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Tre romanzi fikissimi che (forse) non scriverò mai

April March Herbert Quain“Esame dell’opera di Herbert Quain” è un racconto bizzarro che fa parte della famosa antologia di Borges Finzioni. Il racconto consiste in sostanza della finta recensione dei romanzi di un autore immaginario: un poliziesco apparentemente banale la cui frase di chiusura permette al lettore di capire che la soluzione del detective era sbagliata e gli fornisce l’indizio chiave per trovare – lui solo! – quella corretta; o un romanzo in cui, a partire da una situazione di base, si sviluppano storie alternative che si ramificano secondo uno schema simmetrico; e così via.
Si dice che, quando chiesero a Borges perché avesse scritto un racconto così strano (invece che scrivere davvero i libri che descriveva nella finta recensione), lui rispose che si trattava effettivamente di idee per romanzi che aveva avuto, ma che era troppo pigro per mettersi a scriverli davvero. Piuttosto che non farne nulla, aveva esposto le idee nude e crude.

Oggi voglio fare una cosa del genere. Dato che mi chiedono sempre se scrivo, cosa scrivo, quand’è che finisco qualcosa che ho scritto (ah! ah! ah!), mi son detto: “perché, invece che accontentare il mio pubblico, non parlare di romanzi che probabilmente non scriverò mai?”.
Che la maggior parte delle idee non diventino un romanzo non è strano. Swanwick racconta in un’intervista che, da quando ebbe per la prima volta l’idea di realizzare un’ucronia ispirata al Faust di Goethe, gli ci vollero più di vent’anni per decidersi a scrivere Jack Faust. Kafka non finì mai nessuno dei romanzi che scrisse (e molti rimasero a uno stato embrionale, un capitolo o poche pagine o anche meno). Forse neanche l’1% delle buone idee partorite da bravi scrittori raggiunge la forma scritta.
I motivi sono i più vari: l’autore può pensare che forse in fondo non siano idee così buone; oppure ha immaginato un’ambientazione interessante ma non gli viene in mente una storia decente da ambientarci; oppure gli passa la voglia; oppure è semplice pigrizia. Nel mio caso c’è un po’ di tutto, ma in particolare sento il problema della documentazione: per scrivere una buona storia su un argomento inusuale, e per non fare la figura degli ultimi arrivati, c’è bisogno di studiare talmente tanto che mi passa la voglia ancor prima di cominciare. Per non parlare del tempo che dovrei spendere per documentarmi. Non ce l’ho! E quindi non se ne fa niente. Che scusa del cazzo, eh? Be’, forse c’entra anche la pigrizia…

Bored to Death

…e come questa serie, farò una bruttissima fine.

Magari in futuro troverò il tempo e la voglia per mettermi a sviluppare una di queste idee. Nel frattempo voglio metterle a disposizione di tutti. Magari qualcuno di voi potrà farne buon uso, o darmi qualche suggerimento, o potrebbe nascere un’incredibile partnership (unlikely), o avrà una buona scusa per insultarmi.
Ecco tre romanzi fikissimi che (forse) non scriverò mai. I titoli ovviamente non sono “veri” titoli, ma soltanto delle etichette con cui li ho bollati nella mia testa. Sono abbastanza diversi tra loro, spero che almeno uno di essi vi piaccia.

La resurrezione di San Tommaso
La folgorazione: Fin da quando ho cominciato a studiare letteratura e filosofia al liceo, e a entrare nella testa di grandi pensatori morti da eoni, ho preso a chiedermi: chissà cosa penserebbe una di queste menti se venisse catapultato ai giorni nostri? Se Aristotele avesse potuto vedere l’Apollo 11 che atterra sulla Luna? Se Dante avesse potuto fare esperienza di Internet? Se Newton avesse potuto incontrare i padri della fisica quantistica? Impazzirebbero? Rifiuterebbero il nuovo mondo? Sarebbero ancora capaci di produrre del pensiero geniale?
Dovendo scegliere chi trasportare ai giorni nostri, di certo il gap mentale più ampio si avrebbe pescando un pensatore del Medioevo. E chi meglio di Tommaso d’Aquino, il frate domenicano che ebbe l’ardire di spiegare il mondo intero, e pure Dio e la Creazione, con la sua filosofia? Quale shock proverebbe un uomo convinto di aver spiegato l’universo intero, trovandosi di fronte a un mondo così completamente diverso da quello che conosceva? Propendo decisamente per la seconda, ma questo non mi impedisce di divertirmi un po’ con l’idea. E poi, non è stato proprio Ratzinger a dire: “Bisognerebbe tornare a San Tommaso”?

Tommaso d'Aquino

Bisognerebbe tornare a lui. Ehm.

Di cosa parla: Futuro prossimo. Le nubi della Terza Guerra Mondiale si fanno ogni giorno più dense; l’Europa si trova intrappolata fra i due fuochi degli Stati Uniti e della Cina, e sembra sempre più probabile che – in stile Guerra Fredda – il nostro continente poss diventare il teatro del conflitto fra le due superpotenze. Anno di Giubileo; folle di milioni di persone che affluiscono a San Pietro, mentre la Chiesa lancia appelli di pace universale, di cessazione delle ostilità e di capitalismo etico (che non fa mai male). Ma sul soglio pontificio siede il debole Sisto VI; un vecchietto timido e insipido che non convince proprio nessuno.
Un gruppo di neocristiani borderline non ci sta e decide (come sempre accade) di tornare a un cristianesimo più original. Ma questa gente ha un’arma in più: un rituale che, a partire da un sufficiente numero di reliquie, permette di resuscitare i santi. E’ così che, una notte, in piena campagna, riportano in vita San Tommaso. Di qui comincerà la lenta rieducazione di Tommaso al mondo moderno, facendogli scoprire per gradi com’è il XXI secolo. All’inizio lo farebbero vivere in una vecchia cascina in mezzo al nulla, poi a poco a poco fargli vedere le automobili, il telefono, e così via… Fino a renderlo completamente edotto del mondo moderno. Ma come reagirebbe San Tommaso a queste scoperte? Resterebbe la stessa persona, o diventerebbe qualcosa di nuovo? Impazzirebbe? Smetterebbe di credere in Dio? E potrà guidare la cristianità verso una nuova era di rettitudine, mettendosi addirittura contro la sua Chiesa?

