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Una giornata da coglioni: SteamCamp 2013

SteamCamp 2013Per me, ormai, dormire quattro ore il venerdì notte è diventata un’abitudine.
L’ho fatto un mese fa, quando mi sono alzato alle sette – dopo essere andato a dormire alle tre – per prendere da Stazione Garibaldi il treno (pardon, un Italo, che come mi ha spiegato il prode Zwe è qualcosa di più che un treno) delle otto e un quarto che mi avrebbe portato a Firenze a incontrare il suddetto prode e la dolce Tengi. L’ho rifatto due settimane fa, quando mi sono alzato alle sei per prendere il treno delle sette (pardon, un Trenitalia, che come mi ha spiegato Zwe è qualcosa di meno di un treno) che mi avrebbe portato nella ridente Trento a incontrare Dago e l’Avvopunk. Ma lo scorso sabato ho battuto ogni record, svegliandomi alle cinque e mezza (dopo essere andato a letto all’una) per prendere il treno delle sei e arrivare a Cittadella in tempo per l’apertura dei lavori dello SteamCamp.
Vi chiederete se per caso non mi sia rincoglionito, a farmi ‘ste levatacce solo per assistere alla prima di una conferenza sullo steampunk tenuta da un tizio vestito in uniforme da Germania Imperiale con tanto di pitale in testa – conferenza, peraltro, di cui conoscevo già a menadito l’argomento e la sostanza. La risposta è sì.

L’avventura comincia alle ore nove, quando io e Siò arriviamo nella stazione di Cittadella e tutt’a un tratto sembra di essere in Bosnia. Aggirandoci tra corridoi deserti e biglietterie sprangate, andiamo alla ricerca di Dago, individuo talmente folle da essere arrivato persino prima di noi. Lo troviamo solo e sperduto che si aggira per la banchina del binario 1. E subito si pone il primo problema: come raggiungere l’hotel dove si tiene lo SteamCamp, in questo paese dimenticato da Dio e dagli uomini, dato che nessuno (men che meno io) si è preoccupato di stamparsi la cartina che avevano postato sul sito?
Inizialmente contavamo di metterci nella scia di una tipa dai capelli viola e ingranaggi nella testa che era con noi sul treno per Cittadella e che, così, a occhio, non aveva l’aria di una residente. Ma, tra il tempo perso ad acchiappare Dago e l’andatura della Siò – che per coprire la stessa distanza che gli esseri umani normali fanno con un passo ne deve fare tre – l’avevamo perso di vista. Per fortuna ci viene in soccorso Dago, nei limiti delle possibilità della sua gente: un fogliaccio di carta con su scritti i nomi di tutte le vie che dobbiamo attraversare e le direzioni in cui dobbiamo girare.
Il sistema, incredibile a dirsi, sembra inizialmente funzionare; ma alla seconda circumnavigazione delle mura del centro storico, comincio a pensare che forse non è stata una buona idea e mi viene ricordato che il mio cellulare ha il GPS. Tre secondi dopo scopro che l’Hotel Filanda è addirittura segnato su Google Maps. Subentro quindi a Dago nella guida della comitiva e mi dirigo con piglio sicuro verso l’albergo; il che comunque non ci impedisce di mancarlo e tirare dritti per altri cento metri, nonostante sulla sommità dell’hotel ci fosse scritto HOTEL FILANDA grande come una casa.

Cittadella

Gerusalemme? Roma? Costantinopoli? No: Cittadella.

Arrivati all’albergo, come prima cosa riusciamo a mettere in crisi la barista ordinando due cioccolate calde ad Aprile – la poveretta è costretta a scendere in cantina per prendere il necessario. Il posto è ancora semideserto, e le uniche altre persone presenti oltre a noi sono gente che indossa occhialetti con dentro gli ingranaggi. Mi sento vagamente fuori posto. E il disagio non diminuisce quando salta fuori il Duca, con tanto di sciabola d’ordinanza e pickelhaube. Inoltre il possente Zwei – oasi di normalità in questo maelstrom di orrore – non risponde ai miei messaggini amorosi. Sto già pensando di scappare da Cittadella più veloce della luce, quando a rassicurarmi arriva alle nostre spalle Zero/Talesdreamer – una ragazza che commenta abitualmente su questo blog e su quello di Zwei, con una singolare passione per la medicina estrema e per il millenarismo cristiano.
Mentre aspettiamo che il Duca elemosini in giro pubblico sufficiente per la conferenza d’apertura, ci facciamo raccontare da Zero la sua emozionante nuova vita da fumettara. Che consiste nel condividere una casa in affitto in nero con una tipa albanese che è tipo la figlia di un boss dei narcos (o qualcosa del genere – soffro di deficit dell’attenzione). L’albanese in questione ha due segni particolari: fare del gran sesso col suo tipo loschissimo, ed essere scomparsa di punto in bianco mesi fa (promettendo che sarebbe tornata) lasciando alla coinquilina le sue valigie e tutti i suoi documenti. A occhio, credo la ritroveranno fra trent’anni in un pilone di cemento.

