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Bonus Track: Il Fascio sulle stelle, di Benito Mussolini

Il Fascio sulle stelleAutore: Massimo Mongai
Genere: Science Fiction / Metafiction / Ucronia / Pulp-trash
Tipo: Raccolta di racconti con cornice
Editore: Robin Edizioni / I libri colorati

Anno: 2005
Nazione: Italia
Lingua: Italiano
Pagine: 288

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Benito Mussolini, stanco degli ambienti socialisti italiani in cui militava, emigra negli Stati Uniti. Deve reinventare completamente la propria vita: fa il bracciante, il maniscalco, il cuoco; e, infine, diventa scrittore di fantascienza. Comincia così la sfolgorante carriera di Benny Mussolini, il galvanized yankee che non la manda a dire!
Una carriera che spazia dalla space opera giovanile degli anni ’20 e ’30 – come “I Cow Boys degli Asteroidi”, sulle avventure di un gruppo di cowboys spaziali incaricati di raccogliere i meteoriti vaganti per il cosmo allo scopo di estrarne minerali preziosi, o “Il Fascio sulle stelle”, sulla scoperta dei resti di una civiltà sorprendentemente simile a quella etrusca in un remoto angolo della galassia – alla sf militaresca del periodo della Seconda Guerra Mondiale – con “Credere, obbedire, combattere”, cronaca di una missione del corpo dei Legionari terrestri contro ottusi lucertoloni alieni che strizza forse l’occhio a Starship Troopers – fino ai racconti “impegnati” della New Wave – come “La Grande Madre”, in cui gli eccessi del femminismo hanno portato al ribaltamento dello status quo, e alla nascita di una società matriarcale in cui gli uomini non hanno diritto di voto e vengono regolarmente stuprati da poliziotte geneticamente modificate e supermuscolose; o “Quanti padri?”, sui mefistofelici piani di un cardinale omosessuale romano per rivoluzionare l’organizzazione della Chiesa mediante la clonazione.

Sulle pagine di questo blog abbiamo già parlato di The Iron Dream, romanzo di Spinrad in cui si immagina una realtà alternativa in cui Hitler non divenne il leader del Terzo Reich ma un onesto scrittore di fantascienza espatriato negli States. Il libro di Mongai è un omaggio esplicito a quell’idea, in cui si immagina un analogo destino per il nostrano Mussolini. Il libro è strutturato come un’edizione critica dei migliori racconti del Nostro, con una serie di introduzioni storiche e una chiusura scritta dallo stesso Benny. Ogni racconto è poi introdotto da un commento dell’autore e chiuso da un commento del curatore; infine, chiude la serie dei racconti un breve capitolo dedicato ai film tratti dai racconti di Mussolini.
In sostanza, il libro porta avanti tre argomenti: raccontarci l’altra vita di Benny, mostrarci i suoi racconti, e darci qualche dettaglio sul tipo di mondo nato dall’assenza di Mussolini e Hitler sui campi di battaglia e nelle arene politiche dell’Europa. Vediamo se c’è riuscito.

Mussolini

Uno sguardo approfondito
Come l’Hitler di Spinrad, anche il Mussolini di Mongai è uno scrittore atroce. Il repertorio della prosa da fantatrash è completo: abbiamo narratore onnisciente che si intromette nella storia e la commenta (“In questi circoli clandestini, dicevo, l’episodio veniva definito come la ‘Grande e Geniale Idea. Questa è la storia per come abbiamo potuto ricostruirla”), pov ballerini, raccontato come se piovesse, cliché a manetta (nel racconto militaresco, l’orgoglio e la dignità dei Legionari terrestri contro la mancanza di disciplina degli alieni). A questo aggiungiamo una punteggiatura sconnessa e una sintassi da ragazzino delle medie 1.
I suoi personaggi sono delle macchiette ambulanti, uomini tagliati con l’accetta che si comportano e parlano in modo standardizzato come in un film di bassa lega. Non c’è sottigliezza o profondità nelle loro parole; più che dare corpo a propri pensieri, sembrano leggere un copione scritto da un dodicenne. E questo è vero non solo per i racconti degli anni ’20 – da cui in fondo non ci si aspetta niente di diverso – ma anche da quelli in stile New Wave: se da una parte i cowboy dello spazio sono la quintessenza del cameratismo eroico e ingenuo (gente che quando è pronto in tavola fa a “chi arriva primo” e per divertimento si stacca il tubo dell’ossigeno nello spazio, per dire) il Peter Varnelli protagonista di “Quanti padri?”, l’ultimo racconto della raccolta, sembra uscito direttamente da un pessimo hard-boiled.

Ma questo disastro stilistico si miscela alla perfezione con quella che è l'”anima” di Benny Mussolini. Le storie, soprattutto le prime, sono deliziosamente kitsch, come in La morte viene dall’oltrespazio, in cui i cowboys spaziali devono distruggere una palla di antimateria che minaccia di distruggere la Terra a suon di bombe H. In tutti o quasi i suoi racconti si respira questa freschezza, questa creatività ingenua e un po’ deficiente. Certo, la catarsi è impossibile, come è impossibile prenderlo sul serio; ma ci si diverte lo stesso. Per tutta la raccolta, si ha come l’impressione di stare al bar con un amico un po’ rozzo che ci racconta storie improbabili e un po’ cretine, ma avvincenti.
Ottima la scelta di scrivere una raccolta di racconti invece di un romanzo, perché in questo modo Mongai evita il problema della ripetitività e della noia che alla lunga sopraggiungono in The Iron Dream. I racconti stessi sono di una varietà estrema: si passa dalla storia distopica a quella su una IA che diventa autocosciente, da una storia sui trip da LSD a una sull’amnesia medica. Ce n’è uno in particolare, talmente geniale che con qualche rimaneggiamento potrebbe forse farsi passare anche come racconto “serio”: “Carnivori si nasce”. In un mondo dove la dieta vegetariana è diventata obbligatoria e il consumo della carne illegale, un giovane bibliotecario, vergine e ignorante dei fatti della vita, trarrà la propria educazione sentimentale dalla lettura contemporanea di libri di cucina e riviste porno scampate ai roghi. Con risultati demenziali.
Purtroppo, se l’estro grossolano di Benny pervade tutta la raccolta, i topoi di Mussolini e del fascismo si fanno sentire soprattutto nella prima metà dei racconti. Tra uomini perseguitati dalle ex ed esperimenti di clonazione, c’è poco di Mussolini nella maggior parte degli ultimi racconti – molti avrebbero potuto essere scritti da qualsiasi scrittore maschilista e un po’ incapace. E diversi spunti sono sottosfruttati: la fissazione per la simbologia romana e pre-romana è utilizzata in un solo racconto!

Cowboy

"Rispediamo quel figlio di un'antimateria da dove è venuto, mh?"