Non ho ancora deciso del destino di Tommaso. Quello che so è che alla trama principale vorrei agganciare qualche subplot minchione; per esempio la vicenda di un cardinale sudafricano che, radiato e scomunicato per la sua condotta violenta, una volta tornato in patria dà il via al suo scisma personale e diventa un signore della guerra. Magari, scoperto il rituale con cui è stato resuscitato San Tommaso, si dedicherebbe a creare il suo esercito personale di santi guerrieri e a unificare l’Africa. La Chiesa a sua volta potrebbe arruolare i propri santi. Sarebbe alquanto tamarro assistere a una battaglia in cui, per esempio, San Bernardo di Clairvaux imbraccia un RPG contro un carro armato guidato da Santa Caterina da Siena.
Tra le altre idee che avevo partorito, la possibile scoperta da parte dei protagonisti che Sisto VI in realtà è un fantoccio e che la Chiesa è guidata ormai da 50 anni da un’avanzatissima intelligenza artificiale imbottita di dottrina (il MAGI System? Ahahahaha). Come reagirebbe San Tommaso all’IA, lo riterrebbe un’emanazione divina o un segno che il demonio ha infilato il suo zoccolo caprino nel cuore della Cristianità? Di sicuro a un certo punto ci dev’essere una scena in cui i cinesi fanno esplodere San Pietro. Magari con una Bomba H.
Insomma, mi piacerebbe mischiare la storia molto seria di come si potrebbe educare un erudito iper-indottrinato del XIII secolo al mondo del ventunesimo, con una cornice demente nello stile della Bizarro Fiction. Stesso discorso per quanto concerne i protagonisti neocristiani: non vorrei farne delle macchiette ma anzi vorrei costruire dei personaggi complessi, ciascuno con la propria motivazione non banale per “tornare a San Tommaso”. Sarebbe un po’ Vonnegut, un po’ Dick, un po’ Mellick – in costante equilibrio tra il serio e il mongoloide.

Ratzinger cattivo

Questo romanzo ha già un fan.

Perché l’ho mollato: Un primo motivo è che, per fare le cose fatte bene, dovrei documentarmi parecchio su San Tommaso; non bastano certo le mie reminiscenze universitarie. Leggere la sua opera omnia (o almeno sapere a menadito la Summa Theologia), la sua biografia (per disegnare in modo verosimile il suo carattere), approfondire la mia conoscenza del Duecento europeo per avere un’idea più chiara di quale fosse il mondo a cui Tommaso era abituato.
Le cose peggiorano tenendo conto che, per fare un lavoro fatto bene e non una roba retorica, dovrei anche documentarmi sul Papato moderno; sulle sue procedure, i costumi, le gerarchie, fino alle piantine degli edifici pubblici di Città del Vaticano. Come fa il collegio cardinalizio a scomunicare qualcuno? Come si allestisce un Angelus? E non farebbe male un bel ripasso di tutta la storia della Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, per fare un ritratto credibile delle politiche papali nel futuro prossimo.
Nulla di impossibile, ma abbastanza da farmi venire voglia di rimandare ad libitum.

Gli ingegneri del sole
La folgorazione: C’è stato un periodo – forse era il secondo anno di università – che una sera alla settimana mi trovavo a guardare con occhi sbarrati Voyager su Rai 2. Ipnotizzato dalla voce suadente di Giacobbo, mi chiedevo come potesse, lo spettatore ideale del programma, credere contemporaneamente ad Atlantide, al Nuovo Ordine Mondiale massonico, alla perduta Agarthi, alle scie chimiche, ai complotti Templari, ai cerchi nel grano, agli aglieni, alle profezie Maya e soprattutto al fatto che Paul McCartney sia stato ucciso e sostituito da un sosia.
Di cosa parla: E’ divertente, però, immaginare come sarebbe il nostro mondo se davvero alcune delle teorie dei voyageristi fossero vere. Perciò ho scelto la mia preferita, la teoria della terra cava; ma nella sua versione più radicale (teoria della terra concava). Il sistema copernicano è un falso, e noi ci troviamo in realtà sulla superficie interna del nostro pianeta, che è cavo al suo interno. La forza di gravità va dalla crosta terrestre giù, nelle profondità degli infiniti strati di terra del pianeta. Il sole se ne sta al centro della cavità, insieme alle stelle fisse e a quelle nubi e quei vapori che ci danno l’impressione del cielo. Ma come fa il sole a sostenersi al centro del pianeta, se la gravità lo trascinerebbe contro la crosta terrestre? Qui sta l’idea!

Terra concava

Benvenuti nella terra concava.

