Autore: AA.VV. (a cura di Alessandro Girola, aka Mcnab75)
Genere: Ucronia / Science Fiction / Fantasy
Tipo: Raccolta di racconti
Anno: 2011
Pagine: 155
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Da amante delle ucronie quale io sono, nutrivo molte aspettative nei confronti di Ucronie Impure, antologia che – per coloro che non lo sapessero – raccoglie i 10 racconti finalisti dell’omonimo concorso, indetto un anno fa da Alessandro “Mcnab75” Girola. Sollecitato in parte anche da Siobhàn, che l’aveva già letta, avevo attaccato i primi racconti quando è uscita la recensione di Zwei.
L’antologia è disponibile per il download sul blog di Mcnab75 in formato ePub, ed è completamente gratuita.
Disclaimer per i diversamente abili
Dirò subito che sono stato kattivo e komunista, bocciando una metà dei racconti e facendo parecchi appunti agli altri; il flammone partito da Zwei dopo la sua recensione a Ucronie Impure mi obbliga quindi a fare una precisazione.
Alcuni dei partecipanti all’antologia si sono sentiti offesi dalle critiche di Zwei. Riporto un paio di affermazioni in merito, non per il gusto di alimentare ulteriori flammoni, ma perché inquadrano alla perfezione una certa mentalità dannosa per la scena italiana:
Sarebbe pur lecito dire “il racconto XY” non mi è piaciuto, talvolta questa frenesia nel voler squartare il racconto e calcare la mano su giudizi quantomeno opinabili, si sa, mi irrita un po’… Con tutto che secondo me a Zwei l’antologia è piaciuta, ma dirlo e basta lo renderebbe, appunto, un po’ meno fiko agli occhi degli altri pirati…
Boh, a me dare contro alle persone dà sempre fastidio; il sarcasmo non è certo una cosa reperibile e gradita a tutti. Sembra che ormai la vera trasgressione sia pubblicare una recensione positiva, senza dover per forza aggiungere postille e sbeffeggi. Prima o poi tornerò sulla cosa, anche se ovviamente in molti concluderanno soltanto che “allora non vuoi essere criticato!”.
Spacchettiamo queste affermazioni in punti concettuali:
1. Di un racconto non si può dire che è brutto, ma al massimo che “non è piaciuto”.
2. Si fanno troppe recensioni negative, bisognerebbe invece farle positive.
3. Chi critica un’opera lo fa non nell’interesse dell’opera o dei lettori, ma per essere più fiko.
Queste convinzioni di Girola sono quanto di più dannoso possa immaginare per l’autopubblicazione italiana; trasmettono infatti la falsa idea che l’autopubblicazione, il cosiddetto “mettersi in gioco”, siano una cosa buona di per sé e che vada premiata a prescindere.
Niente di più falso. Un’opera è buona nella misura della qualità, non in base a come è diffusa. L’autopubblicazione sarà una strada virtuosa solo quando saprà proporre opere di qualità superiore a quelle pessime proposte dall’editoria tradizionale.
Cito a proposito una cosa detta da Okamis sul suo blog:
Ne approfitto anche per condividere una breve riflessione fatta sempre quest’oggi con il buon Duca via Messenger. Mi auguro che la presenza in Italia di una sempre più vasta comunità di autori indipendenti porti alla volontà di recensire questi lavori in maniera spietata, soprattutto da chi in questi anni si è battuto contro l’editoria tradizionale, senza scusanti del tipo “in fondo è l’opera di un amateur”. È vero: il 90% del panorama indie (ma facciamo anche il 99,99%) è pura spazzatura, come c’insegna Sturgeon. Ma è altrettanto vero che se non si comincia sin da ora a giudicare con occhio critico questo settore, non ci si potrà mai scrollare l’etichetta da prodotto di serie B (se non C o D). Non ci si può, insomma, lamentare del giro di “amiketti” che purtroppo ammorba l’editoria italiana e poi procedere in punta di piedi quando si tratta di parlare di “uno di noi”. Insomma, è tempo di cominciare a rivolgere il bazooka anche verso altre direzioni e dimostrare che un’altra editoria è possibile.
La stroncatura di un’opera autopubblicata non è un favore che il critico fa a sé stesso, e non lo si fa nell’interesse di diventare più fiki – al contrario, posso assicurare che scrivere una critica sia faticoso e time consuming; infatti ci ho impiegato oltre una settimana a scrivere questo post. E’ un favore che il critico fa all’autore, dicendogli: guarda, qui hai sbagliato; guarda, qui puoi migliorare così e così; guarda, il tuo racconto sarebbe più fiko se provassi a fare così e così.
