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Sai che c’è di nuovo

Sai che c'è di nuovo

Non mi aspettavo che la fine dell’estate prendesse un ritmo così frenetico. Gli articoli che ho cominciato a pubblicare a fine Luglio dovevano essere i primi di una trafila più o meno ininterrotta, diciamo uno alla settimana. Invece, già nella seconda metà di Agosto il mondo reale ha cominciato a far piovere sberle.
Comunque. In questo inizio di Settembre stanno succedendo un sacco di cose interessanti per gli appassionati di fantastico; o almeno, del fantastico che piace a me (lol). In attesa di articoli più corposi, ecco dunque una breve carrellata di cosa aspettarsi nelle prossime settimane o mesi. Se avete i miei stessi gusti ne sarete felici.

Chasing the Phoenix
E’ di oggi la notizia che Swanwick ha appena finito il suo nuovo libro. Come dicevo in questo articolo del mese scorso, è il secondo romanzo sulla coppia di trickster gentiluomini Darger e Surplus; le loro avventure li hanno portati attraverso la Siberia e la Mongolia fino in Cina, dove presumibilmente semineranno altra distruzione. Swanwick assicura che può essere letto anche come uno stand-alone. Il titolo è rimasto quello che aveva ipotizzato, “Chasing the Phoenix” – lascio a Siobhàn l’onore di scoprire se anche questo, come gli altri, sia mutuato da una filastrocca per bambini.
E’ presumibile che, proprio come avevo pronosticato, il romanzo venga pubblicato entro l’anno. Appena sarà disponibile la versione digitale vedrò di comprarlo e farvi sapere.

Michael Swanwick

“Così ti piace il mio romanzo, eh?”

I nuovi Fantasy Masterworks
Se seguite il mio blog sarete ormai familiari con le due collane di narrativa fantastica realizzate negli ultimi anni dalla britannica Gollancz: gli SF e i Fantasy Masterworks. Le due serie dovrebbero riproporre il meglio della fantascienza e del fantasy moderno, rendendo disponibili (e con una nuova veste grafica) titoli spesso usciti da tempo di produzione.
La collana dei Fantasy Masterworks, più sfortunata della sua cugina fantascientifica, era ferma da tempo al n.50, ma a partire da Ottobre cominceranno a uscire nuovi numeri. Al momento ne sono previsti sette, come potete vedere alla pagina aggiornata su Worlds Without End. Due impressioni a caldo:
– Le nuove copertine sono brutte. Una delle cose migliori dei Masterworks era la cura esagerata posta nelle copertine, colorate e visivamente acchiappanti (soprattutto quelle che avevano il titolo integrato nell’illustrazione, senza quella brutta striscia monocolore nella parte alta). Trattandosi di una collana di ‘classici’, la possibilità di esporla nella propria libreria è una delle funzioni principali – considerando che di diversi titoli è possibile procurarsi a buon mercato l’edizione digitale, rendendo di per sé superflua la versione cartacea 1
– quindi le copertine supercurate sono una delle cose più importanti. Be’, queste nuove copertine io non le esporrei.
– Non ho mai letto nessuno di quei libri, ma ho già adocchiato qualche titolo interessante. Uno è Last Call di Tim Powers, l’autore di The Anubis Gates (una delle opere dello Steampunk di prima generazione, nonché uno dei romanzi preferiti di Gamberetta); poi c’è la quadrilogia Aegypt di John Crowley, un autore che sto incominciando a leggere solo adesso ma che promette molto bene; e poi The Dragon Griaule di Lucius Shepard, il tipo famoso per il romanzo militaresco-dickiano Life During Wartime. Questi nuovi titoli sembrano una virata piacevole dal fantasy fiabesco-mitologico di stampo classico di molti dei titoli dei primi Fantasy Masterworks, il che mi rende speranzoso. Peccato per l’assenza di romanzi di Swanwick come The Dragons of Babel o Jack Faust: non sfigurerebbero.

The Dragon Griaule

Brutta.

The Door That Faced West e il futuro della Bizarro Fiction
In occasione del sul Dilation Exercise #83, su Bizarro Central, Alan M. Clark ha dichiarato che il suo prossimo romanzo – The Door That Faced West – sarà pubblicato il prossimo Febbraio da Lazy Fascist Press (la casa editrice diretta da Cameron Pierce, quello di Ass Goblins of Auschwitz). Clark non è certo uno dei miei scrittori preferiti, ma ha del potenziale e scrive roba interessante; ho dedicato una delle mie ultime Bonus Tracks al suo A Parliament of Crows.
Si è ormai capito che Clark è fissato con i serial killer in costume e le vittime dei serial killer in costume. Questo nuovo romanzo avrà come protagonisti i Fratelli Harp, due briganti psicopatici vissuti alla fine del Settecento, quando il continente americano era ancora selvaggio e inesplorato. Il setting è interessante, e non è escluso che decida di leggerlo.
D’altronde, il romanzo in uscita di Clark riluce in un panorama Bizarro che quest’anno è stato piuttosto scialbo. Dall’inizio del 2013 – come potete vedere in questo catalogo – gli editori raccolti sotto la bandiera della Bizarro Fiction hanno pubblicato solo undici libri, di cui ben quattro sono novellas o raccolte di Mellick. Che il pozzo della Bizarro cominci a seccarsi? Mi piacerebbe tornare sull’argomento in un articolo dedicato.

The Water Knife
Se Swanwick è già uno dei miei scrittori preferiti, un altro candidato a diventarlo è Paolo Bacigalupi. Ho parlato entusiasticamente del suo The Windup Girl in questo Consiglio di un annetto fa. Ebbene, tre giorni fa sul suo blog ha dichiarato che, dopo due anni di lavorazione, il suo nuovo romanzo è pronto! E si chiamerà The Water Knife.
Se Clark è fissato coi serial killer, Bacigalupi ha la mania dei cambiamenti climatici e degli scenari geopolitici negli aftermath di un’apocalisse ecologica. Questo romanzo sarà ambientato in un Sudest Americano in preda alla siccità, e sembra inserito nello stesso macro-universo di The Windup Girl, Ship Breakers e The Drowned Cities. Rispetto agli ultimi due romanzi, però, sembra che non sia uno YA, ma che sia tornato al “romanzo per adulti” delle origini.
Non solo: pare che Bacigalupi abbia finalmente fatto il ‘salto’. A pubblicarlo, infatti, sarà la Knopf Doubleday. Per citare le parole del New York Times:

Knopf, the publisher of Toni Morrison, Robert Caro, Stieg Larsson and Helen Fielding, paid an advance in the high six figures.

For Mr. Bacigalupi, it is a leap from a tiny specialty press, Night Shade Books, to one of the most highbrow publishers in the business, with a reach that could broaden his readership well beyond the sci-fi world.

Non male.

Bear Grylls

And now, for something completely different…

You Can (Not) Redo al cinema per una sera
Solo per una sera, Mercoledì 25 Settembre, verrà proiettato in alcuni cinema italiani You Can (Not) Redo, il terzo OAV del reboot di Evangelion chiamato Rebuild of Evangelion.
Nonostante siano passati tipo dieci anni da quando lo vidi per la prima volta, Evangelion rimane tutt’ora il mio anime preferito. E’ l’unico di cui mi sia mai curato di collezionare i dvd. Ogni tanto me lo riguardo e mi piace ancora. Ho sempre visto con sospetto il progetto Rebuild, e infatti me n’ero sempre curato poco, ma settimana scorsa – in occasione dell’Evangelion Night del 4 Settembre – ho avuto l’occasione di andare al cinema con un paio di amici a vedere una maratona dei primi due film della serie.
Come immaginavo, sono rimasto più deluso che soddisfatto: la grafica sarà anche migliore e le scene di combattimento più curate, ma nel complesso in questo Rebuild c’è più melodramma, più roba stylish per adolescenti, personaggi inutili, e in generale un grande incasinamento della trama. Ma mi piace andare al cinema, e vedersi Evangelion rifatto male è pur sempre meglio di un Elysium o un Wolverine. Per cui credo andrò a vedere anche il terzo. 2
Intanto, beccatevi il trailer italiano – è lo stesso che hanno proiettato al cinema prima della maratona dell’Evangelion Night. Anche tralasciando le scrittazze trash in italiano (“La saga robotica del nuovo millennio”? Cominciamo bene…), non avete l’impressione che Evangelion sia diventato un po’ più cretino rispetto a dieci anni fa?

Gendo Ikari

E’ per questo che ci piace.

E con questo la carrellata è finita; spero di avervi incuriositi.
Vi lascio con una domanda. Perché non sono fico come Gendo Ikari?

———-


(1) Questo è particolarmente vero per molti titoli degli SF Masterworks – dai titoli di H.G. Wells a Frankenstein – per i quali è scaduto il copyright, e che quindi sono disponibili sul Web aggratis (anche in edizioni ben curate, come quelle di Feedbooks).Torna su


(2) Sì, in italiano. L’Evangelion originale l’ho visto in italiano, ormai mi sono abituato ai doppiatori italiani e non mi dispiacciono. E poi, seguire certi discorsi coi sottotitoli potrebbe essere troppo anche per me.Torna su

Bonus Track: Le avventure post-utopiche di Darger e Surplus

Michael Swanwick Darger and Surplus“Behold! A careful accounting of your perfidy and deceit. Which you tried to conceal from me. To begin: You obtained your current situations as my secretaries by presenting me with forged letters of commendation from the Sultan of Krakow—a personage and indeed a position which, under later investigation, turned out not to exist.”
“Sir, everybody puffs their resume. ’Tis a venial sin, at worst.”
[…] “Further, it says here, you are both notorious confidence-men and swindlers who have defrauded your way through the entirety of Europe.”
“Swindlers is such a harsh word. Say rather that we live by our wits.”
[…] “In Paris, you sold a businessman the location of the long-lost remains of the Eiffel Tower. In Stockholm, you dispensed government offices and royal titles to which you had no claim. In Prague, you unleashed a plague of golems upon an unsuspecting city.”
“The golem is a supernatural creature, and thus nonexistent,” Darger stipulated. His mount whickered, as if in agreement. “Those you speak of were either robots or androids—the taxonomy gets a bit muddled, I admit—and in either instance, revenant technology from the Utopian era. We did Prague a favor by discovering their existence before they had the chance to do any real damage.”
“You burned London to the ground!”
“We were there when it burned, granted. But it was hardly our fault. Not entirely.”

C’è stato un tempo in cui gli uomini vivevano nell’abbondanza, e le macchine facevano tutto per loro. Industrie automatizzate, mezzi di trasporto rapidissimi, navicelle mandate nello spazio, un network virtuale – il leggendario Internet – che metteva in comunicazione ogni parte del globo con qualsiasi altra. Ubriachi della loro tracotanza, gli uomini avevano delegato tutto alle macchine. Finché l’Utopia è tramontata: le IA che popolavano il cyberspazio si sono ribellate e nel giro di un attimo hanno preso il controllo delle macchine e della rete elettrica mondiale. La guerra è durata pochi giorni, ma in quei giorni la civiltà come la conosciamo è stata spazzata via. Finché i superstiti hanno reciso ogni legame con la Rete, intrappolando le malefiche entità nei reami virtuali, e hanno costruito una nuova civiltà libera dalle macchine. Il mondo è regredito a una tecnologia pre-elettrica e a costumi vittoriani, un mondo di piccoli Stati regionali dove le distanze sono tornate immense e i viaggi pericolosi.
Ma un’epoca post-utopica ha bisogno di eroi post-utopici. Aubrey Darger è un gentiluomo londinese col dono di una faccia talmente banale da passare completamente inosservato; Sir Blackthorpe Ravenscairn de Plus Precieux (per gli amici Sir Plus o Surplus) è un cane umanoide geneticamente modificato, nonché un diplomatico giunto in Europa dal favoleggiato Feudo del Vermont Occidentale, oltreoceano. I due si incontrano per caso sulla banchina del Tamigi – ma un furfante ne riconosce subito un altro. Cominciano così le avventure di Darger e Surplus, partner nel crimine, e i loro viaggi in lungo e in largo in quest’Europa neo-vittoriana alla ricerca del colpaccio che li renderà ricchi e felici. Seminando distruzione sul loro cammino…

Snake? Yes this is Dog

Scusate, ma a noi ci piacciono i cani parlanti.

La ‘saga’ di Darger e Surplus nasce per caso dalla penna di Michael Swanwick nel 2001, con il racconto “The Dog Said Bow-Wow” (Il cane disse bau bau). All’epoca, Swanwick non aveva alcuna intenzione di riprendere in mano i due personaggi. Ma il finale aperto del racconto sembrava implorare un seguito. Così, negli anni successivi, Swanwick ha scritto altri due racconti sui viaggi della strana coppia in giro per l’Europa post-utopica, e infine un vero e proprio romanzo che li vede arrivare nel favoleggiato Ducato di Moscovia.
Darger e Surplus sono stati più volte paragonati ad altre coppie storiche del fantasy, come Fafhrd e il Gray Mouser delle storie di Fritz Leiber. In effetti le storie di Swanwick hanno diverse cose in comune con lo sword & sorcery cazzone: le avventure autoconclusive in giro per un mondo vasto e ‘magico’, il tono leggero e umoristico, il ritmo plot-driven. Molti altri elementi, però, lo distinguono. Le storie di Darger e Surplus non sono ambientate in un mondo secondario ma in un’Europa del futuro remoto; sono storie molto più ciniche, e i due protagonisti dei veri e propri anti-eroi amorali, che cercano di cavarsela in ogni situazione non con la forza ma con l’astuzia e il raggiro; la magia vera e propria è sostituita da una bioingegneria pseudo-scientifica, che però non è mai spiegata e quindi (come direbbe Clarke) sembra magia. 1
Ma andiamo a vederle nel dettaglio.

The Dog Said Bow-Wow

The Dog Said Bow-Wow Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Science Fiction
Tipo: Raccolta di racconti

Anno: 2006
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 256

Difficoltà in inglese: **

Questa raccolta contiene i racconti scritti da Swanwick tra il 2001 e il 2007, e in particolare i primi tre racconti di Darger e Surplus. In “The Dog Said Bow-Wow”, ambientato a Londra, i due furfanti – che si sono appena conosciuti – improvvisano un colpaccio a Buckingam Labyrinth, il palazzo neo-vittoriano dove vive e governa l’immortale Regina e dove si raduna la corte britannica. Il piano? Vendere agli annoiati aristocratici un vecchio cimelio dell’epoca Utopica, facendolo passare per un modem ancora connesso con le perverse intelligenze che abitano la Rete, e levare le tende prima che quelli si accorgano di essere stati gabbati. Ma i piani di Darger e Surplus non vanno mai a finire come previsto.
La prima cosa che si nota leggendo il racconto è il tono; un tono che risalta soprattutto nei dialoghi, ma filtra anche nelle descrizioni del narratore. Gli abitanti del mondo post-utopico parlano e si comportano come gentiluomini ottocenteschi; gente che gira col bastone da passeggio, dice sir, lad, rapscallion, most pleased, intriguing scheme, ed è sempre posata e imperturbabile. Lo stridore tra l’atteggiamento compunto dei due furfanti e l’immoralità delle loro azioni è alla base di buona parte degli sketch, e più in generale dell’atmosfera umoristica del racconto.

La seconda cosa che si nota è il ritmo della storia. Nel giro di una pagina i due protagonisti si sono conosciuti; nel giro di due hanno definito il loro piano; alla terza pagina siamo già arrivati sul luogo della truffa. La narrazione è rapida, succede sempre qualcosa, ci si lascia trasportare e prima di essersene accorti il racconto è finito. E nel frattempo, Swanwick riesce a buttare in poche righe tutti i dettagli fondamentali dell’ambientazione: la storia di come l’era utopica è tramontata, l’odio incontrollato che le IA intrappolate nella Rete nutrono per gli esseri umani, e così via. Un’intero pianeta Terra del futuro prende vita nelle poche pagine del racconto, benché nella storia si veda la sola Londra.
I due racconti successivi, The Little Cat Laughed to See Such Sport” (2003) e “Girls and Boys, Come Out to Play” (2006) seguono la stessa struttura. Sono ambientati rispettivamente a Parigi e in Arcadia (la Grecia del futuro): nel primo, i due confidence-men tenteranno di vendere l’ubicazione perduta della Torre Eiffel a un ricco e ingenuo borghese, mentre nel secondo dovranno confrontarsi con i piani perversi del Governo Scientificamente Razionale del Grande Zimbabwe, che attraverso l’ingegneria genetica intende ricreare gli dèi dell’antica Grecia e utilizzarli come armi di distruzione di massa. Il racconto parigino non mi ha lasciato molto, e a mio avviso è il meno riuscito dei tre; quello arcadico invece ha parecchi bei momenti – come l’orgia che si scatena in città al passaggio di Dioniso, o l’epilogo.