Il sole è una palla non più grande di uno stadio, sostenuta da un complicatissimo e raffinato sistema di impalcature costruite dalla casta degli Ingegneri. Opera degli Ingegneri è anche il sistema di muri mobili che circonda il Sole e che, eclissando periodicamente l’astro, permettono di simulare il ciclo giorno/notte. Supervisionare il corretto funzionamento del Sole è un compito oneroso, e la corporazione degli Ingegneri è la più rispettata e stimata nel mondo. La gente farebbe carte false per potervi entrare. E più si fa carriera, più si sale in alto lungo il sistema di impalcature, arrivando a eseguire compiti sempre più delicati e più vicini all’essenza stessa del Sole.
Il protagonista della storia sarebbe un giovane allievo che riesce a entrare nella corporazione e, lentamente, a fare carriera. Ma in realtà – conflitto! – il nostro giovane uomo è un terrorista, allevato da una setta religiosa nell’insegnamento che l’opera degli Ingegneri è empia e che bisogna affrettare la fine dei tempi. La sua missione segreta è raggiungere i vertici dell’organizzazione per poi sabotare le impalcature, e spegnere il Sole. Ma lungo la strada troverà molti ostacoli, fisici e morali, a mettere alla prova le sue convinzioni. Riuscirà il nostro eroe a provocare la fine del mondo?
Avevo immaginato la storia come una novella, magari da un centinaio di pagine o poco più, concentrato principalmente su questo mondo di impalcature che si estendono verticalmente fino al centro (cavo) della Terra, e solo secondariamente sul resto del pianeta cavo. In realtà avevo anche la mezza idea di un sub-plot di un uomo (o una squadra di uomini) che decide di scavare la crosta terrestre per scoprire se c’è qualcosa dall’altra parte. Come genere potrebbe ricadere tanto nella Bizarro Fiction quanto nel New Weird, a seconda che decidessi di evidenziare più l’aspetto minchione della storia o quello serio-speculativo. Certo però che non mi dispiacerebbe provare a dargli un taglio di verosimiglianza, giusto per scoprire cosa vien fuori; vorrei massimizzare il sense of wonder della storia.

Perché l’ho mollato: Banalmente? Perché non sono un ingegnere, non sono un fisico, e – allo stato attuale dei fatti – non ci capisco niente. Può sembrare una scusa stupida, ma mi sarebbe piaciuto dare a quest’idea completamente minchiona una patina di realismo scientifico nell’esecuzione. Il worldbuilding di questo romanzo ha tutto a che fare con la forza di gravità, l’ingegneria strutturale, and the like; il cuore del romanzo potrebbe consistere nei metodi con cui il protagonista tenterà di sabotare e forse di far saltare la struttura, quindi con un problema che almeno in parte è tecnico; e non volevo rovinare l’idea iniziale con banalità da umanista che non sa bene di cosa sta parlando.
Allo stato attuale, Gli ingegneri del sole è quello più improbabile da realizzare, anche se è forse quello con l’idea base più carina. Difficilmente diventerò mai abbastanza esperto dell’argomento (almeno di qui a 5-10 anni…); quindi, a meno che mi trovi un partner fisico o ingegnere che per puro amore delle belle lettere decida di darmi tutto il suo aiuto, questa storia rimarrà nel cassetto.

Gatto ingegnere

Forse lui potrebbe scriverlo.

Infelix Austria, o Il lungo, lungo regno di Francesco Giuseppe
La folgorazione: Ho già avuto modo di dirlo da qualche parte nel blog, ma se c’è un periodo che mi affascina particolarmente, nella nostra storia recente, sono l’Europa centro-orientale nel tardo Ottocento e fino alla Prima Guerra Mondiale. Coacervi di etnie diverse che ribollivano sotto pochi Imperi, insurrezioni nazionaliste puntualmente represse, populisti con la mania di assassinare gli zar, buffi anacronismi come i servi della gleba russi, che rimasero vincolati alla terra fino all’infelice riforma di Alessandro II nel 1861. Benché non fosse il più moderno dei paesi, l’Austria di Francesco Giuseppe produsse tra la metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento una quantità incredibile di figure geniali, da Freud a Kafka, da Dvorak a Mendel.
E poi c’era lui, Francesco Giuseppe, il grande vecchio – uno dei regnanti più longevi in assoluto nella storia mondiale, padre di tre e forse quattro generazioni di austriaci. L’imperatore ha anche il fascino della figura tragica: il fratello ammazzato dai rivoluzionari messicani, il figlio (nonché erede al trono) che gli muore suicida, la moglie (la principessa Sissi) che oltre ad essere in esaurimento nervoso viene a sua volta ammazzata da un anarchico (italiano), fino ad arrivare al nipote (nonché nuovo erede al trono) Francesco Ferdinando, a cui sappiamo cos’è successo.

A leggere i romanzi di Joseph Roth sull’Impero asburgico – in primis il bellissimo La marcia di Radetzky, di cui ho parlato nella mia Classifica, ma anche La cripta dei cappuccini o La milleduesima notte – si ha l’impressione che nella mente degli austriaci l’impero non potesse mai avere fine. Fosse qualcosa di eterno, di dato e immutabile come il cielo sopra di noi, o il fatto che il sole sorga ogni mattina. Immaginate il trauma, quando è scoppiata la Prima Guerra Mondiale e poi è tutto finito. Ma era inevitabile che andasse così? E se qualcuno più previdente avesse trovato una soluzione alternativa?
Ricordo che lo stesso anno in cui leggevo Roth e seguivo un corso di Storia dei Paesi slavi (che in sostanza era sulla Russia prima della Rivoluzione d’Ottobre e sul suo rapporto con l’Ucrania – una figata), ero anche nel mio periodo di fissa con Philip K. Dick. E ricorderete di cosa si convinse Dick verso la fine della sua vita. Che noi non siamo davvero nel XXI secolo. Siamo ancora nel 70 d.C., intrappolati in un’illusione, orchestrata dall’Imperatore Romano per preservare in eterno il suo trono. Ecco, forse avete capito dove voglio arrivare…

Francesco Giuseppe

Questo è un uomo!