Non vi dico, ovviamente, di prendere le mie critiche come Verbo, come non dovete prendere come Verbo quelle di Zwei. Sarebbe un atteggiamento sbagliato come quello di rifiutarle a prescindere. Dico di prendere ogni critica e vagliarla: è sensata? Non lo è? Seguire il suo consiglio può davvero migliorare il mio racconto? Eccetera 1.
Alcuni racconti di Ucronie Impure avrebbero a mio avviso solo bisogno di una buona dose di editing per diventare dei bei racconti. E’ solo questione di studio e di allenamento. E di ambizione: un’antologia come questa dovrebbe ambire a competere contro raccolte come i Bizarro Starter Kit, o le antologie sul New Weird di Vandermeer, o i racconti di un altro autore affermato. Pensateci: se posso procurarmi piratata e quindi aggratis una qualsiasi di queste opere (o, in un futuro roseo, se potrò comprare a 2, 3 o anche 4 Euro una di queste opere in formato ePub senza DRM), perché dovrei scegliere di spendere il pomeriggio su Ucronie Impure piuttosto che su un autore affermato?
Bisogna cercare di essere meglio degli autori affermati, perdio! Bisogna aspirare a sentirsi dire: “Fanculo! Non c’ho voglia di leggere l’ultimo di Mieville, preferisco leggere quelli di Ucronie Impure 2.0 che sono più fiki e secondo me gli tira anche di più il cazzo!”.
Mieville…? Fanculo!
Metro di valutazione
Ogni racconto sarà trattato separatamente, nell’ordine in cui sono stati messi nell’antologia. Di ogni racconto, sottolineerò innanzitutto l’idea ucronica – che è poi il succo della raccolta – quindi parlerò di come l’idea sia stata realizzata. Infine assegnerò una sorta di “voto”:
PROMOSSO. Un racconto che sembra un “vero racconto”; bisogno di editing minore o nullo.
MEH. Un racconto zoppicante, che così com’è non va bene, ma potrebbe andare se opportunamente aggiustato.
BOCCIATO. Un racconto che va ripensato da zero perché non va bene per niente.
Dopo questa presentazione separata farò un brevissimo bilancio dell’antologia nel suo complesso e scriverò la mia classifica personale, completa della posizione che avrebbe meritato imho il “Vendetta” di Zwei^^
I dieci racconti
Alla corte del monaco nero
L’idea ucronica: Alla morte di Nicola II, ultimo zar di Russia, è asceso al trono nientemeno che Rasputin, il monaco pazzo. Lo aiutano le potenze demoniache, che egli è in grado di controllare. Il racconto inizia con Marlene Dietrich che, una valigetta ammanettata al polso, scende alla stazione di San Pietroburgo…
Realizzazione: Il racconto ha quelle idee sanguigne e un po’ trashone che potevano farne una bella storia: il duello-ninja tra la Dietrich ed Eva Braun, per esempio, o il rituale col feto, e per citare Zwei: “Hitler che le sborra su una coscia è priceless”. Ciò che mina il racconto è lo stile: aggettivazione pesante, molto raccontato e poco mostrato, infodump a manetta, narrazione goffa, abuso di parole vuote (“Ora capiva. Capiva ogni cosa. Avvertiva il potere. Il disegno salvifico nascosto dietro agli eventi che l’avevano condotta fin lì”).
Una scena, come lo scontro con la Braun, che poteva avere quel sapore pulp-retard alla Rodriguez o alla Miike, scivola spesso nel ridicolo puro e semplice. Rasputin diventa un cattivo da operetta, tutto sguardi maniacali e grandeur da Signore del Male. E non c’è niente di così sorprendente, di così “wow!”, nel racconto, da far dimenticare il cattivo stile. Il racconto non è da buttare, ma andrebbe riscritto in modo dignitoso.
Aria
L’idea ucronica: Per combattere la crisi del ’29, che oltre a gettare sul lastrico milioni di americani lo ha reso estremamente impopolare, il presidente Hoover si mette nelle mani di avidi capitalisti e approva il progetto “Aria”. Di cosa si tratta? Di privatizzare l’aria: ogni cittadino potrà respirare solo l’aria fornita dalle bombole d’ossigeno del monopolio Aria, attraverso opportune maschere; chiunque sarà sorpreso a respirare l’aria pubblica, sarà messo a morte.
