Archivi del mese: luglio 2012

Come sommergere il globo in pochi semplici passi

WaterworldCome molti dei miei lettori già sapranno Mr. Giobblin, quello che aveva lanciato il concorso letterario Deinos – culminato nell’omonima antologia di cui ho parlato alcuni mesi fa – ha indetto a giugno un secondo concorso, HydroPunk. In soldoni, l’argomento del concorso si può riassumere con queste parole di Giobblin stesso (l’aggiunta tra parentesi quadre è mia):

una Storia Alternativa (aka ucronia) con elementi retrofuturistici, ambientata tra il 1899 e il 1999, in cui l’umanità scopre l’esistenza di creature subacquee intelligenti, e numerosi cambiamenti climatici [come per esempio un innalzamento del livello delle acque] modificano l’aspetto della terraferma.

Se non sapete di cosa sto parlando, potete leggere qui il bando del concorso.
Anche se qualche dettaglio minore mi lascia perplesso1, all in all questo concorso sembra molto più interessante del primo, per vastità di ambientazione e possibilità. Lo è abbastanza da aver convinto la dolce Siobhàn, che è sempre stata appassionata di navigazione e in particolare di vela, a partecipare di persona. Non ha ancora scritto il racconto – e conoscendo le sue fluttuazioni di entusiasmo, non so se lo farà mai^^’ – ma in compenso ha fatto qualche lavoro preparatorio molto carino, ed è di questo che voglio parlarvi nel breve articolo di oggi!

Riscaldamento globale

Il riscaldamento globale è noioso.

Non si tratta di una feature obbligatoria, ma una delle potenzialità più divertenti per l’ambientazione di HydroPunk è quella di sommergere la terraferma di X metri e vedere che succede. Ora, è vero che si può andare su Wikipedia e controllare quanti metri sopra il livello del mare si trova Roma piuttosto che Parigi o Tokyo o la Bassa Sassonia o la Curlandia, ma non sarebbe male anche l’idea di avere un colpo d’occhio su come sarebbe tutto il mondo con un livello delle acque più alte. Giobblin linka un sito di mappe, una delle quali mostra come apparirebbe il mondo se il livello dei mari salisse di 66 metri (cioè il livello che l’autore ipotizza raggiungerebbe se si sciogliessero le calotte polari). E se volessimo vedere come apparirebbe se le acque salissero di 100, 200, 500 o 1000 metri?
Ora, non dubito che un bravo programmatore sarebbe in grado di confezionare un bellissimo programmino adatto allo scopo. Purtroppo io non sono capace e non conosco nessuno che lo sia o che sarebbe disposto a perderci del tempo. In compenso a Siobhàn piace pasticciare con i programmi di grafica, e ha avuto la bella idea di alterare delle mappe del mondo in modo che mostrino un livello dell’acqua più alto. L’idea è di una banalità sconcertante, ma a me per esempio non era venuta in mente. E ora, Art Attack!

Prima di tutto, ci serve una cartina fisica del mondo. Ovviamente, più grande e pulita è l’immagine, meglio è. Il formato è meglio se è .png o .gif, perché nelle immagini .jpeg le parti che dovrebbero essere in tinta unita tendono ad essere in realtà sporcate da macchie di differenti colori; e dato che per raggiungere il nostro scopo dovremo selezionare bande uniformi di colore, il lavoro su un .jpeg rischia di diventare terribilmente tedioso o anche impossibile. Infine, sarebbe meglio che nell’immagine ci fosse una legenda – altrimenti, come facciamo a sapere a che quota corrispondono i vari colori?
La cartina migliore che abbiamo trovato per ora è questa sberla di 3184 x 2133. Purtroppo è in cirillico, ma non si può avere tutto dalla vita:

Cartina fisica del mondo

Come nella maggior parte delle cartine, l’intervallo tra una fascia di colore e l’altra è piuttosto ampia: la prima è tra 0 e 200 metri, la seconda tra 200 e 500, la terza tra 500 e 1000 e così via. Ciò significa che su questa cartina potremo vedere solamente un livello delle acque innalzato di 200, 500, 1000 etc. metri. Se trovate una cartina con intervalli più piccoli, quindi, tanto meglio.
Ora vediamo come apparirebbe il mondo con un innalzamento delle acque di 200 metri. Nelle immagini che seguono è stato usato il programma opensource Gimp, ma si possono fare le stesse cose anche con Photoshop.

Su Gimp, la prima cosa che ci serve è lo strumento “Selezione per colore”. In Photoshop bisogna invece cliccare su “Selezione” => “Intervallo colori”.

Sommersione 1

Ora bisogna selezionare l’intervallo del colori che ci interessa. In questo caso Siobhàn ha impostato una soglia di selezione di 15 e un raggio di sfocatura di 2, ma è un valore indicativo – varia a seconta della qualità della cartina. Clicchiamo sul verde più basso della legenda, il primo livello di innalzamento del mare.

Sommersione 2

Se la maggior parte dell’area di quel colore è stata selezionata vuol dire che la soglia è giusta. Per far venire tutto un po’ meglio, allarghiamo la selezione di un paio di pixel. Su Gimp il percorso è “Seleziona” => “Allarga”, mentre con Photoshop CS5 si può usare il tasto “Migliora bordo” che appare selezionando uno qualsiasi degli strumenti di selezione.
Poi usiamo lo stesso strumento di prima per sottrarre alla selezione il colore nero e blu scuro, in modo che i nomi e i confini dei luoghi non vengano cancellati (vabbè che sono in russo, ma il lavoro facciamolo bene!).

Sommersione 3

Ora creiamo un nuovo livello e riempiamo la selezione di azzurro. In questo modo la fascia di terraferma evidenziata, pure apparendo sommersa, avrà un colore diverso dal resto del mare, che permetterà di continuare a distinguerla.

Sommersione 4

Questo sistema non è perfetto. Valli circondate da montagne, che pur essendo sotto i 200 metri di quota potrebbero non essere state sommerse, apparirebbero sott’acqua seguendo questo metodo. Ma possiamo comodamente fare delle correzioni alla mappa con pennello e gomma, aumentando e togliendo il mare dove vogliamo.

Mondo sommerso di 200 metri

Il risultato finale.

Volendo, si può ripetere il lavoro per le successive fasce di colore, facendo gradualmente sparire le terre emerse fino a ritrovarsi con un bellissimo globo azzurro e vuoto alla Waterworld, magari punteggiato da un’Himalaya qui e un Macchupicchu là.

Mondo sommerso di 500 e 1000 metri

Ecco la Terra sommersa rispettivamente di 500 e 1000 metri.

E lo stesso lavoro ovviamente si può fare anche per cartine più specifiche, come quelle dei continenti o dei singoli stati! Ecco per esempio un’Europa parzialmente sommersa:

Europa sommersa

Londra, Parigi e Berlino sono sommerse, ma Madrid e Atene resistono! C’è qualcosa di LOL in tutto questo.