Esauriti gli argomenti morbosi, andiamo a infilarci in sala Manzetti giusto in tempo per l’inizio della conferenza del Duchino su “Che cos’è lo Steampunk?”. Qui ci vengono subito appalesati i potenti mezzi degli organizzatori dello SteamCamp: uno schermo gigante che proietta slide solo nell’angolo in alto a destra e una telecamera fissa per riprendere tutte le conferenze che obbliga i relatori a stare seduti immobili al centro del palco. Yeah. Le slide proiettate dal Duca sembrano realizzate da un bambino cingalese che fino a ieri cuciva palloni, ma questo non ci impedisce di capire che le mele non sono banane e che una barbie di plastica nuda non è steampunk. La conferenza, comunque, è bella.
Non bella, però, come quella sull’Informatica del XIX Secolo tenuta da Gino Roncaglia. Mi rendo subito antipatico a tutti mettendomi a prendere appunti sul portatile come un mongolo sbavante al primo anno di filosofia, mentre sullo schermo alle spalle di Roncaglia passano ingranaggi del primo secolo a.C., schede perforate, ritratti di Monsieur Jacquard realizzati al telaio Jacquard e filmati che non partono. Folgorato come Paolo sulla via di Damasco, mi rendo conto che nulla al mondo è interessante come le macchine di calcolo del sette-ottocento e che posso tranquillamente gettare nel fuoco tutti i libri di storia medievale letti negli ultimi anni (cosa che non mi impedirà di avere altre due o tre folgorazioni nel corso della giornata). Alla fine della conferenza riesco a rendermi antipatico anche a Roncaglia, sequestrandolo e costringendolo a dirmi due o tre titoli divulgativi sull’informatica ottocentesca.

SteamCamp 2013 - Dago cavalierato dal Duca

“Da oggi sarai un vero essere umano”.

Trascinato a forza da Dago e Siò, vengo portato fuori dalla sala Manzetti. Qui ci rendiamo conto che abbiamo fame, ed ecco che salta fuori il secondo dramma logistico della giornata: a parte Dago, che si è portato i panini da casa, nessuno si era posto il problema del pranzo. L’albergo offre un pranzo con menu fisso primo + secondo a 25 Euro a persona, il che per qualche strano motivo mi toglie la fame. Zero e la sua amica si sono impelagate nella conferenza ‘impariamo a disegnare fumetti steampunk’, e il Duca è andato a far finta di fare l’organizzatore del Camp, sicché io, Siò e Dago ci guardiamo negli occhi e decidiamo di tentare l’impossibile – metterci a cercare un locale in giro per il paese.
Cercare tracce di vita a Cittadella è un’impresa che ha dell’ambizioso. Venti minuti buoni di peregrinazioni ci portano alfine dentro il centro storico di Cittadella, che in sostanza consiste di un vialetto e una piazza con chiesa. Ci soffermiamo un momento ad ammirare il profondo Retard di tutto questo: una cerchia di mura alta un chilometro e perfettamente conservata, per proteggere un cazzo di niente, a decine di chilometri da qualunque città importante. Alla fine decidiamo di affogare i nostri dispiaceri in un baretto tristissimo in un angolo della piazza. E qui arriva l’ennesimo FAIL della giornata – nell’istante in cui addento l’ultimo boccone del panino comprato al bar, mi arriva questo messaggio di Zero: “Dove siete? Mi sono liberata e pensavo di cercare qualcosa da mangiare…”. Oh fuck.

A tirarmi su il morale, un messaggino di Zwe che mi fa sapere in tutta tranquillità che è arrivato all’altezza di Padova e che a breve sarà fra noi. Un’ora più tardi i suoi bicipiti ci raggiungono al bar dell’hotel, e poco dopo arriva anche lui. Ogni conversazione che non lo riguardi cessa di avere un senso. Da notare il fatto che, benché lui e Dago si stringano la mano, solo tre ore dopo Zwei capirà chi cazzo è. Ma la giornata ha in serbo per noi altre sorprese, e in particolare l’unirsi al nostro gruppo di altre due persone che non sapevo sarebbero venute: Okamis, famoso per la sua passione morbosa per i caratteri tipografici e la regolarità con cui fa defungere i propri blog, e ???, il tipo che ha regalato qualcosa di 20 commenti alla mia recensione di Deinos trollando la vincitrice del concorso.
Mentre aspettiamo che riprendano le conferenze, Zwe va alla reception a prendere una stanza. Il che ci fa venire in mente che in effetti io e Siò non abbiamo un vero programma per la serata. Certo – la casa da studente di Siò non è lontana. Potremmo prendere l’ultimo treno per Vicenza, dove cambiare per prendere il treno che ci porterà a casa sua; per poi la mattina dopo prendere un altro treno, cambiare a Vicenza e tornare a Cittadella, stare mezza giornata e quindi prendere un altro treno per Vicenza e un’ultimo che ci riporti a casa. Certo. Oppure potremmo ordinare una pratica stanza in questo albergo di ladri. Uhm. Il dilemma, come potete immaginare, mi attanaglia.

SteamCamp 2013 - Dago e cosplayer

Quello a sinistra sta cosplayando un mongoloide.

Le conferenze del pomeriggio hanno alti e bassi.
Quella sugli alieni nella fantascienza ottocentesca è tenuta da un tipo con lo stesso charme del cemento che si asciuga; il suo timbro monocorde riesce a rendere i tripodi di Wells interessanti come il testo di un decreto legge. Per tutto il tempo Zwe mi lancia sguardi che sembrano dire: “Mi hai molto diluso”. Alla quarta o quinta persona che abbandona la sala capiamo che non è una cattiva idea, e ci dileguiamo anche noi. Vorrei approfittarne per andare ad ascoltare il rant del Duca su quelli che mistificano lo steampunk, previsto per le due e mezza, salvo scoprire che è stato annullato perché non se lo inculava nessuno.
E’ stato poi il turno della prima delle due presentazioni librarie della giornata. Di uno dei due libri presentati non parleremo (*). Parleremo invece dell’altro libro presentato; o meglio, una saga: Le Ombre di Marte dell’autopubblicato Augusto Chiarle. A parte il fatto che la suddetta saga consta di una quadrilogia che l’autore ha dichiarato di voler ulteriormente espandere in un secondo ciclo su richiesta di ben sette suoi lettori (e sticazzi); a parte aver più volte parlato del suo fantastico come una sorta di specchio deformante del reale e di come lui affronti importanti problematiche sociali (i termini non erano proprio questi, ma…); ma Chiarle è stato capace di regalarci perle sublimi come quando, parlando delle copertine dei suoi libri, ci ha confidato: “Vedete, io penso che una copertina debba anche saper suggerire qualcosa del contenuto del libro…”. Sulle copertine, tra parentesi, troviamo foto di lui e di suoi amici in costumi steampunk. Non ho intenzione di avvicinare questa roba neanche con un bastone.