Realizzazione: L’idea in sé è affascinante, ma molto improbabile; perché, per fare un esempio, non c’è un esodo di massa di americani poveri verso il Canada, il Messico o l’Europa? Questo è il tipico esempio di ucronia che richiede una certa abilità di storyteller per essere convincente e non far pensare il lettore: “see, vabbé va…”. Abilità che a Mattia Tasso manca.
L’incipit è un capolavoro dell’As you know, Bob (“Sei stato il mio consulente per anni Jeremy. Ho affidato a te i miei risparmi…”); Hoover e lo squalo capitalista che gli sottopone il progetto parlano come due mongoloidi, non come uomini di potere; e il racconto è tropo frammentato (tutta la parte su Roosevelt andrebbe tolta, dato che fa deragliare il racconto dal punto principale, mentre in compenso non aggiunge granché verosimiglianza alla storia). Infine, l’ultima parte è un lungo, didascalico rant su oh, quanto sono kattivi i kattivi del racconto: una sbrodolata moralista che non commuove ma irrita, dato che racconta e non mostra.
Qua e là c’è qualche immagine vivida che mi è piaciuta – la manifestazione silenziosa; le mamme che richiamano i bambini perché non consumino troppo ossigeno – ma nel complesso il racconto, pur partendo da un’idea interessante, è completamente fallato. Carina la ringkomposition col figlio che segue un destino speculare a quello del padre.
Il millenario regno d’Italia
L’idea ucronica: Il regno dei Goti, che con Teodorico si insediarono nella nostra penisola dopo la caduta dell’Impero, non è mai caduto. Per mille anni l’Italia è rimasta unita sotto il giogo di Ravenna, gli italiani sono ricordati come i più valorosi guerrieri della cristianità. Ma tutto ha un prezzo: siamo nel 1500, e l’Italia non ha poeti, non ha pittori, non ha arte.
Realizzazione: Uno dei racconti che ho preferito; ha quella scintilla di sense of wonder che in un racconto ucronico non dovrebbe mai mancare. Il problema grosso, tanto per cambiare, è stilistico. La storia sembra scritta come un racconto ottocentesco, con tutti i suoi problemi: l’abuso di raccontato (“La storia che raccontò era interessante, ma risultava ancora più piacevole poiché il narratore non era mai noioso”), i tempi morti, le divagazioni (“Stavolta era in piena salute, e voleva vedere Roma nel miglior modo possibile”, a cui seguono diverse righe sulle cose che il protagonista vede a Roma), gli infodump inutili (che ci frega delle lotte papali tra Medici e Della Rovere?), le sottolineature dell’ovvio (“Evidentemente quel Jasper Vercruyssen, una volta privato delle idee e del talento di Michele Angelo Buonarroti, non aveva saputo inventare niente di originale”). Inoltre avrei evitato tutto quel ricorrere di nomi noti: per alcuni personaggi (come Buonarroti) va bene, è utile alla storia e affascinante; ma che nonostante i 1000 anni di deviazione storica ci siano le stesse grandi famiglie, gli stessinomi di Papi, eccetera, è abbastanza improbabile.
Il finale con la lettura della poesia è ottimo; per una maggiore efficacia del racconto, avrei chiuso con la poesia tralasciando le righe successive (o, al massimo, avrei lasciato solo la frase che comincia con: “Gli venne spontaneo pensare…”, che lascia quel retrogusto amaro che ci piace tanto). Con un adeguato editing, potrebbe diventare un ottimo racconto; allo stato attuale, è troppo grezzone. Non è da buttare, ma andrebbe riscritto in modo dignitoso.
Kalokagathia
L’idea ucronica: Gli Achei non han voluto dar retta a Odisseo quando ha proposto di proseguire il cavallo, e stanchi di guerra se ne sono tornati a casina. Ma Paride ha adunato un esercito di proporzioni bibliche e si prepara a invadere la Grecia per fargliela pagare. L’unico modo per fermare il nemico è bloccarli nello stretto corridoio delle Termopili…
Realizzazione: Noia, noia, noia! Leggere questo racconto è stato piacevole come andare dal dentista. I combattimenti sono perlopiù masse anonime di uomini visti dall’alto del narratore onnisciente; avvertire un qualsiasi sentimento per loro è impossibile. Il raccontato abbonda: le armature sono splendenti, gli impatti devastanti, gli uomini coraggiosi, e così via. L’unico scontro “mostrato” e con un pov vicino è il duello tra Enea e Diomede; ma il finale del combattimento non è chiaro (perché Diomede “gli si butta addosso”? Non basterebbe avvicinarsi e infilzarlo?).