Noterete che la cartina dell’Europa è venuta meglio di quella del mondo: infatti è una .gif, mentre l’altra un .jpeg. Carina, eh?
Se con la grafica non ci sapete fare e cercate informazioni su Photoshop e soprattutto su Gimp, vi rimando al blog di Siobhàn, Catinate. Ormai è in stato di semiabbandono (._.) ma ci sono comunque molte cose interessanti.

—-

(1) In particolare ho l’impressione che Giobblin equivochi il senso del suffisso “-punk” nella narrativa di genere. Il termine non è nato per indicare qualsiasi storia alternativa o ambientazione gonzo-historical (“potete sconvolgere gli eventi storici come meglio credete e dar vita a impensabili ucronie, da bravi punk”), altrimenti ogni ucronia sarebbe “punk” per definizione e non mi risulta che sia così. E dire che il termine “punk” serva a indicare “vena ribelle, sovversiva e revisionista” non vuol dire niente.
In “cyberpunk” e nello “steampunk” di seconda generazione, come spiega il Duca nel suo articolone sullo steampunk, il suffisso “-punk” implica una visione cinica, disincantata della storia, del progresso, del capitalismo. Inoltre, sia nel cyberpunk che nello steampunk è presente una componente fantascientifica; può esserci una contaminazione fantasy più o meno forte, ma quella sci-fi è imprescindibile.
Poi, è vero che, in un secondo tempo, termini come “clockpunk” o “dieselpunk” sono nati solo per assonanza con “steampunk”, perdendo l’elemento “-punk” in tutto tranne che nel nome; ma se il nome “hydropunk” vuole rifarsi a questa moda, allora bisogna parlar chiaro: il termine “-punk” è mantenuto soltanto per tradizione e/o assonanza, non indica nient’altro che un’ucronia con possibili elementi retrofuturistici e/o fantastici.Torna su

Korea’s Got Sense of Wonder

PSYBreve interludio della pausa estiva per portare all’attenzione di tutti un documento della massima importanza. La questione si potrebbe riassumere in una frase: i coreani hanno dei problemi.
Nel video che segue ci sarebbe abbastanza materiale per scrivere due novelle di Bizarro Fiction, un romanzo New Weird, e secondo me pure una trilogia Cyberpunk. E tanto tanto sense of wonder.
Perciò tirate fuori carta e penna e prendete appunti.


Il mio preferito è quello col completino giallo.

PSY, il demente del video, è un cantante hip pop di un certo successo in Corea, giunto addirittura al suo sesto album. Dalla didascalia del video:

‘Gangnam Style’ is composed solely by PSY himself from lyrics to choreography. The song is characterized by its strongly addictive beats and lyrics, and is thus certain to penetrate the foundations of modern philosophy.

Sono assolutamente d’accordo. Anche se non sono sicuro di voler leggere una traduzione del testo originale.
Ringrazio il pazzo che mi ha passato ‘sta roba e ne approfitto per farvi una domanda. Siete a conoscenza di roba coreana meritevole di essere vista? Io ho presente solo i lavori di Kim Ji-Woon (regista del divertente retard-western The Good, the Bad, the Weird, di A Bittersweet Life e del famoso Two Sisters) e la porcata kolossal-trashona D-War – noto tra i nerd per essere uno dei film più brutti nella storia del cinema mondiale.
Ma sono sicuro che i coreani hanno molto da dare al mondo. Circa.

Corea del Nord

Tipo i missili.

Il Tapiro va in vacanza

Picture UnrelatedPrima o poi doveva succedere.
Inizialmente avevo intenzione di sospendere l’attività la settimana prossima, ma dato il calo di visite e di commenti – non solo su Tapirullanza, ma su tutti i blog che frequento – lo farò subito. Così avrò anche più tempo per leggere (e, si spera, scrivere) e per preparare nuovi articoli per la fine dell’estate. Il blog non farà shutdown completo1; continuerò ad aggiornare La Mia Classifica e la pagina di Terminologia (compiti relativamente poco faticosi), e magari ci scapperà qualche articolo più disimpegnato. Ma niente Consigli o articoli da 3000+ pagine^^
Le trasmissioni riprenderanno regolarmente a partire dall’ultima o penultima settimana di agosto.

E visto che siamo in argomento: come sarà l’anno prossimo per Tapirullanza?
Eh, temo magro. L’anno che viene mi regalerà meno tempo libero, il che significa meno tempo per monitorare e aggiornare il blog. Tenterò di continuare a postare un Consiglio ogni settimana – o almeno tre settimane su quattro, come ho fatto nell’ultimo mese e mezzo – ma è probabile che la frequenza complessiva degli articoli calerà. Beh, meglio poco che niente, giusto?
Tra i Consigli che vedremo dopo le vacanze estive, ne avremo di sicuro uno dedicato ad Asimov, e uno o forse addirittura due di genere Steampunk. Tra le facce nuove, troveremo anche uno o due autori di SF contemporanea. Ho seguito, infatti, i risultati del sondaggio “Cosa leggerà il Tapiro?” (che ogni settimana continua a ricevere 2-3 nuovi voti) e dopo aver dedicato articoli alla Sword&Sorcery – con le Tales of the Dying Earth di Jack Vance – al New Weird – con City of Saints and Madmen di VanderMeer – e al Cyberpunk – con Vacuum Flowers di Swanwick e il paragone con Neuromante – mi sembra giusto occuparsi anche della fantascienza degli ultimi dieci-quindici anni (voce che fino a qualche settimana fa stava al quarto posto nella classifica). Parleremo ancora di Bizarro Fiction, perché è un movimento divertente e molto prolifico, e di romanzi dell’Ottocento, perché sì perché è fantasy.
Torneranno gli articoli di Saggistica, che in questo ultimo periodo hanno un po’ latitato, ma credo che oltre alla storia toccherò qualche altro argomento. E poi un articolo sulla mia esperienza dopo un anno e mezzo di e-book, sulla scia di quello di Taotor.
Si parlerà anche di cose più retard, come delle probabilità di una singolarità tecnologica nei prossimi trent’anni, di cose fikissime che non scriverò mai e di un sistema per razionalizzare la magia mediante la logica predicativa (sempre che riesca a ultimarlo). Dimitri mi sculaccerebbe per quest’ultima, ma fa niente. Inoltre potrei continuare a uscire dallo stretto seminato della letteratura per brevi articoli su cinema o videogiochi, se la cosa suscitasse interesse; ma a questo proposito mi piacerebbe anche sentire la vostra opinione.

