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Gli Italiani #11: Alieni coprofagi dallo spazio profondo

Alieni coprofagi dallo spazio profondoAutore: Marco Crescizz
Genere: Commedia Nera / Fantasy / Bizarro Fiction
Tipo: Romanzo breve

Anno: 2015
Pagine: 100 pg. circa
Editore: Antonio Tombolini Editore
Collana: Vaporteppa

A nessuno piacciono i ciccioni.
Lo impara ogni giorno a sue spese Nunzio, trentenne impiegato delle poste, talmente grasso che non riesce a vedersi il pisello e fa fatica a passare dalla porta. I colleghi lo deridono e si approfittano di lui, il capo lo copre di insulti. Fuori dal lavoro, si nasconde in casa dove affonda i suoi dispiaceri nelle vaschette di gelato e nei pacchetti di nachos. Da anni, per la vergogna, non va a trovare i genitori, ai quali ha raccontato di essere dimagrito. E a nulla valgono le esortazioni a fare attività fisica e a scuotersi dal torpore di Schwarzy, l’amico immaginario che si è creato sul modello dell’attore culturista.
Be’, direte voi, la vita di Nunzio non potrà certo diventare più miserabile di così, giusto? Può, può. Perché da qualche tempo, in città, si registrano sparizioni di obesi. E se gli escrementi degli esseri umani fossero, per le creature di un altro pianeta, una potente droga dal valore inestimabile? E se esistesse un traffico intergalattico di ciccioni, schiavizzati per l’abbondanza della merda che possono produrre? Nunzio scoprirà a sue spese che il passaggio da una vita di umiliazioni a quella di una “mucca mungi-merda” può essere sorprendentemente breve. Riuscirà a sopravvivere e a riscattare la dignità perduta, o diventerà l’ennesima vittima della tratta degli obesi?

Ultimamente ho cominciato un po’ troppi dei miei articoli con toni da barbogio: non sono un amante dell’high fantasy, non mi piacciono le storie di supereroi, non sono un fan delle Cronache di Martin… Basta! Oggi voglio riscattarmi ed esordire con un messaggio positivo: adoro i b-movie, tanto quelle pellicole vintage “so bad it’s good”, tanto gli omaggi volontari ai filmacci di genere (sullo stile dei film di Rodriguez). Inevitabilmente i miei occhi si sono illuminati quando ho scoperto che Vaporteppa, la collana di narrativa fantastica gestita dal Duca, aveva pubblicato un titolo che pareva un incrocio tra un filmaccio pseudo sci-fi degli anni ’50 e un’opera di Carlton Mellick.
Alieni coprofagi dallo spazio profondo – romanzo breve dell’esordiente Marco Crescizz – è una strana scommessa. Da una parte, per il modo in cui si presenta, rischia di attirare solo lo sparuto numero di amanti italiani della Bizarro Fiction (come me). Al contempo, vuole essere – pur senza prendersi troppo sul serio e senza assumere, vivaddio, toni da Pubblicità Progresso – una storia sull’obesità, su cosa significhi essere obesi e su quanto sia difficile superarlo. Due anime apparentemente distanti, che rischierebbero di non rivolgersi allo stesso pubblico – ma che nella storia di Crescizz collimano in modo interessante. Cercherò di dimostrarvi come.

It Came From Outer Space

Le pellicole anni ’50 a cui Crescizz dichiara di essersi ispirato. Sublime!

Uno sguardo approfondito
È molto raro, soprattutto nella narrativa di genere, trovare storie con protagonisti dalle condizioni fisiche non standard. L’unico altro romanzo letto negli ultimi anni con un protagonista obeso che mi venga in mente, per esempio, è The Morbidly Obese Ninja di Mellick. Ancora più raro, poi, è che la storia in questione riesca a trasmettere al lettore, a livello sensoriale, la diversità di questo corpo che sta abitando durante la lettura. Di recente ho letto Il padiglione d’oro (Kinkaku-ji) di Mishima, tratto dalla storia vera del giovane accolito buddista che negli anni ’50 diede inspiegabilmente fuoco al famoso tempio di Kyoto, radendolo al suolo. Il protagonista è balbuziente dalla nascita, e questo tratto è la chiave del suo essere un asociale e un misantropo – tuttavia, nel corso della lettura continuavo a dimenticarmi della sua balbuzie, ricordando solamente il suo essere genericamente uno ‘sfigato’ con problemi relazionali. Un po’ per la tendenza di Mishima a usare il discorso indiretto piuttosto che quello diretto, un po’ per l’uso del narratore onnisciente, la disabilità del protagonista, pur così rilevante (e interessante da vivere, del resto) rimaneva un dato astratto, privo di concretezza per il lettore.
Tutto il contrario in Alieni coprofagi. Scritto in terza persona ravvicinata, con il pov unico di Nunzio, il romanzo di Crescizz ci fa avvertire ad ogni riga l’obesità del suo protagonista – l’ingombranza, la pesantezza del suo corpo. La difficoltà di passare dalle porte, le sedie troppo strette per il proprio culone, la difficoltà di chinarsi, l’impossibilità di vedersi l’uccello o le scarpe a causa della trippa, i fiumi di sudore che colano continuamente da ogni orifizio e rimangono intrappolati nella tuta… La condizione di Nunzio, ossia l’elemento che più di ogni altro lo caratterizza nei suoi rapporti col mondo e determina i suoi conflitti (esterni e interiori), ci è continuamente davanti agli occhi, e la viviamo nella nostra pelle: “Tirò il freno a mano e aprì la portiera. Le cosce rimasero schiacciate contro la parte bassa del volante. Oddio non riesco a uscire! Oddio… devo stare calmo...” Diventiamo dei cicciomerda con Nunzio.

Ma Nunzio è un tipo passivo, che si culla nei sensi di colpa e nell’autocommiserazione, un vigliacco che si fa mettere i piedi in testa e mente a sé stesso – per cui, sarebbe stato facile per il lettore provare insofferenza nei suoi confronti. L’autore riesce invece a farci sviluppare empatia nei suoi confronti. È vero, Nunzio non è un personaggio particolarmente positivo, ma quelli che lo circondano sono delle merde assai peggiori; i tanti piccoli imbarazzi che Nunzio prova nel corso della sua giornata toccano delle corde dentro di noi (come il senso di vergogna di presentarsi in cassa con quantità di cibo per un esercito e dover sostenere gli sguardi del cassiere…); e la figura immaginaria di Schwarzy, coi suoi incitamenti macchiettistici a tirare fuori le palle e cambiare vita, oltre a risolvere il problema della solitudine del protagonista – senza nessuno con cui parlare e scontrarsi, le scene non lavorative potevano diventare velocemente noiose – ci fa capire che in fondo in fondo Nunzio vorrebbe realmente cambiare. È la prima scintilla che fa capire al lettore che la storia non rimarrà statica, che Nunzio avrebbe dentro di sé il coraggio per fare qualcosa e che deve solo tirarlo fuori.
Noterete che non ho ancora nominato gli alieni. Nonostante il titolo del romanzo, infatti, il plot fantascientifico appare piuttosto tardi nella storia, all’incirca nella seconda metà del libro. Benché siano un pezzo fondamentale della storia, infatti – e indizi sono disseminati fin dall’inizio – gli alieni non sono il focus tematico del romanzo, che invece è centrato sulla lotta personale di Nunzio contro la sua inerzia esistenziale e quindi contro la ciccia. Gli alieni di Crescizz sono creature macchiettistiche, tra il cartone animato e l’omaggio alla fantascienza di serie b degli anni ’50; svolgono bene il loro doppio ruolo – come fonte di gag, e come antagonisti fisici del protagonista – ma rimangono caratterizzati in modo abbastanza superficiale. Non essendo il centro della storia, questo va bene; ma è un peccato che Crescizz non abbia speso qualche energia in più per creare un po’ di sense of wonder. La fisionomia degli alieni, l’astronave, la tecnologia aliena – è tutto molto citazionistico e a tratti divertente, ma anche abbastanza piatto e privo di reali sorprese.