Ho l’impressione che l’autore volesse riprodurre, in piccolo, l’atmosfera epica dell’Iliade. Ma non si può fare dell’epos omerico nel XXI secolo, in prosa perdipiù; se non ci credete, provate a scrivere nel vostro romanzo una minuziosa descrizione delle immagini sullo scudo del vostro eroe, e poi ditemi se non vi viene voglia di spararvi nei coglioni.
La pochezza dello stile non è peraltro compensata dalla brillantezza delle idee. Dove sarebbe infatti l’ucronia? Di fatto viene ri-raccontato l’episodio delle Termopili con nomi e numeri cambiati. E il finale è inconsistente (evidenzia per leggerlo): ho apprezzato l’idea che la plebaglia achea sputtanasse i suoi comandanti imbecilli, ma che senso ha, se poi questi ultimi si rialleano coi primi e continuano i combattimenti? Che fine fa il senso dell’onore, che obbliga al rispetto della parola data? In sostanza: non il racconto più brutto, come dice Zwei, ma sicuramente uno dei più brutti.
La fine della diaspora
L’idea ucronica: Gli indiani hanno perso la battaglia di Little Big Horn e sono stati sterminati. Il generale Custer è diventato dittatore di tutto il Nord America, e i pochi pellerossa sopravvissuti sono dovuti sfuggire in Europa. Ora Custer sta per arrivare in Francia, e l’esule Bill Orso Feroce prepara la sua vendetta.
Realizzazione: Questo racconto mi lascia perplesso. Invece che concentrarsi sulla parte importante della storia (l’assassinio di Custer), ci fa un racconto – anche piuttosto infodumposo – sulla preparazione dell’attentato. In realtà anche al piano è dedicato poco spazio; perdipiù si tratta di reminescenze di Bill, qualche informazione sulla situazione storica, e una buona dose di As you know, Bob. Il racconto ‘vero’ non arriva mai.
Il contesto stesso, è anonimo quant’altri mai. Con poche modifiche periferiche, invece di indiani in esilio che vogliono ammazzare Custer potrebbe trattarsi di ebrei in esilio che vogliono ammazzare Hitler o di cinesi esuli che vogliono ammazzare i Giapponesi invasori, e non si noterebbe la differenza.
Inconsistente.
La regina dei pirati di Atlantide
L’idea ucronica: In un ‘500 che non ha mai visto il ritorno di Colombo dalla sua spedizione e non sa, quindi, dell’esistenza dell’America, Filippo II di Spagna riesce con l’appoggio papale a conquistare l’Inghilterra. La regina Elisabetta e i fedelissimi della sua corte riescono ad allestire una flotta e a darsela a gambe; rotta: il misterioso Atlantico.
Realizzazione: L’autore mette in campo un sacco di idee per questo racconto; troppe per la sua abilità, dato che non riesce a gestirle. Il difetto principe dei Pirati di Atlantide, infatti, è che sembra il canovaccio di un intero romanzo condensato nello spazio di un racconto; peggio, un racconto abortito. Il racconto infatti prende tante direzioni contemporaneamente – la minaccia degli Spagnoli, che potrebbero stare inseguendo la flotta regale; l’esplorazione della terra misteriosa; i microconflitti dell’ambiente di corte – ma non riesce a seguirne fino in fondo nessuna, abbandonandole di punto in bianco una dopo l’altra fino all’insulso finale.
Altra conseguenza negativa di trasformare un romanzo in un racconto, è che abbiamo un profluvio di personaggi – oltre una decina quelli “importanti” – ma dato che non c’è spazio per presentarli, rimangono un affollamento confusionario di nomi. Non che l’autore aiuti: i personaggi non vengono quasi mai descritti, sono dei nomi volanti; alcuni si distinguono per qualche tratto marcato (Marlowe, per esempio, è quello che fa le battutacce), ma più che personaggi sembrano delle macchiette. Quanto alla regina Elisabetta, dovrebbe essere la donna gelida per eccellenza, ma in poche pagine di narrazione si lancia in isterismi ben poco regali.
La gestione del pov è un ulteriore punto a sfavore. In teoria la storia sarebbe raccontata in prima persona da un giovane John Donne; in realtà, Donne è un personaggio talmente passivo e “invisibile” che spesso ci si dimentica della sua esistenza e si crede che la storia sia scritta con narratore onnisciente. Quando all’improvviso riappare un verbo in prima singolare, il lettore trasecola: “Ma che cazz… ah sì, è vero, c’era coso, quello là, Donne…”. Insomma: va bene il narratore ‘subordinato’ alla Watson o alla Adso da Melk, ma una voce narrante così inconsistente non ha senso. Tanto valeva usare una terza ancorata a uno dei personaggi importanti, come Marlowe o Dee o Raleigh.