Insomma, il materiale c’è e la voglia anche. Vedremo se ci sarà il tempo.
Buone vacanze ^_^

Non so nuotare

(1) Con l’eccezione delle prime due settimane e mezza di agosto, durante le quali sarò felicemente lontano dalla civiltà.Torna su

Le tettone di Catherine

Le tettone di Catherine“La bigamia è avere una moglie di troppo. La monogamia anche.”
Oscar Wilde

Che l’industria giapponese dei videogiochi sia in crisi da anni, ormai lo sanno anche i sassi. La caduta in picchiata della qualità dei Final Fantasy è solo la punta di un’iceberg che ormai coinvolge quasi tutte le case nipponiche e anche i piccoli team. Pure la Tri-Ace, che all’epoca della PS2 aveva sfornato i bei Star Ocean 3 e Valkyrie Profile: Silmeria, me l’ha messa nel culo qualche anno fa con l’atroce Eternal Sonata (non ci credete che è atroce? Riguardatevi questo).
Per trovare un GDR decente che non sia l’ennesimo prodotto in serie pensato per un dodicenne cresciuto a Naruto e a retardness, devo rivolgermi a case più piccole e a prodotti a medio o basso budget (quei giochi che non sono un flop se vendono meno di venti milioni di copie e quindi non hai un minimo di libertà creativa). In particolare la Atlus – produttrice delle serie di Shin Megami Tensei, Digital Devil Saga e Persona – negli ultimi dieci anni si è sempre o quasi distinta per originalità, un target un poco più maturo, e meccaniche di gioco insolite. E soprattutto, per l’assenza di protagonisti che maneggiano spade lunghe otto metri, pesanti quaranta chili e a forma di clavicembalo. Grazie Atlus per averci risparmiato le spade retard.

Catherine, l’ultima fatica dello studio che ha realizzato Persona, è uno dei giochi più strani a cui abbia mai giocato. Oltre che uno di quelli con la maggior concentrazione di primi piani di tettone ballonzolanti. Che si tratti di libri o film o videogiochi, amo la bizzarria (e le tettone), e del resto questo blog è una vetrina di cose curiose, no? E poi non potevo tacere del responsabile di tante ore di tempo libero allegramente buttate nel cesso ^-^

Catherine seduce Vincent

Per chi non conoscesse già il gioco, ecco la storia in soldoni. Vincent è un ingegnere informatico di trent’anni un po’ immaturo, che ha sempre voglia di andare al bar con gli amici la sera e nessun voglia di “sistemarsi”. Ama la sua sua sexy fidanzata con le tettone, Katherine, ma la loro è una relazione stressante: lei è una donna in carriera e con la testa a posto, che gli dice sempre cosa fare e lo tratta come un bambino. Perdipiù continua a fargli discorsi sul fatto che dovrebbero cominciare a metter su famiglia e Vincent dovrebbe assumersi le sue responsabilità.
Quando, una sera al bar, dopo che se ne sono andati via tutti, gli appare una dolce fanciulla bionda e disinibita, non capisce più nulla. Prima che se ne accorga sono a letto insieme. Orrore si aggiunge a orrore quando Vincent scopre che la tipa si chiama Catherine, e che non ha più intenzione di lasciarlo andare.
Contemporaneamente, Vincent comincia a fare degli strani incubi. Tutte le notti si ritrova in uno strano mondo fatto di blocchi, con delle corna di pecora in testa. Ci sono delle pecore tutt’attorno a lui, che si arrampicano velocissime sulle torri di blocchi. Lo mettono in guardia: se non sarà abbastanza svelto ad arrampicarsi precipiterà nell’abisso, e chi muore nel sogno muore anche nella realtà. Sembra che qualcuno abbia lanciato una maledizione sugli uomini infedeli, condannati notte dopo notte ad arrampicarsi per non fare una fine orribile. E sono molti a venire ritrovati morti nel loro letto la mattina dopo.
Come farà Vincent a liberarsi dei suoi incubi e a risolvere la sua aggrovigliata situazione sentimentale?

La serie di Persona è famosa per combinare un gioco di ruolo classico con meccaniche da gioco gestionale. Di giorno si va a scuola, si interagisce con i compagni, si fa in giro per la città, ci si fa amici, eccetera; di notte – o, nel caso di Persona 4, in alcuni giorni particolari – si entra in una dimensione alternativa e si esplorano dungeon disseminati di mostri. Catherine ricorda questa logica, con la differenza che le parti notturne non sono un GDR ma un puzzle game.
Tirando e spingendo blocchi in modo da creare delle scale, bisogna salire delle torri fino a raggiungere la cima, mentre gradualmente i piani inferiori crollano uno dopo l’altro. E se la corsa contro il tempo non bastasse, bisogna anche guardarsi le spalle da blocchi trappola di vario tipo (da quelli che ti infilzano a quelli che ti si frantumano sotto i piedi, da quelli fatti di ghiaccio e quindi scivolosi, a quelli che esplodono) e dalle altre pecore, che spesso proveranno a spingerci giù.


Un livello del puzzle game, piuttosto avanti nel gioco. Notare che il giocatore del video è un pazzo, e che io ho risolto il livello in un modo diverso. Inoltre il doppiatore americano di Vincent non sembra un ritardato come quello giapponese. Giuro.

Molti sono rimasti spiazzati dall’amalgama di gestionale e puzzle game, anche perché i seguaci della Atlus sono appassionati di GDR e dallo studio che ha realizzato Persona si aspettavano un GDR. In realtà, ritengo che l’elemento puzzle sia quello meglio riuscito del gioco. Esso infatti ha tutta la bellezza e l’eleganza di un gioco semplice e con poche regole; la complessità del gioco sta nelle infinite varianti in cui quelle poche regole possono essere combinate. Il che significa che le basi del puzzle si capiscono in una manciata di minuti, ma per tutto il resto del gioco si continua a imparare nuove tecniche e ad affrontare nuove sfide. Il tutto con l’angoscia del tempo limite: sotto di noi, piano dopo piano, i blocchi precipitano nell’oscurità…
Il tasso di sfida è ottimo. Da una parte la curva della difficoltà continua a salire – e alcuni degli ultimi livelli sono semplicemente folli – dall’altra il gioco mette a disposizione del giocatore l’opzione Undo, che gli permette di tornare indietro fino a 9 mosse per correggere errori irrimediabili o provare altre soluzioni1. Difatti c’è quasi sempre più di un modo per scalare le torri, e spesso quali soluzioni sono a nostra disposizione dipendono dalle nostre mosse e soluzioni precedenti (dato che i piani superiori tendono a collassare e a prendere forme diverse a seconda di come abbiamo spinto e tirato blocchi ai piani inferiori).

La parte deludente è invece quella gestionale. Ora, Persona ci aveva abituato bene. In Persona, l’attività principale della parte gestionale era la costruzione dei Social Link; ossia, incontrare nuove persone partecipando a varie attività (per esempio, un club sportivo, o il gruppo di teatro, o un lavoretto part-time), farsi delle amicizie, coltivarsele uscendo insieme e dando le risposte giuste alle loro domande. La nostra capacità di farci degli amici nel mondo reale influenzava poi le nostre esplorazioni notturne. Oltre a questo, era anche possibile girare per la città, comprare armi e oggetti nei negozi, raccogliere informazioni, eccetera. Tutto questo dava l’impressione di un ambiente vivo e complesso aldilà del GDR.
Ora, non mi aspettavo un sistema così raffinato, ma neanche il deserto che è Catherine. Al di fuori degli incubi, l’azione del gioco si limita al bar frequentato da Vincent e amici, lo Stray Sheep. Al di fuori di questo, ci sono solo filmati, filmati, filmati – a un certo punto mi sembrava di essere finito in un gioco di Hideo Kojima. E anche nel bar, tutto quel che si può fare è tenersi al corrente delle morti guardando la tv, chiacchierare con gli amici, rispondere agli sms di Katherine e Catherine, giocare a un mini-gioco chiamato Rapunzel (che all’inizio è divertente ma dopo dieci minuti vorresti cavarti occhi e orecchie) o dare una mano ad alcuni frequentatori del bar che sono anche vittime degli incubi come te. Queste ultime sottomissioni sono particolarmente tristi: di fatto si tratta semplicemente di scambiare due parole con loro e incoraggiarli (sia al bar che durante gli incubi) in modo che non si perdano d’animo e non si lascino ammazzare.

