Autore: Lawrence Sutin
Titolo italiano: Divine invasioni – La vita di Philip K. Dick
Genere: Biografia
Anno: 1989
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 380 ca.
–
Difficoltà in inglese: *
Non si può dire che le biografie siano il mio genere preferito. Non ho il minimo interesse per i personaggi famosi o per “quelli che ce l’hanno fatta”. Quanto ai grandi personaggi storici, so che molto di rado i grandi avvenimenti della storia sono conseguenza delle azioni di singoli uomini, perciò preferisco studiare un’epoca, o una società, o una situazione, piuttosto che la vita privata del Napoleone di turno. Soprattutto, è difficile che mi metta a leggere la biografia di uno scrittore: queste persone conducono in genere una vita noiosa, scandita da scadenze e presentazioni dei propri libri.
Philip K. Dick è un’eccezione. Non tanto perché è il mio scrittore preferito, quanto perché la sua vita sembra un romanzo. E Dick stesso potrebbe essere un protagonista dei suoi stessi libri. Ai fan dello scrittore, a quelli che l’hanno avvicinato da poco ma si chiedono come possa aver partorito le sue idee folli, e a quelli che sono rimasti incuriositi dagli aneddoti che lanciavo qua e là sulla sua vita, è dedicato questo articolo.
La biografia di Lawrence Sutin ripercorre metodicamente, e con piglio ironico, tutta l’esistenza dello scrittore, dalla prima infanzia alla morte. La gemella morta poco dopo il parto, la cui esistenza avrebbe angosciato Dick per tutta la vita; le sue crisi asmatiche e con il cibo quando era piccolo, unita alla sua tendenza agli esaurimenti nervosi; la sua serie di matrimoni impulsivi e di breve durata (si è sposato cinque volte e ha divorziato tutte e cinque); gli anni di povertà in cui lui e la moglie mangiavano cibo per cani perché racconti e romanzi pagavano poco; il tentativo di far internare in manicomio la sua terza moglie (ma poi Dick si è sentito molto in colpa); la sua abitudine di razziare gli armadietti dei medicinali dei suoi genitori per poi impasticcarsi di tutto e di più (lato positivo: i suoi romanzi mostrano una notevole preparazione in farmacologia e terapia delle malattie mentali); l’orrore provato a leggere documenti sul nazismo in preparazione a The Man in the High Castle; la sua abitudine di andare la mattina presto in una rimessa in mezzo alla campagna, per poi mettersi a scrivere per dieci ore filate sotto effetto di anfetamine (per tenere il ritmo) e produrre così quattro-cinque libri all’anno; l’allucinazione, durata settimane, della faccia di Palmer Eldritch in cielo; le conversazioni allucinate su teologia e gnoseologia con il reverendo Pike; gli anni in cui casa sua si trasformò in una comune di tossici e fece le sue prime sperimentazioni con l’LSD, per poi diventare preda di attacchi paranoidi e buttare tutti fuori di casa (convinto che qualcuno lo stesse tradendo e volesse farlo finire dentro); il terrore che i federali volessero incastrarlo come comunista per il suo passato sinistroide a Berkeley; i suoi commenti avvelenati e nevrotici rivolti a Ursula K. LeGuin (seguiti da sentite scuse); il suo tentativo di suicidio in Canada; fino alle famose allucinazioni cosmologiche (come quella del raggio rosa che l’avrebbe sollevato dal letto nel cuore della notte) che l’avrebbero convinto che noi in realtà ci troviamo nel 70 d.C., intrappolati in un’allucinazione collettiva ordita dall’Imperatore Romano (la cui ‘incarnazione’ dell’epoca sarebbe stata Richard Nixon) per rendere eterno l’Impero, e che Satana (a volte identificato con questo stesso Imperatore romano) avrebbe imprigionato la Terra in una gabbia che lo esclude dalle onde di trasmissione di un’intelligenza diffusa e divina – VALIS – sparsa ovunque nell’universo, energia che sarebbe riuscita a fare breccia nella gabbia e a comunicare con alcune persone (come Dick) che ora sarebbero dei prescelti di VALIS incaricati di mostrare la verità al genere umano e liberare il mondo dagli artigli del male e della psicosi – teoria alla luce della quale Dick avrebbe compilato negli ultimi anni di vita un’Esegesi di oltre un migliaio di pagine, ad uso personale…
Per non parlare della marea di romanzi incompiuti, abbozzati, perduti di quel grafomane che era Dick, dal progettato seguito de La svastica sul sole al famigerato capitolo conclusivo mai scritto della Trilogia di VALIS, passando per i continui insuccessi nel campo del mainstream.