Se da questo punto di vista il libro di Mongai batte a mani basse quello di Spinrad, non si può dire la stessa cosa per quanto riguarda la cornice critica. Spinrad l’aveva alleggerita al massimo: un paio di pagine di introduzione e bibliografia, e 12-15 pagine di considerazioni critiche in coda al romanzo. L’effetto era più o meno: ehi, sapevi che Hitler ha scritto un romanzo di fantascienza! Bam: eccotelo! Al contrario, in Il Fascio sulle stelle bisogna arrivare a pagina 35 per trovare il primo racconto. La finta antologia è letteralmente sommersa di commenti; e, quel che è peggio, spesso le varie introduzioni non fanno che ripetere più volte le stesse cose (per esempio, Milleri deve farci sapere ogni due o tre pagine che l’altro Hitler era soprannominato l’Unno Pazzo). Ti viene da chiederti se hanno fatto un minimo di revisione o si son detti “buona la prima”.
The Iron Dream suggeriva l’esistenza di un mondo un po’ diverso dal nostro, ma lo faceva per accenni e allusioni. Mongai, invece, sente il bisogno di spiattellarci tutti i dettagli del suo Novecento ucronico attraverso le parole del curatore Milleri – tipico errore di chi si innamora troppo delle proprie ambientazioni. Il problema non è tanto l’infodump, quanto l’improbabilità della situazione: invece che parlare di Mussolini, il curatore si mette a fornire dettagli di un mondo che il lettore della sua antologia dovrebbe già conoscere. E’ come se Harlan Ellison, introducendo l’antologia Dangerous Vision (1967), si mettesse a informare i lettori della Guerra Fredda, dell’assassinio di Kennedy o del Vietnam.
Quanto all’ucronia in sé, alcune idee sono divertenti, come la spaccatura dell’Italia in due tronconi indipendenti (modello Corea) negli anni ’30, il sud in mano agli unionisti-nazionalisti di Balbo e De Bono, il nord in mano ai Soviet di Gramsci e Togliatti. Ma Mongai ricama un po’ troppo sull’effetto farfalla, e l’idea di una seconda metà del Novecento in pace completa e densa di belle prospettive solo perché Mussolini e Hitler non sono mai “diventati” Mussolini e Hitler, mi sembra davvero ingenua.

Ma ci sono anche delle note positive. I commenti di Benny all’inizio di ogni racconto sono carini, e sono l’unica cosa che terrei di tutta l’impalcatura critica oltre a un’unica introduzione di poche pagine e all’afterword finale. Bella anche l’idea di presentare, sotto il titolo italiano di ogni racconto, anche il titolo originale – e di riprendere l’antica tradizione italiana dei titoli originali cambiati a minchia in traduzione con altri decisamente più brutti (es. “The Man Who Ate a Woman”, che diventa “Carnivori si nasce”, o “Life Is a Dream”, che diventa l’osceno “L’incubo del sogno”).
Una delle finzioni del libro, infatti, è che tutti i racconti siano stati scritti originariamente in inglese, per cui la versione che leggiamo è una traduzione. Questo però porta a qualche incongruenza. Prendiamo la storia “Carnivori di nasce”. Il racconto gioca molto sul doppio significato di molte parole, che hanno sia valore alimentare che sessuale. Troviamo così “pisello”, “salame”, “fica”, eccetera. Il problema è che in inglese non esiste una tale ricchezza di termini con la doppia valenza cibo/organo sessuale, come in italiano; viene da chiedersi come diavolo dovesse essere il testo originale per arrivare a questa traduzione.

Pisello su forchetta

Un pisello.

Insomma, Il Fascio sulle stelle è un libro divertente. E’ divertente in quel modo semplice e un filo ritardato alla Boa VS Python, con in più la varietà delle situazioni e degli argomenti, e lo sfizio ucronico. Poteva essere fatto meglio, soprattutto la cornice; ma il risultato è comunque migliore di The Iron Dream.
C’è qualche speranza anche per la fantascienza italiana. Forse.

Dove si trova?
Non ho trovato una versione piratata del libro. Lo si può acquistare su Amazon.it a questa pagina; il prezzo di copertina sarebbe di 14 Euro, ma quando l’ho preso il prezzo era scontato a 11,90. Un po’ alto, ma trattandosi di un paperback ci va ancora bene…
Consiglierei agli editori di approntare al più presto un’edizione e-book con un prezzo compreso tra i 3 e i 5 Euro; farebbero un favore a loro e a Mongai. 3-4 Euro il libro li vale di sicuro; ma 12-14 Euro, onestamente, sta al portafoglio e al coraggio del singolo.

Chi devo ringraziare?
Dirò la verità, ho sempre seguito molto poco la fantascienza italiana (non del tutto a torto, credo). Ho sentito parlare per la prima volta di Mongai l’anno scorso, anche se non ricordo dove; uno dei primi articoli che abbia letto sui suoi lavori è questo di Zero, che dedica qualche riga a Memorie di un cuoco d’astronave.
Ma a parlarmi esplicitamente de Il Fascio sulle stelle è stato nientemeno che Dago, che l’ha nominato nei commenti al Consiglio su The Iron Dream. Sono contento: per la prima volta, una proposta fattami qui sul blog si è concretizzata in un articolo!

Boa VS Python

Una delle vette del cinema americano.

Qualche estratto
Ho scelto tre estratti; il primo è tratto dalla cornice a cura di Milleri, e condensa in un solo colpo i suoi pregi (molte idee carine) e i suoi difetti (infodump fuori luogo, periodi lunghissimi e contorti). Gli altri due sono tratti da due dei racconti più simpatici: “I Cow Boys degli Asteroidi” e “Carnivori si nasce”.

1.
Fra gli altri, Tolkien idolatrava Benito Mussolini. Ha più volte dichiarato che il personaggio di Sauron è ricalcato su quello di Dolfo de “Il Graal del Quarto Pianeta” (che fra l’altro sappiamo tutti essere ispirato all’Adolf Hitler del periodo in cui i due non si sopportavano; o meglio, in cui avevano definitivamente smesso di sopportarsi).
Isaac Asimov collezionava tutto ciò che Mussolini aveva scritto, Arthur Clarke non ha mai fatto mistero di essere un suo fan (nonostante Mussolini lo disprezzasse per le sue ben note intemperanze sessuali, e non diciamo di più).
D’altra parte parlare di Mussolini e del suo contributo alla fantascienza italiana sarebbe già di per sé cosa di gran senso, cosa di gran valore, per lo stimolo che dette nel secondo dopoguerra, quando alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nel 1938, tornò in Italia come ambasciatore segli aiuti delle comunità italiane negli Stati Uniti, per ricostruire il paese dopo i disastri della sfortunata, più che criminale, esperienza della guerra civile fra l’Unione Federale dei Soviet Italiani, guidati da Togliatti, e gli Unionisti Italiani di Balbo e del Regno del Sud.
Ma quanto più spettacolare ed importante è stato il suo contributo alla storia della SF americana!
Senza di lui e senza la sua opera innovativa non ci sarebbero Asimov e Clarke, non ci sarebbero Farmer e Van Vogt, non ci sarebbero nemmeno Strober e Marimmai, e loro sono i primi a dichiararlo.

2.
Erano le dodici, ora dell’asteroide-ranch, ed era ora che mangiassero, quegli allegri bricconi, disse fra sé Benny. E cominciò a battere il triangolo con vigore.
Il suono del triangolo risuonò nell’elmetto di Jack Olson, il capo-mandria, che a bordo del suo rocket-horse stava agganciando con il “lazo” magnetico l’ennesimo meteorite ferroso da aggregare alla “mandria” da portare verso Marte. Gli venne subito, come per un riflesso condizionato, l’acquolina in bocca. D’altra parte quel dannato mangiaspaghetti cucinava proprio bene. Un po’ unto, forse, ma bene.
– Hey, Bob! Lunch-time! – disse rivolto al suo pard sull’altro lato della mandria; poi indicando alcune meteoriti sparse nel campo magnetico di controllo, aggiunse:
– Li ancori tu quelli?
– Ok, Jack, ma solo perché stavolta tocca a me. E guai a te se quando arrivo le lasagne sono finite! […]
– Intanto preoccupati che gli ancoraggi magnetici tengano e che la rotta sia quella giusta, che se si sbrancano toccherà a te riagganciarlo ad uno ad uno. Yiippeeee!
E diresse il suo rocket-horse verso l’asteroide-ranch distante circa 200 chilometri, poco fuori del campo di asteroidi. Arrivò in pochi minuti mentre vedeva le scie degli altri space-cowboys dirigersi a loro volta verso il ranch.
Scesero tutti direttamente nell’hangar, da cui passarono nelle sale di decontaminazione, cominciando fin da lì a farsi i soliti scherzi pesanti e stupidi che solo gli space-cowboys sanno farsi: staccare il tubo dell’ossigeno mentre la compensazione non è stata ancora effettuata del tutto, chiudere la valvola della pressione ad uno ed i dotti idraulici ad un altro, insomma quegli scherzi pesanti e border-line che possono anche ammazzarti, ma che miracolosamente non ti ammazzano mai.