Rapunzel

Una volta amavo le cose vintage. Poi ho giocato a Rapunzel.

Pigrizia degli sviluppatori? Mancanza di tempo o soldi? Non lo so; quel che è certo è che così l’esperienza sembra monca. Dato l’elemento mystery, investigativo del gioco, non sarebbe stato meglio dare al giocatore l’opportunità di girare per la città a raccogliere informazioni, a cercare di capire cosa stesse succedendo, magari andando a trovare a casa altre persone incontrate negli incubi? A seconda delle azioni compiute di giorno, sarebbe potuta cambiare la sua situazione nel mondo dei sogni; la risoluzione del mistero centrale (perché Vincent e le altre vittime hanno questi incubi? Chi li ha maledetti?) sarebbe potuta essere affidata al giocatore anziché alle cutscenes. In questo modo si sarebbe premiata la capacità investigativa del giocatore, che magari avrebbe sbloccato un finale differente a seconda che fosse riuscito o meno a liberarsi degli incubi.

Un altro elemento di disappunto è la gestione dell’allineamento di Vincent. A seconda delle azioni compiute dal giocatore – ad esempio, a seconda di come risponde ai messaggi delle due ragazze o a domande poste in alcuni momenti chiave del gioco – l’allineamento di Vincent si sposta verso la Legge o verso il Caos. Il che significa sia un avvicinamento a Katherine piuttosto che a Catherine, sia una preferenza verso una vita regolata e verso i valori tradizionali della società, o al contrario verso una vita sregolata.
L’idea è interessante, ma la realizzazione lascia a desiderare. In pratica, l’unico effetto dell’allineamento è il tipo di finale che si ottiene a gioco concluso (ce ne sono ben otto); per tutto il resto della storia, le scelte del giocatore sono del tutto ininfluenti. Questo ci fa sentire poco partecipi della trama, dato che Vincent fa quello che gli pare a prescindere dalle nostre scelte; e verso la fine del gioco, può portare a delle situazioni veramente assurde2. So già perché questa scelta: programmare bivi e variazioni costa di più. Ma è seccante lo stesso.

Catherine pecore

Salva le pecore. Salva il mondo.

Dove Catherine colpisce nel segno è nell’atmosfera. Il mondo dell’incubo, con le sue campane (che mentre si scalano le torri significano che ci si sta avvicinando alla cima del livello, e quindi verso la fine del gioco vengono in genere accolte dal giocatore con lacrime agli occhi), i confessionali dove una specie di prete-bambino ci fa domande sulla nostra moralità, le pecore che livello dopo livello si trasformano a seconda del loro comportamento, il senso di comunità che si viene a creare con gli altri arrampicatori. Tutta la simbologia delle pecore, in particolare, è un colpo di genio. Altrettanto azzeccata è la decisione di accompagnare tutte le fasi di caricamento con una citazione famosa sulla vita di coppia (di cui quella in calce all’articolo è un esempio) – sono quasi tutte carine.
Suggestiva è anche l’atmosfera che si respira allo Stray Sheep, che ha proprio l’aria da locale tranquillo per scapoloni, con tanto di sottofondo musicale da piano-bar. E gradita è la caratterizzazione degli amici di Vincent, che invece delle solite smielate buoniste sull’amicizia che sembrano un marchio di fabbrica del marketing Young Adult in generale e dei jappi in particolare, si comportano da stronzetti, fanno battute e sfottono il protagonista quando se lo merita. Sono anche in grado di dargli una mano, ma lo fanno evitando tutta la retorica zuccherocaramellosa che ci mangia il fegato da vent’anni. Vincent dice un sacco di parolacce, e quando si spaventa fa una faccia carinissima. Il personaggio di Thomas Mutton è delizioso (e anche molto secsi, anche se a Siobhàn non piace che lo dica).
Il tutto condito con le ottime musiche di Shoji Meguro – compositore storico della Atlus e uno dei miei preferiti – che oltre a molte tracce originali carine, per i livelli del puzzle game ha remixato una gran quantità di pezzi di musica classica – dall’overture del Guglielmo Tell di Rossini al famoso Revolutionary Etude di Chopin, da una fuga di Bach a uno dei miei pezzi preferiti, la Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvorak.


Il remix di Shoji Meguro del primo e del terzo movimento della Sinfonia del Nuovo Mondo di Dvorak.

Certo, alla fine neanche Catherine riesce a evitare la retorica standard della serie “quello che conta nella vita è realizzare i propri sogni”, “non importa cosa scegli, l’importante è che fai quello che vuoi veramente”, “potrò anche sbagliare ma almeno sarò rimasto fedele a me stesso” e tanti saluti. E’ così trita, così ricorrente che quasi non me ne accorgo neanche più.
In compenso mi è piaciuto come viene trattato il sesso. Pur non scendendo mai nel porno, Catherine ci regala un sacco di inquadrature maliziose, allusioni che capirebbe un bambino di otto anni e – nel caso in cui trattiamo bene Catherine – un sacco di pics di tettone sul nostro cellulare. Gli argomenti “sesso”, “relazioni”, “matrimonio” non sono trattati in maniera incredibilmente profonda od originale, ma si tratta pur sempre di un passo avanti in un mondo – quello dei videogiochi – che dal punto di vista narrativo è molto arretrato. Se Catherine fosse un romanzo non sarebbe un granché, ma per la media dei suoi concorrenti si piazza bene. E poi viene a occupare una zona che non era mai stata toccata da molti altri videogiochi.

A differenza di Portal, di cui avevo già parlato su queste pagine, Catherine non è un capolavoro manco per sbaglio. Ciononostante, si tratta di un bel gioco, originale e bizzarro, e mi sono divertito moltissimo a giocarci. E io appoggio sempre gli esperimenti, quando non si tratta di robaccia involuta ma del serio desiderio di dare qualcosa di nuovo ai videogiocatori, spettatori, lettori.

Catherine sadica

Un altro buon motivo per giocare a questo gioco.