Schwarznegger Personal Trainer

In generale, ho avvertito una certa scollatura tra la prima parte del romanzo, di vita quotidiana, e la seconda più improntata all’azione. La prima è assolutamente brillante, nel suo rendere i rapporti interpersonali, le piccole meschinità dell’ufficio (la collega opportunista, il capo a cui importa solo di pararsi il culo, la generale mediocrità intellettuale); la seconda è un po’ più convenzionale, benché il ritmo rimanga rapido. In questa seconda parte, soprattutto, si gioca la vera trasformazione del protagonista da perdente in vincente – per sfuggire alla prigionia Nunzio dovrà cambiare atteggiamento e superare i propri limiti – ma il cambiamento è troppo rapido. Da pavido cicciomerda che ha paura persino della propria collega a leader carismatico, capace di infondere coraggio nei compagni di sventura e di affrontare a muso duro gli alieni, il passo è molto lungo e andava a mio avviso scandito meglio. Complice anche il fatto che trascorre un lungo lasso di tempo nel corso della prigionia (lasso di tempo che non viviamo), la transizione dal vecchio Nunzio al nuovo Nunzio è troppo repentina per essere del tutto credibile.
Qua e là c’è qualche altra scelta poco felice. Ancora all’inizio del romanzo, Nunzio viene punito a lavorare due settimane al turno di notte: mi sarei aspettato che questo nuovo setting, con in più l’introduzione di un nuovo personaggio che per la prima volta menziona gli alieni, avesse un ruolo importante nel portare avanti la trama. Invece l’episodio rimane inconsequenziale sullo sviluppo della trama, e il personaggio di Tazzi riappare solamente alla fine del romanzo. Ancora: poco dopo aver introdotto gli alieni, Crescizz si affretta a spiegarci perché si esprimono in italiano anziché nella loro lingua – il che è apprezzabile. Ma lo fa in un As you know, Bob? terribilmente artificioso. Forse sarebbe stato più elegante posticipare la spiegazione di qualche capitolo ma farla emergere in modo più naturale, per esempio in un dialogo tra Nunzio e i suoi compagni di prigionia.

Ma si tratta di problemi tutto sommato marginali. Nel complesso la storia scorre bene: sia nella prima che nella seconda parte accadono continuamente cose, e quindi non si vivono mai momenti di stanca. Soprattutto, la lettura è resa piacevole dall’umorismo che pervade tutta la narrazione – un umorismo ora più drammatico (Nunzio che non passa dalle porte), ora più buffonesco (gli alieni che si sballano con la merda), senza il quale la quest del protagonista di ritrovare la propria dignità sarebbe risultata decisamente depressiva. La figura di Schwarzy, che volta a volta assume le sembianze di uno dei personaggi dei suoi film, è carinissima; Chen, il cinese, è un personaggio assolutamente esilarante.
Certo, è un umorismo nero e spesso scurrile, che deve piacere. Come questa battuta che introduce il personaggio di Chen: “«Tu sta celcando belo uomo, eh?» Le labbra si allargarono in un sorriso: un incisivo d’oro spiccò in mezzo ai denti bianchi. «Tu volele vedele mio piseeeelo, eh?» Si sventolò l’orecchio.” O la viscida parlantina di Talenti, il capo di Nunzio: “Talenti si risedette alla scrivania e accarezzò le biglie di ferro con la delicatezza che si usa per i testicoli. «Esistono dei posti, Becchi, dove è possibile andare a sfogare quello che un mio caro amico di Roma chiama Er Pacciani. È dentro ogni uomo e noi dobbiamo tenerlo sotto controllo…“. Squisito. Ma soprattutto, prima di approcciarsi alla lettura bisogna essere preparati a essere letteralmente sommersi da un mare di merda. Leggete questo breve brano per palati raffinati e valutate da voi se manda in tilt il vostro personale disgustometro:

Il contenitore di plastica attendeva tra le sue gambe. Lo stomacò brontolò.
Dio, che situazione. Devo solo superare il provino e tutto sarà finito…
Nunzio si abbassò le mutande e si sollevò sui talloni. Allargò i piedi per trovare equilibrio e la stoffa si tese tra le caviglie. Lo scoppio di una scoreggia rimbombò nella cantina. Fece strisciare il contenitore sotto di sé e ci poggiò il sedere scoperto. Spinse e tirò su col naso del moccio freddo. Spinse ancora.
Alla puzza del primo peto seguì un concerto di flaccidi stronzi e virtuose pernacchie. L’orchestra si fermò. Nunzio strizzò gli occhi e contorse il viso in una smorfia.
Arriva il caricoooooo! Oddio mi scoppia il cuore!
Nunzio sentì come se un melone avesse abbandonato il suo stomaco.
Tre flatulenze secche e concise sancirono la fine dell’evento, come un arbitro che fischi la fine di un incontro di calcio.
Non ho nulla per pulirmi.
Fece spallucce e si tirò su i mutandoni.

Cacca di Arale

La cacca: la grande discriminata della letteratura mondiale. Sogno una società più consapevole e libertaria, che abbandoni i bigottismi del presente, dove la cacca sia ovunque. Viva la cacca.

Alieni coprofagi dallo spazio profondo è una delle storie più originali mai pubblicate da Vaporteppa, e in generale è una delle cose più divertenti che abbia letto nell’anno appena trascorso. Aldilà del titolo – che comunque è delizioso – il romanzo breve di Crescizz racconta, con tono scanzonato, una storia seria capace di commuovere. Grazie al suo ritmo e alla brevità, si può leggere in una serata o due. E il finale è assolutamente geniale. Solo, non aspettatevi una storia improntata sul sense of wonder o sulle idee – restereste delusi – ma piuttosto una storia di crescita personale.

Bizarro sì o no?
Resta da capire se Alieni coprofagi sia classificabile come Bizarro Fiction. Il Duca stesso, nell’articolo di Baionette Librarie dedicato al romanzo, si mostra scettico: “Qui potrei sbagliami, ma non credo che Alieni Coprofagi dallo Spazio Profondo sia Bizarro Fiction: conteggiando gli elementi direi che è Fantascienza umoristica classica. L’autore è concorde con me che non sia Bizarro.” A voler essere rigorosi, in base alla definizione del genere di Rose O’Keefe dovremmo poter individuare almeno tre elementi ‘weird’ indipendenti a formare il telaio della storia. Se uno è sicuramente l’idea che esista un traffico intergalattico di stronzi umani col potere di sballare gli alieni, un altro potrebbe essere il fatto che il protagonista ha un amico immaginario con le sembianze di Schwarznegger; ma dovremmo metterci di buzzo buono per trovare un terzo elemento. Inoltre, come ho già sottolineato, gli elementi bizzarri non sono il centro tematico della storia.
Al contempo, però, se andiamo a sfogliare il catalogo di Bizarro Central troveremo diversi romanzi catalogati come ‘Bizarro’ con altrettanta, o anche minore enfasi sul fantastico e l’assurdo. E se è vero che Alieni coprofagi non è così bizzarro, sicuramente tocca una serie di corde che tutte insieme in genere piacciono ai consumatori di Bizarro mentre rivoltano altri: la volgarità, l’amore per i liquidi corporei e le cose schifose, un approccio low-brow alla commedia nera, il citazionismo pop. Può quindi essere utile classificare il romanzo come tale, pur con tutti i caveat del caso.

Rose O'Keefe

Rose O’Keefe. Una tipa di cui ci si può fidare.

Meanwhile, on Vaporteppa…
L’ultima volta che abbiamo parlato di Vaporteppa era stato un annetto fa, quando ho raccolto una sintesi dei tre racconti italiani a tema Steampunk in occasione del mio Consiglio su Infernal Devices. Nel frattempo, nel corso del 2015 la collana del Duca ha pubblicato un po’ di roba interessante. Non ci dedicherò degli articoli appositi, ma vediamo molto brevemente di che si tratta:
BlestematBlestemat, inedito italiano di 120 pagine circa di Federico Russo (anche noto sul web come Taotor). È una storia semiseria e rocambolesca, che si svolge quasi tutta nel corso di un’unica, sventurata notte, e vuole rispondere alla domanda: cosa saresti disposto a fare per un po’ di figa? Uno studente fuoricorso, senza prospettive e cornificato dalla tipa, per tirarsi su di morale partecipa a un appuntamento al buio con due sexy slave; ovviamente, si ritroverà invischiato in una faida tra clan rumeni, tra magia nera, inseguimenti e demenza assortita. Divertente e ben scritto (anche se pure qui di sense of wonder ce n’è poco), sono contento che Taotor sia riuscito a pubblicare una sua storia!
Il Grande StrappoIl Grande Strappo, altro inedito italiano di poco meno di 300 pagine, dello stesso autore che a fine 2014 aveva pubblicato il romanzo d’esordio Abaddon, Giuseppe Menconi. Devo ancora leggerlo, ma avendo a suo tempo apprezzato il primo libro di Menconi, ho buone aspettative anche per questo. E poi sembra space opera militare, e di space opera militare non ne abbiamo mai abbastanza.