Di cosa parla: Avuto sentore, dopo i moti del 1848 e i tentativi di insurrezione indipendentista che da allora non si contano nel suo regno, che l’Impero Asburgico ha gli anni contati, Francesco Giuseppe è corso ai ripari. Le migliori menti dell’impero si sono messe all’opera per realizzare l’opera più ambiziosa nella storia dell’umanità: una macchina che fermi il tempo e renda eterno il regno di Francesco. La macchina ha preso la forma di un plastico della corte imperiale a Vienna, sul quale manichini in scala, che riproducono tutti i membri della corte, vengono mossi da un meccanismo e ripetono ogni giorno le stesse azioni.
Da 400 anni, nel mondo non succede più nulla di nuovo. Ribellioni continuano a scoppiare alla periferia dell’Impero, ma sono continuamente soffocate; i Confederati continuano a separarsi dagli Stati Uniti e puntualmente sono riannessi con la forza; in Russia, ogni nuovo zar è puntualmente assassinato dai populisti della Narodnaja Volja con una bomba gettata nella carrozza; e così via. I figli succedono ai padri, ma compiono le stesse azioni. Il progresso si è fermato. Solo Francesco Giuseppe vive ininterrottamente da 400 anni, reso immortale dalla macchina.
Ma l’imperatore non è felice. Il fatto che il suo regno non finisca mai ha avuto conseguenza che anche i suoi dispiaceri non finissero mai: continua a litigare con tutti i suoi figli maschi, che raggiunta una certa età puntualmente si suicidano; tutte le sue mogli sono finite nevrotiche, per poi essere pugnalate da sporchi terroristi; e così via.

Due sarebbero i protagonisti, i cui pov verrebbero alternati di capitolo in capitolo. Il primo è lo stesso Francesco Giuseppe. La sua infelicità e l’impossibilità di spiegarla agli altri membri della corte lo ha spinto tra le braccia della nascente disciplina della psicanalisi. Due volte a settimana si siede sul lettino nello studio di Otto Freud (un lontano discendente del primo teorico della psicanalisi, un vecchio moravo morto nel silenzio generale e di cui non si ricorda più nessuno) e comincia a parlare dei suoi problemi. Ma Otto Freud fatica a dargli una mano: è prigioniero della corte e sa che se offendesse in qualche modo l’imperatore finirebbe agli arresti.
L’altro è Aleksej, un populista russo rivoluzionario. La sua vita cambia una mattina, quando è appostato nei pressi del Palazzo d’Inverno, in attesa del passaggio della carrozza dello zar Alessandro XIX per farla saltare in aria. Ma all’ultimo momento, invece di lanciare la bomba nella carrozza, la tira in un vicolo, e lo zar sopravvive. Cosa l’ha spinto a mandare all’aria l’attentato? Lui stesso non è in grado di dirlo; sa solo che deve scappare dalla Russia, dato che la polizia e i suoi ex-compagni fanno a gara per linciarlo. Quel che è successo, è che per qualche ragione Aleksej è sfuggito alle maglie della macchina asburgica, è una scheggia impazzita libera dal circolo vizioso temporale creato da Francesco Giuseppe. E una serie di circostanze lo spingeranno a Vienna…

Narodniki

Quelli di Narodnaja Volja. Bravi ragazzi.

Come i precedenti, sarebbe un romanzo a metà tra il serio e il faceto, ma molto meno Bizarro. Sviluppi steampunk sarebbero teoricamente possibili (la stessa macchina ha un che di steampunk), ma più che di futuro “alternativo” mi piacerebbe realizzare un futuro immobile.
Non ho ancora in mente un finale, ma ci sono un sacco di possibilità interessanti. Dalla più melodrammatica, con un Francesco Giuseppe che in un raptus depressivo dà fuoco al plastico e si getta sulle fiamme; a una più inquietante-imprevedibile, con un Otto Freud che, venuto a conoscenza della macchina dall’imperatore, se ne impossessa e decide di sfruttarla per fare un po’ di esperimenti sociali (diventando così il “main villain”); a un bad ending in cui il rivoluzionario finisce con l’ammazzare l’Imperatore asburgico, ma non viene a conoscenza della macchina, sicché questa continuerà a intrappolarci in eterno; oppure, la mancata uccisione di Alessandro XIX potrebbe scatenare un effetto domino che vanifica l’azione della macchina, e quindi uno sviluppo della trama ancora diverso. Quante cose si potrebbero fare con questa ambientazione!
Perché l’ho mollato: Perché, come ogni romanzo storico (o fantastorico), richiede una mole di documentazione agghiacciante. Dal punto di vista della pura quantità, è quello dei tre che ne esige di più. Come si viveva nell’Ottocento, nell’Impero Austro-Ungarico così come in Russia, e poi biografie su Francesco Giuseppe e la vita alla sua corte; info su vestiti, costumi, cibi, tecnologie, etichetta, eccetera. Un lavoro immane. Senza una mano – ma anche tre o quattro – dubito che riuscirò mai a realizzare un progetto così ambizioso. Oppure sì, ma mi ci vorranno dieci anni. Come avrete visto dalla mole di parole che ci ho speso, dei tre progetti è anche quello che a pelle mi appassiona di più – vedremo.