Chiarle Orologeria

Se ve lo state chiedendo, sì, questo è lui.

Ma l’apice della giornata è stato raggiunto con la conferenza successiva, quella dedicata all’egregio Dr. Kellogg, medico, pedagogo, salutista, avventista del settimo giorno, nonché punto di riferimento dottrinale per il nostro Duca. Nel vedere con orrore che questo incontro era tenuto dallo stesso personaggio che aveva parlato degli alieni, il mio primo impulso era stato di darmi alla macchia. Ma feci male. Neanche la completa mancanza di inflessione vocale di quest’uomo poteva diminuire l’esilaranza della vita e della dottrina del Dr. Kellogg. Un uomo che fece del clistere un arte, un uomo che condannava il consumo di carne perché faceva venire le tenie e il consumo di zuccheri perché stimolava gli appetiti sessuali, un uomo che per correggere le cattive abitudini notturne dei fanciulli soleva ingabbiare i loro piselli in pratiche mutande di fil di ferro, e che del resto amava conservare gli escrementi migliori dei suoi pazienti per poi osservarli tutto contento.
La giornata si è conclusa con un’ultima carrellata di libri: Mondo9 di Dario Tonani e la novella Soldati a vapore di Diego Ferrara. Mentre Tonani ci parlava delle sue città metalliche dotate di autocoscienza, sullo sfondo venivano mandate a nastro una serie di immagini realizzate da un grafico per Mondo9. Le avremo viste tutte per, tipo, dieci volte. A un tratto Tonani fa: “Vogliamo vedere il booktrailer?”. Al che Galluzzo (che bagolava lì intorno) accende le casse e noi vediamo un’altra volta la stessa carrellata di immagini, ma con in sottofondo una musica epica. Quello era il booktrailer. Poi Galluzzo spegne la musica e, mentre Tonani e Sosio prendono congedo, fa partire un’altra passata delle immagini.

Quando Tonani si alza sembra quasi che la conferenza sia finita; nessuno dice niente. Tocca al pubblico chiedere: “Ma non doveva esserci anche un altro libro?”. Solo allora un tizio seduto tra il pubblico si alza e fa: “Sì, in effetti ci sarebbe anche il mio”, quasi a dire: “Dobbiamo proprio?”. Costui è Diego Ferrara. Bisogna dire che non è bravissimo a farsi autoproduzione, dato che in sostanza ha passato il tempo a spiegare che il suo libro non è che fosse niente di che, e che non aveva molte cose da dirci sopra, e insomma, che se proprio volevamo potevamo anche leggerlo. Bisogna dire che, dopo le roboanti parole delle presentazioni precedenti, faceva quasi una figura migliore.
A un certo punto abbiamo deciso di venirgli in aiuto. Mentre io – che avevo letto la novella e l’ho trovata molto carina1 – gli facevo i complimenti, Okamis (l’autore della copertina, peraltro fikissima, del suddetto libro) saliva sul palco, si metteva a computer e andava a proiettare l’immagine della copertina. Il clima intanto si è riscaldato – e la gente comincia a fare domande all’autore! Paradossale: tutti gli altri a fine conferenza facevano la domanda di rito: “Ci sono domande?”, e il pubblico zitto. Ferrara le domande non le voleva, ed è quello che ha riscosso più successo di tutti!

SteamCamp 2013 - Il Duca e Zweilawyer libidinosi

Questa la dedico alla dolce Tengi.

A fine conferenza ho placcato Tonani prima che avesse la possibilità di andarsene. La domanda, molto semplice: “Maaa, se volessi prendere una copia del libro?”. Quello infatti alla possibilità di venderli non ci aveva neanche pensato; le tre copie che si era portato dietro stavano già sparendo nella borsa. Un po’ perplesso mi fa: “Be’, sì, certo”, e me la vende. Subito dopo, alle mie spalle, sento un altro che, stimolato dal mio gesto, vuole comprarne una. Torno dagli altri che già mi guardano con un misto di compassione e sdegno; mi avrebbero preso per il culo per il resto della serata, ricordandomi che Tonani scrive risaputamente di merda e che le sue idee sono originali come la sceneggiatura di Avatar. Ce ne stiamo già andando – mentre io stoicamente difendo la possibilità che Mondo9 possa essere interessante – quando dal fondo della sala la tipa che accompagnava Tonani mi chiede se voglio l’autografo sul libro. Mi veniva da dire: “Ma anche no…”, ma visto che mi ero appena fatto fare l’autografo digitale sull’ebook da Ferrara mi sembrava brutto rifiutare, e ora ho anche l’autografo di Tonani. LOL.
Nel frattempo, s’era fatta una certa. Dago ci aveva dovuto lasciare per prendere l’ultimo treno per Trento. Codice penale 1, 2, 3 o n, o chissà quale altro dei ventordici esami che gli mancano per prendere la sua pregevole laurea da azzeccagarbugli, lo stava aspettando. Con tristezza l’ho lasciato andare. Questo non gli ha comunque impedito, prima di dileguarci, di costringerci a fare una serie di foto imbarazzanti, tra cui una con delle cosplayer steampunk che non vedevano l’ora di fare finta di non conoscerci.
Dopo l’ultima conferenza, anche Zero e amica viola si dileguano nel crepuscolo cittadellese per prendere il treno per Padova. Il nostro gruppo acquisisce invece in pianta stabile Ferrara e due suoi compari.

