo anime sono i primi quattro episodi. Sono – per capirci – le puntate in cui viene mostrato l’attacco dei titani alla cerchia di mura esterne (con conseguente distruzione della città natale di Eren), l’esodo dei protagonisti nella seconda cerchia e i tre anni di addestramento all’accademia militare. Capite da subito il problema: si tratta di mostrare in uno spazio di tempo compresso tre anni abbondanti di vita del protagonista. Peggio: si tratta di mostrare un avvenimento di importanza centrale all’inizio, tre anni in cui succede poco e niente, e un nuovo avvenimento di importanza centrale alla fine (la ricomparsa del Titano Colossale, che mette in moto poi tutti gli eventi successivi della serie).
Il risultato è pessimo. Più che raccontare una storia, questi primi episodi sono una sequenza di scene distinte e rabberciate alla bell’è meglio finalizzate a costruire protagonisti e ambientazione. Ci fanno familiarizzare con i personaggi bambini, per poi rimpiazzarceli dopo qualche episodio con le loro versioni cresciute. La sensazione è che le prime due ore circa di Attack on Titan siano una specie di gigantesco prologo all’anime vero e proprio, e che la storia cominci solo a partire dal quinto episodio con la battaglia di Trost. L’impressione è rafforzata dal fatto che, a fronte dei continui salti temporali delle prime puntate, dalla quinta in poi l’evoluzione della trama diventa lentissima. Risultato: ho dovuto fare appello alla mia forza di volontà per non smettere prematuramente la visione dell’anime, e forse l’avrei fatto, se non li avessi già scaricati tutti e messi comodamente nel mio hard disk.
Né sono l’unico ad aver avuto questa impressione. Bazzicando in giro su qualche forum, mi è capitato più volte di imbattermi in conversazioni tra utenti delusi dai primi episodi e incerti se continuare la visione, e fan dell’anime che dicevano cose del tipo: “Tieni duro almeno fino all’episodio 5, poi diventa bellissimo!”. Ora – quando persino gli appassionati riconoscono che un’opera diventa bella solo superato un certo punto, e che quello che c’era prima serviva solo a preparare il terreno, c’è qualcosa che non va. Il tempo dello spettatore è denaro. L’opera deve essere avvincente e reggersi sulle sue gambe fin da subito, non può vivere della vaga promessa che “il bello deve ancora arrivare, sii paziente”.
Mi rendo conto che Isayama si trovava di fronte a un bel problema. Questo problema consisteva nel fatto che il cuore della storia si svolgeva in un determinato momento temporale, ma che questa storia aveva senso solo alla luce di alcuni avvenimenti cruciali che avvenivano alcuni anni prima. I primi episodi avrebbero dunque una serie di obiettivi espositivi:
1. Mostrare l’apertura della breccia nel Muro Maria e l’invasione dei Titani nel regno, dato che questo è l’avvenimento che determinerà il nuovo assetto della società di Attack on Titan.
2. Mostrare il trauma nell’infanzia del protagonista e la serie di avvenimenti che lo porterà a intraprendere la carriera militare.
3. Mostrare come funziona la vita militare nel mondo di Attack on Titan, e introdurre una serie di comprimari che saranno importanti negli episodi successivi (es. i compagni di Eren).
A questi si aggiunge un obiettivo narrativo:
4. Aprire l’opera col botto, cioè con un’apparizione dei Titani (il nodo della storia) e una battaglia sanguinosa.
Non tutti questi punti sono altrettanto importanti. Il punto 3, ad esempio. Il funzionamento dell’esercito – e l’addestramento dei cadetti di cui Eren fa parte – poteva anche essere mostrato direttamente in battaglia, e così i suoi compagni. L’inefficienza di un “avanti veloce” sugli anni di boot camp è dimostrata dal fatto che, comunque sia, poco vediamo – nei primi episodi degli anime – tanto dell’addestramento, quanto di questi comprimari; e infatti facciamo fatica a ricordarceli. Mi sono sorpreso, arrivato all’episodio 16 o 17, di sbattere gli occhi e pensare: “Aspetta – chi minchia è ‘sta Krista Lenz?”. Viceversa, il personaggio di Levi è introdotto relativamente tardi, ma ha un carattere così distintivo, e lo vediamo fare talmente tante cose, che lo memorizziamo subito.