La Marcia CarnaleTre novelle e un romanzo di Mellick. Le novelle Marcia Carnale (The Handsome Squirm) e Pugni di Armadillo (Armadillo Fists) sono entrambe ottime; le ho lette in lingua originale e ne ho già parlato nella mia guida Mellick for Dummies. Non ho invece mai letto l’altra novella, I cannibali di Candyland (The Cannibals of Candyland… duh), né il romanzo breve Apocalisse Peluche (Cuddly Holocaust); non escluderei, a questo punto, di leggerli direttamente in traduzione.

Qualche estratto
Per i due brani in anteprima, ne ho scelto uno deprimente e uno divertente. Il primo ci mostra un episodio di vita quotidiana – e quotidiana umiliazione – di Nunzio; il secondo introduce lo splendido personaggio del cinese Chen mentre intavola una tirata da venditore degna di Mastrota.

1.
Cassa 5… donna… 6, donna… 7, un uomo!
Nunzio spinse il carrello vicino alla cassa sette. Calò le braccia nelle buste della spesa e poggiò cinque sacchetti di patatine al bacon, cinque pacchi di pop-corn per microonde, bastoncini di pesce, patatine fritte surgelate, cordon bleu, due secchielli di gelato gusto mou, bruschette surgelate, tre pacchi di biscotti al cacao, quattro bottiglie di succo di mela, ketchup piccante, maionese, salsa barbecue, salsa worcester, salsa rosa, tre pacchi di costine, due di hamburger, un merlot e un cabernet, tre salami, un pezzo di gorgonzola, un triangolo di grana padano, una boccetta di aglio in polvere, tre pesti e cinque sughi pronti, due burrate, tre pacchi di caramelle acide, sei spiedini, del succo di limone, un vaso di Nutella da 825 grammi, sette buste di risotti pronti, olio aromatizzato al rosmarino, quattro scatole di cereali al cioccolato, arachidi, burro di arachidi, cinque pacchi di caffè, quattro confezioni di budino alla vaniglia, tre pacchi di spaghetti, due di rigatoni, tre di pennette rigate, uno di fusilli, un kit per la preparazione dei burrito, due chili di burro, sciroppo d’acero, tre scatole di sofficini, olio per friggere, dentifricio e spazzolino, schiuma da barba e lamette, due pacchi maxi di carta igienica.
«Qu-qui ci sono due casse di birra.» Nunzio indicò nel carrello.
«Basta che mi passi una bottiglia. Amico, devi dare proprio una gran festa.» Il cassiere prese la birra e il blip! confermò la lettura.
«Già… una festa…»
Invece le tue colleghe lo sanno che sono uno sfigato e che mangerò tutto questo schifo solo come un cane!

2.
«Io no vedele te qui mai.» Chen incrociò le braccia, sembrava ancora più grosso così.
«È la prima v-volta e sarà l’ultima.» Sospirò.
«Tu volele peldele peso, volele questo.» Sfilò la canotta da dentro i jeans e mise in mostra addominali scolpiti sopra i quali Nunzio avrebbe potuto grattugiarci del grana padano.
«No-non potrò mai essere così.» Nunzio si risedette.
«Lamentale no selve, belo ciccione, io era come te…» Chen gli mise una mano sulla spalla e si sedette accanto a lui.
«I-impossibile.»
Chen infilò una mano nella tasca dei jeans e tolse il portafogli, lo aprì a metà, con un due dita a pinza sollevò una foto ingiallita di un bambino cinese obeso seduto in un prato.
«Io avele otto ani e ola gualda me.» Gonfiò un bicipite, le vene grosse come lombrichi. Lo baciò.
«Tu, davvero, pu-puoi aiutarmi? Mi a-allenerò ogni giorno.»
Chen si alzò e gli si piazzò davanti alla faccia. «Ehi, belo ciccione, io non vuole dile bugia, ma tu può fale tuto attlezzo di palestla che vuole, ma non potele mai avele questo.» Sollevò ancora la canotta e col pugno picchiò sui cubetti degli addominali. «Pel diventale come loccia dula te deve plendele medicina di Chen. Io ha in macchina se vuole vedele.»
«È doping?»
Chen scoppiò a ridere. «No dloga. Essele medicina olientale natulale, licetta segleta di Chen. Segui me.»
Nunzio si alzò e seguì le spalle larghe del cinese fino a una macchina sportiva gialla.
«Una Porsche Cayman che io avele pelchè tlasfolmo bei ciccioni come te in muscolosi come me.» Aggirò la vettura e aprì il bagagliaio.
[…] Chen rimise a posto la borraccia e sollevò la tuta di Nunzio scoprendo l’ombelico. Si aggrappò a un rotolo di ciccia e lo tirò. «Più massa tu avele e più muscolo glosso avele dopo. E quando tu avele muscolo glosso, può entlale in palestla Wolkout e fottele Gianna in culo.» Scoppiò a ridere e il dente d’oro mandò un bagliore. «Io scopale tanto-tanto con Gianna nelo spogliatoio e nela macchina.» Strizzò l’occhio a mandorla. «Plima venile muscoli glossi, poi belle donne e alla fine lispetto di tutti uomini.»

Tabella riassuntiva

Si prova sulla propria pelle cosa significa essere obesi. Evoluzione del protagonista troppo brusca.
Ottima resa del conflitto interiore del protagonista.  Gli alieni e tutto ciò che li riguarda rimane un po’ superficiale.
 Personaggi esilaranti e setting demente al punto giusto.
La cacca è bella. Vogliamo più storie sulla cacca.

Cosa ne è stato dell’antologia steampunk

Antologia SteampunkEra il lontano 2010, e su Baionette Librarie il Duca lanciava il suo concorso di racconti a tema Steampunk. Le regole del concorso erano molto semplici:

Lunghezza dei racconti: tra le 2.000 e le 7.500 parole.
Tipo di racconto: Steampunk Tecnologico con o senza Fantasy.
Vincolo Conigliesco: nel racconto deve essere presente almeno un coniglio, non necessariamente in un ruolo importante e non necessariamente un coniglio in carne ed ossa. Trovate voi il modo di integrare l’elemento conigliesco nella storia. Non ci vuole niente, con un minimo di fantasia.

Scrivere steampunk non è affatto facile. Oltre a una passione per la cultura e l’estetica del Lungo XIX secolo, c’è un sacco di lavoro di documentazione da fare. Insomma, poteva risolversi in una mezza cagata, come tanti altri concorsi letterari di allora e di oggi – cough cough, Ucronie Impure, cough cough, Deinos. Invece andò discretamente bene. Arrivarono una trentina di racconti (senza contare i fuori concorso), che il Duca pubblicò gratuitamente così com’erano, senza editing, nella sua Raccolta dei Racconti Steampunk. Si andava dal “cavatemi gli occhi” al “ficcina con qualche speranza di diventare un giorno, con tanto impegno, qualcosa di decente” al racconto fatto bene.
Alla fine furono stabiliti quattro finalisti: L1L0, Piloti e Nobiltà, La Maschera di Bali e Il Colosso di Colorado Springs. Altri due racconti avevano la possibilità di entrare nella rosa, ma furono ritirati perché i rispettivi autori non riuscirono – o non trovarono il tempo – di editarli: Lunasil (dello stesso autore di Piloti e Nobiltà) e Photophantastes (di Alessandro Forlani, un nome che forse avete già sentito in questo blog: Forlani ha partecipato, infatti, a una gran quantità di altri concorsi, tra cui Ucronie Impure di Girola, e Deinos e Hydropunk di Giobblin). Tra i finalisti, comunque, gli unici ad avere davvero qualche possibilità di vittoria, per la qualità della scrittura, erano L1L0 e Piloti e Nobiltà. E alla fine, infatti, la spuntò proprio L1L0.

 

Steampunk useless junk

No Walter, non sei l’unico.

Poi per un paio d’anni non accadde più nulla. Il Duca cominciò a lavorare a un’antologia che raccogliesse i lavori migliori, editandoli ancora fino a raggiungere un livello soddisfacente, e sperando di riuscire a pubblicarla nel corso del 2012. Anch’io, che all’epoca avevo da poco aperto Tapirullanza, feci una piccola segnalazione della cosa. Ma per un motivo o per un altro, non se ne fece niente. Fino alla settimana scorsa.
Lo scorso 4 Maggio, il Duca ha pubblicato su Vaporteppa la nuova versione del racconto vincitore del concorso, L1L0: potete leggere qui l’annuncio su Baionette Librarie o andare direttamente alla scheda di Vaporteppa. Essendo lungo solo 5600 parole (una ventina di pagine circa), il racconto è distribuito gratuitamente. Pubblicare il vincitore del vecchio concorso a tema steampunk mi sembra un ottimo modo di inaugurare gli inediti italiani della collana. Non entrerò più di tanto nei dettagli del racconto nell’articolo di oggi – ma vediamo brevemente di che si tratta.