Visti i prezzi invisi al Signore dell’Hotel Filanda, ci troviamo costretti ancora una volta a marciare verso il centro. Zwei ne approfitta per insultare le mura di Cittadella e la stessa esistenza del paese. La prima tappa è un bar nella piazza centrale (non c’è davvero un cazzo d’altro a parte la piazza) dove scopro con orrore che lo spritz non è di origine milanese bensì veneta. Qui, caso strano, ci troviamo a parlare di amputazioni, di bruciare gli zingari, di muscle bear, di Girola McN00b (non necessariamente in quest’ordine).
Trovare un posto dove fare una vera cena si rivelerà molto più difficile. La prima pizzeria che ci viene indicata, a dieci minuti abbondanti dal bar, ci dice che se vogliamo un tavolo per dieci persone dobbiamo aspettare un’ora. Intristiti ce ne andiamo in quella che sembra essere l’unica altra pizzeria della città, a un quarto d’ora dalla prima. Questa ha un aspetto molto più trucido, e dichiara che dovremmo aspettare 45 minuti. Calcoliamo che se torniamo all’altra mancherà solo mezz’ora per poter entrare, quindi vale la pena. Quando torniamo e chiediamo, la risposta serafica della proprietaria è: “C’è da aspettare un’ora.” WTF? Col cuore in mano, ma ormai rassegnati al nostro triste destino, ci accampiamo come degli zingari sulla pensilina dell’autobus di fronte alla pizzeria e aspettiamo. Gli argomenti? Il porno tentacolare, l’elicottero di Montezemolo, l’uso improprio della parola ‘digressioni’, che cazzo faccia il Duca nella vita, Davide Mana – non necessariamente in quest’ordine.

SteamCamp 2013 - Il Duca e Zweilawyer lussuriosi

Anche questa la dedico a Tengi.

Quando finalmente entriamo in pizzeria saranno le undici di sera, e nelle ultime quarantott’ore ne ho dormite quattro (cinque se contiamo i rincoglionimenti in treno). Se non mi addormento con la faccia nella pizza è un miracolo, e impotente mi sento dare del tisico dall’invidioso Duca. Duca che tra l’altro decide di farsi odiare dal cameriere in ogni modo, prima ordinando un Prosecco (mentre noialtri ci accontentiamo di acqua o birrette) e poi, trovatolo cattivo, costringendo il suddetto cameriere a sorbirsi tutta una spiegazione sulle molteplici varierà del suddetto Prosecco e relative modalità di consumazione.
Lasciamo la pizzeria che quasi non mi reggo in piedi. Uno a uno, i membri del gruppo si staccano: Ferrara e i compari, che c’hanno la macchina; ??? e ragazza, che saggiamente hanno deciso che tenevano ai loro soldi e hanno prenotato in un bed&breakfast nella solita piazza; Okamis, che deve tornare a casa perché la mattina dopo deve negoziare con degli arabi. Il centro di Cittadella ci accoglie con un “tunz tuzz tunz tuzz’: il triste baretto per vecchi dove abbiamo magramente pranzato, a quanto pare, di notte si trasforma in un localino alla moda con dj alla console. Il cuore pulsante della movida cittadellese.

Mentre arranchiamo nella notte, ormai in cinque, il Duca discute con Zwei dell’opportunità di trasformare la vagina in un campo di coltivazione di ortaggi (o qualcosa del genere – vi ricordate del mio deficit dell’attenzione?). Zwei continua a rispondergli che non gliene frega un cazzo e che è un ciccione di merda, ma questo non sembra frenarlo. Arriviamo in albergo che tutto è silenzio. L’ultima immagine che mi si imprime nella retina, prima che infili la porta della mia camera, è il Duca che passando mi rivolge una faccia da maniaco – una faccia che sembra dire: “Io ucciderò culo.”

Ucciderò culo

E’ stato bello.
Anche se la roba interessante era tutta concentrata al sabato, tanto che alla domenica allo SteamCamp non c’era più un cazzo da fare e mi annoiavo talmente che sono andato a guardarmi la replica dell’Introduzione ducale allo Steampunk. Anche se in queste fiere si aggirano sempre personaggi inquietanti – come quel tipo col cappellino da motociclista anni ’20 sempre silenzioso, che a un tratto ha tentato di sequestrare la Siò per raccontarle la sua ambientazione steampunk; o un tale in mantello che si aggirava con una trombetta seminando il panico tra la gente, e il cui suono in lontananza ci ha accompagnato per molte ore durante tutto il pomeriggio. Ho imparato tante cose, tipo che non sarò mai in grado di scrivere steampunk, o che non potrò essere un vero nerd finché trombo. Ho conosciuto Zero, Okamis, ??? e gli altri, ho l’autografo virtuale di Ferrara e ho potuto leggere in anteprima il quarto capitolo di Zodd (sul quale dirò soltanto: “Gli escono dal fottuto buco del culo!!”). Mi sono divertito.
Tutte le conferenze sono state registrate, e nei mesi a venire saranno montate e poi postate sull’Internet. Menomale, così potrò guardarmi l’inizio di quella sul Dr. Kellogg. Insomma: direi che lo SteamCamp è riuscito, e spero che si faccia una seconda edizione l’anno prossimo.

Il mio ultimo pensiero va ai cittadellesi e alla loro bella città. Alla pizzeria che la mattina dopo abbiamo scoperto essere appiccicata al bar dove abbiamo preso lo spritz e di cui nessuno ci aveva parlato; ai ragazzini che sono passati in processione con un crocifisso di cartone gigante con su la foto di un tizio; al cameriere che riteneva impossibile scaldare un panino in meno di tre minuti; alla biglietteria “chiusa per sempre”, che rendeva virtualmente impossibile l’acquisto di un qualsiasi tipo di biglietto del treno per lasciare Cittadella.

SteamCamp 2013 - Biglietteria di Cittadella

Ucciderò culo. Siete avvertiti.