(1) Questo ai livelli di difficoltà Facile e Normale. In modalità Difficile l’Undo è stato tolto, il che mi sembra anche giusto.Torna su

(2) ATTENZIONE: SPOILER (in bianco). A prescindere dall’allineamento, durante la Settima Giornata Vincent deciderà che vuole stare con Katherine e mollare Catherine. Questo anche se la barra dell’allineamento è tutta dalla parte del Caos (e quindi di Catherine). La cosa si fa ancora più assurda quando, all’inizio dell’Ottava Giornata, bisogna scappare con Katherine e aiutarla ad arrampicarsi, con Catherine come boss. In questo modo, solo i giocatori che avessero scelto di stare con Katherine (e quindi un percorso legale) non si accorgerebbero delle incongruenze.
Inoltre, se abbiamo un allineamento caotico e diamo tutte le risposte giù, nel finale Vincent ci proverà con Catherine (finalmente in linea con le decisioni del giocatore) anche se per tutta la Settima e l’Ottava Giornata aveva menato il cazzo a tutti su quanto volesse rivedere Katherine non volesse più saperne dell’altra. Nonsense.
E dire che non ci volevano queste spese folli per fare un bivio decente. Immaginando di tenere le spese al minimo, potevano cambiare qualche linea di dialogo negli ultimi giorni (in cui Vincent dichiara di volere Catherine e non Katherine) e modificare alcuni elementi del sogno dell’Ottavo Giorno: è Katherine a finire accoltellata, Vincent scappa con Catherine e insieme devono arrampicarsi con un boss-Katherine che li insegue. Fine. Ci voleva tanto?
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I Consigli del Lunedì #25: Mission of Gravity

Mission of GravityAutore: Hal Clement
Titolo italiano: Stella doppia 61 Cygni
Genere: Science Fiction / Hard SF
Tipo: Romanzo

Anno: 1953
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 220 ca.

Difficoltà in inglese: ***

In tutta la Via Lattea non c’è un pianeta come Mesklin. La violenza della sua accelerazione centrifuga gli ha dato una forma da pallone da rugby, schiacciato ai poli e stiracchiato all’equatore. Ha anche una massa immensa, e la sua attrazione di gravità varia dai 3G sull’Orlo (l’equatore) ai 700G ai poli. Ma nonostante le condizioni proibitive, Mesklin ospita vita intelligente: una razza di animaletti simili a millepiedi, robustissimi, che si muovono agganciandosi al terreno con le loro numerose zampe uncinate. E ora i terrestri hanno bisogno di loro.
Barlennan, capitano della nave mercantile Bree, è stato contattato dall’umano Charles Lackland per una missione della massima importanza. I terrestri hanno inviato un razzo al polo sud di Mesklin per compiere una serie di rilevazioni sulla gravità del pianeta; rilevazioni che potrebbero rivoluzionare le teorie fisiche sulla gravitazione dai tempi di Einstein. Ma proprio a causa dell’attrazione di Mesklin, il razzo non riesce più a lasciare la superficie. L’equipaggio di Barlennan dovrà raggiungere i poli – dove nessun umano potrà mai mettere piede – e recuperare le attrezzature per restituirle i terrestri; ma quale prezzo chiederanno i meskliniti per questa impresa? E cosa impareranno gli uni dagli altri le due specie?

Mission of Gravity è unanimemente riconosciuto come una delle massime vette raggiunte dall’Hard SF classica. Un romanzo che, come da tradizione del genere, parte da premesse incredibili – un pianeta schiacciato e dalla gravità altissima, e su cui c’è vita!? – e procede a illustrarle senza mai deviare dal rigore scientifico.  Che genere di vita potrebbe ospitare un pianeta dalle condizioni così estreme? E come queste condizioni modificherebbero la forma mentis dei suoi abitanti? Come sarebbe percepito da loro il cosmo? Quali cose si potrebbero fare, e quali no? E così via.
Ma il romanzo di Hal Clement non è saggistica immaginaria – è anche un romanzo d’avventura! La ciurma della nave Bree, guidata dall’impavido (e scaltro) capitano Barlennan, e con l’aiuto di Lackland e dei terrestri in orbita attorno al pianeta, dovrà affrontare tutta una serie di ostacoli e imprevisti per raggiungere il polo sud. Pericoli che daranno all’autore l’occasione per illustrare vari aspetti della vita su Mesklin.
L’ambizione è quella di coniugare speculazione scientifica e narrativa di buon livello. Ci sarà riuscito?

Forza di gravità

Il mantra di Clement.

Uno sguardo approfondito
Una delle cose più spiazzanti del romanzo – e che contribuiscono a distinguere Mission of Gravity dal resto della Hard SF – sta nel fatto che i protagonisti, nonché punto di vista privilegiato della storia, non sono gli esseri umani ma i meskliniti. Il libro comincia infatti con il pov del capitano Barlennan, e attraverso i suoi occhi osserviamo i venti letali dell’inverno equatoriale che minacciano di spazzare via la loro nave spiaggiata, o il suo secondo Dondragmer che si erge sulle sei zampe posteriori per ancorare la nave.
Il bel sogno purtroppo dura poco. Da quando, alla fine del secondo capitolo, entra in scena l’umano Lackland, il punto di vista del romanzo retrocede a quello del narratore onnisciente. Per il resto del romanzo, Clement fa viaggiare la telecamera un po’ come gli capita, posandola osa su Lackland, ora sui generici scienziati in orbita attorno a Mesklin, ora su Barlennan, ora sui membri dell’equipaggio ‘in generale’, ora a volo d’uccello (onniscienza vera e propria). La cosa più sgradevole, è che questi salti di pov avvengono nel bel mezzo di un paragrafo senza alcun preavviso. Nel migliore dei casi, questo significa semplicemente poca immersione e percezione da parte del lettore di una ‘regia occulta’ che lo sballotta di qua e di là; in alcune situazioni più concitate, significa dover rileggere un passaggio più volte perché non si capisce più bene cosa stia succedendo o da quale angolo visuale si stia guardando la scena.

E in realtà, bisogna ammettere che la presenza del narratore onnisciente è presente in tutto il romanzo, anche nelle scene mostrare attraverso gli occhi dei meskliniti. Le parti scritte col pov di Barlennan, infatti, danno più che altro l’impressione di un documentario naturalista: immagini di animaletti che si muovono nell’ambiente selvaggio, con voice over del narratore che ci spiega cosa pensano, cosa provano, cosa li preoccupa. Tra noi e il personaggio punto di vista percepiamo sempre il filtro dell’autore; di conseguenza non ci immedesimiamo mai nella specie aliena, li vediamo sempre dal di fuori anche quando sono loro a dominare la scena.
La presenza del narratore onnisciente rende anche più indigesti gli infodump. Quando va bene, gli elementi dell’ambientazione sono mostrati nelle conseguenze che hanno per i personaggi o, più spesso, discussi nei dialoghi tra Barlennan e Lackland. Questi dialoghi, specie quando entrano nel dettaglio tecnico, suonano un po’ artificiosi, ma rimangono comunque preferibili alla media degli espedienti da Hard SF (tipo l’As You Know, Bob). Quando va male, l’autore in persona interrompe la narrazione – o si inserisce in un punto morto della stessa – per spiegarci questa o quella caratteristica del pianeta.

Pallone da rugby

Un’approssimazione del pianeta Mesklin?