L1L0
Un bollitore con tre cervelli di scimmia, il muso allungato da coniglio, due camini dietro la testa che sembrano delle orecchie e una personalità costruita sul Witz, l’umorismo fatalista ebraico: questo è l’automa L1L0. Ma è anche una macchina per uccidere. Il suo scopo? Salvare la figlia del suo creatore da una caserma militare prima che sia troppo tardi.
L1L0 è un racconto d’azione di quegli ignoranti: poca filosofia, tante scazzottate tra robot, umorismo becero e ritmo rapido. Tutta la storia è raccontata in prima persona dall’automa, e questo è sicuramente l’aspetto più interessante del racconto: com’è vedere il mondo attraverso gli occhi di un buffo robot senziente meccanico attivato per la prima volta? Non troverete rivoluzioni concettuali o idee che vi tengano svegli la notte, e il canovaccio della trama è di quelli collaudati mille volte; ma è insolito quanto basta e si legge con divertimento. Inoltre, i paragrafi sono inframezzati da alcuni disegni dell’autore proprio carini (e sempre dell’autore è anche l’illustrazione di copertina!). Dateci un’occhiata.

L1L0

La copertina di L1L0

E gli altri racconti?
La pubblicazione di L1L0 è solo la punta dell’iceberg: dal cilindro di Vaporteppa, il Duca sembra stare tirando fuori ad uno ad uno gli altri finalisti del concorso steampunk. Nel corso di maggio dovrebbe uscire la nuova versione di La Maschera di Bali – racconto che non mi era piaciuto granché ai tempi dell’antologia, ma che potrebbe essere migliorato sotto i ferri del Duca. Next in line ci sarà poi Piloti e Nobiltà. La cosa mi fa particolarmente felice: non solo era il mio preferito, ma già come si presentava ai tempi del concorso era forse l’unico racconto che si sarebbe potuto pubblicare in un’antologia seria, di quelle a pagamento, senza sembrare fuori posto. Voglio vedere come questi due anni lo abbiano ulteriormente migliorato.
Un quarto racconto, dice il Duca nell’articolo, potrebbe invece uscire a pagamento: segno, immagino, che supererà il tetto delle 7500 parole minime stabilite da Vaporteppa per le pubblicazioni non gratuite. Non so di quale dei finalisti si tratti. Personalmente spero in Lunasil: lo ricordo come un racconto promettente, e l’autore è lo stesso di Piloti e Nobiltà, quindi ci sono buone speranze che venga qualcosa di figo. Ma sarei felice anche se, prima o poi, fuori dal cilindro rispuntasse RabbiT – un racconto folle scritto come un’inedito d’annunziano, e poi finito come “speciale fuori concorso” nella raccolta. Inizialmente era previsto che il racconto, anch’esso scritto da Forlani, finisse nell’antologia steampunk del 2012. Se Forlani e il Duca sono rimasti in contatto in questo lasso di tempo, potrebbe esserci un futuro per questo racconto. E del resto Forlani ha dimostrato che, quando vuole, sa lavorare bene: il suo Tlaloc verrà era il migliore tra i racconti di Ucronie Impure.

Non è ancora finita.
Alla gara steampunk del 2010 aveva partecipato anche un racconto intitolato Caligo. Era arrivato come fuori concorso, e quindi era rimasto fuori dalla prima raccolta di racconti pubblicata dal Duca: ergo non ho mai potuto leggerlo. Nei tre anni trascorsi da quella prima versione, il racconto è diventato un romanzo, e se tutto andrà bene dovrebbe uscire a giugno. Sarà il primo romanzo italiano pubblicato da Vaporteppa.
Ma la notizia più interessante è un’altra. L’autore è Angra (al secolo Alessandro Scalzo), che già aveva scritto anni addietro e poi autopubblicato, sotto la supervisione editoriale di Gamberetta, il romanzo Marstenheim. Ho già dedicato un articolo a Marstenheim agli albori del blog; a tutt’oggi, rimane il miglior autopubblicato italiano che abbia mai letto, nonché uno dei pochi ad aver ricevuto una valutazione positiva. Quindi sono molto curioso di mettere le mani sulla sua nuova fatica.

Motoruota

Una motoruota. Potrebbe avere a che fare col romanzo.

Dopo un inizio con Swanwick, insomma, Vaporteppa si sta decisamente orientando verso gli inediti italiani. Questa è un’ottima cosa: in fondo i romanzi anglosassoni posso sempre leggermeli in lingua originale, mentre questi sono roba nuova. E se gli aspiranti scrittori italiani vedranno che con Vaporteppa, con un po’ di olio di gomito, si guadagna visibilità e magari anche qualche soldino, forse ci sarà più gente in futuro disposta a sbattersi per imparare a scrivere bene, invece di cantare la morale del “non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace”.
Caligo a parte – trattandosi di un romanzo – non mi dispiacerebbe in futuro, una volta che saranno tutti usciti, mettere insieme i vari racconti a tema steampunk e farci un articolo di commento. Sarebbe un bel modo per chiudere questa parentesi steampunk durata quattro anni.

Gli Dei di Mosca su Vaporteppa

Gli Dei di MoscaGli Dei di Mosca, traduzione italiana di Dancing with Bears di Michael Swanwick, è uscito ieri per la collana Vaporteppa del Duchino. Potete leggere la notizia sul sito di Vaporteppa.
L’e-book si può acquistare su Ultima Books (in ePub o mobi, il formato proprietario del kindle), su Amazon (solo mobi) e sulle altre librerie online collegate a Stealth. Il costo è di 4,99 Euro: un prezzo assolutamente abbordabile, considerando che l’e-book di un romanzo come Zombies and Shit di Mellick in lingua originale – più corto di un cinquanta pagine buone, e senza i costi di traduzione sul groppone – viene messo su Amazon a 5,95 Euro, un Euro in più. Personalmente, credo che aspetterò la versione cartacea che uscirà tra un paio di settimane: avendo già letto il romanzo in lingua originale, la cosa che mi interessa di più è – narcisisticamente – poter esporre Gli Dei di Mosca nella mia polverosa libreria.

Ho già scritto nel precedente articolo di come trovi questa de Gli Dei di Mosca una scelta azzeccata per inaugurare la narrativa di Vaporteppa. Ecco il commento il Duchino in proposito:

Scegliere un romanzo di Swanwick ha significato sottoporsi a costi molto maggiori rispetto a un romanzo italiano. Non lo abbiamo fatto perché speriamo di guadagnare “di più” (anche se evitare di andare in passivo non ci farebbe schifo), ma perché questo titolo rappresenta bene quel tono un po’ cialtrone e quelle ambientazioni vagamente ottocentesche che vorrei vedere nelle future opere di Vaporteppa.
In più Swanwick è un autore, come ricordato pochi giorni fa anche sul blog di Urania (che ringrazio per aver messo in eBook Ossa della Terra), che NON ha la giusta diffusione e il giusto riconoscimento in Italia. Solo alcuni dei suoi romanzi sono stati tradotti e questo, il meno fantastico/fantascientifico, non lasciava presagire speranze di apparire dopo quasi tre anni dalla pubblicazione originale… o lo portavamo noi o chissà quando sarebbe apparso!

Insomma, il Duca ha fatto ciò che avevo sempre chiesto e desiderato da quando esiste Tapirullanza: che gli editori italiani la smettessero di importare solo (o quasi) merda e aprissero gli occhi anche a quei tanti piccoli capolavori o romanzi curiosi – benché di nicchia – che facevano capolino nel mare di melma della narrativa. Oggi è successo. Capite quindi che è anche nel mio interesse che Vaporteppa viva e prosperi negli anni a venire: perché altri e altri bei romanzi ancora vengano portati in Italia o nascano, ancora meglio, in italiano.
La sorpresa più grande, però, doveva ancora arrivare. Come sapete seguo regolarmente Flogging Babel, il blog di Michael Swanwick. E cosa mi spunta fuori sul feed ieri sera, se non proprio questo breve articolo dell’illustrissimo che commenta la copertina del romanzo?

This is, I believe, the best version of Surplus to date. Check out that expression!  His marks don’t normally get to see this aspect of him. And this is the first attempt to capture the likeness of Aubrey Darger I’ve ever seen. Artist Manuel Preitano captures, I believe, the quintessential Britishness of him.