“Your ass is mine, Dick.”
Divine Invasions, che riprende il titolo di uno degli ultimi – e meno comprensibili – romanzi dickiani, è una lettura piacevolissima che mischia informazioni biografiche, testimonianze di parenti e amici sopravvissuti, brani scritti da Dick in cui parla delle sue convinzioni e dei suoi interessi, e anche, talvolta, del suo modo di scrivere. Si sente l’amore di Sutin per lo scrittore e il suo desiderio di fare un lavoro il più completo e attendibile possibile.
In coda al libro, Sutin ha anche compilato un elenco – in ordine di stesura, e non di pubblicazione – di tutti i romanzi e le raccolte di racconti prodotti da Dick, con tanto di breve riassunto, giudizio sintetico e voto finale. Solo a volte concordo con le sue valutazioni, ma in ogni caso si tratta di una guida assai utile alla bibliografia dickiana e me ne sono servito spesso in quei sette-otto mesi che ho trascorso a leggere tre quarti della sua produzione.
Insomma, se gli aneddoti che ho gettato qua e là, tra articoli e commenti, su questo psicopatico di uno scrittore vi hanno incuriosito, vi consiglio di andare direttamente alla fonte.
Una panoramica del “metodo Dick”
Invece che approfondire il contenuto del libro o produrre qualche estratto a caso, questa volta mi sembra più interessante fare una cosa diversa. Alle Pag.187-189 dell’edizione italiana, Sutin riporta e commenta alcune parole scritte da Dick a proposito del modo in cui costruisce i suoi romanzi. Ed è sempre interessante leggere come operano i grandi scrittori, giusto?
Quindi, eccovele di seguito:
Un altro scrittore di fantascienza con cui Phil fu in contatto fu Ron Goulart. E a lui, nell’estate del 1964, inviò una lunga lettera che si avvicinava allo schema per la costruzione di un romanzo più di ogni altra cosa che Phil abbia mai scritto. Il che non vuol dire che uno qualunque dei suoi romanzi si adatti alla perfezione allo schema proposto in tale lettera – Phil sapeva deviare da qualsiasi piano, nel corso dei suoi periodi di scrittura al calor bianco. Ma la lettera è rivelatrice delle strategie che confluivano nella creazione dei mondi dickiani con punti di vista multipli. E’ anche una lettera assai singolare, per essere stata scritta nel corso di un blocco dello scrittore – forse aiutò Phil a rassicurarsi che poteva farcela ancora.
Nei primi tre capitoli, dice Phil, devi introdurre tre personaggi chiave. Nel primo capitolo:
Il primo personaggio, non il protagonista, ma un essere “subumano”, vale a dire una specie di uomo qualunque che esiste per tutto il corso del libro ma è, insomma, passivo; veniamo a conoscenza di quell’intero mondo, del suo background, da come esso agisce su di lui; è il “tizio che deve pagare il conto”, il “signor Contribuente”, eccetera. Okay. Dal punto di vista drammatico sapremo poco di lui ma, cosa più importante, vediamo il mondo che dovremo abitare, e qui sta la differenza tra romanzo e racconto breve; non è una progressione drammatica che culmina in una Scena Finale o in una Crisi, ma, come dico io, un mondo intero “con tutti i buchi collegati”, come dice José Ortega y Gasset.
Nel secondo capitolo arriva il “protag”, che ha un nome a più sillabe, come “Tom Stonecypher”, in contrapposizione al monosillabico “Al Glunch” del “sotto-uomo” del capitolo uno. Il “protag”:
lavora per – ed ecco che arriva l’Istituzione o l’organizzazione o l’attività lavorativa – be’, va bene ogni cosa, purché ci dia queste informazioni: ci dica cosa fa Mister S. [Stonecypher, ossia il “protag”], e cos’è questa cosa, la sua funzione. Veniamo anche a conoscenza di questo: la vita personale (o privata, o domestica) di Mister S. I suoi problemi coniugali o sessuali, o qualunque cosa sia la cosa che preoccupa solo lui, e non la grossa corporazione per la quale lavora… per cui non abbiamo più sfondo, massa, astrazioni, qui; abbiamo l’immediato, l’ora, questo e non quello; il problema è urgente e coinvolge qualcun altro, tipo una moglie, un fratello, eccetera. Capito?