In Mission of Gravity troviamo anche un altro limite tipico dell’Hard SF: personaggi funzionali e bidimensionali come manichini. Ognuno dei personaggi segue fedelmente il suo ruolo istituzionale: Lackland è lo scienziato-antropologo che vuole stringere amicizia con i nativi; il Dottor Rosten è il capo della missione severo e pragmatico, ma, essendo anche un biologo, è pronto ad andare in sollucchero e a perdonare gli errori di Lackland in cambio della promessa di esemplari della vita di Mesklin da analizzare; Barlennan è il mercante-esploratore astuto, pronto a portare a termine una missione rischiosa in cambio di una contropartita; Dondragmer è il secondo diffidente ma fedele al suo leader. L’unica nota positiva nella caratterizzazione dei personaggi è l’esistenza di una certa evoluzione di Barlennan e Dondragmer nel corso della storia; tanto che nel finale entrambi regaleranno al lettore qualche piccola sorpresa.
Ma la nota più fastidiosa è la ragionevolezza, il buon senso che pervade sempre i personaggi e il rapporto tra le due specie, anche nei momenti di maggiori tensione. Lackland e Barlennan sono sempre in grado di discutere su come superare un determinato ostacolo con la massima naturalezza. Ora, penso che nemmeno degli etnologi di professione possano avere rapporti così idilliaci e razionali con i nativi della tribù africana o polinesiana che vanno a studiare, e stiamo pur sempre parlando di uomini della stessa razza e dello stesso pianeta! Possibile che i rapporti tra terrestri e millepiedi di un pianeta a 700G possa essere così idilliaco e così scevro di incomprensioni?

Il che ci porta al terzo, e più grave problema del romanzo: la brutta caratterizzazione della psicologia dei meskliniti.
Da un lato Clement fa un buon lavoro, quando si concentra sulla fisica del loro corpo o sulle conseguenze psichiche dell’ambiente in cui vivono. I meskliniti sono bassi e lunghi per meglio resistere alla pressione gravitazionale del pianeta, e hanno tante zampe (uncinate) per potersi sempre tenere ancorati al suolo e non rischiare di cadere. Da dove viene l’equipaggio della Bree infatti – ossia dalle fasce temperate di Mesklin – la gravità è così elevata che anche una caduta di pochi centimetri può significare la lacerazione di tutti gli organi interni e la morte. Di conseguenza, il suo popolo ha un terrore folle sia per le altezze, sia per avere qualcosa – di qualsiasi materiale – sopra la loro testa, e difatti le loro case non hanno un tetto. Quando ha portato la sua ciurma alle basse gravità dell’Equatore, Barlennan l’ha avvisata di non prendere l’abitudine di saltare o di sollevarsi troppo sulle zampe anteriori: se infatti per distrazione lo facessero anche una volta tornati nella loro patria, finirebbero quasi certamente per ammazzarsi.
Ma a parte questi tratti derivanti dalle condizioni particolari del pianeta, i meskliniti suonano terribilmente umani. Il loro modo di ragionare, di fare affari, di darsi una gerarchia, è identico al nostro. Anche quando l’equipaggio della Bree si imbatte in altre tribù e altri popoli della loro specie, queste creature non sono più strane o variegate dei selvaggi d’Africa di un racconto d’avventura dell’Ottocento, e spesso meno. Clement non si è chiesto che tipo di psiche potesse svilupparsi in una specie di millepiedi schiacciati al terreno, né si è premurato di inventarne una da capo a piedi. I meskliniti sembrano esseri umani in un un corpo di insetti.

Newton e la gravità

Dove Clement dà il meglio di sé è nel worldbuilding. La velocità di rotazione del pianeta è tale che un giorno dura meno di 20 minuti. Nelle prime pagine del romanzo è piuttosto straniante sentire i personaggi parlare con nonchalanche di aspettare cento, duecento o cinquecento giorni, ma poi si comincia a vedere il sole sorgere e tramontare con una frequenza allarmante. Sempre a causa di questa velocità di rotazione, in alcuni periodi dell’anno i venti spirano dai poli verso l’equatore, e la regione dell’Orlo è spazzato da correnti talmente forti che i meskliniti devono ancorare sé stessi e la loro imbarcazione al suolo per non volare via. Ancora, i mari di Mesklin sono fatti di metano e i venti di cristalli di ammoniaca.
Il popolo di Barlennan non possiede un termine per “lanciare” né il concetto, perché da dove vengono loro, con una gravità vicina ai 700G, appena un qualsiasi oggetto lascia la mano, istantaneamente arriva al suolo. L’accelerazione è tale che l’occhio non percepisce il movimento attraverso l’aria. Al polo sud, un sassolino lasciato cadere da oltre duecento metri di altezza scava un buco di alcuni metri e solleva un’onda di pulviscolo (che comunque scema rapidamente a terra). Di conseguenza, il suo popolo non possiede armi da lancio, ma solo armi bianche. E così via.

Insomma, Mission of Gravity è lontano dalla perfezione, ma certo si tratta di uno dei romanzi di Hard SF meglio scritti e anche più piacevoli da leggere che abbia mai incontrato. Intendiamoci: il gusto del libro è quello di un “rompicapo scientifico”, una lettura che colpisce più il cervello che i sensi. La gestione distanziante del pov e gli infodump rallentano in parte il ritmo della storia, mentre personaggi piatti e la psicologia poco aliena dei meskliniti riducono il fascino dell’esperienza, ma per gli amanti del genere l’epopea della Bree attraverso Mesklin sarà divertente e regalerà molti momenti di sense of wonder. E Mesklin è probabilmente uno dei pianeti più “alieni” e meglio pensati nella storia della fantascienza.
Al terzo posto dopo Rendezvous with Rama e Ringworld, lo ritengo uno dei punti di partenza ideali per chi voglia esplorare il sottogenere dell’Hard SF.

Science raptor

Let’s do some fucking science!

Dove si trova?
In lingua originale, Mission of Gravity si può trovare su Library Genesis. Ci sarebbe anche su Bookfinder, ma al momento dice che il download non è disponibile, quindi lasciate stare.
Come ha fatto notare Talesdreamer, l’edizione italiana si può scaricare via Mulo cercando l’orrido titolo “Stella Doppia 61 Cygni”, nei cinque gusti .doc, .rar, .pdf, .lit o epub.

Qualche estratto
Entrambi gli estratti che ho scelto vengono dal primo capitolo, che è uno dei più interessanti in quanto adotta il punto di vista del mesklinita Barlennan. Il primo estratto dà un assaggio dell’ambientazione, ma anche del taglio documentaristico e distaccato della voce narrante anche quando ancora la telecamera nella testa del personaggio. Il secondo viene dal primo dialogo tra Barlennan e Lackland; è particolarmente interessante perché mostra la visione che, in conseguenza del loro sistema di riferimento, hanno i meskliniti del loro mondo: una scodella!