Pirati di Atlantideè comunque più mostrato della maggior parte dei racconti dell’antologia, ma è una ben magra soddisfazione considerando quanto questo racconto sia fallato.
Reliquie
L’idea ucronica: A partire dalla battaglia di Hattin del XII secolo, alcune reliquie cristane acquisiscono il potere di sparare raggi della morte e/o esplodere, insomma di “nuclearizzare la zona” e polverizzare i nemici. Perché sì, perché è fantasy. In epoca moderna, il Papato regna incontrastato in Europa, e si trova impegnato su più fronti per il controllo del globo.
Realizzazione: Questo è uno dei racconti più brutti che abbia mai letto in vita mia. Non riesco a credere che sia entrato nell’antologia, mi sembra solo un brutto sogno.
Il contesto è alquanto retard. Il Papato si trova impegnato in una guerra mondiale contro praticamente tutti gli altri popoli del globo contemporaneamente. Ci sono un sacco di massacri incomprensibili, dato che il Papato, poi, di fatto vince lanciando missili atomici a spron battuto e facendo esplodere reliquie. Del resto né il Papa né i suoi mostrano un QI troppo alto, come mostra questo affascinante e preciso scambio di battute:
«Eminenza, i nostri Servizi indicano un aumento delle forze lungo tutto il confine orientale.»
Il Papa ci mise un po’ a digerire la notizia. «Non è possibile, gli scontri con le truppe mongole non sono mai stati un problema!»
«Santità, crediamo che durante questi anni si siano rinforzati, attendendo il momento più opportuno per colpire il Vaticano. Questo giustificherebbe le piccole battaglie combattute a est.» Era giunta l’ora di far aprire gli occhi all’erede di Pietro.
Per il resto, la solita storia: quasi tutto raccontato; non ci sono personaggi ma perlopiù solo masse di uomini anonimi che combattono altre masse anonime (ad eccezione dello scontro con lo Zero, che almeno è uno *Zero*, chiaro, riconoscibile); la noia e il nonsense si trascinano fino ad un finale altrettanto noioso e nonsense.

Rintocchi
L’idea ucronica: Riprendendo uno dei miti delle stilosissime superarmi naziste, l’autore ci porta in un segretissimo laboratorio dove menti brillanti hanno assemblato Die Glocke – un aggeggio a forma di campana in grado di fare brevi viaggi nel tempo e sparare fasci di radiazioni che distruggono ogni forma di vita. Ma l’esperimento avrà risultati imprevisti.
Realizzazione: Contrariamente alla maggior parte dei racconti, in questo i problemi sono più che altro di trama. Ad esempio: anche accettando l’idea di un aggeggio che contemporaneamente è una macchina del tempo e una bomba a radiazioni, com’è possibile che menti brillanti come gli scienziati del racconto la sparino indietro nel tempo più o meno a caso, senza preoccuparsi delle conseguenze? Eppure lo sanno che di fatto è una bomba, che stanno mandando indietro nel tempo! C’è anche una certa ingenuità di fondo sulle dinamiche storiche – per esempio pensare che far vincere ai francesi la battaglia di Waterloo possa cambiare, per oltre un secolo, gli equilibri tra le potenze europee – ma gliela si perdona per il bene del sense of wonder.
Questo racconto infatti, come a Zwei, “mi ha acceso sulla punta del pene una scintilla di autentico Sense of Wonder”. I brevi intermezzi tra un viaggio della campana e l’altro sono gestiti bene, con particolari minimi, senza sbrodolamenti infodumposi. Il racconto si legge con estremo piacere perché è sintetico, va dritto al punto, non si parla addosso come molti altri. La principale pecca stilistica è che gli scienziati parlano in modo molto poco scientifico e non suonano convincenti.
Consiglierei all’autore di lavorare di più sulla coerenza della trama, perché ne verrebbe fuori un pezzo molto carino.