Nel terzo capitolo compare una figura che svetta oltre le prime due, per statura, trasformando così la portata del romanzo:
Cambiamo percorso, e qui incominciamo a sviluppare il romanzo in un modo negato al racconto breve. Continuiamo sia con Mister S. che col “subumano” Mister Glunch… in un certo senso. Ma in un altro, anche se tecnicamente andiamo avanti con Mister S., ci troviamo in un’altra dimensione, quella del super-umano. E’ l’enorme problema di Loro, per esempio un’invasione della Terra, un’altra razza senziente, eccetera, e, tramite occhi e orecchie di Mister S., diamo per la prima volta un’occhiata a questa realtà super-umana – e all’essere umano (che chiameremo Ubermensch?) che la abita (…) Come Mister G. è il contribuente medio e Mister S. è “Io”, la persona normale, Mister U. è Mister Dio, Mister Big (…). Lui è Atlante, che porta il peso del mondo, per così dire, che sia malvagio – e potrebbe esserlo molto – o buono; in ogni caso, il potere gli ha conferito delle responsabilità, e ciò lo ferisce; pesa su di lui, lo fa invecchiare… ma lui è abbastanza grande da svolgere quest’altro compito; può sopportarlo, è autosufficiente.
Phil pone l’accento sul fatto che “l’intero versante drammatico del libro poggia sull’impatto tra Mister U. e Mister S.”. Un primo sguardo a tale impatto viene dato nel terzo capitolo. “A questo punto siamo nel bel mezzo di un libro, non solo di un racconto”, a causa dell’interazione fra i tre personaggi. E’ il destino di Mister S. “Si evolve drammaticamente lungo un percorso che lo porta al confronto diretto con Mister U., da cui nasce la scelta per decidere in che modo le Cose – cioè Mister U. – finiranno in definitiva, nella sezione della crisi, e ricadranno su Mister. S.”.
E ora arriva la grande fusione di mondi, verso la quale si è finora indirizzata la narrazione:
Mister S., nel secondo capitolo, pensava di avere dei problemi (ne aveva: di tipo personale). Ma ora guardalo nel quarto capitolo. Ha un po’ del peso di Atlante su di sé: proprio un bel salto di problemi. E poi: il problema originario, quello personale, non è sparito; in realtà è peggiorato. Per cui abbiamo un vero e proprio contrappunto, due problemi, il primo personale, accanto al secondo, a carattere mondiale. E ognuno di essi inguaia, complica e aumenta l’altro.
E, alla fine, il grande momento drammatico giunge quando Mister U., ora profondamente legato a Mister S., entra nell’area dei problemi personali prima relegata a Mister S. Per cui in un certo senso nell’ultima parte del libro i due mondi o i due problemi o i due versanti drammatici si fondono.
L’azione drammatica è intensificata da un groviglio totale:
Per cui si viene a rivelare il meccanismo strutturale di base: I PROBLEMI PERSONALI DI MISTER S. RAPPRESENTANO LA SOLUZIONE DI QUELLI MONDIALI DI MISTER U. E ciò può capitare sia nel caso che Mister S. stia con Mister U., o che sia contro di lui; vedi quali estreme varietà già si presentino, a livello strutturale? (Per esempio, se Mister S., dopo aver lavorato per un certo periodo per Mister U., se ne fosse andato in maniera traumatica – gli si fosse rivoltato contro, per unirsi di nuovo alla PPI [Phenotype Products Inc., o qualunque altra ditta “dai valori morali assai dubbi” sia stata inventata], nella sua lotta per la sopravvivenza – e tornasse di nuovo dal suo vecchio capo?
Phil suggeriva un possibile “sviluppo drammatico della conclusione” sotto forma di uno scontro di qualche tipo tra Mister S. e Mister U., con l’ultimo che ha la peggio, nonostante il suo enorme potere. Ma “Mister S. sopravvive, e tutto torna a posto, tranne che per qualche nessuno finale deliberatamente lasciato in sospeso; Mister S. forse ha risolto i suoi problemi personali o quelli del mondo – ma qualunque di questi abbia risolto, nel libro, ora l’altro è peggiorato, ironicamente… e ci dobbiamo rassegnare”. La Terra è stata salvata dai “Giganteschi Piselli Demolitori provenienti da Betelgeuse IV, in fondo, per cui ci si può rilassare, fare i saggi, e prenderci un po’ di tempo per sentire cosa prova Mister S.”.
La “coda” è un’occhiata conclusiva a Mister G. – “che ne è di lui (…), lui, che è stato quasi dimenticato, in tutto questo scompiglio?”. Più o meno come prima, anche se magari potrebbe avere un lavoro leggermente migliore.