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(1) Tra l’altro ho scoperto che Ferrara aveva partecipato all’ormai dimenticato Concorso Steampunk del Duca con ben due racconti, entrambi piazzatisi molto bene. Uno è Il Lunasil, che non ho letto (ma Siobhàn dice che è molto bello); l’altro è Piloti e Nobiltà, che tra i quattro candidati alla vittoria era il mio preferito.
Tutte queste scoperte mi portano a pensare che Ferrara sia un figo, benché mi chiami Tapino. E sto preparando un post sul suo Soldati a vapore.Torna su

(*) EDIT: Il testo dell’articolo prima era un poco diverso. Mi dispiace averlo dovuto fare, ma si era innescato un piccolo flame personale tra me e una certa persona e questo stava danneggiando seriamente SteamCamp e i suoi organizzatori.
Il fatto che io e il Duca siamo in buoni rapporti non dovrebbe significare che abbiamo le stesse opinioni su qualsiasi argomento o che quello che faccio io sia un’estensione della sua volontà. Ma per evitare ulteriori fraintendimenti, dato che non era mia intenzione creare danni inutili con un flame che nemmeno riguardava lo steampunk, ho preferito cancellare le poche righe che riguardavano questo personaggio per timore di rovinare la prossima edizione.
Ribadisco, per chi non avesse la pazienza di leggersi l’intero articolo ma solo le righe che preferisce, che lo SteamCamp mi è piaciuto molto e che il bilancio è stato largamente positivo. Con le mie azioni ho fatto vendere due o tre copie di un libro a fine conferenza, e io personalmente ne ho già letti due su quattro presentati – credo che dovrebbe significare qualcosa. Spero, e farò quanto è in mio potere, per rendere possibile le future edizioni di una cosa figa come lo SteamCamp.
Ho finito.

I Consigli del Lunedì #12: Behold the Man

Behold the ManAutore: Micheal Moorcock
Titolo italiano: I.N.R.I.
Genere: Science-Fantasy / Literary Fiction / Slice of Life
Tipo: Romanzo

Anno: 1969
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 150 ca.

Difficoltà in inglese: **

Karl Glogauer è un uomo infelice. Complici una madre vittimista e melodrammatica, figure paterne abusive, un retaggio ebraico-tedesco, bulleggiamenti scolastici assortiti, e cattive frequentazioni postadolescenziali, ma anche una certa propensione congenita al vittimismo e all’autodistruzione, alla soglia dei trent’anni Glogauer è una perfetta nullità. Nulla di strano se nel frattempo ha sviluppato un morboso attaccamento verso la figura storica di Gesù Cristo. Così come non c’è nulla di strano nel fatto che, non appena ha potuto mettere le mani su una macchina nel tempo, abbia deciso di viaggiare nella Galilea del 29 d.C., un anno prima della Crocifissione.
Ma qualcosa non va, nel passato: nessuno ha mai sentito parlare di Gesù di Nazaret, e Giovanni Battista sembra convinto che Glogauer sia un profeta mandato da Dio per liberare il popolo ebraico dalla schiavitù. Che cosa è successo? Cristo è esistito realmente? E soprattutto, come farà Glogauer a rimettere a posto le cose?

Behold the Man è un piccolo gioiellino che non avrei mai scovato se non avessi condotto un controllo incrociato della bibliografia di Moorcock e della collana dei SF Masterworks. In Italia è praticamente sconosciuto, e questo perché – come già The Sirens of Titan di Vonnegut, di cui ho parlato qui – è uno strano ibrido, di quelli che mi piacciono tanto, tra la narrativa fantastica e un certo tipo di letteratura mainstream-psicologica.
La narrazione segue due timeline parallele: da una parte le avventure di Glogauer nel 29 d.C., dall’altra una serie di flashback sulla sua vita, dall’infanzia all’incontro con la macchina del tempo e il suo progettatore. E mentre seguendo la prima timeline scopriamo che le cose non sono andate proprio come ci dicono i Vangeli, la seconda ci svela a poco a poco lo strano mondo interiore di quel borderline dickiano che è Glogauer.
Nel complesso, l’elemento psicologico-intimista prevale su quello fantascientifico, ma non arriverei a dire, come nel caso di Vonnegut, che gli elementi fantastici abbiano uno scopo puramente funzionale; le peripezie ucroniche del protagonista sono in grado di regalare una certa dose di autentico sense of wonder fantastorico, soprattutto se ve ne frega qualcosa del Cristianesimo.

Gesù bukkake

Potrebbe essere andata così…

Uno sguardo approfondito
La struttura di Behold the Man assomiglia a quella dei romanzi di Mellick di cui mi sono già occupato: una successione di brevi paragrafi di una o poche pagine. Ogni paragrafo costituisce una scena in sé conclusa, oppure un certo lasso di tempo raccontato in modo più sbrigativo (per esempio, un paragrafo è dedicato al primo periodo di permanenza di Glogauer tra gli Esseni). Questa struttura – che, a quanto ho visto, è ottima per le novellas e per i romanzi brevi – dà a tutta la storia un ritmo rapido, incalzante, che mantiene viva la curiosità del lettore e quindi la voglia di andare avanti.
Spesso, ma non sempre, l’alternarsi dei paragrafi coincide con l’alternarsi delle timeline. Per due pagine seguiamo l’atterraggio della macchina del tempo nel 29 d.C. e il soccorso che viene prestato a Glogauer, poi bam!, flashback su un momento significativo dell’infanzia del protagonista, e poi bam!, Glogauer riprende conoscenza in una caverna che puzza di sudore e pelle di capra. E così via. Questo alternarsi non crea confusione – perché segue delle regole precise, che il lettore afferra in fretta e a cui quindi si abitua – anzi al contrario evita il sopraggiungere di momenti di stanca. Spesso, poi, la transizione è facilitata dal fatto che il flashback riprenda temi, idee, pensieri del paragrafo immediatamente precedente – cosicché, nonostante lo stacco, si ha una sensazione di continuità, e che la storia sia tenuta insieme da un unico filo conduttore.
Certo, non sempre a Moorcock il trucco riesce. Alcuni flashback non c’entrano niente con quello che ci sta intorno, e non si capisce perché non siano stati infilati in altri punti del romanzo, o addirittura eliminati. In linea di massima i flashback seguono anch’essi un andamento cronologico – ossia, dall’infanzia di Glogauer ai suoi trent’anni – ma ogni tanto fanno salti avanti o indietro francamente inutili. Con un po’ più di attenzione in fase di editing, si sarebbe potuto evitare questo problema.