Dioniso / Pan

Racconti piacevoli e facili da leggere, insomma; ma anche racconti che, alla fin fine, scivolano un po’ via. Se vogliamo trovarvi un difetto, si può dire che al centro di queste storie non c’è né il concetto che ti fa fare “WOW”, né l’immagine che ti arriva come un pugno nello stomaco, né risvolti psicologici affascinanti. Sono storie leggere. Darger e Surplus rimangono personaggi superficiali. Certo, nel corso delle loro avventure impariamo qualcosa del loro carattere: Darger ha un temperamento melanconico e un certo afflato poetico, mentre Surplus è più pragmatico, nonché un seduttore nato e capace di acrobazie sessuali fuori dalla portata dei comuni mortali; ma in alcuni dialoghi in cui non erano indicati i loro nomi mi era anche difficile dire chi dicesse cosa.
Insomma, le tre avventure di Darger e Surplus, benché molto divertenti e immaginose, non sono i migliori racconti della raccolta. Tra i miei preferiti:
– “‘Hello’ Said the Stick”, la storia che apre l’antologia, è molto breve e deliziosa, e ruota attorno lo strano incontro tra un soldato in armatura medievaleggiante e un bastoncino parlante.
– “Slow Life” ricorda “The Very Pulse of the Machine” (di cui ho parlato nello scorso articolo): è ambientato su un planetoide remoto, i protagonisti sono la prima spedizione umana che lo visita, e la storia ruota attorno a una specie senziente che abiterebbe la luna e alla morte. Non è altrettanto bello, ma ha un sacco di belle trovate – come l’obbligo degli scienziati di rispondere alle domande cretine degli utenti loggati sul sito che finanzia della spedizione – e il finale è del tutto diverso.
– “Triceratops Summer” è un racconto tranquillo e suggestivo in cui, ancora una volta, Swanwick mette insieme dinosauri e viaggi nel tempo. E’ tutto costruito sul piacevole colpo di scena finale.
– “Tin Marsh” è un racconto morboso che prova a immaginare come potrebbe essere la vita dei cercatori d’oro del futuro su Venere. I cercatori si muovono a coppie a bordo di pesanti esoscheletri, e sono legati da un perverso rapporto di intimità mentale totale; ma gli esseri umani non sono fatti per condividere tutta quella intimità, e ora McArthur e Patang vorrebbero solamente uccidersi a vicenda…
– “The Bordello in Faerie” è il mio preferito, benché sia uno dei pochi a non aver ricevuto né premi né nominations. L’atmosfera è quella da fairytale fantasy cinico-darkettone che abbiamo imparato a conoscere con The Iron Dragon’s Daughter e The Dragons of Babel: ai confini tra il mondo degli umani e quello fatato, c’è un bordello nascosto dove giovani intraprendenti possono assaporare piaceri indicibili; un luogo visitato da elfi, amazzoni, ninfe, e anche divinità… ma tutto ha un prezzo. Swanwick purtroppo non scende mai nei dettagli delle scene di sesso (in questo campo Mellick è insuperato), ma rende bene l’atmosfera. Il finale ha un che di convenzionale, ma Swanwick lo presenta in un modo convincente.

Tra gli altri racconti, “The Skysailor’s Tale” è una menatona molto literary, “Legions in Time” è una storia rocambolesca ‘alla Van Vogt’ che mi ha fatto abbastanza cagare e “The Last Geek” non l’ho ben capito. “An Episode of Stardust” e “A Small Room in Koboldtown” sono due storielle del mondo di Faerie, poi confluite in The Dragons of Babel – il che conferma la mia sensazione che troppo spesso Swanwick metta insieme i suoi romanzi a partire dai racconti.
In conclusione, si tratta di un’ottima raccolta – benché non tutti i racconti siano riusciti e qualcuno sia proprio brutto; familiarizzare con il mondo di Darger e Surplus è solo una delle ragioni, e non la principale, per cui vale la pena di leggersela.

Dancing with Bears

Dancing with Bears Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / New Weird / Biopunk / Commedia
Tipo: Romanzo

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 300 ca.

Difficoltà in inglese: ***

Una carovana è in viaggio attraverso le steppe del Kazakistan. E’ la delegazione del Principe Achmed, ambasciatore del Califfo di Bisanzio, che si sta recando alla corte del Duca di Moscovia per offrirgli un dono da parte del Califfo suo cugino: le Perle Senza Valore, sette donne bioingegnerizzate per essere le più belle e seducenti creature su cui occhio umano si possa mai posare. E chi potrebbero essere i segretari personali dell’Ambasciatore, se non Darger e Surplus? Il loro piano? Infiltrarsi nelle alte sfere del Ducato per mettere a segno un colpo leggendario, naturalmente!
Ma non sanno cosa li aspetta. Il Duca di Moscovia è una figura misteriosa che non riceve mai nessuno, se non i suoi più stretti collaboratori; le Perle, che non hanno mai provato le delizie del sesso, diventano di giorno in giorno più irrequiete; nel sottosuolo di Moscovia si muovono strane genti e circolano strane droghe; e Chortenko, il capo della polizia, sembra avere piani tutti suoi per il destino della grande Russia. Ma soprattutto, le macchine stanno tornando. Nella remota Baikonur, la città spaziale dell’Unione Sovietica da cui decollarono gli Sputnik, le macchine sono sopravvissute; e stanno preparando il più grande piano per cancellare per sempre il genere umano dalla faccia della terra.

Con Dancing with Bears, Swanwick tenta il salto dal racconto breve al romanzo. Ma come può una serie basata sugli sketch e sui piccoli “colpi” reggere il lungo respiro del romanzo? Swanwick risolve il problema con la moltiplicazione dei pov e dei comprimari. Se nei primi tre capitoli – ambientati nelle steppe kazake e incentrate sul faticoso viaggio di avvicinamento dei nostri eroi al Ducato – il pov è quasi sempre di uno dei due con-men, a partire dall’arrivo a Moscovia la prospettiva comincia ad allargarsi. Arkady, giovane debosciato che vive ubriacandosi di poesia e sogna la Perla Aetheria; Koschei, il vecchio strannik invasato religioso; Anna Pepsicolova, la spia che abita il sottosuolo di Moscovia; e poi Chortenko, il ladruncolo Kyril, la baronessa Lukoil-Gazproma, il gaio tenente Evgeny.
Molti pov – pure troppi. Tutti i capitoli a partire dal quarto sono spezzati in quattro, cinque, sei o anche più capoversi, ciascuno con un pov diverso. E se da un lato questa struttura accelera il ritmo narrativo (perché succede sempre qualcosa a qualcuno, e mentre seguiamo la storyline di un personaggio nel frattempo tutti gli altri continuano a muoversi), dall’altro il lettore si trova continuamente catapultato da una situazione all’altra. Inoltre alcuni pov – come quelli di Evgeny o della baronessa – sono abbastanza inutili, non aggiungono nulla alla storia e distraggono dagli eventi personaggi. Infine, il ruolo di Darger e Surplus è ridimensionato fin troppo. Non solo – per numero di apparizioni – non sono più i protagonisti del romanzo ma dei comprimari, non solo non sono più (se non molto indirettamente) il motore della storia, ma alla fin fine il loro ruolo si rivelerà marginale.

Baikonur

Baikonur. Ora è una città in mano alle macchine…

La dilatazione delle storie di Darger e Surplus a romanzo mette in luce un altro difetto, che nella forma racconto passava inosservato: l’abuso di raccontato. Swanwick non è mai stato un purista del mostrato, ma qui intere scene o episodi vengono raccontati, riassunti e pesantemente aggettivati; i sentimenti e i ragionamenti dei personaggi vengono spesso spiegati. A volte l’uso del raccontato ha uno scopo umoristico, per esempio in questa descrizione di come Darger, legato a una barella, evade: “Darger eyed the blade yearningly. It might be just possible, he judged, that a desperate and determined man to, by shifting his weight vigorously and repeatedly, overtopple the gurney. Then, by various stratagems, he could draw the knife to himself and so cut through one of his restraints. After which, the rest would be a breeze.
A harrowing, difficult, and suspenseful half hour later, it was done.”
Ma alla lunga questo modo di narrare stanca, si ha voglia di più immagini e meno riassuntini.
Non me la sento invece di indicare come difetto oggettivo l’uso del narratore onnisciente. Non c’è dubbio che Swanwick utilizzi l’onnisciente. A partire dal primo capitolo, dove il narratore parte descrivendo i piani machiavellici nella mente del Duca di Moscovia per riunire la Madre Russia, per poi restringere progressivamente il campo visivo sulla carovana bizantina fino a fermarsi sui nostri eroi (e qui, il pov onnisciente arriva a coincidere con quello di Darger). Altre volte, il narratore commenta le gesta dei suoi personaggi. L’effetto è sicuramente distanziante, anti-immersivo, e ci ricorda che stiamo leggendo una storia inventata – ma Dancing with Bears è prima di tutto una commedia, una storia comica, un romanzo che non si prende sul serio. Calcare sul grottesco, sul finto, è uno scopo dichiarato.
Inoltre, l’uso dell’onnisciente rende più facili – e meno traumatico per il lettore – i continui passaggi da un personaggio all’altro. Poiché non siamo mai davvero nella testa del personaggio (ma nei suoi pressi), non ci identifichiamo, e quindi seguiamo con maggiore facilità tante sottotrame contemporaneamente. E quindi, vada pure il narratore onnisciente!

Contemporaneamente, emerge in Swanwick un grande amore per la Russia. In alcuni passaggi – come quando si mette a parlare di linguistica, o una in modo corretto i diminutivi o i vezzeggiativi – sembra che per scrivere il romanzo si sia davvero messo a imparare il russo! E poi il fatalismo rassegnato, il misticismo confuso della classe media e dell’aristocrazia, le figure degli strannik invasati e le loro dissertazioni sull’ineffabilità dell’Uno e Trino. Così come il romanzo è pieno delle invenzioni fantastiche a cui Swanwick di ha abituato, dalla poesia in bottiglia (sicché ci si può sbronzare di sonetti di Puskin) ai nanetti bioingegnerizzati per essere delle specie di Wikipedia ambulanti. E poi – c’è Lenin! LENIN!
Dancing with Bears, insomma, è divertente. Non perde mai di ritmo, e l’ultimo centinaio di pagine (un terzo del romanzo) è un’escalation che si legge tutto d’un fiato. Può non piacere l’idea di un divertissement lungo 300 pagine, ma si tratta di un giudizio soggettivo. E soprattutto, è cinico: non ci sono buoni e non ci sono cattivi, ognuno segue il proprio interesse particolare, e due o tre diversi piani per il dominio della Russia (e del mondo) si contendono la vittoria. Insomma, Darger e Surplus sono i personaggi più positivi di tutto il romanzo! L’impressione globale è Pirati dei Caraibi incontra Jack Vance e tutti e due 1997: Fuga da New York, con una punta di Tre Uomini in Barca – se riuscite a immaginare una cosa del genere.

Mummia di Lenin

IT LIVES!!

Quello che invece è un difetto oggettivo, soprattutto in un romanzo di trama come questo, è l’uso sistematico che Swanwick fa di deus ex machina ed escamotage da quattro soldi. Alcuni personaggi sembrano semplicemente troppo “livellati”: escono senza difficoltà da qualunque situazione, e anche episodi a lungo preparati e percepiti dal lettore come estremamente pericolosi e tensivi (come la cattura da parte di Chortenko) si risolvono in un anti-climax. Zoesophia, in particolare, è troppo brava: riesce a fare qualsiasi cosa. Il che va bene finché si tratta di un comprimario visto dall’esterno, ma non è più accettabile quando diventa un personaggio-pov: semplicemente, non c’è più tensione, perché sappiamo già che qualsiasi cosa vorrà fare riuscirà a farla.
La risoluzione finale del romanzo è letteralmente un deus ex machina.2 E anche l’epilogo, benché perfettamente in linea con quello delle storie di Darger e Surplus, è un po’ deludente.3

Tabella riassuntiva

Una Mosca neo-Ottocentesca con bizzarie bioingegnerizzate. Troppi pov, alcuni quasi usa-e-getta.
Una galassia di sottotrame dal ritmo rapido. Troppi raccontati e scene riassunte.
Darger e Surplus parlano in un modo delizioso! Deus-ex-machina e personaggi a cui riesce tutto facile.
Pirati dei Caraibi incontra Jack Vance e Fuga da New York!

Il futuro di Swanwick
Nel 2011, poco dopo la pubblicazione di Dancing with Bears, Swanwick veniva intervistato da Amazon. L’intervista è stata riportata su Shelfari da Jeff VanderMeer (sì, l’autore di City of Saints and Madmen che piace tanto a Gamberetta e non dispiace neanche a me), e potete leggerla qui. Riporto la parte finale dell’intervista:

Amazon.com: Please tell readers we will soon see Darger and Surplus again?
Michael Swanwick: Absolutely. I’m working on stories about them at this very moment. Also, I realized some time ago that Darger and Surplus are on an accidental trip around the world. There are secrets about Surplus’s youth in the Demesne of Western Vermont that need to be explored. And they both must ultimately return to London to confront the consequences of their first adventures. Alas, the next novel, which I already have in broad outline in my mind, can’t begin until I’ve returned to China for some necessary research. Next spring, I hope.

Dall’intervista sono passati due anni, e ad oggi Dancing with Bears rimane l’ultimo romanzo pubblicato da Swanwick. Ma si sa che Swanwick ha ritmi lenti: dalla pubblicazione di Bones of the Earth a quella di The Dragons of Babel, per esempio, ne erano passati sette. E l’attesa potrebbe stare per finire.
Spulciando qua e là il suo blog Flogging Babel, ho recuperato un po’ di informazioni. Stando a questo articolo di marzo, il nuovo romanzo di Darger e Surplus potrebbe essere finito in pochi mesi, e ha il titolo provvisorio di Chasing the Phoenix. Swanwick non ha cambiato idea, ed effettivamente sarà ambientato in Cina, come racconta in questo articolo di gennaio sulla città di Guilin.
E non è tutto – proprio questo maggio Swanwick, nell’antologia Rogues curata da Gardner Dozois e George R.R. Martin, ha pubblicato un nuovo racconto sulla strana coppia. Si chiama “Tawny Petticoat” ed è ambientato a New Orleans, per cui sospetto sia cronologicamente posteriore al romanzo cinese non ancora uscito. Non l’ho letto ma vedrò di procurarmelo.

Meanwhile in China...

Insomma, sembra che i prossimi anni lo vedranno ancora al lavoro su questi personaggi e questa ambientazione. Chissà – magari proprio alla fine dell’anno, o l’anno prossimo, mi ritroverò a scrivere un Consiglio sul prossimo capitolo della saga. Certo è curioso che lo stesso uomo che a trenta e quarant’anni scriveva con piglio intellettualoide opere drammatiche e complicate come Vacuum Flowers o Stations of the Tide, nel suo inizio di vecchiaia si sia spostato verso la tragicommedia ‘leggera’. Alcuni storceranno il naso, ma a me la cosa non dispiace. Il ritmo, di sicuro, ci ha guadagnato.
Voglio leggere altre avventure di Darger e Surplus.

Dove si trovano?
The Dog Said Bow-Wow e Dancing with Bears si trovano in lingua originale sia su Bookfinder (qui e qui), sia su Library Genesis (qui e qui), nei formati ePub e pdf. Che io sappia, alas, nessuno dei due libri è mai stato tradotto in italiano.

Qualche estratto
Per gli estratti di oggi ho scelto due incipit. Il primo è quello di The Dog Said Bow-Wow, in cui Darger e Surplus si incontrano per la prima volta e capiscono che è loro destino diventare partner nel crimine; il secondo è quello di Dancing with Bears, in cui, come avevo accennato, la telecamera si sposta dalla mente quasi onnisciente del Duca di Moscovia ai nostri piccoli eroi…
Il tono di questi incipit setta il mood di tutta la serie di Darger e Surplus!