Ovviamente, queste non sono le uniche idee che ho partorito in questi anni. C’era per esempio l’idea di un romanzo ambientato in un mondo che segue realmente le leggi della fisica aristotelica (e in particolare la teoria dei luoghi naturali e quella del primo motore immobile), giusto per vedere cosa succede; quella di un cyberpunk in cui la coscienza umana è manipolabile al punto che ciascuno di noi nasce come tre individui distinti, i cui corpi e le cui menti coordina in contemporanea, e che permettono di vivere in eterno in quanto la morte di uno dei tre individui dà la possibilità di riceverne uno nuovo in sostituzione; un’ucronia fantasy ambientata alla fine del V secolo, subito dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, in cui il punto di divergenza è la discesa degli angeli (quelli veri!) su Costantinopoli e la trasformazione dell’Impero Bizantino nella Città di Dio agostiniana; e così via. Ma si tratta di idee ancora più embrionali e ancora più difficili da realizzare.
Sto lavorando anche a progetti più concreti – e, per ora, più modesti di quelli che ho appena descritto – ma di quelli non parlerò fino a che non avrò completato quantomeno una prima stesura. Sempre che ci arrivi, dati i miei ritmi. Se penso a quando Gamberetta diceva che per diventare bravi a scrivere bisogna esercitarsi ogni giorno – anche poco, ma tutti i giorni – non posso che concludere di essere un pessimo scrittore.

Gamberetta doesn't approve.

Gamberetta doesn’t approve.

Spero comunque di avervi fatto venire un po’ di acquolina in bocca o almeno di avervi divertito. Mi sarebbe dispiaciuto portarmi queste idee nella tomba.

I Consigli del Lunedì #12: Behold the Man

Behold the ManAutore: Micheal Moorcock
Titolo italiano: I.N.R.I.
Genere: Science-Fantasy / Literary Fiction / Slice of Life
Tipo: Romanzo

Anno: 1969
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 150 ca.

Difficoltà in inglese: **

Karl Glogauer è un uomo infelice. Complici una madre vittimista e melodrammatica, figure paterne abusive, un retaggio ebraico-tedesco, bulleggiamenti scolastici assortiti, e cattive frequentazioni postadolescenziali, ma anche una certa propensione congenita al vittimismo e all’autodistruzione, alla soglia dei trent’anni Glogauer è una perfetta nullità. Nulla di strano se nel frattempo ha sviluppato un morboso attaccamento verso la figura storica di Gesù Cristo. Così come non c’è nulla di strano nel fatto che, non appena ha potuto mettere le mani su una macchina nel tempo, abbia deciso di viaggiare nella Galilea del 29 d.C., un anno prima della Crocifissione.
Ma qualcosa non va, nel passato: nessuno ha mai sentito parlare di Gesù di Nazaret, e Giovanni Battista sembra convinto che Glogauer sia un profeta mandato da Dio per liberare il popolo ebraico dalla schiavitù. Che cosa è successo? Cristo è esistito realmente? E soprattutto, come farà Glogauer a rimettere a posto le cose?

Behold the Man è un piccolo gioiellino che non avrei mai scovato se non avessi condotto un controllo incrociato della bibliografia di Moorcock e della collana dei SF Masterworks. In Italia è praticamente sconosciuto, e questo perché – come già The Sirens of Titan di Vonnegut, di cui ho parlato qui – è uno strano ibrido, di quelli che mi piacciono tanto, tra la narrativa fantastica e un certo tipo di letteratura mainstream-psicologica.
La narrazione segue due timeline parallele: da una parte le avventure di Glogauer nel 29 d.C., dall’altra una serie di flashback sulla sua vita, dall’infanzia all’incontro con la macchina del tempo e il suo progettatore. E mentre seguendo la prima timeline scopriamo che le cose non sono andate proprio come ci dicono i Vangeli, la seconda ci svela a poco a poco lo strano mondo interiore di quel borderline dickiano che è Glogauer.
Nel complesso, l’elemento psicologico-intimista prevale su quello fantascientifico, ma non arriverei a dire, come nel caso di Vonnegut, che gli elementi fantastici abbiano uno scopo puramente funzionale; le peripezie ucroniche del protagonista sono in grado di regalare una certa dose di autentico sense of wonder fantastorico, soprattutto se ve ne frega qualcosa del Cristianesimo.

Gesù bukkake

Potrebbe essere andata così…

Uno sguardo approfondito
La struttura di Behold the Man assomiglia a quella dei romanzi di Mellick di cui mi sono già occupato: una successione di brevi paragrafi di una o poche pagine. Ogni paragrafo costituisce una scena in sé conclusa, oppure un certo lasso di tempo raccontato in modo più sbrigativo (per esempio, un paragrafo è dedicato al primo periodo di permanenza di Glogauer tra gli Esseni). Questa struttura – che, a quanto ho visto, è ottima per le novellas e per i romanzi brevi – dà a tutta la storia un ritmo rapido, incalzante, che mantiene viva la curiosità del lettore e quindi la voglia di andare avanti.
Spesso, ma non sempre, l’alternarsi dei paragrafi coincide con l’alternarsi delle timeline. Per due pagine seguiamo l’atterraggio della macchina del tempo nel 29 d.C. e il soccorso che viene prestato a Glogauer, poi bam!, flashback su un momento significativo dell’infanzia del protagonista, e poi bam!, Glogauer riprende conoscenza in una caverna che puzza di sudore e pelle di capra. E così via. Questo alternarsi non crea confusione – perché segue delle regole precise, che il lettore afferra in fretta e a cui quindi si abitua – anzi al contrario evita il sopraggiungere di momenti di stanca. Spesso, poi, la transizione è facilitata dal fatto che il flashback riprenda temi, idee, pensieri del paragrafo immediatamente precedente – cosicché, nonostante lo stacco, si ha una sensazione di continuità, e che la storia sia tenuta insieme da un unico filo conduttore.
Certo, non sempre a Moorcock il trucco riesce. Alcuni flashback non c’entrano niente con quello che ci sta intorno, e non si capisce perché non siano stati infilati in altri punti del romanzo, o addirittura eliminati. In linea di massima i flashback seguono anch’essi un andamento cronologico – ossia, dall’infanzia di Glogauer ai suoi trent’anni – ma ogni tanto fanno salti avanti o indietro francamente inutili. Con un po’ più di attenzione in fase di editing, si sarebbe potuto evitare questo problema.