Così come si sarebbe potuto evitare un problema strutturale più grave, ossia una certa sproporzione tra la prima metà del romanzo e la successiva: la maggior parte dei flashback si accumulano tutti nella prima, scomparendo gradualmente nella seconda metà; viceversa, la parte ambientata in Galilea procede abbastanza lentamente per le prime 70-80 pagine, per poi accelerare vertiginosamente. L’ultima parte del libro, che copre grossomodo i sei mesi precedenti la Crocifissione, e che per molti versi sarebbe la più interessante, è trattata in maniera troppo sbrigativa – troppo, soprattutto, se confrontato coi dilungamenti della prima parte, quando Glogauer dimora tra gli Esseni. Maggiore uniformità nel ritmo e nella giustapposizione delle due timeline avrebbe migliorato il romanzo.
Tra le sbavature tecniche minori, poi, c’è la tendenza di Moorcock a inserire, ogni tanto, tra un paragrafo e l’altro, qualche piccolo inserto criptico dal sapore molto literary (vale a dire: cacca). Se li poteva risparmiare, perché non aggiungono niente e anzi danno l’impressione dello scrittore di genere coi complessi di inferiorità che se la tira da autore impegnato. Altre volte, specie all’inizio di capitoli, ma anche tra un paragrafo e l’altro, Moorcock inserisce delle citazioni – spesso dalla Bibbia (specialmente dai Vangeli, ma non solo), talvolta da opere di Jung o di altri. La cosa non sarebbe neanche male, ma Moorcock ne abusa, e francamente le citazioni nel bel mezzo dei capitoli se le poteva risparmiare.

Gesù Sparta

…o potrebbe essere andata così!

Behold the Man è altalenante anche nello stile.
Alcune scene (come quella dell’incipit, che ho messo tra gli estratti in fondo all’articolo) sono realizzate alla perfezione: tutto mostrato, massima economia nella scelta delle parole, ritmo incalzante, pov ben saldo – in una parola, immersione totale. Altre volte, specialmente se deve descrivere lunghi periodi di tempo, o se si tratta di scene di minore importanza, il narratore si abbandona a lunghi raccontati infodumposi. Il grosso della permanenza di Glogauer tra gli Esseni, ad eccezione delle scene iniziali e di quelle finali, è narrato con questo stile trascurato e sbrigativo 1.
Altalenante è anche la gestione del pov. Per la maggior parte del tempo è ben fissato nella testa di Glogauer, ma ogni tanto, e specialmente a partire dalla seconda metà del romanzo, scivola verso il narratore onnisciente o verso una forma di pov collettivo della gente che circonda Glogauer. Così, nella seconda e terza parte, ci sono interi paragrafi in cui vediamo il protagonista attraverso gli occhi di un pugno di militi romani, o dei rabbini del tempio, o della folla di pellegrini che lo segue. Anche se ci sono delle motivazioni plausibili, e in accordo con la trama, per questa scelta2, essa ha lo svantaggio di far scemare nel lettore l’empatia verso Glogauer – perché allontanandoci dal suo pov ci allontaniamo da lui – dopo averla gradualmente accumulata nella prima parte.

Tra le altre cose che, per inclinazione personale, potrebbero scoraggiare alla lettura, bisogna dire che il protagonista – con il suo vittimismo, il suo piagnucolio, la sua vigliaccheria, il suo farsi del male da solo e bruciarsi tutte le opportunità che gli si presentano – è un individuo estremamente sgradevole. La vicinanza del pov obbliga il lettore a uno stretto contatto con Glogauer: alcuni potrebbero sviluppare empatia nei suoi confronti, ma altri potrebbero trovarlo irritante fino all’orticaria. Per fare un paragone, immaginatevi uno Shinji Ikari adulto – solo che, a differenza di Evangelion, non ci sono dei personaggi più solari (Misato, Asuka, Kensuke, Kaworu) a fare da contraltare al protagonista.
Se si riesce a sopportare questo fiume di amarezza, bisogna ammettere che la caratterizzazione del protagonista e dei comprimari (la madre svenevole, la psichiatra acida e nichilista, Giovanni Battista, Giuseppe) è ottima. Non solo i loro caratteri sono credibili, ma Moorcock riesce a mostrarceli con poche pennellate e grande economia di parole – due battute di un dialogo, un gesto, una reazione fuori scala. Solo con un personaggio a mio avviso – Maria – l’autore si è lasciato andare alla macchietta grottesca e alle sottolineature inutili.

Shinji Ikari

“Il mondo è kattivo. Nessuno mi ama. Nessuno riconosce le mie buone qualità e mio padre mi skifa. E Asuka mi molesta emotivamente anche se sono buono. Ora scusate ma vado a masturbarmi sulla sua faccia mentre è in coma”.

E poi, c’è la rivisitazione della vita di Cristo; una rivisitazione cinica e amara, che mi ha molto affascinato. Chiunque abbia anche solo un minimo di interesse per la figura storica di Gesù e un’infarinatura del Vangelo (fatto catechismo da piccoli? O l’ora di religione alle elementari? Mai costretti ad andare a messa? Io sì, fino a 12 anni…^^’) dovrebbe provare almeno qualche scintilla di genuino sense of wonder.
In particolare, la scena della tentazione nel deserto è geniale, così come quella del tradimento di Giuda – ma il romanzo è pieno di crude reinterpretazioni di scene del Vangelo. Anche personaggi biblici come Giovanni Battista, Giuda 3 e Ponzio Pilato vengono rivisti in chiave più terra-terra, in modo più realistico e gretto. Fino ad arrivare al finale geniale. E, a questo proposito: fate attenzione alla pagina di Wikipedia su Behold the Man e in generale agli articoli su questo romanzo, molti hanno la sgradevole tendenza a spoilerare il finale – e così si perde metà del gusto.