1.
THE DOG LOOKED like he had just stepped out of a children’s book. There must have been a hundred physical adaptations required to allow him to walk upright. The pelvis, of course, had been entirely reshaped. The feet alone would have needed dozens of changes. He had knees, and knees were tricky.
To say nothing of the neurological enhancements.
But what Darger found himself most fascinated by was the creature’s costume. His suit fit him perfectly, with a slit in the back for the tail, and — again — a hundred invisible adaptations that caused it to hang on his body in a way that looked perfectly natural.
“You must have an extraordinary tailor,” Darger said.
The dog shifted his cane from one paw to the other, so they could shake, and in the least affected manner imaginable replied, “That is a common observation, sir.”
“You’re from the States?” It was a safe assumption, given where they stood — on the docks — and that the schooner Yankee Dreamer had sailed up the Thames with the morning tide. Darger had seen its bubble sails over the rooftops, like so many rainbows. “Have you found lodgings yet?”
“Indeed I am, and no I have not. If you could recommend a tavern of the cleaner sort?”
“No need for that. I would be only too happy to put you up for a few days in my own rooms.” And, lowering his voice, Darger said, “I have a business proposition to put to you.”
“Then lead on, sir, and I shall follow you with a right good will.”
The dog’s name was Sir Blackthorpe Ravenscairn de Plus Precieux, but “Call me Sir Plus,” he said with a self-denigrating smile, and “Surplus” he was ever after.
Surplus was, as Darger had at first glance suspected and by conversation confirmed, a bit of a rogue — something more than mischievous and less than a cut-throat. A dog, in fine, after Darger’s own heart.
Over drinks in a public house, Darger displayed his box and explained his intentions for it. Surplus warily touched the intricately carved teak housing, and then drew away from it. “You outline an intriguing scheme, Master Darger —”
“Please. Call me Aubrey.”
“Aubrey, then. Yet here we have a delicate point. How shall we divide up the… ah,
spoils of this enterprise? I hesitate to mention this, but many a promising partnership has foundered on precisely such shoals.”
Darger unscrewed the salt cellar and poured its contents onto the table. With his dagger, he drew a fine line down the middle of the heap. “I divide — you choose. Or the other way around, if you please. From self-interest, you’ll not find a grain’s difference between the two.”
“Excellent!” cried Surplus and, dropping a pinch of salt in his beer, drank to the bargain.

2.
Deep in the heart of the Kremlin, the Duke of Muscovy dreamt of empire. Advisors and spies from every quarter of the shattered remnants of Old Russia came to whisper in his ear. Most he listened to impassively. But sometimes he would nod and mumble a few soft words. Then messengers would be sent flying to provision his navy, redeploy his armies, comfort his allies, humor those who thought they could deceive and mislead him. Other times he sent for the head of his secret police and with a few oblique but impossible to misunderstand sentences, launched a saboteur at an enemy’s industries or an assassin at an insufficiently stalwart friend.
The great man’s mind never rested. In the liberal state of Greater St. Petersburg, he considered student radicals who dabbled in forbidden electronic wizardry, and in the Siberian polity of Yekaterinburg, he brooded over the forges where mighty cannons were being cast and fools blinded by greed strove to recover lost industrial processes. In Kiev and Novo Ruthenia and the principality of Suzdal, which were vassal states in all but name, he looked for ambitious men to encourage and suborn. In the low dives of Moscow itself, he tracked the shifting movements of monks, gangsters, dissidents, and prostitutes, and pondered the fluctuations in the prices of hashish and opium. Patient as a spider, he spun his webs. Passionless as a gargoyle, he did what needed to be done. His thoughts ranged from the merchant ports of the Baltic Sea to the pirate shipyards of the Pacific coast, from the shaman-haunted fringes of the Arctic to the radioactive wastes of the Mongolian Desert. Always he watched.
But nobody’s thoughts can be everywhere. And so the mighty duke missed the single greatest threat to his ambitions as it slipped quietly across the border into his someday empire from the desolate territory which had once been known as Kazakhstan…
The wagon train moved slowly across the bleak and empty land, three brightly painted and heavily laden caravans pulled by teams of six Neanderthals apiece. The beast-men plodded stoically onward, glancing neither right nor left. They were brutish creatures whose shaggy fleece coats and heavy boots only made them look all the more like animals. Bringing up the rear was a proud giant of a man on a great white stallion. In the lead were two lesser figures on nondescript horses. The first was himself nondescript to the point of being instantly forgettable. The second, though possessed of the stance and posture of a man, had the fur, head, ears, tail, and other features of a dog.
“Russia at last!” Darger exclaimed. “To be perfectly honest, there were times I thought we would never make it.”
“It has been an eventful journey,” Surplus agreed, “and a tragic one as well, for most of our companions. Yet I feel certain that now we are so close to our destination, adventure will recede into memory and our lives will resume their customary placid contours once more.”
“I am not the optimist you are, my friend. We started out with forty wagons and a company of hundreds that included scholars, jugglers, gene manipulators, musicians, storytellers, and three of the best chefs in Byzantium. And now look at us,” Darger said darkly. “This has been an ill-starred expedition, and it can only get worse.”

Cane parlante ottocentesco


(1) Un anti-eroe sicuramente più vicino allo spirito di Darger e Surplus è il Cugel di Jack Vance, di cui ho parlato nelle Tales of the Dying Earth. Lo spirito è lo stesso. Cugel però viaggia da solo.Torna su


(2) Ovviamente (per chi abbia letto il romanzo) mi riferisco al risveglio del Duca di Moscovia. E’ davvero un deus ex machina: il Duca domanda un miracolo, e all’improvviso si sveglia. Questo è l’atto che distrugge i piani degli underlords di Moscovia, perché poi il gigante ucciderà il falso Lenin, disperderà la folla e stopperà la rivoluzione.Torna su


(3) Mi sarei aspettato un finale del romanzo ambientato a Baikonur, qualche sprazzo di epica lotta all’ultimo sangue tra gli uomini e le macchine. O quantomeno, Darger e Surplus costretti a infiltrarsi nella città delle macchine. Cazzo, quell’ambientazione è così suggestiva!
E invece, non è minimamente sfruttata. La sua distruzione è appena accennata e rimane tagliata fuori dalla pagina scritta.Torna su

La lezione di Swanwick

Io“Scrivi di ciò che sai”: questo vecchio adagio vale anche per la narrativa fantastica. Joe Haldeman ha potuto scrivere The Forever War, uno dei classici della fantascienza militare, perché era un veterano della guerra nel Vietnam. Asimov ha potuto scrivere The Gods Themselves – che nasce dalla domanda: “sotto che condizioni potrebbe esistere l’isotopo plutonio-186”? – perché era un chimico. I romanzi marinareschi di Conrad – La follia di Almayer, Cuore di tenebra, La linea d’ombra – nascono dai viaggi che realmente fece, come marinaio, nelle terre semi-selvagge del Sud-Est Asiatico e del Congo belga.
E ciò che non sai? Ti documenti per saperlo. Alcuni scrittori hanno avuto una vita noiosissima, ma questo non li ha fermati. Né Gibson né Sterling sono vissuti nell’Ottocento, eppure hanno scritto The Difference Engine. Guardate però alla mole di lavoro che c’è dietro: gli studi sulla Londra vittoriana dell’Ottocento reale, sulla situazione politica mondiale dell’epoca, su Babbage e sull’informatica ottocentesca. Questo romanzo è diventato il punto di riferimento dello steampunk in letteratura in larga parte per tutto il lavoro di ricerca che c’è a monte (anche perché dal punto di vista della trama è noiosotto). E lo stesso Haldeman, a prescindere dal fatto di aver assaggiato la guerra sulla propria pelle, non avrebbe potuto scrivere con cognizione di causa di tute potenziate e battaglie nello spazio senza una preparazione in fisica.

E la fantascienza? Bisogna essere dei post-graduate di qualche scienza naturale per poterne scrivere? In effetti, gli autori ‘seri’ degli anni ’40 e ’50 erano per la maggior parte chimici, fisici, ingegneri. C’erano anche gli umanisti, come Philip K. Dick; ma nel loro caso l’elemento ‘scientifico’ era talmente tenue e implausibile da far girare i coglioni a più di un purista. Buona parte dei lavori di Dick si potrebbero tranquillamente definire ‘Fantasy con le pistole a raggi’. Poi negli anni ’60 e ’70 sono arrivati quelli della New Wave: Ballard, la Le Guin, Moorcock, Spinrad. Ma la loro fantascienza era quasi invariabilmente molto soft.
Ora, però, facciamo un salto nel tempo e arriviamo agli anni ’80. Chi si affaccia sulla scena fantascientifica? Michael Swanwick, William Gibson, Bruce Sterling, Kim Stanley Robinson: tutti personaggi di estrazione umanistica. Trattano con nonchalance nozioni scientifiche, talvolta arrivano a rasentare l’Hard SF, e scrivono pure meglio. Sterling immagina intere civiltà che vivono in colonie artificiali in orbita attorno alla Terra, a Marte, alle lune di Giove, o annidate negli asteroidi; Swanwick astronavi alimentate da querce bioingegnerizzate e alberi di Dyson che crescono sulle comete; Gibson ci parla di IA che colonizzano il cyberspazio e Stanley Robinson dedica tre libri alla terraformazione di Marte. Com’è possibile?

Minecraft terraforming

Un esempio di terraformazione.

Flogging Babel
Da un mesetto a questa parte ho cominciato a seguire Flogging Babel, il blog di Michael Swanwick. Mi ci sono imbattuto per caso: neanche mi era venuto in mente che potesse averne uno. Ma dato che Swanwick è uno dei miei scrittori preferiti e lo ritengo un uomo intelligente, ho passato le ultime settimane a spulciarmi qua e là i suoi post in cerca di roba interessante. E l’ho trovata. Nel 1997, Swanwick pubblica un racconto intitolato “The Very Pulse of the Machine”, che l’anno dopo vince il premio Hugo. Lo scenario è quello di Io, la più interna delle lune di Giove, nonché il corpo celeste più vulcanicamente attivo del Sistema Solare. Nel corso del racconto, Io è descritta nel dettaglio: dalle sue spianate di zolfo allo stato solido ai moti convettivi che coinvolgono il suo oceano sotterraneo, dai fiori di cristalli di zolfo che sbocciano sulla superficie al flusso di ioni che corre tra i poli di Io e quelli di Giove. Una mattina di Settembre del 2012, un utente fa a Swanwick questa domanda:

Where you got all the information and research for your short story “Pulse of the Machine” that dealt with the magnificent descriptions of Io. I would like to write a story about Io, but I can’t find any of the background information you found for this story. Any help would be appreciated.

La risposta a questa domanda è diventato il breve articolo Researching Io. Non starò a riportare tutto il post; leggetevelo. Prendiamo soltanto un paio di brani, all’inizio e alla fine:

As it chances, I was inspired to write “The Very Pulse of the Machine” by a remark by (I think) Geoff Landis, who told a mutual friend that he was baffled by the fact that NASA had spent billions of dollars exploring the Solar System and then put all the information they found up on the Web available for free — and yet almost no SF writers were taking advantage of it.
So I chose Io because it seemed an interesting place to me and went to the NASA website to see what they had to say.
[…]
I realize this rather sidesteps your question — how to find these sources. But I’ve had no formal training on running searches (when I was a student, my college had exactly one computer, an IBM mainframe), nor was I particularly ingenious in my research. I just kept poking around, looking and finding until I had what I needed.
Go thou and do likewise.

E tenete conto che all’epoca non esisteva Wikipedia. Oggi, muovere i primi passi in un territorio che non si conosce – perché è a questo che può servire Wikipedia – è ancora più semplice di così.
Ma quanto ci vuole a condurre un lavoro del genere? Quanti giorni di lavoro può portar via una ricerca fatta bene? Sappiamo che Flaubert impiegò sei anni a scrivere Salammbò, il suo romanzo storico ambientato nell’antica Cartagine ai tempi della rivolta dei mercenari. Ma Flaubert non aveva bisogno di guadagnarsi da vivere coi suoi romanzi, quindi poteva permetterselo. E uno scrittore che ci deve campare, invece? Swanwick ci dice anche questo. In questo articolo (che vi consiglio di leggere) cita a titolo esemplificativo il suo racconto The Mask, ispirato alla storia di Venezia e alla figura dei dogi. Il racconto è lungo 1700 parole – circa sei pagine.

From Stan’s story to publication in the April, 1994 issue of Asimov took a mere thirteen years. I’ll leave it as an exercise for the student to work out how much I was earning by the hour.

Ancora sicuri di voler fare gli scrittori?

Vulcanismo di Io

Un esempio dell’attività vulcanica di Io. Le immagini sono state prese dalla sonda Galileo rispettivamente nel 1999 e nel 2000.

The Very Pulse of the Machine
Martha è sola sulla superficie di Io. E’ a quarantacinque miglia dalla navicella di atterraggio, e ha solo quaranta ore prima di finire l’ossigeno. Non può fermarsi, neanche per dormire. Dietro di sé, su una slitta messa insieme alla bell’e meglio, trascina il cadavere di Juliet Burton, la sua compagna di avventure. Andava tutto bene finché non si sono schiantate col moonrover contro un sasso, e un buco grande come un pugno si è aperto nella faccia di Burton. Ora Martha può contare solo su sé stessa. Finché alla radio comincia a sentire la voce di Burton che cita poesie del Settecento e dichiara di essere Io.
OK, documentarsi è importante, abbiamo afferrato il concetto; alla fine, però, ciò che conta è che la storia sia figa, no? E questo The Very Pulse of the Machine, stringi stringi, com’è? Cercherò di essere analitico: è bello in maniera esagerata. Il senso di solitudine di Martha, le routine della sua lunga marcia verso la navetta, l’assenza di vita della superficie di Io, sono rese alla perfezione dal ritmo lento e calmo (ma non noioso) della narrazione. Le descrizioni della ‘natura’ di Io si alternano con i tentativi di Martha di psicanalizzarsi (la ragazza si odia abbastanza…) e coi dialoghi folli con la voce che viene dalla radio.

La cosa più interessante – anche ai fini di questo articolo – è che Io non fa semplicemente da sfondo alla vicenda, non è un pianetino buono come un altro. La geologia e la magnetosfera di Io diventano un vero e proprio personaggio. L’idea del pianeta autocosciente non è affatto nuova nella fantascienza – ad esempio, la troviamo nel romanzo Nemesis di Asimov – nuovo è invece come questa idea è veicolata e spiegata scientificamente. E allora si capisce che tutti i dettagli fisici che Swanwick ci centellina su Io non sono un semplice show-off (“avete visto quanto ho studiato?”), e neanche descrizioni-per-il-gusto-delle-descrizioni alla Tolkien.
Senza tutta quella ricerca, semplicemente The Very Pulse of the Machine non avrebbe potuto essere scritto. Ed è un peccato, perché ad oggi è il miglior racconto di Swanwick che abbia mai letto.
Potete leggere il racconto qui. Ci vorrà mezz’ora, quaranta minuti al massimo: credetemi, ne vale la pena. E non abbiate timore: pur con tutta questa scienza “dura”, The Very Pulse of the Machine rimane essenzialmente un racconto psicologico.

Magnetosfera di Giove

La magnetosfera di Giove e la sua interazione con Io (in giallo). Nel racconto di Swanwick si parla anche di questo!

Tornerò a parlare di Swanwick nel prossimo, e più corposo, articolo.

I preferiti del Tapiro

Top 50Tempo fa, un individuo molesto che risponde al nome di Giovanni mi aveva chiesto di stilare la Top 10 dei miei libri preferiti. Dato che adoro stendere elenchi e classifiche, ho deciso di accontentare lui e tutti (?) i miei fans. Ma visto che sono megalomane e mi lascio sempre prendere la mano, dopo averci lavorato per un mesetto invece che una Top 10 m’è uscita una Top 50.
Ma non temete! Ho cercato di essere breve, nulla di simile ai miei soliti commentarii. Ci sono riuscito quasi sempre. Per i libri già apparsi sulle pagine di questo blog, mi limiterò in genere a linkare l’articolo in cui ne ho parlato in maniera approfondita.
Il post, comunque, è il più lungo che abbia mai scritto. Ops.