Così come si sarebbe potuto evitare un problema strutturale più grave, ossia una certa sproporzione tra la prima metà del romanzo e la successiva: la maggior parte dei flashback si accumulano tutti nella prima, scomparendo gradualmente nella seconda metà; viceversa, la parte ambientata in Galilea procede abbastanza lentamente per le prime 70-80 pagine, per poi accelerare vertiginosamente. L’ultima parte del libro, che copre grossomodo i sei mesi precedenti la Crocifissione, e che per molti versi sarebbe la più interessante, è trattata in maniera troppo sbrigativa – troppo, soprattutto, se confrontato coi dilungamenti della prima parte, quando Glogauer dimora tra gli Esseni. Maggiore uniformità nel ritmo e nella giustapposizione delle due timeline avrebbe migliorato il romanzo.
Tra le sbavature tecniche minori, poi, c’è la tendenza di Moorcock a inserire, ogni tanto, tra un paragrafo e l’altro, qualche piccolo inserto criptico dal sapore molto literary (vale a dire: cacca). Se li poteva risparmiare, perché non aggiungono niente e anzi danno l’impressione dello scrittore di genere coi complessi di inferiorità che se la tira da autore impegnato. Altre volte, specie all’inizio di capitoli, ma anche tra un paragrafo e l’altro, Moorcock inserisce delle citazioni – spesso dalla Bibbia (specialmente dai Vangeli, ma non solo), talvolta da opere di Jung o di altri. La cosa non sarebbe neanche male, ma Moorcock ne abusa, e francamente le citazioni nel bel mezzo dei capitoli se le poteva risparmiare.

Gesù Sparta

…o potrebbe essere andata così!

Behold the Man è altalenante anche nello stile.
Alcune scene (come quella dell’incipit, che ho messo tra gli estratti in fondo all’articolo) sono realizzate alla perfezione: tutto mostrato, massima economia nella scelta delle parole, ritmo incalzante, pov ben saldo – in una parola, immersione totale. Altre volte, specialmente se deve descrivere lunghi periodi di tempo, o se si tratta di scene di minore importanza, il narratore si abbandona a lunghi raccontati infodumposi. Il grosso della permanenza di Glogauer tra gli Esseni, ad eccezione delle scene iniziali e di quelle finali, è narrato con questo stile trascurato e sbrigativo 1.
Altalenante è anche la gestione del pov. Per la maggior parte del tempo è ben fissato nella testa di Glogauer, ma ogni tanto, e specialmente a partire dalla seconda metà del romanzo, scivola verso il narratore onnisciente o verso una forma di pov collettivo della gente che circonda Glogauer. Così, nella seconda e terza parte, ci sono interi paragrafi in cui vediamo il protagonista attraverso gli occhi di un pugno di militi romani, o dei rabbini del tempio, o della folla di pellegrini che lo segue. Anche se ci sono delle motivazioni plausibili, e in accordo con la trama, per questa scelta2, essa ha lo svantaggio di far scemare nel lettore l’empatia verso Glogauer – perché allontanandoci dal suo pov ci allontaniamo da lui – dopo averla gradualmente accumulata nella prima parte.

Tra le altre cose che, per inclinazione personale, potrebbero scoraggiare alla lettura, bisogna dire che il protagonista – con il suo vittimismo, il suo piagnucolio, la sua vigliaccheria, il suo farsi del male da solo e bruciarsi tutte le opportunità che gli si presentano – è un individuo estremamente sgradevole. La vicinanza del pov obbliga il lettore a uno stretto contatto con Glogauer: alcuni potrebbero sviluppare empatia nei suoi confronti, ma altri potrebbero trovarlo irritante fino all’orticaria. Per fare un paragone, immaginatevi uno Shinji Ikari adulto – solo che, a differenza di Evangelion, non ci sono dei personaggi più solari (Misato, Asuka, Kensuke, Kaworu) a fare da contraltare al protagonista.
Se si riesce a sopportare questo fiume di amarezza, bisogna ammettere che la caratterizzazione del protagonista e dei comprimari (la madre svenevole, la psichiatra acida e nichilista, Giovanni Battista, Giuseppe) è ottima. Non solo i loro caratteri sono credibili, ma Moorcock riesce a mostrarceli con poche pennellate e grande economia di parole – due battute di un dialogo, un gesto, una reazione fuori scala. Solo con un personaggio a mio avviso – Maria – l’autore si è lasciato andare alla macchietta grottesca e alle sottolineature inutili.

Shinji Ikari

“Il mondo è kattivo. Nessuno mi ama. Nessuno riconosce le mie buone qualità e mio padre mi skifa. E Asuka mi molesta emotivamente anche se sono buono. Ora scusate ma vado a masturbarmi sulla sua faccia mentre è in coma”.

E poi, c’è la rivisitazione della vita di Cristo; una rivisitazione cinica e amara, che mi ha molto affascinato. Chiunque abbia anche solo un minimo di interesse per la figura storica di Gesù e un’infarinatura del Vangelo (fatto catechismo da piccoli? O l’ora di religione alle elementari? Mai costretti ad andare a messa? Io sì, fino a 12 anni…^^’) dovrebbe provare almeno qualche scintilla di genuino sense of wonder.
In particolare, la scena della tentazione nel deserto è geniale, così come quella del tradimento di Giuda – ma il romanzo è pieno di crude reinterpretazioni di scene del Vangelo. Anche personaggi biblici come Giovanni Battista, Giuda 3 e Ponzio Pilato vengono rivisti in chiave più terra-terra, in modo più realistico e gretto. Fino ad arrivare al finale geniale. E, a questo proposito: fate attenzione alla pagina di Wikipedia su Behold the Man e in generale agli articoli su questo romanzo, molti hanno la sgradevole tendenza a spoilerare il finale – e così si perde metà del gusto.