Insomma, difetti strutturali e stilistici impediscono a Behold the Man di essere il capolavoro che avrebbe potuto essere. Ma rimane una lettura piacevolissima e inquietante. E’ un romanzo molto breve: dategli una possibilità.

Dove si trova?
Behold the Man si può trovare su Amazon a prezzi ragionevoli (10 Euro su amazon.it, scontati a 9.50 nel momento in cui scrivo). Su library.nu, in realtà, si trova una versione di Behold the Man che si spaccia per l’edizione degli SF Masterworks, ma *non lo è*; ho il sospetto che possa essere la novella originale, da cui Moorcock avrebbe tratto l’attuale romanzo, ma non ho indagato. In ogni caso, non fidatevi.
Roberto mi ha segnalato che il romanzo è stato edito in italiano nella collana Urania Collezione, No.102, nel luglio 2011, con il titolo I.N.R.I. Se qualcuno dovesse scoprire che questa edizione è disponibile nel vasto Internet, me lo faccia sapere!

Spoiler biblico

Su Moorcock
Moorcock, ahimè, è conosciuto soprattutto per le sue opere “giovanili” di Sword & Sorcery. Ora, io non ho niente contro la Sword & Sorcery, in teoria; ma è un palese dato di fatto che il 90% della produzione di questo sottogenere sia una porcheria orrenda. Neanche Moorcock si sottrae a questa tendenza. Ricordo di aver letto, a 14 o 15 anni, il primo libro della trilogia di Corum, Il cavaliere di spade; non so se rimasi più disgustato dall’oscenità della prosa, dalla piattezza dei personaggi o dalla banalità della storia, fatto sta che giurai disprezzo eterno per Moorcock e ne girai alla larga per tre anni buoni. E dire che a quell’età non ero neanche di gusti molto difficili: in quegli stessi anni ho letto i primi quattro volumi della Spada della Verità di Goodkind, e non mi erano dispiaciuti (almeno i primi due).
Elric di MelnibonéL’unica opera di Sword & Sorcery di Moorcock che mi senta di salvare è la famosa saga di Elric di Melniboné. Ambientata in un mondo tardomedievale di stampo mediterraneo, narra dell’ultimo principe dei Melniboneani, antico e perverso popolo di maghi superumani, e di come sarà causa della distruzione del suo stesso popolo e dell’inizio di una nuova era. Elric è un personaggio interessante: albino e di fragile costituzione, è costretto ad assumere droghe per sopravvivere; disprezza il suo stesso popolo; e ha un brutto rapporto con Tempestosa, la sua spada senziente assetata di sangue. La saga è rovinata da una prosa pessima e un andamento da romanzo di avventura per bambini; oltretutto Elric, che sarebbe progettato per essere un anti-eroe, finisce per fare tutte le cose tipiche degli eroi del fantasy epico. Salvano la saga l’ambientazione suggestiva e alcune idee carine, come la torre sull’orlo del mondo, la città-miraggio nel deserto, il regno dei mendicanti e la stessa isola di Melniboné.
La saga originale comprende sei libri scritti tra il 1963 e il 1977; negli ultimi vent’anni, Moorcock ha scritto una serie di midquel che però non ho letto.
Oltre alla sua sword & sorcery, ho letto altri due romanzi di Moorcock:
The Warlord of the AirThe Warlord of the Air, science-fantasy ucronico in cui un ufficiale britannico dei primi anni del Novecento, Oswald Banstable, si ritrova in seguito a uno strano incidente in un 1973 alternativo, in cui le guerre mondiali non ci sono mai state, il Commonwealth britannico sembra aver assicurato una pace eterna su tutto il globo e dirigibili giganti sono il principale mezzo di trasporto. Ma Banstable scoprirà che l’utopia è solo apparente. Il libro è scritto nello stile di un romanzo tardo-ottocentesco, e in particolare è un omaggio alla narrativa di Conrad – scelta non proprio felicissima. E’ un esempio di proto-steampunk – e il Duca lo ha citato nel suo articolo di introduzione al genere – e potreste volerlo leggere per il suo valore storico; ma è un romanzo insulso e piuttosto noioso, e questo nonostante si faccia un gran parlare di rivoluzione comunista e tra i personaggi ci sia addirittura un fikissimo Lenin ultranovantenne!
In seguito Moorcock ha scritto altri due romanzi con lo stesso protagonista, The Land Leviathan e The Steel Tsar, ma sono opere del tutto autonome, nelle quali Banstable visita altri futuri alternativi.
GlorianaGloriana è un fantasy politico ambientato in un’Inghilterra elisabettiana alternativa. Da dodici anni Gloriana regna su Albione, la più potente, ricca e splendente nazione del mondo, e i cupi giorni del regno di suo padre, il pazzo e sanguinario Hern IV, sono un lontano ricordo. Ma questa nuova età dell’oro poggia su fragili fondamenta, e una serie di eventi – complice lo sfrenato appetito sessuale della regina – rischiano di far precipitare Albione nel caos e il mondo intero in una guerra disastrosa. Nonostante i molti difetti di stile, Gloriana mi ha colpito molto e credo che ne parlerò in un futuro Consiglio.
In futuro ho intenzione di leggere qualcos’altro di Moorcock; in particolare, la stramba trilogia The Dancers at the End of Time, e forse The War Hound and the World’s Pain, primo libro della trilogia dei Von Bek. Ma accetto consigli e pareri in merito.