Squali contro alieni
L’idea ucronica: L’Ideon è un enorme robot alieno. O qualcosa del genere. Fatto sta che comincia ad apparire sulla Terra nel 1951. I giapponesi se ne impossessano e lo usano per cancellare gli USA dalla faccia della Terra. E mentre il ricchissimo Conte Felix Charzez du Pontiac, che si è comprato l’Europa e l’ha unificata in un enorme superstato, scompare lasciando vaghe promesse sulla cattura di un secondo Ideon, gli europei sopravvissuti alla Granata Bianca che ha ghiacciato la fascia temperata costruiscono un secondo robottone, il terribile Squalo. Legioni di sfortunati tecnici e ingegneri vivono nelle giunture dello Squalo, e i protagonisti della vicenda, chiusi in una cabina nel ginocchio della bestia, attendono con terrore di arrivare al cospetto dell’Ideon… Ma WTF?
Realizzazione: Questo racconto è una delle cose più deliziosamente retard che abbia mai letto; Excel Saga potrebbe essere un suo lontano cugino. E non soltanto per la premessa nonsense. Tutta la storia è infatti filtrata dalla voce di un protagonista querulo e perennemente sopra le righe: la sua narrazione è tutto un fioccare di commenti acidi (“so bene che mi odiano ma non mi interessa ottenere un diverso riconoscimento da parte loro, il disprezzo è più che sufficiente e bene alimenta la mia voglia, un giorno, di spaccare quelle teste di cazzo”), metafore senza senso (“solo adesso ce ne accorgiamo tutti, come ci fossimo persi a disegnare capezzoli e vagine sui banchi di scuola durante la spiegazione, e l’insegnante si mettesse a scagliare domande a bruciapelo che poco hanno a che fare con l’anatomia femminile”), digressioni cretine. Gli infodump abbondano, ma sono giustificati dall’uso della prima persona; la demenzialità degli antefatti e le infiorettature del protagonista però li rendono sufficientemente interessanti da non farli pesare.
A volte il tono del protagonista diventa troppo ingombrante. Spesso si capisce più cosa passa per la sua testa di cosa succede attorno a lui; diversi passaggi della storia sono confusi e non si capisce bene cosa succeda; a volte gli ambienti sono talmente poco abbozzati da ridursi a degli spazi bianchi nella mente del lettore. Fossi nell’autore, dedicherei più spazio ad una descrizione chiara degli ambienti e delle azioni, limitando un attimo l’istrionismo della voce narrante ma senza soffocarlo.
Altro difetto, i dialoghi non sono sempre ben riusciti. Alcuni scambi di battute più che retard in modo calcato sembrano semplicemente stupidi e poco curati; gli insulti razzisti dei fratelli Kotipelto nei confronti degli africani sono insulsamente politically correct (es. tutte le battute sulle banane, abbastanza grigie). Io ci andrei più pesante – per maggiori informazioni, consiglio all’autore di farsi un giro sul blog di Zwei, in particolare dove si parla di masai e degli altri illuminati popoli d’Africa.
Con la dovuta pulizia, questo racconto decollerebbe.
Tlaloc verrà
L’idea ucronica: Dopo il fallimento dell’impresa dei Conquistadores, gli Aztechi, popolo notoriamente vendicativo, hanno messo in piedi una flotta, hanno attraversato l’Atlantico e conquistato il Portogallo. Lisbona è ormai una città ibrida, le vecchie mura e le chiese cristiane si mescolano con le piramidi a gradoni gonfie del sangue dei sacrifici. Rogério, vecchio conquistador, ubriacone e scalcinato, sogna di cacciare gli invasori e restituire il Portogallo ai civili Cristiani.
Realizzazione: Devo dare ragione a Zwei quando sottolinea la completa implausibilità della conquista del Portogallo da parte di una civiltà così avanzata da non conoscere la ruota. In compenso, è di sicuro la storia scritta meglio. Il conflitto centrale è mostrato sin dalle prime righe, dove assistiamo a una serie di sacrifici umani a Plaça do Comércio. Il racconto non divaga mai, tutto ciò che è scritto è funzionale allo sviluppo di quel conflitto. Rogério e Inés sono ben caratterizzati, le loro scelte ben motivate.
Ci sono delle sbavature tecniche, ma ci si fa caso appena. L’unica caduta di stile è nell’Epilogo: taglierei molto, riducendo al minimo la descrizione della giornata ed eliminando i pensieri di Rogério. Ciò che pensa traspare dal contesto e dalle sue azioni, e il “messaggio” finale arriva più chiaro e più forte, al lettore, se invece di raccontarlo attraverso i suoi pensieri lo si mostra attraverso la semplice descrizione di quel che succede. Per contro le ultimissime righe dedicate a Inés (proprio perché più sintetiche ed esclusivamente mostrate) sono perfette.