Insomma, difetti strutturali e stilistici impediscono a Behold the Man di essere il capolavoro che avrebbe potuto essere. Ma rimane una lettura piacevolissima e inquietante. E’ un romanzo molto breve: dategli una possibilità.

Dove si trova?
Behold the Man si può trovare su Amazon a prezzi ragionevoli (10 Euro su amazon.it, scontati a 9.50 nel momento in cui scrivo). Su library.nu, in realtà, si trova una versione di Behold the Man che si spaccia per l’edizione degli SF Masterworks, ma *non lo è*; ho il sospetto che possa essere la novella originale, da cui Moorcock avrebbe tratto l’attuale romanzo, ma non ho indagato. In ogni caso, non fidatevi.
Roberto mi ha segnalato che il romanzo è stato edito in italiano nella collana Urania Collezione, No.102, nel luglio 2011, con il titolo I.N.R.I. Se qualcuno dovesse scoprire che questa edizione è disponibile nel vasto Internet, me lo faccia sapere!

Spoiler biblico

Su Moorcock
Moorcock, ahimè, è conosciuto soprattutto per le sue opere “giovanili” di Sword & Sorcery. Ora, io non ho niente contro la Sword & Sorcery, in teoria; ma è un palese dato di fatto che il 90% della produzione di questo sottogenere sia una porcheria orrenda. Neanche Moorcock si sottrae a questa tendenza. Ricordo di aver letto, a 14 o 15 anni, il primo libro della trilogia di Corum, Il cavaliere di spade; non so se rimasi più disgustato dall’oscenità della prosa, dalla piattezza dei personaggi o dalla banalità della storia, fatto sta che giurai disprezzo eterno per Moorcock e ne girai alla larga per tre anni buoni. E dire che a quell’età non ero neanche di gusti molto difficili: in quegli stessi anni ho letto i primi quattro volumi della Spada della Verità di Goodkind, e non mi erano dispiaciuti (almeno i primi due).
Elric di MelnibonéL’unica opera di Sword & Sorcery di Moorcock che mi senta di salvare è la famosa saga di Elric di Melniboné. Ambientata in un mondo tardomedievale di stampo mediterraneo, narra dell’ultimo principe dei Melniboneani, antico e perverso popolo di maghi superumani, e di come sarà causa della distruzione del suo stesso popolo e dell’inizio di una nuova era. Elric è un personaggio interessante: albino e di fragile costituzione, è costretto ad assumere droghe per sopravvivere; disprezza il suo stesso popolo; e ha un brutto rapporto con Tempestosa, la sua spada senziente assetata di sangue. La saga è rovinata da una prosa pessima e un andamento da romanzo di avventura per bambini; oltretutto Elric, che sarebbe progettato per essere un anti-eroe, finisce per fare tutte le cose tipiche degli eroi del fantasy epico. Salvano la saga l’ambientazione suggestiva e alcune idee carine, come la torre sull’orlo del mondo, la città-miraggio nel deserto, il regno dei mendicanti e la stessa isola di Melniboné.
La saga originale comprende sei libri scritti tra il 1963 e il 1977; negli ultimi vent’anni, Moorcock ha scritto una serie di midquel che però non ho letto.
Oltre alla sua sword & sorcery, ho letto altri due romanzi di Moorcock:
The Warlord of the AirThe Warlord of the Air, science-fantasy ucronico in cui un ufficiale britannico dei primi anni del Novecento, Oswald Banstable, si ritrova in seguito a uno strano incidente in un 1973 alternativo, in cui le guerre mondiali non ci sono mai state, il Commonwealth britannico sembra aver assicurato una pace eterna su tutto il globo e dirigibili giganti sono il principale mezzo di trasporto. Ma Banstable scoprirà che l’utopia è solo apparente. Il libro è scritto nello stile di un romanzo tardo-ottocentesco, e in particolare è un omaggio alla narrativa di Conrad – scelta non proprio felicissima. E’ un esempio di proto-steampunk – e il Duca lo ha citato nel suo articolo di introduzione al genere – e potreste volerlo leggere per il suo valore storico; ma è un romanzo insulso e piuttosto noioso, e questo nonostante si faccia un gran parlare di rivoluzione comunista e tra i personaggi ci sia addirittura un fikissimo Lenin ultranovantenne!
In seguito Moorcock ha scritto altri due romanzi con lo stesso protagonista, The Land Leviathan e The Steel Tsar, ma sono opere del tutto autonome, nelle quali Banstable visita altri futuri alternativi.
GlorianaGloriana è un fantasy politico ambientato in un’Inghilterra elisabettiana alternativa. Da dodici anni Gloriana regna su Albione, la più potente, ricca e splendente nazione del mondo, e i cupi giorni del regno di suo padre, il pazzo e sanguinario Hern IV, sono un lontano ricordo. Ma questa nuova età dell’oro poggia su fragili fondamenta, e una serie di eventi – complice lo sfrenato appetito sessuale della regina – rischiano di far precipitare Albione nel caos e il mondo intero in una guerra disastrosa. Nonostante i molti difetti di stile, Gloriana mi ha colpito molto e credo che ne parlerò in un futuro Consiglio.
In futuro ho intenzione di leggere qualcos’altro di Moorcock; in particolare, la stramba trilogia The Dancers at the End of Time, e forse The War Hound and the World’s Pain, primo libro della trilogia dei Von Bek. Ma accetto consigli e pareri in merito.

Qualche estratto
Questa volta, invece che due estratti, ne ho scelti tre – ma sono brevi. Il primo è l’incipit, e mi sembra un bell’esempio di economia narrativa. Gli altri due sono un dialogo, ambientato nel passato, con Giovanni Battista, e un flashback di Glogauer (completo di flusso di coscienza) che dà un’idea del suo terribile carattere. Insieme, questi ultimi due estratti danno un’idea della doppia anima del romanzo.