1.
The wind came across the bay like something living. It tore the surface so thoroughly to shreds that it was hard to tell where liquid ended and atmosphere began; it tried to raise waves that would have swamped the Bree like a chip, and blew them into impalpable spray before they had risen a foot.
The spray alone reached Barlennan, crouched high on the Bree’s poop raft. His ship had long since been hauled safely ashore. That had been done the moment he had been sure that he would stay here for the winter; but he could not help feeling a little uneasy even so. Those waves were many times as high as any he had faced at sea, and somehow it was not completely reassuring to reflect that the lack of weight which permitted them to rise so high would also prevent their doing real damage if they did roll this far up the beach.
Barlennan was not particularly superstitious, but this close to the Rim of the World there was really no telling what could happen. Even his crew, an unimaginative lot by any reckoning, showed occasional signs of uneasiness. There was bad luck here, they muttered — whatever dwelt beyond the Rim and sent the fearful winter gales blasting thousands of miles into the world might resent being disturbed. At every accident the muttering broke out anew, and accidents were frequent. The fact that anyone is apt to make a misstep when he weighs about two and a quarter pounds instead of the five hundred and fifty or so to which he has been used all his life seemed obvious to the commander; but apparently an education, or at least the habit of logical thought, was needed to appreciate that.
[…] No witness could have told precisely where the shore line now lay. A blinding whirl of white spray and nearly white sand hid everything more than a hundred yards from the Bree in every direction; and now even the ship was growing difficult to see as hard-driven droplets of methane struck bulletlike and smeared themselves over his eye shells. At least the deck under his many feet was still rock-steady; light as it now was, the vessel did not seem prepared to blow away. It shouldn’t, the commander thought grimly, as he recalled the scores of cables now holding to deep-struck anchors and to the low trees that dotted the beach. It shouldn’t — but this would not be the first ship to disappear while venturing this near the Run. Maybe his crew’s suspicion of the Flyer had some justice. After all, that strange being had persuaded him to remain for the winter, and had somehow done it without promising any protection to ship or crew. Still, if the Flyer wanted to destroy them, he could certainly do so more easily and certainly than by arguing them into this trick. If that huge structure he rode should get above the Bree even here where weight meant so little, there would be no more to be said. Barlennan turned his mind to other matters; he had in full measure the normal Mesklinite horror of letting himself get even temporarily under anything really solid.

Il vento che arrivava dalla baia sembrava una cosa viva. Lacerava e sconvolgeva la distesa d’acqua in un pulviscolo di frammenti cosi minuti che era difficile stabilire dove finisse l’elemento liquido e dove cominciasse l’atmosfera. Il vento sembrava sempre sul punto di sollevare ondate capaci di spazzare via la “Bree” come un sughero, ma poi le disperdeva in miriadi di spruzzi impalpabili, prima che riuscissero ad alzarsi di mezzo metro.
Solamente gli spruzzi arrivavano fino a Barlennan, che se ne stava comodamente sdraiato, in alto, sul castello di poppa della “Bree”. Già da un pezzo aveva portato la nave al sicuro in secca sulla spiaggia, cioè da quando aveva capito di dover passare l’inverno lì. Tuttavia non poteva fare a meno di sentirsi un po’ a disagio anche dopo questa decisione. Quelle ondate erano le più alte che avesse mai visto in mare, e in un certo senso non trovava del tutto rassicurante nemmeno sapere che proprio la mancanza di peso, se da una parte permetteva alle onde di alzarsi tanto, dall’altra avrebbe anche impedito ai flutti di provocare veri e propri danni, se fossero riusciti a spingersi molto addentro sulla spiaggia.
Il Comandante Barlennan non era particolarmente superstizioso, ma trovandosi così vicino agli Orli del Mondo, non avrebbe davvero saputo dire cosa poteva succedere. Perfino l’equipaggio, che certo non era dotato di molta immaginazione, ogni tanto mostrava evidenti segni di malessere. Era la maledizione che regnava in quella regione, mormoravano… Qualunque mistero ci fosse al di là dell’Orlo, la cosa che mandava le terribili raffiche di vento invernale a spazzare per migliaia di chilometri quella parte del mondo poteva non gradire di essere disturbata dalla spedizione di Barlennan. Al minimo incidente l’equipaggio ricominciava a mormorare, e di incidenti, lievi o gravi che fossero, se ne verificavano spesso. Chiunque pesi poco più di un chilogrammo, invece dei duecentocinquanta a cui è stato abituato per tutta la vita, si trova nella condizione di commettere un sacco di errori. Era una costatazione ovvia per il Comandante, ma lui aveva una mentalità scientifica e l’abitudine a pensare in termini logici e razionali.
[…] Nessuno di loro, in quel momento, avrebbe potuto dire dove si trovava la linea costiera. Un vortice accecante di spruzzi e di sabbia bianca nascondeva ogni cosa che fosse a più di cento metri di distanza dalla “Bree”, in tutte le direzioni. Anche la nave cominciava a non essere quasi più visibile, mentre le goccioline di metano lanciate a tutta velocità dal vento colpivano come tante pallottole, spiaccicandosi sopra le conchiglie oculari. Per lo meno il ponte, sotto i suoi molteplici piedi, era ancora saldo come una roccia; e il battello, benché fosse alleggerito di molto, non sembrava disposto a farsi spazzare via dal vento. Cosa impossibile, ad ogni modo, si disse il Comandante, pensando alle decine di cavi che trattenevano la nave alle ancore profondamente sepolte nella sabbia e ai bassi alberi che punteggiava-no la spiaggia. Impossibile, certo, eppure la sua non sarebbe stata davvero la prima nave a scomparire durante una spedizione così pericolosamente vicina all’Orlo. Forse i sospetti dell’equipaggio nei confronti del Volatore non erano del tutto infondati. In fin dei conti, quella strana creatura lo aveva persuaso a fermarsi lì per tutto l’inverno e in un certo senso era riuscita a convincerlo senza garantire la minima protezione alla nave o all’equipaggio. D’altra parte, se il Volatore avesse voluto annientarli, avrebbe potuto farlo molto più facilmente e direttamente che non ingannandoli a parole. Se quell’immensa macchina su cui viaggiava avesse dovuto passare sulla “Bree” anche in questa parte del mondo, dove il peso aveva così poca importanza, sarebbe stata la fine. Barlennan si costrinse a pensare ad altro. Conosceva l’esatta misura del terrore congenito di tutti i meskliniti all’idea di stare, sia pure per breve tempo, sotto qualunque massa solida.

Michael Jackson sconfigge la gravità

Per recuperare il razzo dovevano chiamare lui.