Astronauta morto

Ops...

3.
Tornò a casa turbato, ed in modo indescrivibile.
Non che libri e riviste gli avessero chiarito granché, pur avendogli, stranamente, aperto nuovi orizzonti. Cos’erano ad esempio quelle strane cose, le “salsicce”, c’era scritto? Strani budelli di colore rosato, pieni, gonfi, egli supponeva di “carne tritata”? Ma cos’era quel coso grosso che avevano fra le gambe quei signori lì, in quelle fotografie? Lui aveva un coso simile fra le gambe, ma non era così, era piccolo e morbidino, morbidino.
E cosa ci facevano quelle signore? Avevano fame? Ma… non erano le donne che allattavano? E i lattanti non dovevano essere più piccoli? E poi cosa erano quelle cose grosse grosse, rosse rosse, quelle fettone di materia rossastra o rosa o marrone più o meno scuro, con dell’insalata vicino? Cosa voleva dire la parola “bistecca”? E perché quel signore lì in quel fotoromanzo diceva a quella signora, “bisteccona mia”? E poi perché quei signori lì, se volevano essere allattati, mettevano invece la testa in mezzo alle gambe delle signore? E poi mica succhiavano, leccavano…
Cioè, era questa la dieta carnivora? In effetti uno dei signori diceva ad una delle signore: “Sì, sì, ti mangio tutta, ficona mia?”
Ma il fico non era un frutto? E cos’era un salame? Una volta sembrava una specie di “salsiccia”, un’altra proprio uno dei signori veniva chiamato salame, ed un’altra volta ancora veniva chiamato così uno di quei cosi grossi in mezzo alle gambe di uno di quei signori.
E cos’era poi un “porco”? Quelle signore dicevano a quei signori: “Sì, sì fai il porco”, oppure: “Sì, sì, sono la tua porca”. Ma cosa voleva dire? E una “braciola di porco” cos’era? Una specie di costola di uno di quei signori? C’entrava qualcosa la costola d’Adamo di cui gli avevano parlato a scuola di religione?
Era molto confuso.

Tabella riassuntiva

Mussolini scrittore di fantascienza! Il potenziale “mussoliniano” è sottosfruttato.
Le storie di Benny sono divertenti in modo cretino. Scritto male apposta.
Dalla space opera al racconto di guerra alla sf sociale. Cornice critica troppo invadente e ripetitiva.

(1) I racconti di Benny dovrebbero essere scritti male “apposta”, ma a volte viene qualche dubbio. Infatti ho trovato periodi dalla sintassi demenziale e un discutibile uso delle virgole anche in alcuni pezzi del finto curatore Misseri. Non ho letto altri libri di Mongai, quindi non posso fare un confronto, come ho fatto con Spinrad. Il dubbio quindi c’è – ma non sono sicuro di voler scoprire la verità…Torna su

I Consigli del Lunedì #09: The Zap Gun

Mr. Lars sognatore d'armiAutore: Philip K. Dick
Titolo italiano: Mr. Lars sognatore d’armi / Il sognatore d’armi
Genere: Science Fiction / Commedia
Tipo: Romanzo

Anno: 1967
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 180 ca.

Difficoltà in inglese: **

The guidance-system of weapons-item 207, which consists of six hundred miniaturized electronic components, can best be plowshared as a lacquered ceramic owl which appears to the unenlightened only as an ornament; the informed knowing, however, that the owl’s head, when removed, reveals a hollow body in which cigars or pencils can be stored.

Official report of the UN-W Natsec Board of Wes-bloc, October 5, 2003, by Concomody A (true identity for security reasons not to be given out; vide Board rulings XV 4-5-6-7-8).

Lars Powderdry è un disegnatore d’armi alla moda. In un mondo teso e perennemente in guerra, diviso equamente tra il Blocco Ovest (WesBloc) e l’Est Spione (PeepEast), i disegnatori d’armi sono tutto ciò in cui i comuni mortali possono riporre le loro speranze di sopravvivenza: perché essi soli hanno il potere di cadere in uno stato di trance durante il quale accedono al mondo iperuranio, dal quale poi ritornano con in mente i prototipi di nuove, terribili armi da usare nella guerra. Armi sofisticatissime, che in attesa di essere impiegate nel conflitto vengono camuffate da sciccosissimi oggetti d’arredamento come penne a sfera, vasi o gufi di ceramica, e invadono le case di tutti i comuni cittadini. Quanto basta per rassicurare la popolazione e fare di Mr. Lars un eroe nazionale, amato da tutti.
Ma Lars Powderdry è infelice. Non solo perché il suo lavoro gli fa schifo;  o perché teme che i suoi superiori, insofferenti del suo carattere lunatico, lo rimpiazzino con un altro dei sognatori d’armi che stanno segretamente addestrando; o perché è ossessionato dall’unica donna che non può avere, Lilo Topchev, la sognatrice d’armi del blocco sovietico; o perché sta diventando impotente; ma anche perché sa di essere una truffa e che le armi che visita nel mondo delle idee non servono a niente. E come potrà difendersi il pianeta Terra, quando dei veri invasori arriveranno dallo spazio con brutte intenzioni?
E mentre i disegnatori d’armi alla moda vivono le proprie paturnie e il mondo rischia la distruzione, un uomo del tutto insignificante progetta nell’ombra di prendersi la sua rivincita sulla società. Surley G. Febbs, appena nominato Commissario dal governo perché – così dice il depliant – ha dimostrato di essere un cittadino assolutamente medio, ha deciso di piantarla con le umiliazioni e la vita da sfigato che è costretto a condurre per la SRLNER&PFC, e diventare veramente qualcuno…

Philip K. Dick è, ad oggi, il mio scrittore preferito – ho letto più di 30 suoi romanzi. Se fino a questo momento non ne avevo ancora parlato, è perché molti dei suoi romanzi migliori sono assai noti anche in Italia, e parlare, per esempio, di Do Androids Dream of Electric Sheep?, avrebbe poco senso.
Ma The Zap Gun, pur essendo uno dei suoi sei o sette libri migliori, è uno dei meno conosciuti, sia in Italia che in patria. Ed è un romanzo sui generis anche nel canone dickiano. Ai toni cupi e meditativi di molti dei suoi libri, The Zap Gun oppone una storia esuberante e tragicomica, con un protagonista eccessivo e divertimento in dose massicce. Attraverso le due storyline parallele di Lars Powderdry, impegnato a dare un senso alla propria vita e a salvare il mondo dalla minaccia aliena, e quella – subordinata – di un Surley G. Febbs alla ricerca dei suoi 15 minuti di popolarità, si dipana una commedia fantascientifica ricolma di esagerazioni, iperboli e idee dementi. Una commedia che sfiora la parodia ma rimane una storia seria, dalla trama solida e dall’architettura quasi perfetta. E con qualche risvolto tragico.