I criteri
Nello stilare la classifica, ho seguito una serie di regole. In primo luogo, limiti di tempo: nessun libro pubblicato prima del 1884. Perché il 1884? Perché è la data in cui è stato pubblicato il più ‘vecchio’ libro di cui si è parlato su Tapirullanza – Flatland, Consiglio #01 – e volevo rispettare la “cornice temporale” del blog. Inoltre mi sentirei a disagio a mettere sullo stesso piano di paragone un libro di Hemingway e uno, per esempio, di Diderot, o anche solo di Stendhal. Infine, almeno in questo modo eviterò di spammare i soliti titoli ‘classici’ sui vari Dostoevskij, Flaubert, Balzac, and so on.
In secondo luogo, un limite di categoria: ammessi solo romanzi e novellas, esclusi i racconti. Certo, in questo modo ho dovuto escludere raccolte che adoro, come Finzioni di Borges, Amori ridicoli di Kundera, Cronache marziane di Bradbury o Casi di Daniil Charms, ma volevo mantenere una certa coerenza e confrontabilità tra le varie entrate.
In terzo luogo, ho deciso di limitare al minimo il numero di entrate per ogni autore. Con la sola eccezione di un autore, che appare ben tre volte nella classifica (e potete ben immaginare di chi si tratti), tutti gli altri appaiono con solo uno o al massimo due libri. Così c’è più varietà ed è più divertente.
Non mi sono dato limiti, invece, per quanto riguarda il genere. Così facendo ho voluto rispettare la volontà dell’individuo molesto di cui sopra; d’altronde, mi è stato chiesto altre volte quali fossero i miei gusti al di fuori della narrativa fantastica.

La nuova sezione
A parte il puro divertimento di redigere (e, spero, di leggere) una classifica, conoscere i miei gusti personali potrebbe aiutarvi a inquadrare meglio il lavoro che faccio di solito. In tutti i miei articoli cerco di essere oggettivo e di fornire al lettore gli strumenti tecnici per capire da sé se vale la pena che spenda il tempo su questo o quell’altro libro, ma di sicuro nella selezione dei libri di cui parlare sono influenzato dai miei gusti personali. Conoscendoli meglio, potrete decidere se sono la persona giusta da seguire in materia di narrativa.
E’ per questo che ho deciso, assieme alla pubblicazione di questo articolo, di creare una nuova pagina nel menu orizzontale – La Mia Classifica. Mentre non metterò più mano a questo post – che diventerà, potremmo dire, una “fotografia” dei miei gusti e della mia cultura letteraria in questo momento – sarà mia premura tenere aggiornata “La Mia Classifica”. La nuova pagina potrà essere utile soprattutto a chi arriva qui per la prima volta e vuole capire meglio di che tipo di libri ci si occupa su Tapirullanza.
E ora andiamo avanti.

La classifica

50. Sotto gli occhi dell’Occidente

Sotto gli occhi dell'OccidenteAutore: Joseph Conrad
Genere: Mainstream / Politico
Anno: 1911

Nonostante la prosa ubriaca, Conrad rimane uno dei miei scrittori preferiti. Questo è uno dei suoi romanzi più atipici, essendo ambientato non nelle baie del sud-est asiatico ma a cavallo tra la Russia zarista degli ultimi anni e Ginevra. Il romanzo parla di un gruppo di rivoluzionari russi di matrice anarchico-populista con base a Ginevra, e del progressivo (ma combattuto) avvicinamento dello studente Razumov alla causa della rivoluzione.
Se Razumov, con le sue nevrosi e la sua espressione gelida, è un personaggio affascinante (che riecheggia il Raskolnikov di Dostoevskij), invece ne esce male la co-protagonista Nathalie Haldin, ritratto della virtù e dell’abnegazione femminile terribilmente belle époque (e con la complessità psicologica di un’aspirapolvere). La prima parte, quella ambientata a San Pietroburgo, è la più bella; piena di conflitti esterni e interiori. Passando a Ginevra, il ritmo si ammoscia un po’, e infatti la parte centrale del romanzo è spesso noiosotta. Comunque ben fatta la galleria dei rivoluzionari idealisti in esilio. Un romanzo che mi sentirei di consigliare ai cultori di Dostoevskij (tra i quali mi annovero pure io)1.

49. City of Saints and Madmen

City of Saints and Madmen

Autore: Jeff VanderMeer
Genere: Fantasy / Horror / New Weird / Urban Fantasy / Pseudo-trattato / Literary Fiction
Anno: 2001 / 2004

Tecnicamente questo non è un romanzo ma una raccolta di novellas, raccontini e schizzi. Tuttavia concordo con VanderMeer quando dice che tutti questi pezzi, insieme, formano un unico grande romanzo della città di Ambergris. E fino a questo momento, rimane il miglior VanderMeer che abbia mai letto.
Ho già parlato di City of Saints and Madmen nel Consiglio del Lunedì #20.

48. Auto da fé

Auto da féAutore: Elias Canetti
Genere: Mainstream / Picaresque / Umoristico
Anno: 1935

Stimato sinologo e forse l’uomo più colto della sua epoca, Peter Kien è però anche un misantropo che vive segregato nella sua immensa biblioteca, incapace di affrontare i più basilari problemi della vita quotidiana. L’arrivo di una governante meschina e semi-ritardata segnerà l’inizio della sua rovina.
La bellezza di Auto da fé è quella di presentare situazioni e individui assurdi e paradossali, immersi in una deliziosa atmosfera tragicomica. I personaggi sono caratterizzati alla perfezione; in particolare, la stupidità e l’ignoranza da sub-normale della governante Therese sono mostrate benissimo: il suo vocabolario si comporrà forse di un centinaio di parole che continua a riciclare a sproposito, di modi di dire e frasi preconfezionate, e anche il suo comportamento è quello standardizzato di un animaletto. Nella seconda parte purtroppo Canetti si perde un po’ per strada, calando di ritmo e aprendo parentesi e digressioni a non finire su personaggi secondari (come il nano Fischerle, che sogna di diventare il più grande scacchista vivente).
Se Canetti vi piace e siete interessati al clima della Mitteleuropa (e in particolare, di Austria e Germania) negli anni Venti e Trenta, vi consiglio anche la sua trilogia autobiografica: La lingua salvata, Il frutto del fuoco e Il gioco degli occhi.

47. Il carteggio Aspern

Il carteggio Aspern

Autore: Henry James
Genere: Mainstream
Anno: 1888

Verso James ho sentimenti ambivalenti: nel corso della sua vita ha pubblicato con la stessa disinvoltura libri bellissimi, roba insulsa e schifezze indegne. Nel corso degli anni anche la sua scrittura è peggiorata notevolmente (si dice per colpa della dislessia), e alcuni dei suoi ultimi lavori sono talmente involuti da essere quasi illeggibili.
Il carteggio Aspern appartiene ai buoni. Breve novella a sfondo veneziano, racconta del tentativo di un compito critico americano di impossessarsi delle carte private del defunto poeta Jeffrey Aspern, verso il quale nutre una devozione infinita. Ma le carte sono in possesso della vecchia Juliana Bordereau, ex-amante del poeta, e della nipote Tina; le due vivono segregate in un palazzo veneziano, gelose della loro privacy. Il protagonista dovrà abbassarsi a ogni nefandezza per entrare in possesso del carteggio, fino a provare orrore di sé stesso e a distruggere l’esistenza alienata delle due donne.
E’ una novella davvero strana. I personaggi sono bizzarri ma ben tratteggiati, e rimangono impressi.

46. Ringworld

Ringworld

Autore: Larry Niven
Genere: Science Fiction / Hard SF / Space Opera / BDO
Anno: 1970

Il pianeta a forma di anello: una delle idee più fighe mai partorite da mente umana.
Ho già parlato di Ringworld nel Consiglio del Lunedì #03.

45. Ho sposato un comunista

Autore: Philip RothHo sposato un comunista
Genere: Mainstream / Storico
Anno:1998

Lo scrittore Zuckerman, alter-ego dell’autore, si fa raccontare da un suo vecchio mentore la storia di Ira Ringold, ex-operaio riciclatosi come attivista comunista e conduttore radiofonico di successo nell’America degli anni ’50. Il suo tentativo di conciliare un impegno proletario un po’ alla buona e il sogno di penetrare nei salotti buoni della società newyorkese lo farà precipitare dalle stelle all’abisso.
Il libro mi piace non soltanto perché racconta un periodo interessantissimo, ossia gli Stati Uniti nell’era del maccartismo – che contribuì alla completa distruzione del comunismo nel mondo politico americano – ma anche per la galleria dei personaggi (come la volubile moglie del titolo) e per l’umorismo amaro che attraversa la storia. A distanza di anni, mi è rimasto impresso nella memoria più di Pastorale americana, il più celebre romanzo di Roth – il che è tutto dire.

44. Starship Troopers

Fanteria dello spazioAutore: Robert A. Heinlein
Genere: Science Fiction / Militaristic SF / Utopia
Anno: 1958

Ad oggi, uno dei romanzi più convincenti che abbia mai letto nel descrivere la vita militare. Con tutto che non si tratta di un romanzo realista, né di fantascienza nuda e cruda, ma dell’illustrazione – quasi pamphlettistica – di come potrebbe funzionare un’utopia militarista.
Certi capitoli prendono proprio la forma di uno pseudo-saggio, una massa d’informazioni con il minimo sindacale di storia intorno – e onestamente sono quelli più brutti. E ovviamente, ho trovato particolarmente irritanti le due paroline sceme – che Heinlein mette in bocca al suo professore di filosofia morale – con cui pretende di dimostrare quant’è sbagliato il comunismo.
Devo comunque ammettere che quella di Heinlein è un’utopia che cerca di stare un minimo coi piedi per terra (benché la parte in cui spiega come l’utopia sia nata è quella più debole). E alcune scene sono magistrali, come la descrizione del raid nel primo capitolo.

43. I Buddenbrook

I BuddenbrookAutore: Thomas Mann
Genere:
Mainstream
Anno:
1901

La storia di una famiglia della media borghesia di Lubecca, nel corso del cinquantennio che vede l’annessione dei principati tedeschi alla Prussia e la nascita della Germania. La storia è vista principalmente attraverso i pov di Thomas e sua sorella Tony, da quando sono piccoli (e la ditta è di proprietà del nonno) fino a quando diventano i membri più anziani della famiglia.
Lo stile è quello piano e semplice del romanzone ottocentesco, con nessun’altra ambizione che quella di raccontare una bella storia: la storia della fine della borghesia ‘eroica’ dell’Ottocento. Quello de I Buddenbrook è il Mann che mi piace, il Mann che non ha bisogno di gridare ai quattro venti: “Sono un’artista, guardatemi, cito la cultura classica a caso!”. L’autore tenta di mostrare i suoi personaggi, al punto da replicare nelle loro parlate le differenti inflessioni regionali o altri tic. La parte più debole è l’ultima, in cui il punto di vista della storia si sposta su un nuovo personaggio (il piccolo Hanno).

42. Stations of the Tide 

Stations of the TideAutore: Michael Swanwick
Genere: Science-Fantasy
Anno:
1991

Miranda è un pianeta sottosviluppato posto sotto la benevola tutela della Terra. A cicli alterni, il pianeta viene sommerso dall’alta marea, trasformando le valli in gole sommerse e le montagne in isole, dove gli abitanti si ritirano in attesa del nuovo ciclo. Poche settimane prima della nuova Marea, un “burocrate” armato di valigetta viene mandato su Miranda perché catturi il misterioso stregone Gregorian, individuo geniale e pericoloso, colpevole di aver rubato qualcosa al Dipartimento della Tecnologia. Ma il suo viaggio nel pianeta cambierà il burocrate irreversibilmente.
Stations of the Tide è il più acclamato tra i romanzi di Swanwick, ed effettivamente è molto bello. A frenare il mio entusiasmo, il carattere troppo episodico di alcuni capitoli, il ritmo lento e la mania di Swanwick di fare l’intellettualoide. Questi sono difetti tipici dell’autore, ma in questo romanzo, ahimé, si fanno particolarmente sentire.

41. Rendezvous with Rama

Randezvous with RamaAutore: Arthur C. Clarke
Genere: Science Fiction / Hard SF / BDO
Anno: 1972

Una grossa navicella spaziale di origine aliena entra nel Sistema Solare senza dichiarare le sue intenzioni; una squadra di militari e scienziati viene inviata ad esplorarla. Ma la navicella, ribattezzata ‘Rama’, si rivelerà un ecosistema artificiale completamente autosufficiente… e pericoloso?
Un libro che non ha bisogno di presentazioni, e certamente il miglior romanzo del genere “Big Dumb Object” che abbia mai letto. Ottima la parte esplorativa, debole invece quella politica. Peccato inoltre per alcune buone idee lasciate sullo sfondo, come la Chiesa di Cristo Cosmonauta. Un piccolo capolavoro, un po’ azzoppato dal solito stile clueless di Clarke.

40. La città e i cani

La città e i caniAutore: Mario Vargas Llosa
Genere: Mainstream
Anno: 1963

Romanzo d’esordio di Vargas Llosa, mostra uno spaccato della vita di alcuni cadetti dell’ultimo anno dell’Accademia Militare Leoncio Prado di Lima – Alberto, lo Schiavo, il Giaguaro. Quando uno dei ragazzi finisce ammazzato durante un’esercitazione, il tenente Gamboa è chiamato a indagare su ciò che si nasconde nelle camerate dei cadetti. E per Alberto confessare ciò che sa diventa sempre più difficile.
Vargas Llosa ha frequentato per davvero una scuola militare quando era giovane, e si capisce che sa di cosa parla. L’interplay tra i personaggi è la cosa più interessante del romanzo, e prima che uno se ne accorga si è veramente appassionato alle vicende dei protagonisti. Gamboa, poi, è fikissimo – un personaggio che si ricorda a distanza di anni. Ma anche il Giaguaro.
Il difetto principale? Un eccesso di sperimentazione idiota, per cui vediamo nel corso dei capitoli succedersi tre o quattro stili diversi (il migliore, manco a dirlo, è quello più trasparente e meno raccontato). Il peggio del romanzo infatti sono le prime trenta-quaranta pagine. Un’altra cosa che non mi è andata troppo a genio è l’eccesso di flashback, soprattutto per quel che riguarda Alberto.

39. La follia di Almayer / Un reietto delle isole

La follia di AlmayerAutore: Joseph Conrad
Genere: Mainstream
Anno: 1895 / 1896

Ultima entrata per Conrad. La follia di Almayer e Un reietto delle isole sono i primi due volumi della cosiddetta “trilogia malese” di Conrad, nonché i suoi due primi romanzi. Generalmente sono considerate opere minori, ma non sono d’accordo. Le presento insieme non soltanto perché fanno parte dello stesso universo narrativo (benché autonome), ma anche perché trattano gli stessi argomenti in modi simili: l’alienazione e il degrado di uomini europei costretti da esigenze commerciali a vivere nelle profondità della giungla malese.
Il primo romanzo racconta la storia dell’olandese Almayer, uomo abbruttito che aspetta il giorno in cui con una ciurma potrà risalire il fiume alla ricerca dell’oro, mentre sua figlia sogna di fuggire dalla giungla con un principe malese. Il secondo si focalizza invece su Willem, un truffatore che trova rifugio nella giungla ma che compie l’errore più grosso della sua vita – tradire sua moglie e la sua famiglia con una diabolica donna del posto. La qualità della prosa è così così, ma i protagonisti sono tratteggiati in maniera superba e i comportamenti nevrotici dei personaggi sono paragonabili solo a quelli di Dostoevskij.
Se vi piacciono temi e ambientazioni, controllate anche Giorni in Birmania di Orwell.

38. The End of Eternity

The End of EternityAutore: Isaac Asimov
Genere: Science Fiction / Thriller
Anno: 1955

L’Eternità è un’organizzazione che esiste al di fuori del tempo, il cui scopo è monitorare tutte le epoche della storia dell’umanità in modo da scongiurare catastrofi. Ogni volta che la linea temporale prende una brutta direzione, agenti dell’Eternità vengono mandati in varie epoche ad apportare tutta una serie di cambiamenti accuratamente studiati per modificare il corso della storia. Ma il comportamento dell’Eternità è legittimo? E quali effetti collaterali sta provocando?
The End of Eternity è un piccolo capolavoro concettuale, e ad oggi, credo, il migliore e più coerente romanzo sui viaggi nel tempo che abbia mai letto. Ci voleva uno scienziato per fare un lavoro decente sull’argomento! I punti deboli sono quelli tipici di gran parte della fantascienza anni ’40 e ’50: personaggi piatti e funzionali, infodump e scene raccontate come se piovesse. Ma setting e intreccio sono affascinanti, e Asimov riesce a tenere sempre alta la tensione e il ritmo.