I personaggi si memorizzano e ci diventano familiari in base alle cose che fanno, a come si comportano in momenti cruciali – come ad esempio uno scontro con mostri mangiauomini alti otto metri. Una carrellata veloce e infodumposa, come quella regalataci nel terzo e quarto episodio, aiuta poco (salvo forse a dire: “Ah sì, quella è la tipa delle battute sulle patate…”. Sigh).
Ma concedo che i primi due punti e l’ultimo sono cruciali, e andavano risolti in qualche modo. Il regista, con Isayama, sceglie di privilegiare la chiarezza, raccontando la storia in modo strettamente cronologico e costringendo lo spettatore a tenere duro per i primi episodi – diciamo dal secondo al quarto compreso, che sono quasi esclusivamente espositivi e nei quali non succede granché – per godere poi di quelli successivi.
E se invece avesse fatto diversamente? Se avesse scelto di raccontare la storia di Attack on Titan in modo non lineare, così da evitare il pantano dei primi episodi? Come salvare i punti più importanti, senza fare impazzire il lettore da un lato, né dall’altro annoiarlo?
Ho provato a immaginare come mi sarei comportato nei panni del regista. Ovviamente, avessi carta bianca, terrei solo l’ambientazione ed eliminerei senza rimpianti i protagonisti e tutta la loro storia. Come già detto nello scorso articolo – ma so di avere il consenso della maggior parte di voi su questo punto – ci sono storie molto più interessanti che si potrebbero raccontare con le premesse di Attack on Titan. Ma poniamo di dover mantenere tutti gli elementi principali della storia, e di poter cambiare solo i dettagli e il modo di presentarli. Mi sono venute in mente due diverse alternative.

Ciao a tutti. Sono il comic relief dell’anime e i miei sketch non fanno ridere. Mi ricorderete non per la mia abilità in battaglia, ma perché mangio patate.
Variante #1: Battaglia di Trost con contorno di flashback
Siamo d’accordo: dato che Attack on Titan è un fantasy militare sull’umanità contro i Titani, dovrebbe iniziare con una battaglia contro di loro. Ma perché dev’essere una battaglia ambientata nel passato (rispetto al grosso della storia)? Perché non una battaglia che si svolge nel presente? La soluzione più semplice sarebbe proprio cominciare con l’episodio cinque, ossia con l’attacco dei Titani a Trost – uno scontro che prosegue fino a metà stagione e che quindi da sola rappresenta quasi il 50% dell’anime. L’anime potrebbe aprirsi con una pacifica scena di cadetti sulle mura della città, dando allo spettatore qualche minuto per familiarizzare coi protagonisti – e poi l’attacco.
Ok: questo risolve il quarto punto, ma che dire dei primi due, ossia dell’importanza di far capire allo spettatore come si è arrivati alla situazione presente e cosa motiva Eren a combattere i Titani? Be’, ma a pensarci bene questa è pura exposition. Allo spettatore (come al lettore), all’inizio dell’opera queste cose non interessano. Poiché non c’è ancora stato investimento emotivo né sull’ambientazione, né sul protagonista, non proverà curiosità per il background dell’una né dell’altro. Vuole azione. E provare emozioni forti. Ergo: prima di tutto, un po’ di violenza che ci familiarizzi con Titani e adolescenti protagonisti. Poi, nel tempo – diciamo dopo qualche episodio – il bisogno di saperne di più sul passato di questa gente comincerà ad acquistare peso.
Come gestirlo? Per prima cosa, si può cominciare già dai primi episodi a buttare dettagli sul passato di Eren (e dei suoi amici d’infanzia): il suo essere originario della città dove avvenne il primo attacco, il fatto che sia fuggito per il rotto della cuffia dai Titani e l’odio che ne è scaturito. Poi, in un momento di distensione – alla fine della battaglia, o di una prima fase della battaglia – si potrebbe inserire un flashback (della durata di un episodio, difficilmente di più) che ci mostri nel dettaglio l’avvenimento, con particolari come il fatto che i Titani si siano pappati la mamma di Eren sotto i suoi occhi.