Gufo di ceramica

Dentro potrebbe esserci un ordigno nucleare.

Uno sguardo approfondito
Tante cose si possono rimproverare alla prosa di Dick, ma non che non sappia gestire il pov. In The Zap Gun il punto di vista si mantiene sempre ancorato alternativamente ad uno dei due protagonisti, ad eccezione di quelle poche scene – come l’ultimo capitolo – in cui nessuno dei due è presente, nelle quali Dick si affida a un pov usa-e-getta. Il raggio d’azione del pov va dalle spalle del personaggio a incursioni dentro la sua testa. Nelle scene con Lars, in particolare, la fusione della telecamera con i pensieri del protagonista si avvicina spesso al filtro totale; tutti gli avvenimenti vengono così accompagnati e filtrati dai commenti salaci di Lars.
Da questo deriva in parte il fascino esuberante del romanzo. Come molti protagonisti dickiani, Lars Powderdry è un uomo instabile, bipolare, una primadonna che alterna fasi di arroganza e di depressione, e guarda agli avvenimenti con un cinismo divertito. Costretto ad assumere droghe per stimolare visioni di superarmi che tardano ad arrivare o non gli appaiono con sufficiente chiarezza (che se quelli del reparto realizzazione della Lanferman Associated non riescono a costruire i prototipi, è con lui che se la prendono!), messo sotto pressione dal Generale Nitz, che minaccia di sostituirlo, e angustiato da disfunzioni erettili che lo mettono in imbarazzo con la sua sofisticata fidanzata parigina, non si può dire che Lars non abbia di che lamentarsi. La sua amoralità, il suo narcisismo, i suoi modi strani e le sue sfighe lo fanno assomigliare a un Jack Sparrow del XXI secolo. E tutti gli avvenimenti – peraltro già farseschi – del libro vengono tinti dei colori del carattere umorale di Lars, dandogli una vivacità particolare che invoglia a continuare la lettura.
Il risultato è una narrazione agrodolce e incalzante, che ricorda un po’ Vonnegut, con la differenza che l’effetto distanziante è attenuato in quanto i commenti divertenti vengono da un personaggio della storia e non dal Narratore Onnisciente. Certo, spesso Dick si lascia prendere la mano, e il suo personaggio si inerpica in locuzioni e metafore esagerate. In alcuni passaggi, Lars diventa stucchevole, e le sue considerazioni finiscono per alzare un muro tra il lettore e la storia. Ma questo fortunatamente non accade spesso, e d’altronde è un difetto perdonabile, visto che il romanzo inclina più verso la commedia che verso la tragedia.

Se Lars è un personaggio indimenticabile, anche i comprimari fanno una bella figura. A cominciare dall’ascetico Dottor Todt e dall’infermiera Elvira Funt, l’equipe medica privata che armata di flebo e carrello lo segue ovunque durante l’orario di lavoro, nell’attesa che gli venga una trance; la sua ragazza, Maren Faine, brillante donna in carriera (nonché divoratrice di uomini), che rimarca costantemente la propria superiorità nei confronti del suo uomo e non ha problemi a farlo sentire una cacca; il rude Generale Nitz e tutto il gotha della NU-Ovest SicNaz di Festung Washington, che in tempo di pace fa la voce grossa, ma al palesarsi della minaccia aliena si sigilla nel bunker sotto Festung Washington; la “collega” sovietica di Lars, Lilo Topchev, ragazzetta che dietro l’apparenza acqua e sapone nasconde una freddezza e una spietatezza inquietanti.
E una menzione speciale va a Febbs. Ometto stupido e meschino, con un’opinione illimitata di sé e l’incapacità di vedere oltre il proprio naso, megalomane, dotato di saccenza estrema e si una verbosità killer (soprattutto quando si parla delle superarmi prodotte dai sognatori, delle quali ha una passione morbosa), costruirà tutta una serie di macchinazioni segrete che costituiscono un vero romanzo nel romanzo. Con Febbs, Dick è riuscito a creare un personaggio al contempo tanto sgradevole (se immagini di averci a che fare), quanto divertente da osservare da lontano.
E nonostante questa galleria di individui presenti un sacco di tratti esagerati e grotteschi, i personaggi non scadono nella macchietta – Dick è in grado di mantenerli credibili, grazie a dialoghi brillanti e a una gestualità appropriata, non stereotipica.

Jack Sparrow sognatore d'armi

“Da grande voglio fare il sognatore d’armi alla moda…”

Ma la vera linfa del romanzo sono le idee folli di cui è infarcito. A partire dal concetto che sta alla base del libro: la produzione di massa di superarmi sofisticatissime e assolutamente inutili nella forma di oggetti d’arredamento, i cui prototipi vengono rinvenuti dal Mondo delle Idee. Si va dalla Pattumiera Esplosiva, una sorta di bomba a grappolo che produce in una vasta area un rutto continuo ad altissima intensità, che si protrae per giorni e impedisce di dormire, al Distorcitore d’Informazione Civica, un missile terra-aria capace di alterare e rendere inintelligibili interi archivi di documenti top-secret. E che dire del Vecchio Orville, un soprammobile a forma di testa umana che fa da consulente sessuale a Lars citando Kafka e Wagner?
Ma c’è anche Vincent Krug, umile inventore di giocattoli geniali che nessuno si fila, la cui ultima creazione, l’Uomo nel Labirinto, sembra avere la capacità di alterare in modo irreversibile la percezione e le emozioni dei giocatori. O il vecchio reduce che passa le sue giornate su una panchina di Festung Washington, raccontando di una guerra che non c’è mai stata. O ancora, il misterioso Uomo Cefalopode Blu di Titano, fumetto fantascientifico pulp realizzato dall’artista pazzo di origini italiane Oral Giacomini, prodotto in Ghana e distribuito con largo successo in tutta l’Africa Occidentale, e che per qualche strana ragione ritrae nelle sue tavole le stesse armi immaginate dai sognatori d’armi…
E l’estro di Dick si estende anche ai nomi di persone e cose. Quasi tutti i personaggi hanno nomi parlanti – onomatopeici o composti – e si sprecano le sigle e gli acronimi improbabili, parodia dell’abitudine della fantascienza, da Orwell in poi, di coniare neologismi e contrazioni. Così, Febbs molla il lavoro alla SRLNER&PFC, mentre Lars, tenuto sotto schiaffo dalla NU-Ovest SicNaz, cerca di procurarsi immagini arrapanti di Lilo Topchev affidandosi all’agenzia investigativa KACH (che suona catch, acchiappare).

Idee e colpi di scena si succedono nel romanzo a velocità folle. Il ritmo, complice la già citata voce del protagonista, è indiavolato – i personaggi non se ne stanno mai con le mani in mano, non ci sono momenti di stanca. In 200 pagine scarse accadono un sacco di avvenimenti e si intrecciano decine di storie diverse, dalla guerra interplanetaria ai drammi coniugali del protagonista.
Accade pure troppo, per i miei gusti. Il lettore ha bisogno di una certa dose di tempo e pagine per assimilare nuove idee e personaggi, sviluppare un interesse emotivo, fare delle previsioni su quello che succederà. Buttando una dietro l’altra tutte queste trovate, facendo correre la storia così velocemente, il lettore non ha il tempo di godersela come potrebbe. Avrei preferito che Dick si concedesse 30-50 pagine in più 1,
Bisogna comunque plaudere al fatto che, nonostante la mole di idee e sotto-trame, The Zap Gun riesca a far quadrare i conti, a chiudere tutte le storie senza lasciare indietro nulla, e a proporre un finale intelligente.