Comunque, mio adorato, ecco come PKD mette insieme 55.000 parole (chilometraggio giusto) dalla sua macchina da scrivere: avendo tre persone, tre livelli, due temi (uno esterno, a dimensioni mondiali, l’altro interno, a dimensioni individuali), con una fusione del tutto e, alla fine, una nota più umana. Questa è, per così dire, la mia struttura. Ho detto abbastanza.

Okay, diciamoci la verità – QUESTO è il vero metodo Dick.
Due parole sul pezzo precedente.
L’ho chiamato per semplicità “metodo Dick”, ma in realtà lo schema è di massima; lui stesso non l’ha mai seguito con grande rigore. Nel corso della sua carriera, Dick ha utilizzato una gran varietà di strutture diverse, e quella di cui parla in quella lettera si riferisce più che altro alla composizione dei romanzi del periodo ‘centrale’ (quelli che vanno da The Man in the High Castle a Do Androids Dream of Electric Sheep?); A Scanner Darkly, per esempio, utilizza una più normale struttura con unico protagonista-pov (Bob Arctor) più alcuni capitoli particolari in cui l’autore con una telecamera onnisciente va a vedere le vite di personaggi minori. Inoltre, anche nei romanzi più aderenti a tale struttura, Dick si è sempre preso una certa libertà1.
Non direi mai a un aspirante scrittore che questa struttura sia una “formula del successo” o che andrebbe seguita a prescindere dal materiale del romanzo. Non lo penso. Tuttavia, credo che le parole di Dick possano insegnare un paio di cose interessanti:
1. Utilità del personaggio sfondo. Uno dei problemi tipici della narrativa di genere (specialmente se ambientata in un “mondo secondario” o nel futuro) è: come si fa a spiegare l’ambientazione, se bisogna utilizzare personaggi già abituati a viverci e contemporaneamente si sta svolgendo una crisi che cambia gli equilibri iniziali? Da un lato, l’infodump puzza, e dedicare i primi capitoli a dettagliare l’ambientazione per poi inserire l’elemento di crisi ammazza la tensione e il ritmo. Viceversa, iniziare col botto, e cioè con la crisi, impedisce al lettore di apprezzarne l’importanza, o nei casi peggiori, di seguire il filo degli avvenimenti: non ha ancora dimestichezza con l’ambientazione. Questo è uno dei punti più controversi anche nei manuali di scrittura, con alcuni che privilegiano un inizio morbido per non mandare in crisi il lettore, e altri che preferiscono l’inizio in medias res (con eventuale flashback per spiegare il ‘prima’, ma anche no).
Il ‘personaggio sfondo’ usato da Dick è molto comodo. Il suo ruolo è di far riflettere su di sé le caratteristiche della società in cui vive, ed essendo passivo, il lettore può concentrare la sua attenzione sul mondo circostante e sugli effetti che questo ha sul personaggio. Problema: cominciare col personaggio sfondo non è un inizio troppo lento, e non ritarda troppo l’hook e l’innesco vero e proprio della trama? Sì: questo è indubbio. Un’altra soluzione potrebbe essere questa: un primo capitolo col protagonista attivo, e l’evento della storia che innesca il cambiamento (di cui ancora non realizziamo la portata, ma intuiamo che è notevole). Secondo capitolo: personaggio sfondo. Il ritmo a questo punto può rallentare (la storia è partita, l’attenzione del lettore catturata) e ora ci si può prendere il tempo per delineare l’ambientazione – mostrandola attraverso il personaggio passivo – e dare al lettore i punti di riferimento che gli servono. Quando nel terzo capitolo si torna al protagonista e alle sue magagne, il lettore avrà tutte le informazioni per capire meglio azioni e pensieri del personaggio e per apprezzare il cambiamento che sta intervenendo.
Nulla impedisce comunque altre varianti, come far coincidere protagonista attivo e personaggio sfondo (inizialmente passivo e quindi ‘sfondo’, in seguito a un evento X il personaggio si ribella e diventa attivo: un classico, specialmente nelle distopie). Ma soprattutto nei romanzi corali, l’idea di assegnare i due ruoli a personaggi diversi (e quindi, seguendo le loro evoluzioni, vedere due lati diversi della società e del cambiamento in atto, due lati che altrimenti non si incontrerebbero mai) andrebbe presa in considerazione. Insomma: sperimentate.