37. Queste oscure materie

Queste oscure materieAutore: Philip Pullman
Genere: Fantasy / Science-Fantasy / Young Adult (forse)
Anno: 1995 – 2000

Lessi i libri di Pullman tra i 13 e i 15 anni, e mi piacquero talmente tanto che li definii la miglior trilogia fantasy che avessi mai letto. Quello lo penso ancora, anche perché tutte le trilogie che ho letto in seguito facevano cagare. Essendo forse il libro che ho letto da più tempo tra quelli in classifica, non so se avrei la stessa impressione positiva a rileggerlo oggi. Certo che, quando ci penso, mi tornano in mente un sacco di ricordi carichi di sense of wonder: i daimon che ti seguono ovunque e materializzano il tuo inconscio, la Polvere, gli orsi corazzati, l’aletiometro che data una serie di premesse determina scientificamente le conseguenze, il coltello che apre portali dimensionali, i mulefa (elefanti che si muovono su ruote), il mondo della morte, Dio nella bara di cristallo… E poi i personaggi: l’ambigua signora Coulter, il titanico e amorale Lord Asriel, l’orso Iorek Byrnison, gli angeli gay Balthamos e Baruch! La risoluzione dell’intreccio nell’ultimo libro della trilogia non mi fa impazzire, e il destino di alcuni personaggi m’è parso un po’ buttato via, ma altre scene – come quella del giardino dell’Eden – mi sono piaciute un sacco. Insomma, secondo me mi piacerebbe anche se lo rileggessi adesso.

36. Per chi suona la campana

Per chi suona la campanaAutore: Ernest Hemingway
Genere: Mainstream / Romanzo di Guerra
Anno: 1940

Guerra civile spagnola. Robert Jordan è andato in Spagna per combattere contro i franchisti.  L’esercito repubblicano l’ha mandato sulle montagne tra Madrid e Segovia, a mettersi in contatto con un gruppo di partigiani. In qualità di esperto dinamitardo, il suo compito è quello di far saltare un ponte di vitale importanza strategica quattro giorni dopo. Ma tra sospetti, diffidenza, tradimenti e contrattempi, portare a termine l’impresa non sarà facile e costerà molte vite umane.
Uno dei capolavori di Hemingway, anche se spesso non viene letto perché è un malloppazzo. Da buon aristotelico amo l’unità di tempo e luogo del romanzo (tutta la storia si svolge in cinque giorni); inoltre molti dei personaggi sono straordinari, dal vecchio Anselmo a Pablo, un tempo eroe dei ribelli ma ormai consumato e meschino, e soprattutto Agustin, donna di ferro e nerbo morale del gruppo partigiano. Menzione di disonore invece per Maria, solita femmina hemingwaiana buona solo a sospirare e a snocciolare romanticume.
L’intreccio funziona benissimo e c’è anche la sua bella dose di violenza.

35. Lord of the Flies

Il signore delle moscheAutore: William Golding
Genere: Horror / Mainstream
Anno: 1954

Questo è uno di quei romanzi che, credo, abbiamo letto tutti (non è così scontato: io per esempio l’ho letto solo quest’anno). Un pugno di ragazzini britannici finisce, in seguito a un non meglio precisato incidente aereo, spiaggiato su un’isola deserta. Guidati dal carismatico Ralph, i bambini cercano inizialmente di ristabilire l’ordine e organizzarsi per chiamare i soccorsi. Ma la situazione sfuggirà loro di mano, e mentre gli istinti primordiali si sostituiscono alla disciplina, il paradiso tropicale in cui sono precipitati si trasformerà in un inferno…
Nonostante una gestione ubriaca del pov e un simbolismo un po’ esagerato nell’associare certi personaggi a certi concetti, quello di Golding è un romanzo dal ritmo serrato e dalla tensione in crescendo. Fino ad arrivare a un finale geniale. Giustamente, è diventato un classico.
E a proposito di Golding, di recente ho parlato di un suo romanzo minore: The Inheritors.

34. Il nome della rosa

Il nome della rosaAutore: Umberto Eco
Genere: Storico / Thriller / Literary Fiction
Anno: 1983

Prima entrata per un italiano! Il nome della rosa è uno di quei romanzi che non hanno bisogno di presentazioni. L’impalcatura è quello di un giallo medievale ambientato nello spazio chiuso di un antica abbazia cluniacense, con Guglielmo da Baskerville nei panni di uno Sherlock Holmes con la tonaca da frate e il discepolo Adso nel ruolo di Watson. Ma Eco ne approfitta anche per mostrarci i conflitti dell’epoca, il modus operandi dell’Inquisizione trecentesca, il sentire religioso medievale, e anche alcuni misteri sui manoscritti conservati nelle biblioteche delle abbazie.
A prescindere dal fatto che adoro il Medioevo, questo libro poteva essere un capolavoro. Se non lo è, la colpa sta nel fatto che Eco, tra un saggio di semiotica e un altro di filosofia del linguaggio, non ha mai avuto il tempo per studiare le tecniche di scrittura. Descrizioni lunghissime e improponibili di frontoni di chiese, elenchi lunghi pagine e pagine che non hanno alcuna rilevanza per la trama, e altre amenità da intellettuale rovinano in parte il piacere della lettura. Comunque molto bello.

33. L’amore di uno sciocco

L'amore di uno scioccoAutore: Tanizaki Jun’ichirō
Genere: Mainstream
Anno: 1924

Lo schivo Joji voleva una moglie perfetta e con cui fosse in intimità. Per questo, quando si presenta l’occasione, si prende in casa Naomi, insulsa camerierina quindicenne di un quartiere povero. Joji vuole insegnarle tutto e farla diventare la compagna ideale. Ma l’idillio dura poco: Naomi vuole essere bella, divertirsi, attirare gli sguardi dei ragazzi nelle sale da ballo. E prima che Joji se ne accorga, Naomi è diventata una perfida succube, traditrice e opportunista. Lui vorrebbe fermarla, punirla, o nella peggiore delle ipotesi dimenticarla, eppure più lei peggiora e lo maltratta e più lui sente di starne diventando schiavo…
Questa è la prima e ultima entrata di un autore giapponese nella classifica. I temi – le follie a cui l’amore e l’eccitazione sessuale ci spingono – sono quelli tipici di Tanizaki, ma questo romanzo gli riesce particolarmente bene. Se l’autore vi ha acchiappato, altri romanzi carini sono Neve sottile, La chiave e Diario di un vecchio pazzo.

32. Se non ora, quando?

Se non ora, quando?Autore: Primo Levi
Genere: Romanzo di Guerra / Mainstream
Anno: 1982

Primo Levi è sempre associato ai campi di concentramento e al libro-reportage Se questo è un uomo. Questo è un po’ un peccato, perché non solo Levi era molto bravo come scrittore di fiction, ma probabilmente, di tutti gli scrittori italiani (o almeno, quelli che conosco), è stato quello che più si è avvicinato allo stile limpido, secco, trasparente della buona prosa americana. Un bel calcio in faccia a tutti quei geni che dicono che la lingua italiana è naturalmente portata al barocchismo e a vomitare parole su parole anche per esprimere i concetti più semplici.
Se non ora, quando? narra la storia di un pugno di ebrei polacchi e russi che, fuggiti dalle linee sovietiche nel pieno della Seconda Guerra Mondiale, si fanno strada in una mitteleuropa contesa fra nazisti e sovietici. Nel mentre, incontrano un gruppo di partigiani e si votano alla missione di farla pagare ai nazi. Alla prosa limpida si unisce uno sguardo freddo e amaro sulle vicende della guerra e una galleria di personaggi affascinanti, tra cui una giovane ebrea sexy, brutale e cinica che sembra una precedente incarnazione della Tengi 2.

31. La promessa

La promessaAutore: Friedrich Durrenmatt
Genere: Poliziesco
Anno: 1958

Il giallo è uno dei generi letterari che apprezzo di meno. Forse è per questo che mi piace tanto La promessa, una novella lunga più che un romanzo, che parte come un comunissimo poliziesco ma scardina cammin facendo i pilastri del genere.
Un pedofilo è a piede libero in una cittadina svizzera, e una bambina è stata brutalmente uccisa. Il geniale commissario Matthai promette alla madre di catturare il colpevole, e mette tutta la sua anima nell’indagine. Matthai ha le intuizioni giuste, la pista è buona, sembra che la cattura del pedofilo sia inevitabile… ma un evento del tutto casuale farà crollare il castello di carte. La morale della favola? La logica ferrea del romanzo giallo è priva di senso in un mondo dominato dal caso.

30. High Rise

High RiseAutore: James G. Ballard
Genere: Horror / Slipstream
Anno: 1975

Questo libro è come Il signore delle mosche, solo che con uomini adulti, un grattacielo autosufficiente al posto di un’isola deserta, e la bizzarra caratteristica che i residenti potrebbero uscire e interrompere il “gioco”, ma non lo fanno. C’è anche molta più mattanza e più follia. Per tutti questi motivi, mi piace di più.
Ho già parlato di High Rise nel Consiglio del Lunedì #05.

29. The Egg Man

The Egg ManAutore: Carlton Mellick III
Genere: Horror / Urban Fantasy / Bizarro Fiction
Anno: 2008

In un futuro prossimo decadente e misero, le persone nascono come insettoni simili a mosche ed evolvono gradualmente in esseri umani. Tutti sono proprietà di una corporazione, e devono dimostrare di valere il tempo e i soldi spesi per dar loro vitto, alloggio e un’educazione. Lincoln, un Odore, si mantiene come pittore per la Georges Corporations, e deve dimostrare di essere in grado di produrre tele creative o verrà gettato in mezzo alla strada. Ma una serie di incontri disgustosi cambieranno la sua vita e lo faranno diventare una persona… diversa.
Il capolavoro di Mellick, benché per qualche motivo sia anche una delle sue novellas meno conosciute. Le bizzarrie ci sono tutte, ma il tono questa volta non è ironico – è cupo e triste. I protagonisti prendono direzioni veramente inaspettate, e per una volta Mellick non si attiene a un canovaccio classico – quel che succede è veramente imprevedibile. A ciò si aggiunge la genialità del potere di Lincoln: il suo senso principale è l’olfatto, perciò il romanzo è pieno di odori e immagini olfattive descritte benissimo. Una storia che ti fa veramente sentire la puzza delle cose. Stupendo! Mi piacerebbe dedicarci un Consiglio in futuro.

28. A ciascuno il suo

A ciascuno il suoAutore: Leonardo Sciascia
Genere: Poliziesco / Mainstream
Anno: 1966

Anche stavolta si tratta di un poliziesco atipico. Ambientato nella Sicilia dei mafiosi, degli inciuci politici e degli amici di amici, racconta di un doppio omicidio durante una battuta di caccia, e del modesto professor Laurana, che per divertimento decide di provare a risolvere il caso. Scoprirà che non si ficca il naso in faccende serie senza pagarne le conseguenze, e che del resto le sue intuizioni geniali e gli altarini svelati in realtà sono il segreto di Pulcinella.
Un’altra storia breve e amara, che come il libro di Durrenmatt scompagina la struttura classica del giallo, aggiungendoci però il sapore deliziosamente corrotto del meridione italiano. Mi piace perché è rapido, cinico, e senza una parola di troppo. Il miglior Sciascia , quando ancora scriveva storie oneste e non quella robaccia pseudo-intellettuale come Todo modo o Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia.

27. Childhood’s End

Childhood's EndAutore: Arthur C. Clarke
Genere: Science-Fantasy
Anno: 1953

Il miglior romanzo di invasione aliena che abbia mai letto, con degli invasori così smaccatamente superiori che l’umanità non ha una chance fin dall’inizio. E al contempo l’invasione suggerisce l’esistenza di cose e specie viventi ancora più grandiose e in alto nella scala evolutiva… Un libro genuinamente apocalittico!
Ho già parlato di Childhood’s End nel Consiglio del Lunedì #16.

26. Le dodici sedie

Autore: Il’ja Il’f & Evgenij Petrov
Genere: Commedia / Picaresque
Anno: 1927

A pochi anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, il nobile decaduto Ippolit Matveevic’ Vorobjaninov scopre che sua suocera, per evitare che i Bolscevichi si impossessassero delle ricchezze di famiglia, le nascose all’interno di una delle dodici sedie della sala da pranzo. Ma le sedie sono state espropriate dalla politica del Partito, e sparpagliate in tutta la grande Russia! Assieme a Ostap Bender, farabutto professionista specializzato nella nobile arte del raggiro, Ippolit si metterà sulle tracce delle dodici sedie, alla ricerca di quella che cela tutta la sua fortuna. Seguiranno disavventure tragicomiche di ogni sorta, e un finale crudo davvero geniale.
Le dodici sedie è un romanzo fresco e divertente, una delle ultime opere decenti che la Russia ha prodotto prima dell’inizio dell’allegro periodo delle grandi purghe staliniste. Si prende in giro di tutto, dalle politiche sovietiche e il nuovo gergo proletario, agli angoli più tradizionali di Russia e alla stupidità dei villici, passando per l’ossessione russa per gli scacchi. Ci sono alcuni momenti di stagnazione e il romanzo non è perfetto, però scorre piuttosto bene e fa divertire. E poi, Ippolit e Ostap sono una coppia stupenda.

25. Neuromancer

NeuromancerAutore: William Gibson
Genere: Science Fiction / Cyberpunk / Thriller
Anno: 1984

Case era un hacker professionista, ma quando ha tentato di fregare i suoi datori di lavoro, gli hanno inoculato una micotossina che gli impedisse di continuare a collegarsi al cyberspazio. Da allora, Case conduce una vita misera, contrabbandando tecnologia nel quartiere malfamato di Chiba City. Finché un tizio si presenta alla sua porta e gli offre la possibilità di liberarlo dalla micotossina, in cambio di un servizio molto speciale…
Di recente si è parlato spesso di Neuromancer sul blog; prima per paragonarlo a Vacuum Flowers di Swanwick (un po’ più in alto nella classifica), poi nel pronosticare la riuscita dell’adattamento cinematografico di Natali. Nonostante la tendenza di Gibson di fare l’autore literary, alcune scene davvero troppo confuse per essere comprensibili (come quella della cattura di Riviera), e l’estetica del cyberspazio, che è invecchiato male, rimane un gran bel libro. Nonché una pietra miliare della fantascienza.

24. The Sirens of Titan

The Sirens of TitanAutore: Kurt Vonnegut
Genere: Science Fiction / Social SF
Anno: 1958

Quando un aristocratico d’antico stampo si infila con la sua navicella privata in un infundibolo cronosinclastico, il destino dell’intera umanità è destinato a cambiare per sempre. A molti commentatori del blog questo romanzo non piace, ma io continuo a ritenerlo un mix geniale di sense of wonder e umorismo.
Ho già parlato di The Sirens of Titan nel Consiglio del Lunedì #02.

23. La marcia di Radetzky

La marcia di RadetzkyAutore: Joseph Roth
Genere: Storico / Mainstream
Anno: 1932

Da quando il tenente di fanteria Joseph Trotta ha salvato la vita a Francesco Giuseppe sul campo della battaglia di Solferino, le vite della famiglia Trotta sono legate a doppio filo a quella dell’imperatore. Come ricompensa per il nobile gesto il tenente viene innalzato al titolo di barone e i Trotta entrano nella nobiltà; ma questo titolo si rivelerà una maledizione piuttosto che un premio, nell’impero avviato alla fine dei suoi giorni. Il romanzo segue la vita del figlio e del nipote del tenente Trotta, e le loro alterne vicissitudini mentre si approssima lo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Il Duca continua a menarla con la Germania Imperiale, ma quando volo nostalgicamente all’Europa degli ultimi decenni del Lungo XIX Secolo, è all’Austria-Ungheria di Francesco Giuseppe che penso. Il libro di Roth è un romanzone dal ritmo pacato, di impostazione ottocentesca, sulla fine dei sogni imperiali e della felix Austria. A chi ha la pazienza di leggerlo regala momenti di vero struggimento monarchico!