Keyblades

Nell’iperuranio ci sarà spazio anche per questo tipo di armi?

Una nota finale sullo stile.
In 30 anni di carriera, Dick ha scritto quasi 50 romanzi e più di 100 racconti; negli anni ’60, era anche capace di completare tre o quattro romanzi all’anno, scrivendoli al ritmo indiavolato di dieci e più ore al giorno, imbottito di psicofarmaci per non perdere il ritmo (oltre che per guarire la depressione), e di antidolorifici per i crampi alla mano. Di conseguenza, pur essendo un buono scrittore, lo stile di molti dei suoi romanzi fa non di rado pensare a una prima stesura venuta nemmeno troppo bene.
Rispetto alla media del periodo, The Zap Gun ne esce dignitosamente. Il raccontato e gli infodump abbondano, anche se, essendo inseriti in modo naturale nei pensieri dei due personaggi-pov, la cosa non genera molto fastidio. In molti punti, si sente che sono stati scritti velocemente, in modo grezzo. La mia impressione è che se Dick si fosse concesso un’altra stesura o due, avrebbe prodotto un capolavoro. Ma anche così, il risultato è brillante.
E The Zap Gun è un romanzo che tutti gli amanti della narrativa di genere dovrebbero provare a leggere.

Dove si trova?
Su library.nu si può trovare in pdf tanto la versione in lingua originale, quanto la versione italiana – col titolo Il sognatore d’armi.
Un paio d’anni fa la Fanucci ha ristampato Mr. Lars, e la nuova edizione si trova ancora in libreria, ma sconsiglio fortemente di comprarla: il traduttore, quel disgraziato di Carlo Pagetti, ha avuto la bellissima (?) idea di cambiare i nomi della maggior parte dei personaggi e delle sigle “per renderli più divertenti”. Poiché nell’originale i nomi dei personaggi nell’originale sono onomatopeici o composti da giochi di parole, Pagetti voleva trasporre il gioco in italiano – con risultati pessimi. E così troviamo, per esempio, Surley G. Febbs trasformato in “Sorcey O. Fosse”.
La giustificazione di un tale scempio? Eccola: “Né potevo esimermi dall’intervenire sull’identità dell’ineffabile Surley G. Febbs, […] che viene ‘fecondato’ nell’attuale versione italiana come Sorcey (poiché ha qualcosa di sorcino, subdolo), O. (come Oronzo), Fosse, un banalissimo, ma pregnante, anagramma di Fesso”.
Cristo, che razza di ritardato.

Su Dick
La produzione di Dick è sterminata. Se, stilisticamente parlando, quelli che si salvano sono pochi, idee geniali e ambientazioni originali si trovano quasi in tutti. Tra quelli che ho preferito, per forma e/o contenuto, ne segnalo cinque:
La svastica sul soleThe Man in the High Castle (L’uomo nell’alto castello, più noto in Italia come “La svastica sul sole”), ci trasporta in un’ucronia in cui le forze dell’Asse hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, e Giappone e Germania nazista si sono spartiti gli Stati Uniti. Romanzo corale dal taglio più mainstream che fantascientifico, segue le vite di una serie di personaggi che si trovano a vivere in questi States alternativi. Libro molto interessante, anche se forse può piacere di più agli amanti del mainstream che non a quelli della letteratura di genere, dato che c’è poca azione.
Le tre stimmate di Palmer EldritchThree Stigmata of Palmer Eldritch (Le tre stimmate di Palmer Eldritch) è un romanzo allucinante ambientato in un futuro prossimo in cui colonie spaziali sono state costruite su tutti i pianeti del sistema solare. Poiché la vita sulle colonie è dura ed eremitica, le Nazioni Unite hanno legalizzato la diffusione di droghe ricreative. Nel romanzo si incontrano i temi delle droghe, delle realtà alternative, del disagio esistenziale, di Dio e della transustanziazione, e della guerra tra multinazionali. Il romanzo è geniale e Palmer Eldritch una figura che rimane impressa; lo stile, purtroppo, è raffazzonato. Consigliatissimo.
Ma gli androidi sognano pecore elettriche?Do Androids Dream of Electric Sheep? (Ma gli androidi sognano pecore elettriche?) è famoso come precursore del cyberpunk e come ispiratore di Blade Runner. Dirò solo che è mille volte meglio del film di Ridley Scott. Su una Terra semiabbandonata, ingombra di rifiuti e polveri e povera di animali, il cacciatore Rick Deckard è incaricato di individuare uno stock di androidi in fuga e terminarli. Se la morale del film di Scott è il solito annacquamento esistenziale di Cartesio che porta a dire “uomini e androidi sono uguali”, il romanzo di Dick vuole spiegarci perché gli androidi sono diversi dagli esseri umani e perché non possono che essere diversi.
Scorrete lacrime, disse il poliziottoFlow My Tears, the Policeman Said (Scorrete lacrime, disse il poliziotto) è uno slipstream ambientato in un futuro prossimo in cui gli States sono diventati uno stato di polizia. In seguito a un incidente, la star televisiva Jason Taverner diventa una non-persona; nel tentativo di recuperare la sua identità, incontrerà una serie di donne e conoscerà molti tipi di amore. Il suo destino è in mano Felix Buckman, cinico commissario di polizia con una sorella psicotica, che gli dà la caccia. Adoro questo romanzo, ma a molti non piace; inoltre sono il primo a dire che è una storia molto strana, e che la componente fantascientifica ha un ruolo marginale, di “innesco” della vicenda.
Un oscuro scrutareA Scanner Darkly (Un oscuro scrutare) è il mio romanzo preferito in assoluto, e tanto per cambiare è uno slipstream. C’è una nuova droga in circolazione, la pericolosa Sostanza M. Per scoprire chi ci sia dietro, l’agente della narcotici Robert Arctor assume i panni di un tossico e va a vivere tra i drogati. Ma col passare del tempo, le droghe lo consumano, e le sue due personalità cominciano a dissociarsi… Bellissimo romanzo esistenziale sulla vita dei tossici (che Dick ha sperimentato dal di dentro per alcuni anni). Date un’occhiata anche all’omonimo film di Richard Linklater (con Keanu Reeves e Robert Downey Jr.), fatto molto bene e fedele al libro.
Altri titoli fantascientifici interessanti sono Solar Lottery (Lotteria dello spazio), The World Jones Made (Il mondo che Jones creò), Time Out of Joint (Tempo fuor di sesto), We Can Build You (L’androide Abramo Lincoln), Dr. Bloodmoney (Cronache del dopobomba), The Simulacra (I simulacri), Clans of the Alphane Moon (Follia per sette clan), Now Wait for Last Year (Illusioni di potere), Ubik, A Maze of Death (Labirinto di morte), Our Friends from Frolix 8 (Nostri amici da Frolix 8).
Se vi sentite coraggiosi, potete anche provare a leggere il famoso VALIS – che però sta tra il mainstream e la literary fiction più che nella sf. Sconsiglio Eye in the Sky (Occhio nel cielo), anche se inspiegabilmente è considerato un classico dickiano.
Soprattutto nei primi dieci anni della sua carriera (ma anche negli ultimi), Dick ha scritto anche molti romanzi mainstream. Alcuni sono molto belli, e ne parlerò in un articolo a parte.