Questi flashback potrebbero diventare anche un pattern dell’anime: ogni tot episodi, in momenti di distensione dell’azione nel presente, e con hook tematici sufficienti a giustificarli, si potrebbe inserire una puntata flashback che illustri questo o quell’aspetto interessante della storia di Eren e dei suoi amici – l’esodo nella seconda cerchia di mura, la difficile vita dei profughi in condizioni di scarsità di cibo, qualche episodio di rivolta finito nel sangue e così via. Sarebbe un interessante sistema per mostrare i particolari della vita ordinaria nel mondo di Attack of Titan senza risultare pesanti.
Variante #02: Build-up lento
Il problema della prima proposta potrebbe essere che condensa molte informazioni in uno spazio concentrato: nel corpo di un unico avvenimento centrale – la battaglia di Trost, che abbia o meno più fasi – ci sono l’introduzione dei personaggi, dell’ambientazione, degli antagonisti, per non parlare dei flashback. Si potrebbe tentare un’altra strada, ossia quella di posticipare la battaglia e dare più tempo allo spettatore di familiarizzare coi personaggi. Ad esempio, potremmo cominciare la nostra storia negli ultimi giorni (l’ultima settimana?) da cadetti dei protagonisti, prima dell’apparizione dei Titani davanti alle mura di Trost.
Però ci siamo detti che un esordio senza l’apparizione dei Titani è debole. Come risolvere questo problema? E’ qui che entra in gioco la Legione Esplorativa! Immaginiamo un inizio incentrato su una spedizione della legione fuori dalle mura, magari tra le rovine di una delle cittadine del Muro Maria. L’anime comincia sui soldati che, variamente acciaccati, fanno per tornare verso la seconda cerchia di mura. E bam! Appaiono i Titani. Segue carneficina (durante la quale apprendiamo quanto cazzo sono pericolosi questi Titani). Alla fine, i superstiti si mettono in fuga ed entrano nelle mura dalla porta di Trost: tutta la scena potrebbe durare un cinque minuti. Ed ecco che il pov passa su Eren – che vedremmo per la prima volta – che li guarda entrare in condizioni pietose. Sigla. Di qui in poi, l’anime stabilirà Eren come protagonista e seguirà la sua storia.
Questa scena, che tra l’altro rispecchia altre scene simili dell’anime reali, svolgerebbe numerosi funzioni: ci dà un inizio forte con Titani che attaccano (e vincono), mostra i giganti che infestano le rovine di città umane, e stabilisce da subito il rapporto tra Eren e la Legione, verso cui chiaramente prova stima e di cui vuole entrare a far parte (anche se per ora non ne sappiamo il perché). Da quest’ultimo dato, lo spettatore intuisce da subito una prima motivazione per cui Eren è nella scuola militare. Il resto dell’episodio può proseguire su toni più tranquilli, mostrando scorci di vita militare dei nostri eroi e qualcosa della vita quotidiana dentro le mura.
L’episodio dovrebbe culminare con un cliffhanger, ma l’attacco dei Titani alle mura potrebbe essere prematuro. Si potrebbe invece chiudere su un disordine con i militari; magari un tentativo di rivolta popolare, così da creare un po’ di tensione, far subito emergere i problemi di politica interna e focalizzare l’attenzione sui soldati (potrebbe persino essere un compito da cadetti come Eren, l’aiutare la guarnigione a riportare l’ordine). L’attacco dei Titani potrebbe poi arrivare con più calma nell’episodio successivo, o ancora più avanti. I dettagli sul passato dei nostri protagonisti dovrebbero essere centellinati. Anche in questo caso si potrebbe inserire, in un momento di calma, il flashback sull’infanzia del protagonista; ma la cosa sarebbe meno traumatica perché avremmo avuto più tempo per conoscere tutti i personaggi.
That’s it
I due scenari riportati sopra erano solo esempi, neanche molto brillanti, che mi sono venuti in mente. Chissà quante soluzioni migliori si possono trovare. Ma entrambe mi sembrano migliori di quella originale, nell’evitare i cliché da shonen e nel presentare il mondo della storia in modo interessante. Mi sono tolto un sassolino dalla scarpa.
Ora posso con più tranquillità abbassare la saracinesca su Attack on Titan. Se ne riparlerà, magari, quando sarà uscita la seconda stagione.