2. Importanza della vita privata. Ci sono tanti sistemi per dare tridimensionalità e credibilità a un personaggio. Dargli una parlata e una gestualità particolare, degli obiettivi specifici, o farli evolvere nel corso della storia sono tutti ottimi sistemi. Ma uno dei metodi principi, è dare loro una vita privata. Un hobby, un problema familiare, una vita e interessi secondari dietro il loro lavoro o la loro quest. Una delle ragioni per cui gli scienziati e gli ingegneri di Clarke sono ridicoli, è che esistono per la loro funzione, ma sembrano non avere nient’altro nella loro vita.
Creare attrito tra la vita privata del personaggio e l’intreccio principale, inoltre, moltiplica i livelli di conflitto. Quindi alimenta la tensione. Uno dei motivi di fascino dei personaggi dickiani è proprio l’intergioco, e il conflitto, tra i loro problemi privati, la pressione sociale cui sono soggetti e la crisi centrale del romanzo.
Certo: non sempre c’è lo spazio o un modo elegante per mostrare la vita privata dei propri personaggi, specialmente se in corso c’è una crisi globale o qualcosa del genere. In un romanzo non incentrato sui personaggi, ma per esempio su un evento o su un’idea – per utilizzare la distinzione tra “tipi di trame” di Orson Scott Card – troppa attenzione alla vita privata dei protagonisti potrebbe anzi essere una distrazione. Ma anche qualche piccolo suggerimento, qualche oggetto lasciato sulla scrivania, qualche parola detta per caso, possono arricchire notevolmente. Come dicevo a Gamberetta commentando il suo Assault Fairies, anche gli sceneggiatori dei serial americani hanno capito l’importanza di suggerire stralci della vita privata dei loro protagonisti, da CSI al Dottor House. Il fatto che la psicologia dei personaggi abbia un’importanza marginale non significa che – con poche frasi e/o elementi messi al posto giusto – non si possa tridimensionalizzarli, pur dedicando loro il minimo di spazio.
Insomma: in fase di preparazione del romanzo, fate un pensierino sulla possibilità di inserire nel romanzo questo lato della vita dei protagonisti.
Ci sarebbero altre considerazioni da fare, sulla struttura del romanzo corale e del contrappunto tra i personaggi, ma andrei decisamente fuori strada: ci tornerò in un articolo futuro.
In conclusione, leggete Divine Invasions e meditate. Siamo tutti intrappolati in una gabbia di Faraday metafisica e forse solo il profeta Elia potrà salvarci, armato di un ciondolo con un pesce e con i Rotoli del Mar Morto sotto l’ascella. O forse no.

Un’invenzione del demonio.
(1) Il caso di maggiore aderenza è forse The Three Stigmata of Palmer Eldritch, a cui ho dedicato un Consiglio un paio di mesi fa. Qui abbiamo i tre livelli (sub-umano, umano e super-umano), ma quattro personaggi-pov, e la loro collocazione, di conseguenza, è un po’ sfalsata rispetto ai tre livelli:
– Richard Hnatt e gli abitanti di Chicken Pox Prospect costituiscono il livello sub-umano. Sempre passivi, non hanno alcun ruolo nella trama se non quello di carta tornasole dell’ambientazione.
– Barney Mayerson, il protagonista, si trova a un livello intermedio tra sub-umano e umano. E’ una persona attiva e con un certo potere, ma il suo ruolo nella risoluzione dell’intreccio è marginale. E’ il personaggio che evolve di più e il focus del romanzo, ma rimane una figura più passiva che attiva, più concentrata sui suoi problemi privati che nella risoluzione della crisi globale.
– Leo Bulero è il vero personaggio attivo. Della sua vita privata sappiamo pochissimo, e questa influisce poco sulla storia. Lui affronta la crisi, lui elabora piani, lui si scontra con l’entità-Palmer Eldritch. Essendo un essere umano dalla vitalità, dalla ricchezza e dal potere straordinari, lo collocherei a metà tra l’umano e il super-umano.
– Volendo aggiungere un quinto livello, troviamo il vero super-umano nel personaggio di Palmer Eldritch, che però non ha un proprio pov.
Inoltre i rapporti tra Mayerson, Bulero ed Eltrich sono piuttosto complessi – non sono proprio amichevoli, ma neanche completamente antagonistici. Eldritch invade gli spazi privati di entrambi; ciò che distingue Mayerson e Bulero sono le differenti reazioni.
Altri romanzi che seguono abbastanza fedelmente la struttura solo The Man in the High Castle – ma con ancora più pov e una struttura ancora più sfumata – o The Penultimate Truth – che però è mediocre – o Do Androids Dream of Electric Sheep? – dove il super-umano è però depotenziato, e si riferisce agli androidi che invadono la casa di Jack Isidore.Torna su