Chi devo ringraziare?
Cominciai a leggere Dick in occasione della ripubblicazione di una buona metà dei suoi romanzi da parte della Fanucci, in occasione del 25° anniversario dalla morte dello scrittore. Ma The Zap Gun non era tra i fortunati che erano stati ripubblicati.
Probabilmente avrei finito per non leggerlo mai, non fosse stato per un fanatico di Dick di mia conoscenza. Lo chiamavano Boccia; pensavo lo facessero perché era quasi pelato, ma in realtà poi ho scoperto che prima di perdere i capelli andava in giro con una pettinatura afro ed era per quello che gli avevano appioppato il soprannome. Ma sto divagando. Insomma, questo tizio mi dice che tra tutti i romanzi di Dick, il più bello è Mr. Lars.
Inizialmente ero scettico, perché la versione cartacea del libro era introvabile, e a quell’epoca per me i lettori e-book erano più un concetto metafisico che una realtà tangibile. Beh, fatto sta che alla fine mi convinse, e Mr. Lars divenne il primo libro digitale che scaricai e lessi – interamente allo schermo del computer. Con grande gioia della mia cornea. Quindi diciamo che per me questo romanzo ha anche un valore affettivo^^

Parrucca afro

Parrucche afro. Una delle cose che rimpiango degli anni ’70.

Qualche estratto
Il primo estratto è preso dal capitolo iniziale, ci mostra l’istronico pov di Lars e al contempo dice molto sul duro lavoro del sognatore d’armi. Il secondo ha invece per protagonista Surley G. Febbs, e in un colpo solo ci testimonia della sua saccenza e delle superarmi che conosce a menadito.

1.
It was a weakness—or, as he preferred supposing, a strength of weapons fashion designers, in contrast to their miserable counterparts in the world of clothing—that they liked women. His predecessor, Wade, had been heterosexual, too—had in fact killed himself over a little coloratura of the Dresden Festival ensemble.
Mr. Wade had suffered auricular fibrillation at an ignoble time: while in bed at the girl’s Vienna condominium apartment at two in the morning, long after The Marriage of Figaro had dropped curtain, and Rita Grandi had discarded the silk hose, blouse, etc., for—as the alert homeopape pics had disclosed — nothing.
So, at forty-three years of age, Mr. Wade, the previous weapons fashion designer for Wes-bloc, had left the scene—and left vacant his essential post. But there were others ready to emerge and replace him.
Perhaps that had hurried Mr. Wade. The job itself was taxing—medical science did not precisely know to what degree or how. And there was, Lars Powderdry reflected, nothing quite so disorienting as knowing that not only are you indispensable but that simultaneously you can be replaced. It was the sort of paradox that no one enjoyed, except of course UN-W Natsec, the governing Board of Wes-bloc, who had contrived to keep a replacement always visible in the wings.
He thought, And they’ve probably got another one waiting right now. They like me, he thought. They’ve been good to me and I to them: the system functions.
But ultimate authorities, in charge of the lives of billions of pursaps, don’t take risks. They do not cross against the DON’T WALK signs of cog life.
Not that the pursaps would relieve them of their posts… hardly. Removal would descend, from General George McFarlane Nitz, the C. in C. on Natsec’s Board. Nitz could remove anyone. In fact if the necessity (or perhaps merely the opportunity) arose to remove himself— imagine the satisfaction of disarming his own person, stripping himself of the brain-pan i.d. unit that caused him to smell right to the autonomic sentries which guarded Festung Washington!
And frankly, considering the cop-like aura of General Nitz, the Supreme Hatchet-man implications of his—
“Your blood-pressure, Mr. Lars.” Narrow, priest-like, somber Dr. Todt advanced, machinery in tow.
“Please, Lars.”

Era una debolezza che ai disegnatori d’armi alla moda piacessero le donne? O non era invece una forza, in contrasto con i loro miserabili equivalenti nel mondo dell’abbigliamento? Il suo predecessore, Wade, era stato anche lui eterosessuale: era morto a causa d’una ballerina dell’ensemble del Festival di Dresda. Mr. Wade era stato colpito da fibrillazione articolare nel momento più inopportuno e ignobile, mentre era a letto con la ragazza in una casa d’appuntamenti a Vienna, quando il sipario era disceso già da troppe ore sul Matrimonio di Figaro e Rita Grandi si era sfilata calze, camicetta, eccetera, in cambio di, come i poliziotti accorsi avevano accertato, niente.
Così, all’età di quarantatré anni, Mr. Wade, il penultimo disegnatore di armi alla moda del Blocco Ovest, era uscito di scena, lasciando un vuoto improvviso in una posizione-chiave. Ma non erano certo mancati altri, pronti a emergere e a rimpiazzarlo.
Forse era stato questo a far sì che Mr. Wade si affrettasse. Il suo lavoro presentava le caratteristiche d’una assoluta necessità, anche se la scienza medica non poteva ancora precisare fino a che punto e in qual modo. E non c’è nulla di più disorientante, rifletté Lars Powderdry, quanto la certezza che non soltanto si è indispensabili, ma che contemporaneamente si può essere subito rimpiazzati. Era un tipo di paradosso che nessuno amava, eccettuata naturalmente la NU Ovest Sic Naz (Sicurezza Nazionale), il governo supremo del Blocco Ovest, che aveva sempre tenuto pronto un sostituto.
E probabilmente, pensò, ne hanno in caldo uno anche adesso.
Io però gli piaccio, pensò ancora. Sono stati bravi con me, e io sono stato bravo con loro; il sistema funziona.
Ma le autorità supreme, incaricate di proteggere la vita di miliardi di cittadini comuni, non avrebbero certo corso rischi. Guai a ignorare il segnale di STOP nella strada dei padroni!
La rimozione sarebbe “discesa” fulminea dal generale George McFarlane Nitz, comandante-in-capo del Consiglio della Sicurezza Nazionale. Nitz poteva rimuovere chiunque. Perfino se stesso, se ne fosse sorta la necessità, o forse semplicemente l’opportunità: immaginate la soddisfazione di disarmare la propria persona, di staccarsi dal cranio l’unità ID, che trasmetteva la sua puzza fino ai guardiani automatici di Festung, Washington!
E francamente, considerando quanto il generale Nitz fatalmente incarnasse dell’Inquisitore e del Giudice Supremo armato di Scure…
— La sua pressione del sangue, Mr. Lars. — L’ascetico dottor Todt si fece avanti col macchinario a
rimorchio. — Per favore, Lars.