Bilancio finale
Il problema principale dell’antologia è la mancanza di un editing finale dei racconti vincitori; quello che, ad esempio, il Duca ha promesso e imposto ai finalisti del suo Concorso Steampunk. Una buona metà dei racconti infatti avrebbe tratto estremo giovamento da una revisione rigorosa, perché si tratta di racconti potenzialmente buoni o anche ottimi. E spesso – ma non sempre – si tratta di difetti di stile più che di contenuti. Altri andrebbero ripensati completamente (come Aria e i Pirati di Atlantide), altri andrebbero solo dimenticati (Reliquie).
Nel complesso, un’ottima occasione in parte sprecata; ma nulla vieta agli autori di rimettere mano alle loro opere e continuare a lavorarci.
La mia classifica
1. Tlaloc verrà
2. Rintocchi
3. Squali contro alieni
4. Il millenario regno d’Italia
+ Vendetta
5. Alla corte del monaco nero
6. La regina dei pirati di Atlantide
7. Aria
8. Kalokagathia
9. La fine della diaspora
10. Reliquie
(1) Certo, bisogna partire dal presupposto che una critica oggettiva al testo sia possibile. Se si rifiuta anche questo e si crede che il “gusto personale” sia l’unico discrimine, la cura è Gamberi Fantasy; in particolar modo date un’occhiata a questo articolo sul Mostrare.Torna su
A me lo stile di Kalokagathia è piaciuto. Mi ha ricordato RabbiT(quello con lo stile dannunziano), della Raccolta dei Racconti Steampunk del Duca. Insomma, un racconto scritto male apposta, perché scritto alla maniera di. Però in effetti la trama di RabbiT era gestita bene, mentre quella di Kalokagathia molto meno, quindi posso capire che possa avere poche attrattive a parte la somiglianza ai poemi omerici.
Invece Squali contro alieni non mi è piaciuto per niente, mi è sembrato tutto troppo stupido! Soprattutto: un’ucronia è interessante perché è ancorata alla storia, invece quel racconto potrebbe benissimo essere ambientato in un’altra dimensione, o in un mondo fantasy, e non cambierebbe niente.
Comunque Rintocchi è il mio preferito.
Concordo quasi su tutto, compreso il posizionamento di Vendetta e l’apprezzamento per il bel Rintocchi (nonostante i problemi tecnici evidenziati).
Sento che questo blog crescerà. Se vuoi posso fargli da Padrino ed educarlo a seguire i dettami di Santa Romana Chiesa.
@Zweilawyer:
Al solo pensiero sono felice come un’educanda sedotta dal confessore ^///^
@Siò:
Se dobbiamo essere onesti anche come alla maniera di non è molto riuscito. A parte il fatto che è in prosa – ma vabbé. A volte l’autore se ne esce con frasi molto poco da epos omerico, come quando Diomede, riferendosi a Paride, dice qualcosa del tipo: “Chiamalo col suo fottutissimo nome da frocetto”. Ora, io non ho problemi se uno parla col linguaggio della strada; ma allora non me lo si può spacciare per un racconto alla maniera di Omero.
Inoltre RabbiT è scritto chiaramente in una maniera particolare; questo, invece, potrebbe anche essere scritto “normalmente male”. Per quanto mi riguarda siamo su due pianeti diversi.
Ciao non faccio molti commenti sui blog, ma sul blogdi gamberetta ti ho sempre letto con piacere. La tua recensione mi piace, così come sul sito di Zwei ho la mia riserva sul racconto di Rintocchi che trovo troppo simile a
Progetto Brooklyn di di Philip Klass di cui offro la sinossi
“Il Progetto Brooklyn è un periscopio nel tempo; nel passato. Si mostrerà come è possibile osservare il passato, senza tuttavia variarlo con assurdi e poco credibili paradossi. Sapete no, quelli che uccidete vostro nonno e voi non nascete. Questo non può accadere: gli eventi del tempo sono stabili. E’ provato. Voi nascerete e sarete uguali. Certo, magari diventerete degli pseudopodi viola che parlano con gli ultrasuoni; ma non vi sarete accorti di nulla.”
e la parte finale del racconto
” «Vedete?» gridò la cosa che era stata il facente funzione di segretario dell’assistente del direttore per le relazioni con la stampa. «Vedete, non importa quanto sottilmente! Quelli che ondeggiano si sbagliavano: non siamo cambiati». Con un gesto di trionfo indicò le dodici bolle purpuree. «Non è cambiato proprio niente. Niente!» “
Bella recensione, corposa e interessante. Ucronie Impure sarà la mia prossima lettura dopo l’ultimo di Westerfeld…
Pensavo che tra i racconti recensiti ci avresti infilato anche Vendetta, con una recensione tutta sua, per esteso, oltre al voto. A questo punto sono curioso di leggere sto “Kalokagathia”…
Sì, trattandosi di un “classico” racconto sui viaggi nel tempo immaginavo che cose simili fossero già state fatte. Ovviamente non so dirti se l’autore di Rintocchi ci sia ‘arrivato’ in modo indipendente o abbia più o meno attinto dal racconto di Klass o da altri.