Qualche estratto
Questa volta, invece che due estratti, ne ho scelti tre – ma sono brevi. Il primo è l’incipit, e mi sembra un bell’esempio di economia narrativa. Gli altri due sono un dialogo, ambientato nel passato, con Giovanni Battista, e un flashback di Glogauer (completo di flusso di coscienza) che dà un’idea del suo terribile carattere. Insieme, questi ultimi due estratti danno un’idea della doppia anima del romanzo.

1.
The time machine is a sphere full of milky fluid in which the traveller floats enclosed in a rubber suit, breathing through a mask attached to a hose leading into the wall of the machine.
The sphere cracks as it lands and the spilled fluid is soaked up by the dust. The sphere begins to roll, bumping over barren soil and rocks.

Oh, Jesus! Oh, God!
Oh, Jesus! Oh, God!
Oh, Jesus! Oh, God!
Christ! What’s happening to me?
I’m fucked. I’m finished.
The bloody thing doesn’t work.
Oh, Jesus! Oh, God! When will the bastard stop thumping!

Karl Glogauer curls himself into a ball as the level of the liquid falls and he sinks to the yielding plastic of the machine’s inner lining.
The instruments, cryptographic, unconventional, make no sound, do not move. The sphere stops, shifts and roll again as the last of the liquid drips from the wide split in its side.

Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it?

2.
“And what is your name?” Glogauer asked the squatting man.
He straightened up, looking broodingly down on Glogauer.
“You do not know me?”
Glogauer shook his head.
“You have not heard of John, called the Baptist?”
Glogauer tried to hide his surprise, but evidently John the Baptist saw that his name was familiar. He nodded his shaggy head.
“You do know me, I see”.
A sense of relief swept through him then. According to the New Testament, the Baptist had been killed some time before Christ’s crucifixion. It was strange, however, that John, of all people, had not heard of Jesus of Nazareth. Did this mean, after all, that Christ had not existed?
The Baptist combed at his beard with his fingers. “Well, magus, now I must decide, eh?”
Glogauer, concerned with his own thoughts, looked up at him absently. “What must you decide?”
“If you be the friend of the prophecies or the false one we have warned against by Adonai”.
Glogauer became nervous. “I have made no claims. I am merely a stranger, a traveller…”
The Baptist laughed. “Aye – a traveller in a magic chariot. My brothers tell me they saw it arrive. There was a sound like thunder, a flash like lightning – and all at once your chariot was there, rolling across the wilderness. They have seen many wonders, my brothers, but none so marvellous as the appearance of your chariot”.

Gatto Giovanni Battista

3.
The first time he had tried to commit suicide he had been fifteen. He had tied a string round a hook half-way up the wall in the locker room at school. He had placed the noose around his neck and jumped off the bench.
The hook had been torn away from the wall, bringing with it a shower of plaster. His neck had felt sore for the rest of the day.
[…]
“You must try to concentrate on your work, Glogauer”.
“You’re too dreamy, Glogauer. Your head’s always in the clouds. Now…”
“You’ll stay behind after school, Glogauer…”
“Why did you try to run away, Glogauer? Why arent’ you happy here?”
“Really, you must meet me half-way if we’re going to…”
“I think I shall have to ask your mother to take you away from the school…”
“Perhaps you are trying – but you must try harder. I expected a great deal of you, Glogauer, when you first came here. Last term you were doing wonderfully, and now…”
“How many school were you at before you came here? Good heavens!”
“it’s my belief that you were led into this, Glogauer, so I shan’t be too hard on you this time…”
“Don’t look so miserable, my son – you can do it”.
“Listen to me, Glogauer. Pay attention, for heaven’s sake…”
“You’ve got the brains, young man, but you don’t seem to have the application…”
“Sorry? It’s not good enough to be sorry. You must listen…”
“We expect you to try much harder next time”.

Tabella riassuntiva

La vita di Cristo rivista in chiave fantascientifica e disincantata. Gestione dei flashback approssimativa.
Unisce paradossi temporali e introspezione psicologica. Glogauer è un protagonista sgradevole, forse troppo.
Alcune scene sono perfette. Brutti pezzi raccontati e pov ballerino.

(1) Ho una teoria in proposito. Il Behold the Man che oggi possiamo leggere è – come si usava all’epoca, e come in parte si usa ancora – la versione espansa di un racconto. E’ possibile che le scene migliori, più “dense” del romanzo appartenessero al racconto originale; e che per la versione estesa Moorcock abbia allungato il brodo con brani più raccontati e meno ispirati. C’è infatti una certa tendenza tra gli autori di genere, nel processo di trasformazione di un racconto in un romanzo, ad annacquare l’opera originale.Torna su
Ma la mia rimane una teoria, perché non ho letto il Behold the Man originale.

(2) Ho trovato due motivazioni plausibili e complementari per questa scelta di pov:
1. Moorcock vuole mostrare la progressiva depersonalizzazione, alienazione da sé di Glogauer, ma avrebbe difficoltà a farlo rimanendo *dentro* il pov di Glogauer.
2. Moorcock è interessato a farci vedere come gli abitanti della Galilea cominciano a vedere Glogauer.
Per quanto concerne il primo punto, posso obiettare che il protagonista non perde mai del tutto – ma solo a sprazzi – coscienza di sé. Anche nelle ultime fasi della sua vita, ci sono molte scene in cui Glogauer riflette su sé stesso e su quello che sta facendo.
Avrei risolto il problema alternando brevi paragrafi col pov collettivo di altre persone (quando Glogauer non è lucido), a paragrafi più lunghi in cui Glogauer è cosciente e il pov rimane ancorato su di lui. In questo modo si mantengono i vantaggi dei punti 1 e 2 senza allentare troppo il legame empatico col protagonista e la coerenza di pov del romanzo.Torna su

(3) A proposito. Se la figura di Giuda vi affascina, provate a leggere il “racconto” di Borges Tre versioni di Giuda, compreso nella giustamente celebre raccolta Finzioni.Torna su