2.
Frankly, I think we ought to drop a Garbage-can Banger on New Moscow.”
“What’s that?”
Condescendingly, because he fully realized that the average man had not done research endlessly at the pub-libe as he had, Febbs said, “It’s a missile that wide-cracks in the atmosphere. ‘Atmosphere,’ from the Sanskrit atmen, ‘breath.’ The word ‘Sanskrit’ from samskrta, meaning ‘cultivated,’ which is from sama, meaning ‘equal,’ plus kr, ‘to do,’ and krp, ‘form.’ In the atmosphere, anyhow, above the popcen— the population center — which it’s aimed at. We place the Judas Iscariot IV above New Moscow, set to wide-crack at half a mile, and it rains down minned—miniaturized—h’d, that means homeostatic —”
It was hard to communicate with the ordinary mass man. Nonetheless Febbs did his best to find terms which this portly nonentity — this nont — would comprehend. “They’re about the size of gum wrappers. They drift throughout the city, especially into the rings of conapts. You do know what a conapt is, don’t you?”
Spluttering, the portly businessman-type said, “I live in one.”
Febbs, unperturbed, continued his useful exposition. “They’re cam – that is, chameleon; they blend, color-wise, with whatever they land on. So you can’t detect them. There they lie, until nightfall, say
around ten o’clock at night.”
“How do they know when it’s ten o’clock? Each has a wristwatch?” The portly businessman’s tone was faintly sneering, as if he imagined that somehow Febbs was putting him on. With massive condescension Febbs said, “By the loss of heat in the atmosphere.”
“Oh.”
“About ten p.m., when everyone’s asleep. […] They start,” Febbs said. “Each pellet; fully cammed, begins to emit a sound.” He watched the portly man’s face. Obviously this citizen did not bother to read Wep Weke, the info mag devoted exclusively to pics and articles, and, where possible, true specs, of all weapons, both Wes-bloc and Peep-East — probably by means of a data-collecting agency he had in a vague way heard of named KICH or KUCH or KECH. Febbs had a ten-year file of Wep Weke, complete, with both front and back covers intact; it was priceless. “What kind of sound?”
“A horrid sneering sound. Buzzing. Like—well, you’d have to hear it yourself. The point is, it keeps you awake. And I don’t mean just a little awake. I mean wide-awake. Once the noise of a Garbage-can
Banger gets to you, for example, if a pellet is on the roof of your conapt building, you never sleep again. And four days without sleeping—” He snapped his fingers. “You can’t perform your job. You’re no good to anyone, yourself included.”

– Francamente, credo che dovremmo lanciare una Pattumiera Esplosiva sopra Nuova Mosca.
— Che cosa?
Condiscendente, perché si rendeva conto che nessun uomo medio si era dato la pena di compiere le sue stesse interminabili ricerche alla biblioteca pubblica, Febbs spiegò: — È un missile che si sbriciola nell’atmosfera. “Atmosfera”, dal sanscrito atmen, “respiro”. La parola “sanscrito”, da samskrta, significa “colto”, e proviene da sama, che significa, “uguale”, più kr, “fare”, e krp, “forma”. Nell’atmosfera, insomma, sopra il cenab, il centro abitato, al quale è indirizzato. Noi piazziamo il Giuda Iscariota IV sopra Nuova Mosca, regolato per sbriciolarsi a mezzo miglio da terra, e lui piove giù tutto min-zato, miniaturizzato, in tanti pezzettini, e omeo, cioè omeostatico…
Era davvero difficile riuscire a comunicare con l’uomo medio. Tuttavia Febbs fece del suo meglio per scegliere termini che quella corpulenta nullità potesse capire.
— Ogni pezzettino è circa della misura di una pallina di chewing-gum. Tutte discendono lentamente sulla città, specialmente nei quartieri dei conapp. Saprà senz’altro cos’è un conapp, vero?
Balbettando, l’uomo d’affari disse: — Anch’io vivo in un condominio d’appartamenti.
Febbs, imperturbato, continuò la sua fruttuosa lezione. — Sono cam-camaleontiche. Assumono l’identico colore del punto dove toccano terra, per cui è impossibile scoprirle. Stanno lì, tranquille, fino al cadere della notte, diciamo le dieci di sera.
— Come fanno a sapere che sono le dieci? Hanno l’orologio? — Il tono del corpulento uomo d’affari era chiaramente di scherno, quasi s’immaginasse che in qualche modo Febbs volesse prenderlo in giro.
Con estrema accondiscendenza, Febbs spiegò: — Lo capiscono dalla perdita di calore dell’atmosfera.
— Oh.
— Le dieci della sera, quando tutti dormono. […] Tutte le palline, perfettamente mimetizzate — continuò Febbs — cominciano a emettere un suono. —
Studiò la faccia dell’uomo corpulento. Ovviamente, quel cittadino non si curava minimamente di leggere “Setarm”, il Settimanale delle Armi, la ri inf, dedicata esclusivamente ad articoli e disegni (e, quando
possibile, anche alle fotografie autentiche) di tutte le nuove armi, tanto del Blocco Ovest quanto dell’Est Spione… Probabilmente attraverso un’agenzia investigativa di cui aveva vagamente sentito parlare, e che si chiamava KUCH o KICH o KECH. Febbs possedeva dieci annate complete di “Setarm”, con tutte le copertine intatte: una collezione senza prezzo.
— Che genere di suono?
— Un orribile suono sarcastico. Qualcosa come un rutto continuo. Come… Be’, dovrebbe sentirlo lei stesso. E ti tiene sveglio, e non intendo dire un po’ sveglio. Voglio dire sveglio “del tutto”. Una volta che la Pattumiera Esplosiva ha cominciato, per esempio una pallottolina appiccicata sul tetto del vostro conapp, non le riuscirà più di dormire. In nessun modo. Uno, due, tre, quattro giorni senza dormire… — Fece schioccare le dita. — In nessun modo riuscirà più a lavorare. Non servirà più a niente e a nessuno, neppure a se stesso.

Tabella riassuntiva

Una tragicommedia fantascientifica assolutamente folle! Scritto di fretta.
Lars è un pov delizioso, e anche Febbs non è male. Voce narrante a volte troppo sopra le righe.
Ritmo frenetico, privo di momenti di stanca. Alcuni passaggi della storia troppo veloci.
Dal Distorcitore d’Informazione Civica alla Bomba Superpuzza di Pecora!

——

(1) Questa sensazione di velocità eccessiva me l’hanno data anche alcuni romanzi di Swanwick e di altri autori che piacciono a Gamberetta; a dire il vero, gli stessi libri di Gamberetta a volte me l’hanno trasmessa. Lettori come lei potrebbero quindi trovarsi perfettamente a loro agio con questo ritmo.Torna su

Abitudini di lettura

AnobiiApprofitto del perdurare delle vacanze natalizie (benché ormai avviate alla conclusione) per un altro piccolo post autoreferenziale. Intanto, una notizia che farà gola ai miei fan (ammesso e non concesso che ce ne siano):

Ho linkato su Tapirullanza la mia libreria di Anobii!

Il link in questione è nel box “Tapiroulant su Anobii” della colonna destra, sotto il box dedicato alla mia persona. A sua volta, la mia libreria su Anobii linka questo blog, così da creare un affascinante flusso di informazioni e utenza. Nell’ultimo mese alcuni di voi si erano già accorti della mia esistenza su Anobii, tanto che le 5 visite al mese di media alla mia libreria (che non è neanche una brutta stastistica, trattandosi di una libreria in completo abbandono) a Dicembre sono passate a 40. Ma adesso è ufficiale! Evviva!
Avevo intenzione di linkare la mia libreria fin da quando ho aperto il blog, ma ho posticipato a lungo perché per tutto il 2011 avevo disertato Anobii e i miei libri erano aggiornati a, tipo, il dicembre scorso. Come potrete vedere non ho ancora finito di aggiornarla, ma quantomeno sono a buon punto, e tra pochi giorni avrò inserito tutti i libri.
Per converso, ho la tendenza a segnarmi in giro le cose che faccio, e anche le date in cui inizio e finisco i libri, per cui posso riprodurre in modo quasi infallibile la quasi totalità delle mie letture durante il 2011. Una cosa che mi piace fare, infatti, è analizzare le mie abitudini, ivi comprese le mie abitudini di lettura. Ecco cos’è venuto fuori.
Dei 101 libri che ho registrato di aver letto quest’anno, il 72% è narrativa e il 28% saggistica:

Primo grafico

Entrando più nello specifico, ecco la ripartizione tra narrativa fantastica e non fantastica, saggistica storica e non-storica, e manuali di scrittura:

Secondo grafico

La narrativa fantastica è di gran lunga la voce maggioritaria, e questo mi sorprende perché fino all’anno scorso leggevo molti più mainstream e classici. Penso di riconoscere quattro cause di questo cambiamento:

  1. L’influenza di Gamberetta (e, secondariamente, del Duca e di Zwei).
  2. L’acquisto e l’uso massiccio di un e-reader.
  3. La scoperta di library.nu
  4. La gestione di Tapirullanza.