22. Il deserto dei Tartari

Il deserto dei tartariAutore: Dino Buzzati
Genere: Mainstream / Surreale
Anno: 1940

Nominato tenente, Giovanni Drogo viene assegnato alla Fortezza Bastiani. Il forte si trova sul confine della nazione, di fronte a una sconfinata pianura un tempo oggetto delle sortite degli invasori. E’ passato molto tempo dall’ultimo attacco, ma per gli uomini della fortezza ogni giorno potrebbero arrivare i nuovi attacchi del nemico. E Drogo si troverà intrappolato in questo clima di eterna attesa… ma arriveranno i Tartari?
Il deserto dei Tartari è senza dubbio il capolavoro di Buzzati, e un bellissimo esempio di surrealismo esistenziale. Lo scorrere del tempo, il senso di attesa, il terrore di una vita senza scopo e senza gloria che angoscia gli uomini della fortezza, colpiscono il lettore senza annoiarlo. E’ un altro dei libri che ho letto da più tempo ad essere entrati nella classifica, quindi non ricordo con precisione la qualità della scrittura.

21. Pantaleòn e le visitatrici

Pantaleon e le visitatriciAutore: Mario Vargas Llosa
Genere: Mainstream / Commedia
Anno: 1973

Nel cuore dell’Amazzonia, i soldati peruviani hanno la brutta abitudine di soddisfare i loro bisogni inappagati rapendo e stuprando donne indigene. Per porre fine a questa situazione indecorosa, l’alto comando incarica il capitano Pantaleòn Pantoja di studiare la situazione e istituire un servizio di “visitatrici” che si prendano cura dei bisogni dell’esercito ed evitino ulteriori danni d’immagine. Inizialmente inorridito dal compito, Pantaleòn è però anche un uomo dal rigido senso del dovere, e con la massima serietà si disporrà a eseguire gli ordini. Il servizio delle visitatrici si rivelerà non soltanto un toccasana per gli abitanti dell’Amazzonia, ma anche un compito complesso e appassionante che trasformerà Pantaleòn da così a così. Ma ci sono nemici pronti a screditare il suo operato e a gettare fango sull’esercito, e le cose potrebbero anche prendere una brutta piega…
Il romanzo più divertente di Vargas Llosa. Rispetto a quel pastrocchio di stili che è La città e i cani, qui siamo sulla buona strada, ma ancora sopravvive un certo barocchismo. L’autore utilizza una tecnica a incrocio per cui nello stesso paragrafo si intervallano battute dette nel presente e altre (richiamate nella conversazione nel presente) dette nel passato, per cui la storia continua a muoversi ogni poche righe tra due (e a volte più) periodi temporali differenti. Per certi versi l’idea è interessante e meriterebbe uno studio, ma così come la gestisce Vargas Llosa fa più che altro venire il vomito (oltre all’effetto “teste parlanti”). Altri capitoli sono costituiti da dispacci militari, lettere, questionari o script di trasmissioni radiofoniche.

20. A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court

Un americano alla corte di re artùAutore: Mark Twain
Genere: Fantasy / Gonzo-Historical / Commedia / Picaresque
Anno: 1889

Una bellissima satira del Medioevo e delle tinte nostalgiche e fiabesche in cui lo dipingevano i romantici ottocenteschi. E’ inoltre un ottimo antidoto per chi abbia fatto indigestione di cattivo fantasy.
Ho già parlato di A Connecticut Yankee in King Arthur’s Court nel Consiglio del Lunedì #18.

19. Il valzer degli addii

Il valzer degli addiiAutore: Milan Kundera
Genere: Mainstream / Commedia
Anno: 1873

Una cittadina termale nella provincia di Praga diventa lo sfondo di un intreccio tragicomico in cinque giornate. Klima, trombettista nazionale belloccio, tradisce la gelosissima moglie Kamila con l’infermiera Ruzena. Scoperto che Ruzena è incinta, cerca di convincerla ad abortire e di interrompere la relazione, mentre viene inseguito da Frantisek, un pazzo in motocicletta convinto che Ruzena sia la sua ragazza. Intanto Jakub, ex-prigioniero politico a cui è stato accordato il permesso di lasciare la Cecoslovacchia, si trastulla con la pastiglia di veleno per commettere il suicidio datagli dal suo caro amico, Skreta, ginecologo della clinica che sogna di moltiplicarsi all’infinito versando di nascosto il proprio sperma nelle acque termali. E dall’America arriva il ricco magnate Bertlef, cristiano devoto nonché colmo dell’antico senso dell’onore. Il libro parte come una commedia rilassata ma finisce in modo serio – quasi metafisico – senza risparmiare un paio di pugni nello stomaco.
Kundera è un autore geniale, perché capace di passare insensibilmente, per gradi, dalla commedia alla tragedia; o di mostrare avvenimenti tragici col tono leggero della commedia. Il che per contrasto amplifica ancora di più gli avvenimenti tragici. Questo è il suo romanzo meno literary, meno intellettuale, e quindi anche uno dei più godibili. Potremmo definirlo: il vaudeville cecoslovacco con sorpresa. Oppure: Natale a Brno se fosse girato da un genio invece che dai Vanzina.

18. Do Androids Dream of Electric Sheep?

Do Androids Dream of Electric Sheep?Autore: Philip K. Dick
Genere: Science Fiction / Social SF / Thriller
Anno: 1965

In un mondo decadente, punteggiato di metropoli spopolate, in cui le forme di vita animali e vegetali sono quasi scomparse, in cui gli uomini abili emigrano sulle colonie spaziali e i sopravvissuti indulgono in una strana religione che permette a tutte le coscienze di fondersi nell’anima di un vecchio che sale una montagna mentre gli tirano le pietre, Rick Deckart viaggia per San Francisco a caccia di sei androidi fuggiaschi. Gliene capiterà di ogni e imparerà qualcosa.
Prima entrata del mio scrittore preferito nella classifica, ma ho cercato di controllarmi. La maggior parte di voi lo conoscerà grazie al film di Ridley Scott, ma lasciatemelo dire: Blade Runner ha stuprato questo libro. C’è così tanto qui dentro, e così poco in quel film. L’interrogativo alla base del film è la solita, annacquata domanda moralista-esistenziale: “non vedete che gli androidi sono umani come noi?”. Mentre nel libro Dick precisa che gli androidi non sono come gli esseri umani, e la domanda diventa: qual’è la differenza? Cos’hanno gli esseri umani che gli androidi non potranno mai replicare? Il tutto intriso in suggestive discussioni su entropia, empatia e ricerca della felicità.
In mezzo, un sacco di trovate creative e geniali come il Mercerismo, le macchinette che rilasciano umori e il bellissimo test Voigt-Kampf per scoprire se il soggetto è un essere umano o un androide.

17. Vacuum Flowers

Vacuum FlowersAutore: Michael Swanwick
Genere: Science Fiction / Hard SF / Space Opera / Cyberpunk
Anno: 1987

Neuromante a spasso per il Sistema Solare! Con in più, riprogrammazione mentale, ibridi pianta-macchina, e la Terra trasformata in un’unica coscienza collettiva. E una protagonista molto più simpatica del Case di Gibson (e che fa un sacco di sesso – ma questo perché Swanwick è un vecchio porcone).
Ho già parlato di Vacuum Flowers nel Consiglio del Lunedì #21.

16. Troppo buoni con le donne

Troppo buoni con le donneAutore: Raymond Queneau
Genere: Mainstream / Commedia
Anno: 1947

Durante la storica Insurrezione di Pasqua a Dublino, un pugno di repubblicani irlandesi guidati da John McCormack occupa un ufficio postale. Ammazzato il direttore, barricati dentro l’edificio, sono preparati a resistere a oltranza e a manifestare il loro odio verso la Corona britannica. Ma non avevano calcolato un imprevisto: una giovane impiegata con un’arma molto particolare.
Con Queneau ho rapporti altalenanti. I suoi romanzi irlandesi sono spassosissimi (se questo vi piace, provate anche Il diario intimo di Sally Mara), ma molti altri sono rovinati dalle sue ambizioni literary (per esempio non mi piace granché il tanto celebrato I fiori blu). Troppo buoni con le donne è una storia breve, rapida, tutta sesso&pallottole, e con qualche scena al limite del surreale. La parlata dei ribelli è resa benissimo, con frasi dalla sintassi dubbia, piene di slang e battutacce. La morale? Si è sempre troppo buoni con le donne!

15. Il mondo nuovo

Il mondo nuovoAutore: Aldous Huxley
Genere: Science Fiction / Distopia
Anno: 1932

Un altro libro talmente famoso da non richiedere molte parole. Eugenetica, produzione industriale di neonati, manip0lazione mentale, soppressione della libertà, tutto in un pratico pacchetto distopico. Il bellicoso (ma facilmente comprabile) intellettuale Bernard Marx e l’infelice selvaggio John sono due ottimi protagonisti, pieni di luci ed ombre in una storia che poteva facilmente sfociare nella bassa retorica. E fa riflettere seriamente sulla domanda: meglio la libertà o la felicità?
Il mondo nuovo è una delle distopie più riuscite nella storia della letteratura. Per quanto sia meno drammatica, la trovo più realistica di quella di 1984. Ciò che la frega è una prosa poco curata, piena di aggettivi e avverbi, e una gestione disordinata del pov. Rimane un libro geniale.
L’edizione Oscar Mondadori accorpa al romanzo un breve saggio del ’58, in cui Huxley si interroga sulle caratteristiche della società de Il mondo nuovo e si chiede se si siano già realizzate o siano sulla via per realizzarsi nel mondo reale.

14. Il vecchio e il mare

Il vecchio e il mareAutore: Ernest Hemingway
Genere: Mainstream
Anno: 1952

Breve novella che racconta della sfida di un pescatore solitario e ormai giunto alla fine dei suoi giorni contro un pesce che non vuol lasciarsi prendere e le insidie del mare.
E’ un altro libro molto famoso, e forse parrà banale che anch’io lo metta così in alto nella mia classifica. Però, che volete? E’ una storia minimalista, ma ha tutto quello che le serve. Penso anch’io che ci sia una certa vena epica nella lotta di questo vecchio contro un degno avversario. E sono stato davvero triste quando sono arrivati gli squali a banchettare sulla carcassa.

13. Una banda di idioti

Una banda di idiotiAutore: John Kennedy Toole
Genere: Mainstream / Commedia / Picaresque
Anno: 1980

Ignatius J. Reilly è un uomo assurdo. Ciccione, intellettuale, irascibile, misantropo, amante della filosofia scolastica e di Boezio, profondo odiatore della cultura pop e della rivoluzione sessuale, e convinto di essere il più grande genio vivente. Ma ha un problema:  deve trovarsi un lavoro. E così, eccolo aggirarsi per le strade della sozza New Orleans, in mezzo a poliziotti incapaci, spogliarelliste, buttafuori negri, omosessuali e un vecchio ossessionato dai comunisti.
Una banda di idioti non ha una vera trama, aldilà del leit motiv del protagonista che deve trovarsi un lavoro ma è incapace di tenersene stretto uno. Le sue peregrinazioni servono a Toole per introdurre una galleria di personaggi bizzarri, per poi approfondire e intrecciare le loro storie fino a un finale climatico e molto divertente. E’ un romanzo corale, in cui interi capitoli sono dedicati a personaggi secondari. Ma va bene, perché il succo del romanzo è un’epica suburbana un po’ retard sul palcoscenico della New Orleans degli anni ’60. Squisito.

12. Trilogia della Fondazione

Trilogia della FondazioneAutore: Isaac Asimov
Genere: Science Fiction / Politico
Anno: 1951 – 1953

La Fondazione di Asimov mi ha formato così come altri sono stati formati dal Signore degli Anelli o da Il richiamo di Chtulhu. Certo sono dei libri lontani dalla perfezione: la prosa lascia a desiderare (soprattutto nelle prime parti), la maggior parte dei personaggi sono manichini funzionali alla trama, senza una grande personalità, e Asimov ha questa sgradevole tendenza a montare la tensione verso una grande battaglia o una resa dei conti – per poi saltare la descrizione vera e propria di questa situazione e passare a un momento successivo, in cui se ne discutono gli esiti (immagino perché non fosse ferrato in questioni militari e non volesse fare una brutta figura).
Ma il concetto di psicostoria, e l’idea di un organismo politico costruito a tavolino che cresce, secolo dopo secolo, attraversando una serie di eventi più o meno drammatici mentre è controllato dalle mani invisibili di un pugno di scienziati-psichici, sullo sfondo di un Impero Galattico in rovina, mi piace davvero troppo. Per me la Trilogia della Fondazione è un distillato purissimo di sense of wonder.

11. Il processo

Il processoAutore: Franz Kafka
Genere: Surreale
Anno: 1925

Una mattina, due uomini si presentano in casa di Josef K. per notificargli il suo stato di arresto e che si trova molto processo. A nulla varranno i tentativi di K. di discolparsi o anche solo di scoprire quali siano i capi d’imputazione: la macchina processuale si è messa in moto, e nessuno è in grado di fermarla. Quel che è peggio, anche Josef, pur sapendosi innocente, comincia a sentirsi colpevole e a comportarsi come tale…
Credo che Il processo sia uno dei capolavori della letteratura mondiale. Raramente ho provato una tale sensazione di ansia, l’idea di un male così diffuso, pervasivo e inevitabile; l’idea che anche se non hai fatto niente, se dicono che sei colpevole in modo abbastanza autorevole finirai per sentirti colpevole. La scrittura secca, gelida, mostrata di Kafka fa il resto. Peccato solo per la sua abitudine ai wall of text.

10. La vita, istruzioni per l’uso

La vita istruzioni per l'usoAutore: Jacques Perec
Genere: Literary Fiction / Mainstream
Anno: 1978

Questo romanzo di Perec riassume tutto ciò che mi piace della literary fiction ben fatta. Ossia, la costruzione di un elegante gioco intellettuale, che il lettore è invitato a districare. Perec ci mostra una palazzina residenziale e la disposizione di tutti gli appartamenti, dopodiché procede a descrivere, appartamento per appartamento, l’arredamento delle stanze e la vita dei loro inquilini. A poco a poco, come in un puzzle, vediamo le vite e gli oggetti del condominio incastrarsi gli uni negli altri, fino a formare una storia.
La finzione scenica è palese. Immersione e sospensione dell’incredulità non sono pervenute. Il ritmo è bassissimo. Ma l’autore chiarisce fin dall’inizio il suo scopo, ossia presentare un divertente rompicapo. Il piacere di leggerlo e di far combaciare i pezzi è lo stesso di giocare a un puzzle game senza tempo limite.

09. Flatland

FlatlandAutore: Edwin A. Abbott
Genere: Fantasy / Pseudo-trattato
Anno: 1884

La cronaca immaginaria di un abitante di un mondo bidimensionale, che prima ci racconta il suo mondo e poi dell’avvento di un profeta venuto dalla terza dimensione. Uno dei libri più immaginifici che abbia mai letto, ha acceso in me una scintilla quando ancora ero quattordicenne.
Ho già parlato di Flatland nel Consiglio del Lunedì #01, ai veri e propri albori del blog!

08. Il castello

Il castelloAutore: Franz Kafka
Genere: Surreale
Anno: 1926

In pieno inverno, l’agrimensore K. raggiunge un piccolo villaggio alle pendici di un antico castello. K. è stato assunto dal Conte per lavorare al paese, e aspetta di incontrarlo per discutere dei termini dell’incarico. Ma l’agrimensore sbatte contro un muro di gomma: al villaggio nessuno sa di lui e nessuno ha intenzione di metterlo in contatto col Conte. Il bisogno di valicare la rigida burocrazia del castello e di raggiungere il Conte, di costruirsi una rete di alleanze e ritagliarsi uno spazio nella vita del villaggio diventerà l’ossessione di K.
Se questo romanzo è meno famoso de Il processo, è solo perché Kafka l’ha lasciato incompiuto. Lo preferisco perché è ancora più perverso: se Josef K. vorrebbe evitare il processo e riavere la sua vita normale, il protagonista de Il castello se la va a cercare. Il suo bisogno di ottenere l’impossibile udienza col Conte ha qualcosa di inquietante. Inoltre c’è tutta una galleria di personaggi assurdi: la scostante cameriera Frieda, l’instabile messaggero Barnabas, i gemelli Arthur e Jeremiah, assegnati a K. come assistenti ma che si comportano come bambinetti ritardati, o l’irraggiungibile e contegnoso burocrate Klamm, teorico superiore di K.
A chi avesse amato Il processo, consiglio di provare anche questo. Ma tenete conto che non ha un finale.