2.
“What I really wondered about, Charles, was how long this blow was going to last. I understand your people can see it from above, and should know how big it is.”
“Are you in trouble already? The winter’s just starting — you have thousands of days before you can get out of here.” “I realize that. We have plenty of food, as far as quantity goes. However, we’d like something fresh occasionally, and it would be nice to know in advance when we can send out a hunting party or two.”
“I see. I’m afraid it will take some rather careful timing. I was not here last winter, but I understand that during that season the storms in this area are practically continuous. Have you ever been actually to the equator before?” “To the what?”
“To the — I guess it’s what you mean when you talk of the Rim.”
“No, I have never been this close, and don’t see how anyone could get much closer. It seems to me that if we went much farther out to sea we’d lose every last bit of our weight and go flying off into nowhere.”
“If it’s any comfort to you, you are wrong. If you kept going, your weight would start up again. You are on the equator right now — the place where weight is least. That is why I am here. I begin to see why you don’t want to believe there is land very much farther north. I thought it might be language trouble when we talked of it before. Perhaps you have time enough to describe to me now your ideas concerning the nature of the world. Or perhaps you have maps?”
“We have a Bowl here on the poop raft, of course. I’m afraid you wouldn’t be able to see it now, since the sun has just set and Esstes doesn’t give light enough to help through these clouds. When the sun rises I’ll show it to you. My flat maps wouldn’t be much good, since none of them covers enough territory to give a really good picture.”
“Good enough. While we’re waiting for sunrise could you give me some sort of verbal idea, though?”
“I’m not sure I know your language well enough yet, but I’ll try.
“I was taught in school that Mesklin is a big, hollow bowl. The part where most people live is near the bottom, where there is decent weight. The philosophers have an idea that weight is caused by the pull of a big, flat plate that Mesklin is sitting on; the farther out we go toward the Rim, the less we weigh, since we’re farther from the plate. What the plate is sitting on no one knows; you hear a lot of queer beliefs on that subject from some of the less civilized races.”
“I should think if your philosophers were right you’d be climbing uphill whenever you traveled away from the center, and all the oceans would run to the lowest point,” interjected Lackland. “Have you ever asked one of your philosophers that?”
“When I was a youngster I saw a picture of the whole thing. The teacher’s diagram showed a lot of lines coming up from the plate and bending in to meet right over the middle of Mesklin. They came through the bowl straight rather than slantwise because of the curve; and the teacher said weight operated along the lines instead of straight down toward the plate,” returned the commander. “I didn’t understand it fully, but it seemed to work. They said the theory was proved because the surveyed distances on maps agreed with what they ought to be according to the theory. That I can understand, and it seems a good point. If the shape weren’t what they thought it was, the distances would certainly go haywire before you got very far from your standard point.”
“Quite right. I see your philosophers are quite well into geometry.”

— Quello che mi stavo domandando, Charles, è quanto durerà questa bufera. So che i tuoi uomini possono vederla dall’alto, e dovrebbero quindi essere in grado di valutarne l’entità.
— Ti trovi già in pericolo? L’inverno è appena cominciato… hai davanti migliaia di giorni prima di poter uscire da questa zona.
— Lo so. Le scorte di vettovaglie sono più che abbondanti, ma ogni tanto si sente la necessità di un po’ di cibo fresco, e sarebbe utile sapere in anticipo quando potremo mandare fuori una spedizione di caccia, o anche due.
— Capisco. Ma ho paura che dovranno calcolare i tempi con molta precisione. Non mi trovavo in questa zona l’inverno scorso, ma so che durante l’inverno le bufere si susseguono in modo pressoché ininterrotto. Ci sei stato veramente nella regione equatoriale, in passato?
— Dove?
— Nella… ah, credo che quando parlate dell’Orlo in realtà vi riferiate all’Equatore.
— No, non mi sono mai spinto tanto vicino all’Orlo, e non vedo come qualcuno possa avanzare oltre un certo limite. La mia impressione è che se ci spingessimo ancora di più verso l’alto mare finiremmo per perdere anche gli ultimi residui di peso e voleremmo via come pagliuzze.
— Se ti è di conforto, posso assicurarti che ti sbagli. Continuando ad andare verso l’alto mare, il vostro peso ricomincerebbe ad aumentare. In questo momento sei sulla linea dell’ Equatore, cioè proprio dove si pesa meno. E’ per questo che io mi trovo qui. Ora comincio a capire perché tu non vuoi credere che ci siano terre molto più a nord. All’inizio, quando abbiamo cominciato a parlare di queste cose, pensavo che dipendesse dalla nostra difficoltà di comunicare, ma adesso credo che tu abbia il tempo di spiegarmi le tue idee circa la natura di questo mondo. O forse possiedi delle carte geografiche, delle mappe…?
— Naturalmente, abbiamo una “coppa” qui, sul castello di poppa, ma temo che tu non possa vederla, adesso che il sole è appena tramontato ed Esstes non dà luce sufficiente con tutta questa nuvolaglia. Domani, quando sorgerà il sole, te la mostrerò. Le mie carte geografiche non ti sarebbero di molto aiuto, perché nessuna di esse riproduce territori abbastanza estesi da fornire un quadro sufficientemente chiaro della regione.
— Capito, Ma, in attesa dell’alba, non potresti descrivermele a voce?
— Non sono sicuro di essere padrone della tua lingua fino a questo punto. Comunque proverò. A scuola mi hanno insegnato che il nostro pianeta è come una grande coppa dalla cavità molto profonda. La zona in cui vive la maggior parte della popolazione è vicina al fondo della coppa, dove il peso è più forte. Secondo la teoria dei nostri saggi questo peso è causato da una specie d’immenso vassoio piatto su cui posa Mesklin. Più ci si allontana dal fondo verso l’Orlo, più il nostro peso diminuisce e, perché nello stesso tempo ci si allontana anche dal vassoio. Su cosa poi sia posato il vassoio, nessuno lo sa. Al riguardo si sentono raccontare una quantità di strane leggende, soprattutto da parte delle razze meno civilizzate.
— Mi sembra che i tuoi saggi avrebbero ragione, se uno si accorgesse di salire verso l’alto tutte le volte che si allontana dal fondo della coppa, cioè dal centro, e se tutti gli oceani tendessero a raccogliersi verso il punto più basso, vale a dire al centro della coppa — obiettò Lackland. — Non hai mai approfondito la questione con uno di loro?
— Da giovane ho visto un disegno che spiegava tutta la situazione. Il diagramma del mio maestro mostrava una grande quantità di linee che salivano dal vassoio e si piegavano per incontrarsi esattamente nel centro di Mesklin. Il loro tracciato lungo la coppa seguiva praticamente una linea retta, a causa della curvatura, e il maestro disse che il peso si scaricava lungo quelle linee invece di correre direttamente giù verso il vassoio. Non riuscii a capire bene, ma il ragionamento mi sembrò abbastanza logico. L’ipotesi, ho saputo poi, aveva la sua conferma nei fatti. Infatti le distanze rilevate sulle carte concordavano esattamente con quelle calcolate in base alla teoria. E questa è una cosa che posso capire facilmente, e mi sembra rappresenti un punto fermo. Se la forma non corrispondesse a quella indicata dai saggi, le distanze risulterebbero tutte sbagliate, appena si cominciasse ad allontanarsi dal nostro punto medio d’osservazione.
— Giustissimo. Vedo che i tuoi saggi sono molto istruiti in fatto di geometria.

Tabella riassuntiva

Ambientato su un pianeta dalla gravità che varia dai 3 ai 700G! Narratore onnisciente e pov che salta da un personaggio all’altro.
I protagonisti sono coriacei millepiedi con l’orrore delle altezze! Alieni dalla psicologia terribilmente umana.
Unisce speculazione scientifica e avventura. Personaggi bidimensionali e perfettamente razionali.