Il Duca o Gamberetta, che sono più ferrati di me in fantascienza, magari potrebbero dirti qualcosa di più.
La mia opinione su Vendetta la trovi nei commenti al post di Zwei (linkato anche in questo articolo), in particolare il commento #1.
Interessante, devo provarlo, specie il racconto sugli Atzechi.
Ciao, vengo in pace.
Credo che recensire i racconti brutti sia una delle cose più inutili che si possa fare, sopratutto nel caso si parli di autopubblicati che non hanno un largo pubblico, e ti dico perchè.
Recensendo un racconto brutto, ottieni solo che il lettore non lo legga (se va bene), ma non stai indicandogli nulla di decente da leggere, lasciandolo disorientato come e più di prima.
Se hai 100 racconti, 90 faranno pena, dieci saranno decenti, se recensisci un paio di quelli brutti, ne rimarranno comunque 88 penosi su cui incappare, a che serve?
Preferisco uno che recensisce quelli che gli sono piaciuti, perchè mi sta dando un indicazione utile.
Poi è divertente recensire robaccia, ma, almeno secondo me, inutile.
“Se hai 100 racconti, 90 faranno pena, dieci saranno decenti, se recensisci un paio di quelli brutti, ne rimarranno comunque 88 penosi su cui incappare, a che serve?”
Io trovo utile qualunque tipo di recensione, positiva quanto negativa. Ci sono centinaia di libri che vorrei leggere: se un recensore di cui mi fido mi dimostra che anche uno solo di essi fa schifo, io gli sarò grata perché mi aiuta a gestire bene il mio tempo, a non sprecarlo. 88 pessimi racconti sono peggio di 90, non credi?
Poi anche secondo me è più utile recensire dei bei lavori, ed è per questo che seguo Tapirullanza. Ad ogni modo, se Tapiro non avesse scritto che il livello medio di Ucronie è basso, lo avrei letto prima di altri bei (potenzialmente!) libri, mentre ora è in fondo alla lista. ^_^
Ahem, scusate, volevo dire: “88 pessimi racconti sono meglio di 90″.
@elkurdt:
Caro amico venuto in pace,
prima di tutto ti faccio notare che non ho recensito solo i racconti brutti ma *tutti* i racconti della raccolta. Sulla base di ciò che ho scritto, qualunque lettore è in grado di decidere quali racconti leggere e quali no: questo significa trattare i lettori con rispetto, ritenendoli capaci di compiere delle scelte sulla base delle informazioni fornite.
In secondo luogo, penso che tu sia venuto nel posto sbagliato a dire che “non indico al lettore nulla di intelligente da leggere”, dato che lo scopo primario del blog è quello di proporre un libro interessante ogni settimana.
In terzo luogo, dimentichi che la mia “recensione” era rivolta non soltanto ai lettori ma agli stessi scrittori dei racconti. Sarai d’accordo con me che a uno scrittore è più utile una critica ponderata che ‘glissare’ ogni volta che scrive robaccia.
Le critiche al mio lavoro sono bene accolte, ma la tua è completamente senza senso.
@Amnell:
Beh, ti consiglio lo stesso di leggere i tre racconti “promossi”, e magari anche il quarto classificato (Il millenario regno d’Italia), che comunque è carino.
Invece puoi tranquillamente ignorare gli altri.
@Tapiro : La mia non era una critica a quello che hai scritto, oltretutto ho notato con piacere che, in percentuale, recensisci più cose che ti sono piaciute rispetto al contrario.
Era solo un’affermazione generale.
@ Amnell : Ma risparmierai molto più tempo se ti verrà indicato cosa leggere, piuttosto che cosa non leggere, per semplice calcolo statistico.
Anche se credo che ci siamo capiti abbastanza bene.
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Non avevo letto questa recensione. Comunque Custer deve arrivare a Trieste non in Francia, leggi bene la prossima volta, ahaha.