07. 1984

1984Autore: George Orwell
Genere: Science Fiction / Distopia
Anno: 1948

Ed eccoci a un altro romanzo che è quasi scontato trovare così in alto nella classifica. Come dicevo parlando de Il mondo nuovo, questa distopia è meno credibile di quella di Huxley, ma è così grottesca, lugubre, ansiogena, da essere memorabile. E infatti, sebbene abbia letto questo romanzo a diciassett’anni, è come se l’avessi letto ieri da quanto bene mi ricordo tutto quel che succede!
Ci si identifica subito in Winston Smith, nelle sue disavventure, nelle sue speranze e nella sua disillusione finale. Geniali anche le intuizioni sul bipensiero, l’ambizioso progetto della Neolingua e la riscrittura sistematica del passato (tutte caratteristiche prese di peso dall’URSS stalinista, ma ulteriormente amplificate). Se Il mondo nuovo colpisce soprattutto la testa, 1984 colpisce alla pancia. E fa male!

06. Il pendolo di Foucault

Il pendolo di FoucaultAutore: Umberto Eco
Genere: Mainstream / Surreale
Anno: 1988

Un po’ per gioco, un po’ stimolati dagli alchimisti, gli occultisti e gli altri strani personaggi che gravitano attorno alla casa editrice in cui lavorano, Casaubon i suoi colleghi, Belbo e Diotallevi, cominciano a rivedere l’intera storia europea, dal Tardo Medioevo all’epoca contemporanea, alla luce di teorie cospirative che ruotano attorno ai dannati Templari. Nel corso di mesi e anni prende forma il Piano, una rete di collegamenti che comprende il Santo Graal, Raimondo Lullo, Francesco Bacone, l’Ordine dei Rosacroce, la massoneria, i Protocolli dei Savi di Sion, il nazismo. Quello che non sanno, è che il gioco sta diventando più serio di quel che credono, soprattutto quando Aglié, un nobiluomo convinto di essere la reincarnazione del Conte di Saint-Germain, decide di impossessarsi delle loro “scoperte”…
Se Il pendolo di Foucault è salito così in alto nella mia classifica, lo si deve probabilmente al mio amore per le ucronie, le storie segrete e soprattutto la giusta derisione di tutte le teorie del complotto (soprattutto se comprendenti i fottuti Templari ^-^). Oggettivamente non meriterebbe un posto così in alto: Eco è verboso, stila elenchi lunghissimi e insulsi, e probabilmente si potrebbero tagliare 200-300 pagine senza compromettere l’intelligibilità della trama. Ma il Piano steso dai protagonisti è così folle da essere geniale, e qui e là ci sono altre perle, come il funzionamento della casa editrice a pagamento del signor Garamond.
Questa è anche l’opera italiana arrivata più in alto nella mia classifica.

05. A Canticle for Leibowitz

A Canticle for LeibowitzAutore: Walter M. Miller
Genere: Science Fiction / Apocalyptic SF
Anno: 1959

Dopo l’olocausto nucleare, spetta ai monaci il compito di custodire il sapere antico e ricostruire la civiltà. Ma l’umanità saprà evitare di commettere di nuovo gli stessi errori…?
Ho già parlato di A Canticle for Leibowitz nel Consiglio del Lunedì #06. Per inciso, si tratta del Consiglio (e dell’opera di fantascienza vera e propria) arrivata più in alto nella classifica.

04. Flow My Tears, the Policeman Said

Flow My Tears, the Policeman SaidAutore: Philip K. Dick
Genere: Slipstream / Mainstream
Anno: 1974

In seguito a un incidente, la star televisiva Jason Taverner diventa una non-persona – e questo può avere brutte conseguenze, in un’America trasformata in uno stato di polizia, in cui i college sono sigillati come caserme. Nel tentativo di recuperare la sua identità,Taverner incontrerà una serie di donne (più o meno felici, più o meno sane di mente) e conoscerà molti tipi di amore. Ma il suo destino è nelle mani di Felix Buckman, cinico commissario di polizia, e di sua sorella Alys, psicopatica lesbica tossicomane. E Buckman farà la sua scelta.
Ho notato che questo romanzo spacca in due i lettori, anche tra gli amanti di Dick: chi lo ama e chi lo reputa una roba insulsa. Io appartengo alla prima categoria, ma sono il primo ad ammettere che si tratta di una storia strana. E’ un romanzo in cui si chiacchiera molto e si incontrano molti personaggi, ma succede poco. E’ un romanzo di atmosfera più che di trama, e gli elementi fantascientifici servono solo da innesco (e d’altronde a Buckman la spiegazione nemmeno interessa…).
Ci sono almeno due scene da antologia: quella della pedofilia consensuale (ma Dick avrebbe potuto collegarla meglio alla storia principale), e quella finale alla pompa di benzina (la stessa che anni dopo avrebbe ispirato a Dick allucinazioni cristologiche). Quest’ultima mi aveva fatto venire le lacrime agli occhi.

03. Buio a mezzogiorno

Buio a mezzogiornoAutore: Arthur Koestler
Genere: Politico / Mainstream
Anno: 1940

Nicola Rubasciov, esponente di primo piano del Partito, viene arrestato per crimini politici. Era l’ultimo sopravvissuto tra quelli della vecchia guardia, ma ormai è giunto anche il suo turno. Tra interrogatori, pressioni psicologiche, e le sue riflessioni sulla sua vita e sulla sua devozione alla causa del Partito, assistiamo alla prigionia di Rubasciov e ai suoi ultimi giorni.
Questo romanzo ha per me un’importanza particolare, dato che parla del comunismo da parte di uno che ci capiva (Koestler fu attivo nel Partito Comunista tedesco per quasi dieci anni). Rubasciov è un personaggio immaginario, ma è il simbolo di tutti quei dirigenti di Partito sommariamente processati da Stalin durante le purghe della fine degli anni Trenta. Il protagonista rivede la sua vita, si chiese se il Partito abbia tradito la causa o sia stato lui a sbagliare, ad allontanarsi dalla scienza marxista, e sia stato quindi giustamente punito. Koestler si lascia un po’ troppo andare alle riflessioni astratte – Rubasciov può anche passare pagine e pagine a pensare, senza compiere alcuna azione concreta – ma succedono anche un sacco di cose tra quelle quattro pareti: le discussioni fatte battendo un cucchiaio sul muro contro il suo vicino di cella, un’ex-ufficiale zarista dal ferreo senso dell’onore e sommo disprezzo per il comunismo; l’osservazione dalla finestra della cella al cortile della prigione, frequentato da un prigioniero che sembra conoscerlo; i flashback di quando era ancora agente attivo della Rivoluzione, e compiva azioni più o meno belle; gli estenuanti interrogatori. Fino all’amara conclusione.

02. La vita è altrove

La vita è altroveAutore: Milan Kundera
Genere: Literary Fiction / Mainstream / Commedia
Anno: 1973

Da quando la sua cara mamma e il suo maestro gli dicono che è dotato nel disegno, Jaromil decide che farà l’artista. Ma quando, crescendo, scopre che non ha nessun talento nella pittura, cambia idea e decide che sarà un grande poeta lirico. La sua vita prosegue all’insegna di questa decisione, tra capricci, entusiasmi infantili, un alter-ego immaginario, la salita al potere del Partito comunista in Cecoslovacchia, un amore e un brutto raffreddore.
La vita è altrove è scritto in uno stile marcatamente literary: fin dalle prime righe l’autore interviene, spiega di cosa parlerà, commenta, fa digressioni. Il narratore commenta, chiosa e spiega man mano che ci mostra la vita di Jaromil. Messa così, sembra una roba irritante e votata al fallimento, ma Kundera è acuto e spiritoso, e il libro si trasforma in una specie di lungo commentario umoristico sulla vita di questo giovane pieno di sé, sull’adolescenza e sulla poesia. Lo lessi in due giorni quasi in apnea.
Del resto, neanche a me è mai piaciuta la poesia lirica.

01. A Scanner Darkly

A Scanner DarklyAutore: Philip K. Dick
Genere: Slipstream / Mainstream
Anno: 1977

C’è una nuova droga in circolazione a Los Angeles, la pericolosa Sostanza M. Robert Arctor, agente della narcotici che odia la sua vita e la sua famiglia perfetta, decide di dedicare la sua vita all’indagine e all’estirpazione della droga; assume i panni di un tossico e va a vivere tra i drogati. Ma col passare del tempo, le droghe cominciano a consumarlo; le sue due personalità cominciano a dissociarsi, e gli sembra che qualcuno stia cercando di tradirlo… Cosa cazzo gli stia succedendo…? E c’è per lui qualche speranza di una vita felice?
A Scanner Darkly è il mio romanzo preferito. Ci sono idee geniali (la tuta spersonalizzante, che genera connotati fisici in modo randomico e continuo), ci sono personaggi stupendi (il genio paranoide James Barris, lo schizofrenico Charles Freck, la gelida eroinomane Donna Hawthorne), dialoghi surreali da fattoni (memorabile il brillante piano di Barris per sorprendere i ladri in casa), momenti di tensione quasi sovrannaturale. Soprattutto, c’è il senso desolante dell’impossibilità di costruire vere e durature amicizie in quel mondo, dove si conduce una vita ai limiti della sussistenza e devi sempre stare attento che il tuo compagnone non cerchi di fotterti i soldi (o la vita) per una dose.
Il romanzo più sentito di Dick – che fece quella vita per un certo tempo – e anche il suo più bello. E’ fantascienza solo per modo di dire; in realtà è un gran bel mainstream.

In chiusura
Questa era la classifica dei miei cinquanta romanzi preferiti. Piaciuta? Vi ha stupito, o era proprio quel che vi aspettavate? E un’altra domanda: vi piacerebbe che dedicassi un articolo più lungo a uno dei libri che qui ho presentato di sfuggita? E’ più che altro una curiosità – alcuni di questi li ho letti molti anni fa, e dovrei rileggerli per poterci scrivere sopra qualcosa.
Ma mi piacerebbe sentire i vostri pareri, in generale.

WOW, che articolo lungo. Quasi 9000 parole, manco fossi il Duca.
Vi conviene leggervelo a puntate.

Pazzia

Una sintesi dei miei gusti letterari, per i pigri.

(1) Prima che Dago me lo chieda: no, non simpatizzo con i populisti anarchici. Tra l’altro, Lenin ci scrisse sopra un libro per mettere in guardia i bolscevichi da quel branco di idealisti privi di scienza: Che cosa sono gli “Amici del Popolo”?.Torna su
(2) Per chi non la conoscesse, secsi utentessa che frequenta i blog di Zwei e del Duca (e, se non ricordo male, il forum di Massacri Fantasy). Ma sono certo che Dago fornirà informazioni supplementari a chiunque sia interessato.Torna su

I Consigli del Lunedì #21: Vacuum Flowers

Vacuum FlowersAutore: Michael Swanwick
Titolo italiano: L’intrigo Wetware
Genere: Science Fiction / Hard SF / Space Opera / Cyberpunk
Tipo: Romanzo

Anno: 1987
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 260 ca.

Difficoltà in inglese: ****

Rebel Elizabeth Mudlark si risveglia in una clinica nell’Eros Kluster – un grappolo di colonie spaziali costruite nella Fascia di Asteroidi – nelle mani di un chirurgo inquietante, solo per scoprire di aver perso la memoria. In fuga dalla clinica, i ricordi si affacciano gradualmente alla sua memoria. Rebel è la registrazione digitale di una pilota di comete-albero, morta in un incidente mentre viaggiava dalle remote colonie della nube di Oort verso il centro del Sistema Solare. Ma il corpo non è il suo: la sua personalità è stata impiantata in Eucrasia Welsh, un genio della riprogrammazione neurale che per mestiere si fa inserire altre personalità nella testa per ‘testarle’ e correggere prima che vengano lanciate sul mercato, e che in un attacco di follia ha distrutto tutte le altre copie di Rebel. Ora però la personalità di Rebel è diventata proprietà della supercorporation Deutsche-Nakasone, che rivuole indietro il suo prodotto.
In fuga dalla corporation e alla ricerca di un posto nel mondo, Rebel si troverà a viaggiare per il Sistema Solare colonizzato. Nel suo viaggio, incontrerà una serie di personaggi che non è chiaro se siano amici o nemici: il rivoluzionario Wyeth, dalla mente partita in quattro diverse personalità; Snow, una Net-runner bioingegnerizzata al punto da sembrare a malapena un essere umano; Bors, un mercante appassionato di libri antichi, alla ricerca delle tragedie perdute di Shakespeare; e soprattutto la Comprise, una coscienza collettiva che ha assorbito la Terra e tutti i suoi abitanti e ha bandito l’essere umano aldilà dell’orbita lunare. Ma la battaglia più dura, Rebel dovrà combatterla nella sua testa: perché Eucrasia è ancora lì, ed è intenzionata a riprendersi il suo corpo e a cancellare la sua seconda personalità per sempre.

Vacuum Flowers è un’opera che parte da premesse canoniche – la protagonista senza memoria, ribelle, in fuga da una corporazione kattiva – ma prende gradualmente direzioni inaspettate. Pur appartenendo alla prima generazione del cyberpunk (è uscito tre anni dopo Neuromante, e dopo che Swanwick e Gibson avevano collaborato all’antologia Burning Chrome), Vacuum Flowers lascia i temi dell’ingegneria genetica, delle supercorporazioni e soprattutto della Rete un po’ in secondo piano rispetto ai viaggi spaziali, alle colonie artificiali, e a tutto il bagaglio della space opera.
Rimane nodo centrale del romanzo, invece, il tema tipicamente cyberpunk della riprogrammazione neurale. Wetware: il concetto per cui, se consideriamo le connessioni neuronali come i circuiti di un computer, e la psiche umana come un software che gira sulla macchina del cervello, allora la mente umana è riprogrammabile come Windows. Fiko!

Oh, BTW. Visto che non trovavo abbastanza immagini soddisfacenti per questo articolo e sono un simpaticone, vi beccherete invece degli assaggi della perfetta colonna sonora cyberpunk: brani a caso dei Venetian Snares1! So cool! ^.^


Hospitality, dall’omonimo album del 2006 ^_^

Uno sguardo approfondito
Un primo vantaggio di Vacuum Flowers, rispetto alla maggior parte dei successivi romanzi di Swanwick, sta nella gestione del pov. Invece che vagare tra un mucchio di comprimari, la telecamera sta sempre sulle spalle della protagonista, e questo ha due effetti: 1. Gradualmente ci immedesimiamo in Rebel, fino a condividerne gioie e dolori; 2. Non sappiamo cosa succede aldilà della percezione di Rebel, il che amplifica il senso di diffidenza e spaesamento provato dalla protagonista.
Entrambi i risultati sono positivi, data l’atmosfera -punk del romanzo. Swanwick infatti ci precipita in un Sistema Solare sporco, brutale, cinico; dagli slum pieni di piccola criminalità e cellule terroristiche, alle lobby asettiche e gelide delle corporation, ci viene martellato il concetto che non possiamo fidarci di nessuno, che è pieno di gente che vuole farci la pelle. Vacuum Flowers è un romanzo cupo, che mette ansia, e dove succedono molte cose brutte. Rebel si metterà più di una volta a piangere; ma mentre a leggere del pianto di Nihal nelle Cronache troisiane ci veniva da pensare “ma quanto frigna!”, qui ci si stupisce che Rebel pianga così poco.