Quale soddisfazione migliore ci potrebbe essere delle lodi personali dell’autore?

OK, time to move on: Gli Dei di Mosca è uscito. Ora posso solo sperare che il catalogo si arricchisca nelle settimane e mesi a venire con nuovi titoli, magari anche di inediti italiani.
Nel frattempo, come combattere la noia? Che domande. Con il Goat Simulator!


Trailer ufficiale di Goat Simulator.

Dancing with Vaporteppa

Logo Branca VaporteppaDa alcuni mesi, ho preso l’abitudine di mangiare yogurt a colazione: è rapido ed è buono. Non sono la persona più costante di questo mondo, però diciamo che cinque vasetti di Yomo a settimana li consumo. Gli yogurt Yomo si trovano in confezioni da due dal costo di 1,39 Euro, o da quattro che ne costano 2,79. Anche se prendessi sempre i pacchi promozionali da quattro (cosa che è lontana dal vero), spenderei qualcosa come 14 Euro al mese in yogurt. Se non mi stufassi prima, in un anno – togliendo un mesetto buono di vacanze in cui le mie abitudini sarebbero sicuramente stravolte – spenderei in prodotti Yomo circa 150 Euro.
Ora: ignoro quale possa essere il netto di Granarolo una volta levati tutti i costi di produzione, logistica e trade, ma moltiplicando questo guadagno su tutti i consumatori di yogurt deve fare un discreto gruzzoletto.
Il barattolo di Yomo è un prodotto statico. Certo, una parte del ricavato sarà sicuramente reinvestito in ricerca e sviluppo, per apportare piccole modifiche: nuovi gusti, miglioramento dell’ingredientistica dei gusti già esistenti (per venire incontro alle regolamentazioni europee sugli alimenti, sempre più rigorose), magari un minimo di comunicazione, e via dicendo. Ma il prodotto, fondamentalmente, resta quello: qualcosa di sempre uguale che il consumatore continua ad acquistare, consumare (e nel consumo, distruggerlo), e riacquistare.

Visto dal punto di vista dei beni di largo consumo, l’industria della cultura è una strana creatura. Per fruire di un libro cartaceo, per il numero di volte che voglio, devo acquistarlo una volta sola. Non si distrugge, a meno che non lo faccia intenzionalmente, o per un incidente, o dopo un’usura di decenni o secoli (a seconda della qualità della carta e della rilegatura). I libri sono prodotti che, di base, a un consumatore si vendono una volta sola. Se voglio vendergli un altro libro, devo costruire quel nuovo libro da zero – è a tutti gli effetti un nuovo prodotto.
Non si può paragonare il ritorno di investimento su un barattolo di Yomo rispetto a quello su un libro. Per carità, un libro cartaceo viaggerà mediamente intorno ai 20 Euro, una cifra che in yogurt raggiungerei in un mese e mezzo (senza entrare nel merito di tutte le altre questioni come l’IVA al 4%). Ma l’acquisto di yogurt – per un tipico consumatore di yogurt – è quotidiano e stabile per tutto l’anno; l’acquisto di romanzi non lo è, nemmeno per un lettore forte.

Barattoli Yomo

Un business più promettente della narrativa.

Le varie industrie della cultura hanno cercato di risolvere questa sproporzione in modi diversi. Il mercato della musica, dopo anni di crisi, sembra aver trovato la quadratura del cerchio con i servizi di abbonamento ai siti che, come Spotify, offrono musica in streaming: grazie al sistema di abbonamenti, il flusso di guadagni diventa regolare e continuativo. Il mercato cinematografico cerca di moltiplicare i guadagni legati a ogni pellicola moltiplicando le occasioni d’acquisto – cinema, home video, passaggi televisivi, merchandising legato ai personaggi del film – per non parlare di altre fonti di finanziamento, come il product placement massiccio.
E la narrativa? Aldilà dell’aumentare i prezzi, piangere per la morte della cultura, e cercare di impedire alla gente di prestarsi contenuto digitale con i DRM, cos’hanno fatto in concreto le case editrici? La mossa più semplice in tempo di crisi: hanno tagliato i costi di ricerca e sviluppo, che nel mercato editoriale corrispondono all’editing. Se il singolo libro mi porta un guadagno limitato (quando non nullo o negativo) secondo la regola del un singolo consumatore lo acquista una sola volta, allora è inutile curarlo più che tanto; per moltiplicare gli atti d’acquisto, moltiplicherò i libri! Più libri – devono aver pensato – ciascuno dei quali con un investimento minore (di tempo, di personale) alle spalle, più margine.

Com’è andata a finire lo sappiamo. Vendite in crollo verticale, sfiducia diffusa del lettore verso i libri, e-book a pagamento realizzati peggio di quelli piratati (e gratuiti), una qualità sempre più infima non solo nei contenuti, ma persino nel controllo di sintassi e ortografia. Ora, ovviamente non sto naturalmente dicendo che la caduta della lettura in Italia sia stata causata esclusivamente dalle case editrici; le cause principali sono esterne, come la crescita di industrie di intrattenimento alternative e più competitive. Ma l’impressione è che gli editori abbiano fatto di tutto per accelerare questo processo.
La verità che dobbiamo guardare in faccia, è che la letteratura non è per definizione un buon mercato. Dal punto di vista di un imprenditore il cui scopo è quello di chiudere il bilancio in positivo, tra il business dei barattoli di yogurt e il business della narrativa non ci può essere dubbio. Non a caso, quasi tutte le nostre grandi case editrici sono in realtà parte di grandi gruppi editoriali ramificati in settori più redditizi – pubblicità, televisione, quotidiani, periodici – o di holding i cui business principali non hanno nulla a che fare coi libri.

Chevrolet

Captain America – The Winter Soldier vi è stato gentilmente offerto da…

Ne consegue che bisogna essere pazzi per buttarsi nel mercato della narrativa – peggio ancora se si tratta di una nicchia come la narrativa fantastica. Soldi non se ne fanno, se non al prezzo di sforzi sproporzionati. L’unica ragione che mi venga in mente per entrare in un business del genere, allora – a parte la pura e semplice follia – dev’essere il genuino amore per la narrativa, e la convinzione di stare facendo la cosa giusta. In quest’ottica, guadagnare soldi non diventa altro che il modo per poter sostenere il proprio lavoro, e migliorare e arricchire la propria offerta.
Forse è questo il ragionamento che si è fatto il Duca, tra un’orgia di coniglietti (rigorosamente maggiorenni e consenzienti) e un sorso di pinot nero dal nome incomprensibile, quando sotto l’egida della neonata Antonio Tombolini Editore ha messo in piedi la collana di narrativa Vaporteppa.

Cosa vogliamo pubblicare? Buona narrativa di genere: fantasiosa, coinvolgente, avventurosa. Che valga il prezzo pagato.

Avevo intenzione da tempo di dedicare a un articolo su Vaporteppa, ma volevo aspettare che la collana pubblicasse la prima opera a pagamento 1. Ebbene: proprio l’altroieri il Duca ha annunciato sul blog di Vaporteppa l’imminente pubblicazione de Gli Dei di Mosca, traduzione italiana di Dancing with Bears di Michael Swanwick! L’e-book sarà disponibile nelle librerie online tra pochi giorni; per l’uscita del cartaceo bisognerà aspettare un poco di più.
Il libro, di cui avevo parlato l’estate scorsa in questo articolo, è una tragicommedia fuori di testa, ambientata in un futuro post-apocalittico dominato da una civiltà simil-vittoriana dedita alla manipolazione genetica. Due trickster professionisti, lo sfuggente Darger e il cane parlante (nonché dandy) Surplus, sono in viaggio per Mosca in cerca di fortuna. Ma ovunque vanno questi due scoppia il caos: per Mosca sarà l’inizio della fine.

Gli Dei di Mosca

La copertina de “Gli Dei di Mosca”, così come è stata presentata su Vaporteppa.