1.
The time machine is a sphere full of milky fluid in which the traveller floats enclosed in a rubber suit, breathing through a mask attached to a hose leading into the wall of the machine.
The sphere cracks as it lands and the spilled fluid is soaked up by the dust. The sphere begins to roll, bumping over barren soil and rocks.

Oh, Jesus! Oh, God!
Oh, Jesus! Oh, God!
Oh, Jesus! Oh, God!
Christ! What’s happening to me?
I’m fucked. I’m finished.
The bloody thing doesn’t work.
Oh, Jesus! Oh, God! When will the bastard stop thumping!

Karl Glogauer curls himself into a ball as the level of the liquid falls and he sinks to the yielding plastic of the machine’s inner lining.
The instruments, cryptographic, unconventional, make no sound, do not move. The sphere stops, shifts and roll again as the last of the liquid drips from the wide split in its side.

Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it?

2.
“And what is your name?” Glogauer asked the squatting man.
He straightened up, looking broodingly down on Glogauer.
“You do not know me?”
Glogauer shook his head.
“You have not heard of John, called the Baptist?”
Glogauer tried to hide his surprise, but evidently John the Baptist saw that his name was familiar. He nodded his shaggy head.
“You do know me, I see”.
A sense of relief swept through him then. According to the New Testament, the Baptist had been killed some time before Christ’s crucifixion. It was strange, however, that John, of all people, had not heard of Jesus of Nazareth. Did this mean, after all, that Christ had not existed?
The Baptist combed at his beard with his fingers. “Well, magus, now I must decide, eh?”
Glogauer, concerned with his own thoughts, looked up at him absently. “What must you decide?”
“If you be the friend of the prophecies or the false one we have warned against by Adonai”.
Glogauer became nervous. “I have made no claims. I am merely a stranger, a traveller…”
The Baptist laughed. “Aye – a traveller in a magic chariot. My brothers tell me they saw it arrive. There was a sound like thunder, a flash like lightning – and all at once your chariot was there, rolling across the wilderness. They have seen many wonders, my brothers, but none so marvellous as the appearance of your chariot”.

Gatto Giovanni Battista

3.
The first time he had tried to commit suicide he had been fifteen. He had tied a string round a hook half-way up the wall in the locker room at school. He had placed the noose around his neck and jumped off the bench.
The hook had been torn away from the wall, bringing with it a shower of plaster. His neck had felt sore for the rest of the day.
[…]
“You must try to concentrate on your work, Glogauer”.
“You’re too dreamy, Glogauer. Your head’s always in the clouds. Now…”
“You’ll stay behind after school, Glogauer…”
“Why did you try to run away, Glogauer? Why arent’ you happy here?”
“Really, you must meet me half-way if we’re going to…”
“I think I shall have to ask your mother to take you away from the school…”
“Perhaps you are trying – but you must try harder. I expected a great deal of you, Glogauer, when you first came here. Last term you were doing wonderfully, and now…”
“How many school were you at before you came here? Good heavens!”
“it’s my belief that you were led into this, Glogauer, so I shan’t be too hard on you this time…”
“Don’t look so miserable, my son – you can do it”.
“Listen to me, Glogauer. Pay attention, for heaven’s sake…”
“You’ve got the brains, young man, but you don’t seem to have the application…”
“Sorry? It’s not good enough to be sorry. You must listen…”
“We expect you to try much harder next time”.

Tabella riassuntiva

La vita di Cristo rivista in chiave fantascientifica e disincantata. Gestione dei flashback approssimativa.
Unisce paradossi temporali e introspezione psicologica. Glogauer è un protagonista sgradevole, forse troppo.
Alcune scene sono perfette. Brutti pezzi raccontati e pov ballerino.

(1) Ho una teoria in proposito. Il Behold the Man che oggi possiamo leggere è – come si usava all’epoca, e come in parte si usa ancora – la versione espansa di un racconto. E’ possibile che le scene migliori, più “dense” del romanzo appartenessero al racconto originale; e che per la versione estesa Moorcock abbia allungato il brodo con brani più raccontati e meno ispirati. C’è infatti una certa tendenza tra gli autori di genere, nel processo di trasformazione di un racconto in un romanzo, ad annacquare l’opera originale.Torna su
Ma la mia rimane una teoria, perché non ho letto il Behold the Man originale.

(2) Ho trovato due motivazioni plausibili e complementari per questa scelta di pov:
1. Moorcock vuole mostrare la progressiva depersonalizzazione, alienazione da sé di Glogauer, ma avrebbe difficoltà a farlo rimanendo *dentro* il pov di Glogauer.
2. Moorcock è interessato a farci vedere come gli abitanti della Galilea cominciano a vedere Glogauer.
Per quanto concerne il primo punto, posso obiettare che il protagonista non perde mai del tutto – ma solo a sprazzi – coscienza di sé. Anche nelle ultime fasi della sua vita, ci sono molte scene in cui Glogauer riflette su sé stesso e su quello che sta facendo.
Avrei risolto il problema alternando brevi paragrafi col pov collettivo di altre persone (quando Glogauer non è lucido), a paragrafi più lunghi in cui Glogauer è cosciente e il pov rimane ancorato su di lui. In questo modo si mantengono i vantaggi dei punti 1 e 2 senza allentare troppo il legame empatico col protagonista e la coerenza di pov del romanzo.Torna su

(3) A proposito. Se la figura di Giuda vi affascina, provate a leggere il “racconto” di Borges Tre versioni di Giuda, compreso nella giustamente celebre raccolta Finzioni.Torna su