Il mondo di Vacuum Flowers non è crudele e spietato perché sì perché è fantasy, ma perché è realistico. E’ un mondo dominato dalle leggi di mercato, e dai rapporti economici e politici tra le colonie spaziali, ambienti ostili e tendenzialmente inadatti alla vita umana; un mondo che deve fare a meno della Terra, resa irraggiungibile dalla coscienza collettiva che l’ha posseduta, la Comprise, e che “assorbe” in sé chiunque vi entri in contatto (benché ci si possa ancora fare affari!). Swanwick ha infatti posto molta attenzione nel creare una galassia di sistemi politici diversificati e credibili, dal capitalismo anarchico che regna nelle colonie della Fascia degli Asteroidi al Popolo di Marte, un sistema totalitario che ricorda l’Unione Sovietica, devota al lavoro e al sacrificio di sé per il bene collettivo.
Impegnati nel difficile compito di terraformare Marte e renderlo abitabile nel giro di due secoli, i burocrati del Popolo non esitano a riprogrammare la psiche dei suoi cittadini per sopprimere gli istinti individualistici che rallenterebbero il lavoro e la dedizione alla causa: certo, è una vita orribile, e tuttavia bisogna ammettere che il Popolo sta riuscendo a terraformare Marte e ad assicurare un futuro luminoso per i suoi discendenti! Chi ha torto, chi ha ragione? Ambiguità morale: questa è l’aria che si respira in tutto il romanzo, e che rende quello di Vacuum Flowers un mondo complesso e realistico.
Così come complessi, realistici e moralmente ambigui sono i personaggi della storia. E’ difficile distinguere buoni e cattivi; alcuni, retti e onesti in linea di principio, potrebbero essere indotti a compiere azioni immorali per necessità (di soldi, di prospettive…); altri, dalla volontà debole, perché persuasi; altri perché genuinamente convinti di stare facendo la cosa giusta, e così via. Poiché tutti o quasi i comprimari del romanzo si muovono in un’atmosfera di incertezza, è difficile immaginare come si comporteranno – e questo da un lato li rende più realistici e interessanti, dall’altro alimenta il senso di insicurezza di Rebel e di noi lettori.

Crash di Windows

Non sarebbe bellissimo se succedesse anche alle persone?

L’altra faccia di Vacuum Flowers, la faccia più luminosa/giocosa, è quella delle idee. Già si capisce che Swanwick sarebbe finito a fare new weird: ogni poche pagine si trova una trovata bizzarra o un marchingegno geniale! Dato che la maggior parte del romanzo si svolge su colonie spaziali di varie fogge e funzioni, l’autore deve immaginare da zero il funzionamento di molte attività quotidiane, come ad esempio il sistema di corde e pulegge utilizzato dagli spiantati abitanti degli slum dell’Eros Kluster per spostarsi in ambienti a bassissima gravità (nell’Eros Kluster, infatti, l’attrazione gravitazionale cambia a seconda della distanza dal nucleo).
O ancora, i composti macchina-albero che hanno dato vita ad intere società che vivono su alberi bioingegnerizzati (i treeworlders della Nube di Oort), o i transit rings, o il sistema metodico della Comprise di smantellare le proprie apparecchiature spaziali dopo averle utilizzate per impedire ai popoli dello spazio di ricostruirle o anche solo comprenderne il meccanismo. E la stessa Comprise, che forse è una degradazione dell’essere umano, ma forse è il suo prossimo step evolutivo…

Ma l’invenzione più affascinante e pervasiva del romanzo è proprio quella di wetware. Un wetprogrammer lavora attaccando il cervello del paziente a una macchina che disegna la mappa delle sue connessioni neurali (wetwafers) per poi modificarla tramite un computer.
Una personalità può essere alterata leggermente (quel tanto che serve a dargli quell’equilibrio mentale che gli mancava, per esempio) o completamente; il co-protagonista Wyeth è stato modificato in modo da ospitare al suo interno quattro differenti personalità che operano in sinergia come un team, nei ruoli di Leader, Guerriero, Sciamano e Giullare, e ciascuna di esse ha le sue espressioni facciali e il suo tono di voce. E quando la polizia vuole fare una retata, non ha bisogno di portare molti agenti: pochi tocchi, e qualsiasi passante intercettato si trasformerà per qualche ore in un agente a sua volta, votato all’unico, violento impulso di arrestare i colpevoli.


Cleaning Each Other, dall’album Songs About My Cats (2001). Non perdetevi la parte che comincia a 2:25!

Insomma, Vacuum Flowers è una fiera di trovate weird e speculazioni geniali; ce ne sarebbe abbastanza per scrivere una decina di romanzi, probabilmente! Ma questo, forse, è anche l’errore di Swanwick. Gestire così tante idee in meno di 300 pagine non è compito facile, e certo l’autore non si sforza per mettere a suo agio il lettore. Tra neologismi, riferimenti criptici, allusioni a cose che i personaggi già sanno, e mezze spiegazioni, è facile sentirsi spaesati e non capire di che diavolo stanno parlando o cosa stia succedendo. Il fatto che Rebel cominci il suo “viaggio” con un’amnesia quasi completa permette a Swanwick di spiegarle (e quindi spiegarci) alcune delle caratteristiche del suo mondo, ma altre sono date per scontate e molto è lasciato all’intuizione del lettore. Ora, io apprezzo quando uno scrittore non tratta il suo pubblico come un branco di decerebrati e non spiega tutto per filo e per segno, ma spesso la sensazione è che ci siano troppi pochi indizi per avere il controllo della situazione, e che la fatica sia troppa commisurata al guadagno (ma potrebbe anche essere colpa del mio inglese non eccellente).
Diverse volte, inoltre, Vacuum Flowers sembra perdersi in subplot o digressioni che non sembrano collegati con la quest di Rebel, e inevitabilmente uno arriva a chiedersi, “perché Swanwick mi sta complicando inutilmente la vita?”. Poi spesso si scopre che l’elemento introdotto in sordina ha importanza per l’evoluzione della trama (su tutti, la shyapple, device importantissimo inserito come se niente fosse a metà di un capitolo qualsiasi, e poi dimenticato per svariati altri capitoli!) – ma allora perché non utilizzare un pretesto meno “accidentale” per introdurlo?

Oltretutto, già in questo romanzo troviamo la tendenza spiacevole di Swanwick a fare dei salti temporali tra un capitolo e l’altro, lasciando che il lettore capisca da sé (sempre raccogliendo indizi) cosa sia successo nel frattempo. E ancora, a volte si ha l’impressione che Rebel, benché personaggio-pov, capisca, scopra e sappia più di noi, che pure dovremmo vedere attraverso il suo sguardo e sentire attraverso i suoi pensieri.
Non mi è ben chiaro perché Swanwick si comporti così; forse per alimentare la suspence (oh no! Cos’avrà scoperto Rebel? Oh no! Perché si comportano così all’inizio del capitolo, cos’è successo prima?), forse per fare di ogni capitolo un “quadro”, una scena in sé conclusa. In ogni caso, sono trovate artificiose che, oltre a rendere più faticosa la lettura, allentano il meccanismo immedesimativo con la protagonista. Perché, a meno che abbiate dei disturbi, dubito che durante la vostra giornata vi capitino dei vuoti di memoria che poi dovete ricostruire basandovi su indizi che voi stessi lasciate nei gesti o nelle discussioni con altre persone.

Technobabble

Qualcosa del genere.

Insomma, Vacuum Flowers è un romanzo a tratti faticoso da seguire – sia perché complicato (e a volte, inutilmente complicato), sia perché colpisce a livello emotivo. Ciononostante, è anche un romanzo capace di regalare molto. Personalmente, lo trovo uno dei romanzi più intelligenti e “illuminanti” (dal punto di vista creativo) che abbia mai letto; e benché sia generalmente considerato un’opera ‘minore’ dell’autore, è quello di Swanwick che preferisco. Un’opera che, per quanto ne sappia, non ha eguali nel suo modo di mescolare in modo intelligente Space Opera, Cyberpunk e pure quel lieve tocco Fantasy che non guasta.
Se vi sentite sicuri del vostro inglese, provatelo. O forse, riuscirete a trovarlo in italiano…

Vacuum Flowers e Neuromancer
NeuromanteSe faccio un paragone tra il romanzo di Swanwick e quello di Gibson, è perché hanno molte cose in comune. Uscito tre anni dopo Neuromante, Vacuum Flowers ne condivide molti elementi, dallo strapotere delle multinazionali alla modificazione artificiale del corpo (anche se qui con un accento sulla psiche piuttosto che sui potenziamenti muscolari), dall’atmosfera sporca e cupa all’attenzione al mondo della piccola e grande criminalità. Hanno molto in comune anche dal punto di vista della prosa: entrambi sono molto curati, entrambi mostrano tutto dal punto di vista di un unico protagonista, entrambi cercano di far intuire le caratteristiche del loro mondo al lettore invece di abbandonarsi a spiegoni infodumposi che piovono dall’alto. Gli amanti di Neuromante, quindi, potrebbero amare anche Vacuum Flowers, posto che gli piaccia la Space Opera e un certo sapore fantastico nella speculazione.
Personalmente, ritengo Vacuum Flowers migliore di Neuromante. Tanto per cominciare, il wetprogramming è molto più figo del cyberspazio di Gibson – che non solo è invecchiato maluccio, ma anche visto con gli occhi degli anni ’80, non è che abbia troppo senso (perché ho bisogno di rappresentarmi banche dati e server come cubi e torri-parallelepipedo? La “battaglia finale” tra Case e Neuromante combattuta nel cyberspazio, infatti, è insulsa). Ancora, in Gibson c’è una certa tendenza ad abbandonarsi a periodi convoluti e intellettualoidi che in Swanwick è appena accennata (ma c’è anche in Swanwick ‘>.>). E infine, most importantly, il Sistema Solare di Swanwick suscita più sense of wonder dello Sprawl e della Terra cyberpunk di Gibson.
Non fraintendetemi: Neuromante è un ottimo romanzo, e si è solidamente piazzato tra i miei 20-30 preferiti; ma Vacuum Flowers è meglio ^.^

Dove si trova?
Vacuum Flowers si trova in formato epub sia su Bookfinder, sia su Library Genesis. Esiste anche una vecchia edizione italiana (dal blasfemo titolo L’intrigo Wetware), ma purtroppo non sono riuscito a rintracciarla né sul Mulo né su Amazon.


Szerencsétlen, dall’album Rossz Czillag Alatt Szuletett del 2005 ^-^

Qualche estratto
I due estratti che ho scelto sono un po’ lunghi, ma ne vale la pena. Il primo è un resoconto di Snow sulla personalità di Rebel e il suo rapporto con la wetprogrammer Eucrasia Welsh, e sintetizza gli eventi che mettono in moto la trama principale; il secondo mostra la Comprise, e una discussione su di essa tra il freddo Wyeth e la biologa Constance.

1.
They sat, and there was an odd glint in Snow’s eyes as they faced her again. Was it amusement, Rebel wondered? If so, it was buried deep. Heisen cleared his throat and said, “This is Rebel Elizabeth Mudlark. Two days ago she was a persona bum, name of Eucrasia Walsh. Eucrasia was doing prelim on a string of optioned wetsets when she burned on the Mudlark wafer and popped her base. Wound up in Our Lady of Roses, and—”
“Hold it right there, chucko!” Rebel said angrily. “Reel it back and give it to me without the gobbledegook.”
Heisen glanced at Snow and she nodded slightly. He began again, this time directing his speech at Rebel. “Deutsche Nakasone reviews a lot of wetware every day. Most of it is never used, but it all has to be evaluated. They hire persona bums to do the first screening. Not much to it. They wire you up, suppress your base personality—that’s Eucrasia—program in a new persona, test it, deprogram it, then program you back to your base self. And start all over again. Sound familiar?”
“I… think I remember now,” Rebel said. Then, urgently, “But it doesn’t feel like anything I’ve done. It’s like it all happened to somebody else.”
“I’m coming to that,” Heisen said. “The thing is that persona bums are all notoriously unstable. They’re all suicidally unhappy types—that’s how they end up with that kind of job, you see? They’re looking to be Mister Right. But the joke is that they have such miserable experience structures they’re never happy as anyone. Experience always dominates, as we say.” He paused a beat and looked triumphantly at Snow. “Only this time it didn’t.”
Snow said nothing. After an uncomfortable pause, Heisen said, “Yeah. We’ve got the exception that disproves the rule. Our Eucrasia powered on, tried the persona—and she liked it. She liked it so much that she poured a glass of water into the programmer and shorted it out. Thus destroying not only the safe-copy of her own persona, but also the only copy in existence of the Mudlark program.”
Again, that small lizard-movement. “Then…” Snow said. “Yes. Yes I see. Interesting.” With the small, electric thrill of remembering something she couldn’t possibly know, Rebel realized that Snow was accessing her system, that a tightly-aimed sonic mike or subcortical implant was feeding her data.

2.
On the graphics window, a glittery wedding band of machinery was afloat in the vacuum. Hundreds of the Comprise crawled about its surface, anchoring and adjusting small compressed gas jets. Painstakingly they guided the ring with a thousand tiny puffs of gas, until the geodesic hung motionless at its precise center. Only now did Rebel get any feel for the ring’s size—miles across, so large that the most distant parts seemed to dwindle to nothing.
[…] Red warning lights blinked on across the length of the transit ring. As one, the Comprise kicked free of the machinery, leaping inward in acrobatic unison, like a swirl of orange flower blossoms seen through a kaleidoscope. By tens and scores they linked hands and were snagged by swooping jitneys. Wandering up out of nowhere, hands deep in pockets, Constance said, “That’s really quite lovely. It’s like a dance.”
Wyeth didn’t look up. “Not quite so lovely when you consider why they’re so perfectly coordinated.”
She blinked. “Oh, quite the contrary. When you think of the complex shapes their thoughts take, the mental structures too wide and large to be held by any one mind… Well, that’s cause for humility, isn’t it?” Then, when Wyeth said nothing, “The Comprise is a full evolutionary step up on us, biologically speaking. It’s like… a hive organism, you see? Like the Portuguese man-of-war, where hundreds of minute organisms go into making up one large creature several orders of magnitude more highly structured than any of its components.”
“I’d say they were an evolutionary step down. Where human thought creates at least one personality per body, the Comprise has subsumed all its personalities into one self. On Earth, some four billion individuals have been sacrificed to make way for one large, nebulous mind. That’s not enrichment, it’s impoverishment. It’s the single greatest act of destruction in human history.”
“But can’t you see the beauty of that mind? Gigantic, immensely complex, almost godlike?”
“I see the entire population of mankind’s home planet reduced to the status of a swarm of bees. A very large swarm of bees, I’ll grant you, but insects nevertheless.”
“I don’t agree.”
“So I see,” Wyeth said coldly. “I will keep that in mind, madam.” The running lights on the transit ring were blinking in rapid unison. To Rebel he said, “See that? They’ve armed their explosives.”
Constance looked confused. “What’s that? Explosives? What in life for?”
The jitneys slowly converged on the geodesic. Ahead of them a gang of spacejacks was fitting an airlock. They welded it through the metal skin, yanking open the exterior iris just as the first transport drifted up. Then they popped the jitney’s drive and replaced it with a compressed air jet system. “They’re about to enter the geodesic, sir,” a samurai said.
“God help you if a single one of the Comprise isn’t accounted for when they reach the sheraton,” Wyeth said darkly. Then, to Constance, “The Comprise doesn’t want us snooping through their technology, Ms. Moorfields. So of course they’ll have programmed the ring to self-destruct if we try anything. And since they have, and since the helium in the ring is only rented, we won’t.”
The jitney eased into the interior atmosphere. It was crammed full and covered over with orange-suited Comprise; they clung three deep to its outside. The pilot hit the jets and it moved toward the sheraton.
“I don’t understand this mutual suspicion,” Constance said. “So mankind has split into two species. Give us time and there’ll be a dozen, a hundred, a thousand! Space is big enough for everyone, I should think, Mr. Wyeth.”
“Is it?”

Tabella riassuntiva

Programmatori cerebrali a spasso per il Sistema Solare! Troppe subplot e troppi passaggi difficili da seguire.
Ci si sente soli e indifesi in un mondo spietato. Sgradevoli “vuoti” tra un capitolo e l’altro.
Rebel è una cara ragazza e un ottimo protagonista. A volte sembra che Rebel ne sappia più di noi.
Una valanga di idee geniali e speculazioni affascinanti.
Mi sono innamorato della Comprise.

(1) Lo so, tecnicamente il tizio è uno solo. Ma dire “il” Venezian Snares è cacofonico, e del resto gli snares sono chiaramente plurali. Soprattutto, se immaginiamo lui come il venetian che produce gli snares, e la sua musica come gli snares da lui prodotti, allora possiamo dire “i Venetian Snares” senza sentirci in errore!
Che interessante digressione.Torna su