Come romanzo per inaugurare la collana, Gli Dei di Mosca è un’ottima scelta. È l’ultimo romanzo, inedito in Italia, di un pezzo grosso della narrativa fantastica. È un’opera che, pur non essendo proprio steampunk, ha tutte le carte per piacere agli amanti del genere (manierismo ottocentesco, mondo pre-globalizzazione, tecnologia ‘pesante’ e una buona dose di retardness). Ha ritmo ed è divertente. Come ho scritto ne La Mia Classifica, è Pirati dei Caraibi incontra Jack Vance e tutti e due 1997: Fuga da New York, con una punta di Tre Uomini in Barca. Non è il migliore di Swanwick – né come idee, né come prosa – ma i romanzi di Swanwick sono talmente sopra la media della narrativa fantastica, che anche questo sarà facilmente tra i libri più belli che leggerete quest’anno.
Non ho avuto modo di leggere questa versione italiana né conosco il traduttore, quindi ogni mio giudizio positivo è riferito esclusivamente all’originale. Ma se il Duca ci ha messo anche solo la metà della cura con cui di solito si occupa delle cose che gli piacciono, avrà fatto un ottimo lavoro. E dato che l’inglese di Swanwick non è facilissimo, chi di voi non fosse troppo ferrato nella lingua della perfida Albione non dovrebbe farsi sfuggire questa traduzione. L’unica cosa a lasciarmi scettico è il titolo, che non trovo particolarmente brillante – ma neanche l’originale “Dancing with Bears” era proprio geniale, dato che non lasciava minimamente capire l’argomento del romanzo.

Grazie anche agli sforzi di Gamberetta – grande amante dello Swanwick più Fantasy, quello di The Iron Dragon’s Daughter e The Dragons of Babel, quest’ultimo da lei recensito anni fa – e dello stesso Duca, Swanwick si è conquistato un minimo di fama anche qui da noi. Mi piace pensare di aver fatto anch’io la mia parte, dedicando a Swanwick due Consigli del Lunedì – prima per Jack Faust, poi per Vacuum Flowers – pubblicando un suo racconto completo – il capolavoro The Very Pulse of the Machine – e parlando delle stesse storie di Darger e Surplus nell’articolo sopra riportato.
In quell’articolo spiegavo, tra l’altro, che Dancing with Bears è solo l’ultima – sia come data di pubblicazione sia per cronologia interna – delle avventure demenziali di Darger e Surplus; Swanwick aveva già dedicato loro tre racconti di medie dimensioni pubblicati nell’antologia The Dog Said Bow-Wow 2. Nel caso in cui le vendite de Gli Dei di Mosca andassero bene, quindi, non mi stupirei se il Duca decidesse in un futuro prossimo di pubblicare in italiano anche quest’antologia, o quantomeno una raccolta con i tre racconti. Messi insieme, i tre raggiungerebbero le dimensioni di una novella, formato ottimo per la vendita digitale.3

Michael Swanwick smiling

“Cioè, dai, mi pubblicate in italiano? No ma… troppo figo!”

Posso solo augurarmi che Gli Dei di Mosca in edizione italiana abbia successo: significherebbe che anche in Italia c’è un mercato per la narrativa fantastica di qualità, e che non siamo una fogna culturale che deve accontentarsi di leggere in lingua originale la roba buona. Ho già detto che, dal punto di vista di chi vuol fare soldi, la narrativa per definizione non è un buon mercato. Lo ribadisco: da una casa editrice non verrà mai fuori uno Steve Jobs o un Mark Zuckerberg milionario. Ma una casa editrice potrebbe comunque avere sufficiente successo da auto-sostenersi, sopravvivere nel tempo e addirittura crescere, senza dover scendere a compromessi con le mode (leggasi: paranormal romance per adolescenti) o abbassare i tempi e i costi di produzione (e quindi la qualità) dei propri libri.
Collane come Vaporteppa possono mostrare che la scelta di una piccola nicchia insoddisfatta (la narrativa fantastica in Italia) e l’attenzione intransigente alla qualità sono un modello vincente e da imitare. Collane come Vaporteppa possono diventare lo standard dell’editoria digitale degli anni a venire. Ed è qui che entrate in gioco voi!

Poche vendite, pochi soldi. Come pensa di sopravvivere una realtà come Vaporteppa, allora? Tenendo duro per un paio di anni in OTTIMO E ABBONDANTE PASSIVO, guardando come va il terzo e stimando se ci siano prospettive per proseguire dal quarto in poi. Fine. Se faremo un buon lavoro, se faremo tutto il possibile e se i lettori useranno anche solo una frazione del bombardamento di marketing che attuano per diffondere i titoli dei libri che li disgustano per parlare dei nostri libri che gradiranno, potremmo farcela.
(Qualche numero sugli e-book italiani tra 2012 e 2013)

Basta andare su un blog come quello del buon Zwei – e non è certo l’unico né il principale – per vedere con quanto entusiasmo gli amanti del fantatrash pubblicizzino libri oscuri e che non vendono un cazzo per il puro gusto di perculare lo scrittore incapace. Tizi giustamente condannati all’oblio dalla propria incapacità si trovano a vivere i propri quindici minuti di popolarità per il solo merito di scrivere so bad it’s good. E in questi momenti di sfottò generale, è quasi un rito che qualcuno alzi la testa e osservi candidamente: “Ma come è possibile che si sia arrivati a questo punto? Perché si pubblicano libri così di merda? Perché non si pubblicano più libri di qualità?”.
Eccovela, la qualità. Se vi indignate di fronte all’ennesimo Unika o al nuovo clone sfigato di Tolkien, se vorreste leggere bei libri in lingua italiana e non lo fate perché impediti dalla mancanza di scelta, se pensate che l’Italia meriti qualcosa di meglio di ciò che offre panorama attuale, allora provate Vaporteppa. Gli Dei di Mosca è solo la prima delle opere di narrativa che sarà pubblicata dal Duca. Altre ne seguiranno nelle settimane e mesi a venire. Secondo me sarà una figata.

Unika - La fiamma della vita

…o preferite continuare a leggere questo?

Non appena Gli Dei di Mosca sarà acquistabile nelle librerie online, rimbalzerò la notizia sul blog.


(1) Specifico “a pagamento” in quanto su Vaporteppa sono già stati pubblicati due e-book gratuiti, liberi da copyright. Si tratta di due raccolte di articoli dello storico astronomo italiano Schiaparelli, rispettivamente sui canali di Marte (LOL) e sulle comete.Torna su


(2) Questo comunque non pregiudica la lettura di Dancing with Bears se non si sono lette le storie precedenti: il romanzo è assolutamente autonomo e autoconclusivo.
Potete trovare maggiori indicazioni sulle opere e i link per scaricarli nella sezione Vekkiume del blog di Vaporteppa.Torna su


(3) Disclaimer per i diversamente astuti: la mia è solo una congettura personale, non ho mai parlato con il Duca della cosa. Non so nemmeno se la cosa sia fattibile a livello di diritti, dato che mi risulta che almeno il racconto “The Dog Said Bow-Wow è già stato pubblicato in Italia anni fa. Ma potrebbe essere uno sviluppo interessante.Torna su

Gli Autopubblicati #07: Soldati a Vapore

Soldati a vaporeAutore: Diego Ferrara
Genere: Guerra / Science Fiction / Steampunk
Tipo: Novella

Anno: 2013
Pagine: 105
Editore: Narcissus

Siamo nel 1848, e il Regno d’Italia, guidato da casa Savoia, è in guerra contro l’Austria. Il fronte corre lungo il corso del fiume Mincio, da dove i crauti pianificano la conquista di Milano.
Il soldato semplice Basile serve da un anno nella Squadra Sei delle meccanizzate, e si è già fatto un nome come inetto e lavativo. Sotto lo sguardo sprezzante del tenente Bregoli, Basile trascorre i suoi giorni tra pattugliamenti, assalti notturni e lunghe attese.
Ma come tutti i suoi compagni di reggimento, ha un privilegio: è un pilota di mec. Quando c’è un’operazione importante, può salire a bordo del suo Manzetti, un esoscheletro di tre metri capace, con le sue braccia meccaniche, di sollevare una camionetta e scaraventarla a metri di dstanza. Ma anche i crauti hanno i loro mec – i Krebs, esoscheletri muniti di due lunghi tentacoli che terminano in pinze capaci di aprirti in due come una lattina. E stanno preparando qualcosa di ancora più grosso, aldilà del fiume, qualcosa che richiederà lo spiegamento di tutta la squadra e non solo…

Soldati a Vapore era una delle opere steampunk presentate allo SteamCamp, ed è stato nel programma dell’evento che ne ho sentito parlare per la prima volta. Ma allo SteamCamp sono arrivato preparato: ispirato da questa microrecensione di Taotor, che aveva fatto da betareader, l’ho letto circa una settimana prima dell’evento. E’ un libro che si legge in una giornata. La storia è semplice, e segue alcune settimane della vita della recluta Basile tra i Pulcini della meccanizzata, culminando in un all-out attack contro le linee nemiche.
La storia editoriale di questo libro è interessante. L’editing è stato seguito dall’Agenzia Duca, quella del buon Duchino (ma l’ho scoperto solo alla fine, leggendo i “titoli di coda”), e poi l’autore si è autopubblicato sulla piattaforma Narcissus. Ho poi incontrato Ferrara allo SteamCamp, come ho raccontato nell’ultimo post. Qui ho scoperto che lui è l’uomo dietro ben due dei racconti dell’antologia steampunk organizzata dal Duca (ma mai pubblicata nella versione definitiva): Il Lunasil e Piloti e Nobiltà. Quest’ultimo, in particolare, era a mio avviso il più bello nella rosa dei candidati per il primo posto nel concorso – anche se poi non ha vinto.
Tutto questo per dire che Ferrara è uno che bazzica lo steampunk da qualche anno. Sarà riuscito a produrre una stand-alone di qualità?

Savoia

Loro ci guideranno verso un radioso avvenire. Avanti Savoia!

Uno sguardo approfondito
Primo elemento positivo: Ferrara è bravo a mostrare. E’ attraverso gli occhi e la voce del protagonista, che narra in prima persona, che assistiamo a tutte le vicende della squadra sei. Il mesetto circa in cui si svolge la vicenda è quindi scandito da una serie di scene vivide – il pattugliamento lungo il corso del Mincio, in cerca di crauti, oppure la sortita notturna aldilà delle basse acque del fiume per sorprendere un convoglio di camion che trasportano vettovaglie.
Questo approccio permette a Ferrara di aggirare il problema dell’infodump, che poteva essere spinoso in un’ucronia. Gli elementi peculiari dell’ambientazione – come i Manzetti, i Wanderer, le corazzate Savoia – sono quasi sempre mostrati in azione piuttosto che spiegati a tavolino, e conditi dai commenti della voce narrante; e anche in quelle poche digressioni che in teoria sarebbero ascrivibili all’infodump (come l’incipit sulla zuppa di cervelli), il tono del protagonista gli dà un tono naturale. In ogni caso, Ferrara ci risparmia lezioncine e spiegoni: la situazione politica non ci è mai spiegata, né si scopre come e perché sia avvenuta la divergenza tecnologica rispetto al nostro mondo. La situazione globale, semplicemente, non è importante – importa solo la storia tragicomica della squadra sei.

Basile è un protagonista simpatico; è il classico soldataccio pigro, che vorrebbe solo andarsene in licenza e invece finisce sempre in punizione – forse l’unico tratto poco credibile è che parla in modo troppo “pulito” (non dice parolacce, non fa granché il villano neanche con i suoi parigrado). Non è un pilota di mec eccezionale, e non lo vedremo mai compiere gesta eroiche – e già questo lo distingue dalla massa di protagonisti amorfi di tanta narrativa di genere. Nelle scene di combattimento svolge soprattutto un ruolo di spettatore, il che permette a Ferrara di farcele vedere in modo vivido senza alterare il punto di vista.
Le scene d’azione – che occupano una buona metà del libro – sono riuscite a metà. Da una parte, Ferrara riesce a mantenere l’interesse del lettore inserendo una grande varietà di situazioni diverse, dall’agguato nel buio al combattimento sul fiume, dalla fuga rocambolesca tra i boschi al rissone – non troviamo quelle serie infinite e tediose di scazzottate tutte uguali alla Marstenheim o Barbarian Beast Bitches of the Badlands. Inoltre il pov molto focalizzato fa sì che il lettore si senta più coinvolto. Dall’altro lato, l’anonimato tanto dei nemici – soldataglia o piloti di Krebs tutti uguali – quanto degli alleati, unito al fatto di sapere che il protagonista non morirà, sortiscono l’effetto opposto. Il bilancio finale mi sembra positivo, ma assai migliorabile.

Guerra in trincea

Mi hanno preso molto di più le altre scene, quella di vita quotidiana. C’è una naturalezza, una spontaneità, nei discorsi tra soldati, negli atteggiamenti, che suona sincera, e che mi ha ricordato storie di guerra tragicomiche come Un anno sull’altipiano di Emilio Lussu o La grande guerra di Monicelli (senza arrivare alla bellezza di nessuno dei due, s’intende, ma l’atmosfera è un po’ quella). Dirò di più: Soldati a vapore ha poco dello steampunk tradizionale – sia quello gonzo-historical alla Infernal Devices, sia quello serio e politico alla The Difference Engine – e assomiglia di più alle “storie del fronte” della Prima Guerra Mondiale. Ci sono mitragliatrici, camionette, c’è la guerra di posizione; gli italiani hanno il solito esercito un po’ straccione, regolarmente a corto di mezzi, e la tronfia retorica militarista; e i soldati sono gente cinica che sa di essere trattata come carne da macello, e che prega la sua buona stella di tornare tutto intero dal prossimo assalto.
Certo, anche su questo fronte si poteva fare di più, molto di più. Alcuni scambi di battute tra soldati suonano goffi, deboli; il loro linguaggio mi sembra troppo poco crudo, troppo da brava gente di città, e anche se fanno battutacce spesso mi sembravano smorzate, poco incisive. Alcune espressioni sono carine ma sembrano fuori posto nel 1848; ad esempio la battuta di un soldato che difende la sua bella: «Giovanna ha smesso con quel lavoro… e comunque lo faceva solo per dare una mano in famiglia. A tempo determinato, chiaro?». I comprimari sono tutti uguali o quasi. Cordino, Ballarin, Lorenzoni – i loro nomi tendono a confondersi, nessuno ha un tratto particolare che li renda memorabili. E dire che sarebbe bastato poco sforzo e poco spazio per renderli più vividi; e quindi, eventualmente, di coinvolgere di più il lettore in caso uno di loro dovesse morire sul fronte. L’unica nota di merito va al tenente Bregoli che, benché sia in fondo il solito stereotipo dell’ufficiale virile e cazzuto, dell’Uomo-Che-Non-Deve-Chiedere-Mai, è incisivo, dice battute stupende e rimarrà vivido nella mia memoria a distanza di mesi e forse anni1.

Pur con questi limiti, Soldati a vapore è una storia carina che si legge con piacere. La prosa è sempre sul pezzo e il ritmo è rapido, non ci sono parole di troppo. Forse si potrebbe rimproverare a Ferrara la mancanza di ambizione: Soldati a vapore è esattamente quello che vi aspettate che sia, una storia di soldataglia e mech, di battaglie e ritirate. Non ci sono colpi di scena o cambi di registro o altro d’inaspettato – what you see is what you get. Che può anche essere un bene; dipende dal gusto del lettore.
In conclusione, la novella di Ferrara è un’opera divertente, che per approccio e argomenti piacerà forse più agli appassionati di racconti di guerra che non ai fan dello steampunk, e che per ambientazione mi ha ricordato più la Prima Guerra Mondiale che non i classici dello steampunk. Il che va benissimo: la varietà è un bene in un genere ancora così giovane e inesplorato (considerato il numero esiguo di opere meritevoli che ha prodotto). Vale sicuramente la pena provarlo, anche considerato il basso prezzo a cui è venduto. E se non siete convinti, provate prima a dare un’occhiata ai due racconti steampunk di Ferrara, andandovi a recuperare la prima (e attualmente unica) versione, non editata, dell’Antologia steampunk del Duca2.

Prima Guerra Mondiale

Le piccole gioie della vita al fronte

Ciò detto, due parole di merito su Ferrara. Avendolo incontrato, ho avuto l’impressione di una persona vogliosa di imparare e di migliorare, e che non si sente “arrivato” perché ha pubblicato qualcosa. Nutro quindi la speranza che possa diventare uno scrittore ancora migliore e produrre cose anche più belle, se ne troverà il tempo e la voglia. E spero di poter mettere le mani, prima o poi, su un romanzo vero e proprio scritto da lui.
Un ultimo “complimenti” a Okamis (Alessandro Canella), che ha realizzato a tempo record la copertina del libro. E’ un piccolo capolavoro, che rispecchia in pieno le sue convinzioni sul modo di fare le copertine più volte espresso sul suo blog.

Dove si trova?
Soldati a Vapore esiste solo in digitale. E’ distribuito su Ultima Books alla cifra irrisoria di 2,49 Euro – una cifra decisamente adeguata al formato novella, forse pure un pelo basso (si poteva fare 2,99 e lo si sarebbe comprato uguale).

Qualche estratto
Il primo estratto viene dall’introduzione, in cui la voce narrante del protagonista spiega all’ignaro lettore la preparazione di una delikatessen del reparto, il brodo di cervello di crauto; il brano è lo stesso proposto da Taotor, ma ho scelto delle parti diverse. Il secondo estratto viene dalla prima vera scena di combattimento del libro – così potete farvi un’idea di come l’autore gestisca le scene d’azione.

1.
La procedura è semplice: si prende un crauto – vivo è molto meglio, ma se proprio non si trova va bene anche morto – e mentre quello piange e strilla nein! Bitte nicht! gli appoggi il bordo di un bossolo da 120 sopra l’orecchio e cominci a menare forte con la mazza da cinque chili. C’è un punto preciso (Costa sa benissimo dov’è) che se lo prendi, con due o tre colpi ben piazzati la calotta cranica del crauto salta via come un tappo di prosecco. Il cervello, sotto, è grigio e bitorzoluto. Bisogna scalzarlo con un grosso cucchiaio e poi tagliare. A questo punto viene fuori parecchio sangue, ma tanto nessuno ci fa caso: stanno tutti lì incantati a vedere quella roba grigia nelle mani di Costa che con aria cerimoniosa la ficca nell’Elmo Potorio, a bagno nella mistura di grappa e olio lubrificante. Stando alle parole del tenente Bregoli, l’olio del Manzetti dovrebbe essere il fottuto sangue nero delle nostre vene. L’Elmo Potorio per noi ha lo stesso valore di un artefatto magico. È la nostra Cornucopia. È il primo pickelhaube catturato dai Pulcini da quando il battaglione è stato assegnato alla zona del Mincio, nel febbraio scorso. Ormai possiede la sua aura di leggenda. Quando non serve per bere il brodo, Costa lo tiene appeso al posto d’onore dietro il banco, insieme a un sacco di altra roba rastrellata sul campo di battaglia: croci di ferro, sciabole, stivali, il cranio di un colonnello crauto di cui non ricordo mai il nome (comunque il cranio è stato ribattezzato Joseph, in onore del sommo bastardo gran comandante di tutti i crauti). Sono cimeli che la compagnia conserva a memoria della sua gloria imperitura. C’è perfino un folgoratore da Wanderer intero, anche se un po’ carbonizzato, che punta il suo naso mortale verso il soffitto. Costa lo adopera come rastrelliera per i bicchieri.
Per finire il discorso, si lascia il cervello del crauto a macerare per mezz’ora, finché non ha preso quel gusto odioso di culo di cane. Un sorso a testa, dice a quel punto Costa (come se ci fosse qualcuno così coglione da scolarselo tutto!) e l’Elmo Potorio passa di mano in mano finché non è stato svuotato. Una volta finito, si butta via il cervello, poi l’Elmo viene sciacquato, asciugato con cura e torna al suo posto dietro il banco.
È così che si fa il brodo da noialtri delle meccanizzate.
Se lo racconti, la gente non ci crede.

Steampunk Tron

2.
Il rombo dei camion fa vibrare il terreno come un principio di terremoto. Compaiono due fari gemelli sormontati da una chioma di vapore ondeggiante. Dietro il primo, si sgrana la colonna dei camion. Procedono serrati nell’oscurità, il muso di uno incollato al cassone dell’altro.
L’inizio dell’attacco è annunciato da uno schianto nel bosco. Il Manzetti di Lorenzoni balza fuori dalla selva, manda zampe all’aria un Krebs e si lancia contro il primo camion centrandolo di spalla nel blocco motore. Il camion sbanda, rotola giù per il pendio e si va a schiantare tra gli alberi. Lorenzoni si ferma in mezzo alla strada, pianta un ginocchio a terra e offre la spalla massiccia del Manzetti al secondo camion. Quest’ultimo non può fare altro che centrarlo: si solleva e poi ricade in un enorme sussulto, uno dei due autisti sfonda il parabrezza e sorvola la testa di Lorenzoni. Gli altri camion si schiantano uno dentro l’altro a fisarmonica. Strilli di paura e dolore si levano nei cassoni.
Corrono fuori anche i Manzetti di Garoglia e De Gregorio, afferrano un camion ciascuno, lo alzano sopra la testa e lo scagliano oltre le fronde degli alberi. Prima di avere il tempo di ripetere l’operazione, tuttavia, i Krebs si gettano su di loro mulinando i tentacoli.
Autisti e passeggeri non hanno ancora avuto il tempo di capire cos’è successo quando apriamo il fuoco. Il sergente Paganin punta la mitragliera sul camion che ha di fronte e lascia partire una raffica. I proiettili si sgranano fluidi dai serbatoi dorsali del suo ESP e disegnano graffi scintillanti nel buio. Sul fianco del camion si apre una fila di fori, le grida si moltiplicano. Poi si mette a sparare anche il resto della squadra e in un baleno sembra arrivato il giorno dell’Apocalisse. Le mitragliere ad alta pressione vomitano una cascata di metallo che attraversa il telo sottile del camion e fa strage dei coscritti ammassati. Lorenzoni solleva il camion che gli si è schiantato contro e lo schiaccia sul camion successivo. Le lamiere si piegano e dai lati schizzano zampilli di sangue. La notte è piena di strilli e richiami. Metà della colonna nemica è già fuori combattimento. Un Krebs discende il pendio a lunghi balzi e si piazza davanti ai soldati in esoscheletro leggero. L’ESP, contro le pinze dei Krebs, offre la stessa protezione di una vestaglia di seta. I miei compagni gli sparano addosso, ma è come se tirassero con le cerbottane: i proiettili scivolano sulla corazza rinforzata senza produrre altro che un sonoro frastuono come di centinaia di martellate.
Il Krebs stacca la testa a uno dei nostri con una pinza, ne impala un secondo con una zampa, bucandogli il torace da parte a parte, lo solleva e lo lancia via nell’oscurità. Gli altri cercano rifugio tra i cespugli ma il Krebs li insegue continuando a uccidere. I coscritti sopravvissuti cominciano a sciamare giù dai camion e ci sono scambi di mitragliate. Una manciata di pallottole mi fischia vicino alla testa. Guardo verso il sergente in cerca d’indicazioni e non lo vedo più. Sparito nella bolgia. I due soldati alla mia destra sono inginocchiati e impegnati a sforacchiare i camion, come ci è stato ordinato. A venti metri, più in giù lungo la colonna, uno dei nostri Manzetti si sta difendendo dall’attacco di tre Krebs, in un groviglio di tentacoli. I rumori fanno sembrare i mec creature viventi. I getti di vapore degli sfiati somigliano a sibili e i cigolii dei perni metallici sono grida di rabbia. Lorenzoni risale la colonna schiantando i camion uno dopo l’altro, e spazzando con le braccia i coscritti, finché un Krebs non gli salta addosso.

Tabella riassuntiva

La vita di un soldato al fronte al tempo dei mech! Scene di combattimento sottosfruttate.
Voce narrante divertente e dal pov saldo. Comprimari tutti uguali e registro non sempre credibile.
Narrazione onesta e dritta al sodo. Plain and simple, pure troppo (forse)
In conclusione: PROMOSSO

(1) Uno dei pezzi più belli del libro sono le parole che Bregoli dice a Basile dopo un certo attacco. Poiché siamo in piena area spoiler le metto in bianco, ma non potevo tacere:

«Basile,» dice.
Non so cosa gli frulla in testa, ma un sorriso conciliatorio dovrebbe andar bene. «Signor tenente… ce l’ha fatta anche lei, eh?»
Un’impercettibile piega di disgusto gli arcua le labbra, sotto i baffi scuri. «Basile, tu sei così lavativo che se anche all’inferno fossero a corto di personale, non ti prenderebbero comunque. Non creperai mai, nemmanco se ti ci impegnassi, e dubito che tu e la parola impegno vi troverete mai sullo stesso continente insieme, fors’anche sullo stesso pianeta. Te ne arrivi di sera come se fossi di ritorno dal bar del paese. E conoscendoti potrebbe anche essere vero…» mi scorre con uno sguardo cinico e quando arriva in fondo gli angoli della sua bocca franano. «…con scarponi da fante ai piedi, perdio.»
«Anch’io sono contento di rivederla, tenente.»
Bregoli scuote la testa e punta lo sguardo oltre le tende. «Sei la vergogna della compagnia, Basile. Unisciti a questi altri disperati e, se riuscite, fate in modo di farvi notare il meno possibile. L’imbarazzo di sapervi miei soldati mi uccide.»
Gira sui tacchi e se ne va, lento come un bastimento.
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(2) Ovviamente questi racconti, non avendo ricevuto editing (se non in modo molto marginale), possono essere indicativi fino a un certo punto della qualità effettiva della prosa dell’autore. Comunque sono una buona approssimazione. E le idee ci sono tutte.Torna su