Delle tre, la più importante è sicuramente l’acquisto del reader. Non sono il primo a dirlo, ma la mia esperienza va ad aggiungersi a quella degli altri: il possesso di un reader cambia il modo che ha il lettore di approcciarsi ai libri. Prima di averne uno (e prima anche di quando lo mendicavo a Siobhàn), la mia mentalità era pressappoco: “Vediamo cosa mi mette a disposizione l’editoria italiana”.
Se in un anno mi sono letto una trentina di romanzi di Philip K. Dick – era il 2009 – devo ringraziare quella disgraziata della Fanucci, che in occasione del 25° anniversario dalla morte dello scrittore aveva ripubblicato quasi tutti i suoi libri. Io ero andato in libreria, li avevo visti, e mi ci ero buttato a pesce. Allo stesso modo ho conosciuto Ballard e Vonnegut, ripubblicati in modo sistematico da Feltrinelli, o Asimov e Bradbury, diffusi dalla Mondadori.
Ma, come ormai tutti si sono accorti, il grosso della narrativa fantastica pubblicata dalle nostre lungimiranti case editrici non è buona nemmeno come carta igienica. Di conseguenza, invece che buttare 20 Euro per una menata della Troisi, con la stessa cifra mi compravo due o tre libri di Hemingway o di Gogol’ o di Balzac.

Nikolaj Gogol' e Licia Troisi

Mmm, quale dei due leggere? Un dubbio amletico.

Ma da quando ho il reader, non mi devo più accontentare. La Rete è grande e ho solo l’imbarazzo della scelta. Ho potuto leggere libri che non hanno mai toccato il suolo italico (la Bizarro Fiction), libri che non sono editi in Italia da quarant’anni (tutti i romanzi di Stapledon, per esempio), autori italiani autopubblicati le cui opere esistono solo in formato digitale.
E il blog è stato per me quello che speravo che fosse: uno sprone a sperimentare nuovi autori, nuovi sottogeneri, a cercare libri i più diversi possibili tra loro. Cosa strana: nonostante il tempo che mi porta via, da quando gestisco Tapirullanza leggo di più – anche se a volte a orari strani (ho finito Vacuum Flowers alle tre del mattino).
Comunque, le mie letture mainstream sono state erose anche dalla saggistica e soprattutto da quella storica, che quest’anno ho letto molto di più rispetto al passato. Dei 16 che ho letto, la gran parte è saggistica sul Medioevo, quella che rimane è sulla cosiddetta Prima Età Moderna (Early Modern Age): anche in questa mia nuova abitudine, quindi, l’influenza di Zwei e del Duca è cospicua. E poi, tutta questa saggistica mi fa sentire così intelligente!

Vediamo adesso un’altra cosa che mi affascina sempre moltissimo (in modo lievemente patologico), ossia la distribuzione temporale dei libri che ho letto quest’anno:

Terzo grafico

In blu ho segnato, di nuovo, tutti i libri letti nel 2011; in rosso i libri consigliati su Tapirullanza, sia nei Consigli del Lunedì che nelle Bonus Tracks. Come immaginavo, il periodo 1930-2011 è il più denso, con un primo picco nel periodo 1960-1990 (che coincide con l’apogeo della fantascienza sociale, uno dei miei sottogeneri preferiti), e un secondo picco, che inizialmente non mi aspettavo, nell’ultima decade. Quest’ultimo è dovuto soprattutto ai libri di Bizarro Fiction che ho letto negli ultimi quattro mesi (13 libri, di cui 10 solo di Mellick) e agli autopubblicati italiani (4 libri quest’anno). La cosa è curiosa, perché in passato se leggevo 2 o 3 libri di scrittori ancora viventi era già tanto.
Rispetto agli anni scorsi, molto trascurato l’Ottocento: a parte Stendhal e Tocqueville, poco altro (ma forse val la pena di menzionare Frankenstein di Mary Shelley, che non avevo mai letto, e che ho trovato carino benché troppo appesantito dal lirismo romantico). Soprattutto, ne esce con le ossa rotte il periodo 1861-1930. Ma non temete, amanti dell’epoca vittoriana e/o del primo dopoguerra, sono in cantiere un paio di Consigli su libri proprio di quel periodo! Ma che figata!

Piovra metropoli

Esempio di figata.

Trovare il tempo per leggere non è sempre facile, ma sono felice di farlo se poi posso spammarlo in giro per il Web ^-^
Conto che questo 2012 mi porti un’altra vagonata di libri fikissimi, almeno finché i Maya non distruggeranno il mondo a cavallo di fotoni (questa nuova misteriosissima particella) cantando 666 the Number of the Beast.

Bonus Track: HELP! A Bear is Eating Me!

Help! A Bear is Eating MeAutore: Mykle Hansen
Titolo italiano:
Genere: Mainstream / Commedia nera
Tipo: Novella

Anno: 2008
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 132

Difficoltà in inglese: **

Marv Pushkin è fikissimo. Non soltanto ha un ottimo impiego; non soltanto comanda uno staff di gente che lo idolatra e fa tutto il lavoro pesante per lui; non soltanto ha una bellissima casa e una ricca ereditiera per moglie; non soltanto ha un’assistente tettona che si lascia scopare e che glielo succhia tutte le volte che vuole; non soltanto ha un innato carisma che fa di lui un VINCENTE; ma ha anche un bellissimo SUV. Insomma, è il sogno bagnato di Dago.
Senonché ora Marv si trova in mezzo a una foresta in Alaska, lontano mille miglia dalla civiltà, mezzo schiacciato sotto il SUV, e imbottito di antidolorifici, mentre un orso gli sta mangiando un piede. La sua speranza: che qualcuno sia abbastanza sveglio da chiamare AIUTO prima che l’orso abbia pasteggiato con ogni parte di lui. Nel frattempo, insultare l’orso, pensare a quanto sia ingiusta la vita, gettare disprezzo su quegli incapaci dei suoi sottoposti e odiare la natura.

Si può costruire un intero romanzo attorno al semplice fatto che un’isterica primadonna di executive sia incastrato sotto un SUV mentre un orso se lo mangia pezzo a pezzo? E’ la sfida lanciata da HELP! A Bear is Eating Me!
E la sfida è superata brillantemente, dato che il libro è divertentissimo ^-^

Alaska

L’Alaska. A cosa serve?

Se questa storia fosse stata scritta da King, ci saremmo trovati di fronte un racconto drammatico su di un uomo normale che con sangue freddo cerca una soluzione per salvarsi da morte certa, sapendo di poter contare solo su sé stesso; ma la storia l’ha scritta Mykle Hansen, e HELP! diventa un lunghissimo rant da attention whore viziata che si stupisce che nessuno abbia ancora messo a ferro e fuoco l’intera fottuta Alaska per salvare una persona importante come lui.
La storia è narrata in prima persona, e proprio in questo sta la chiave del divertimento: Marv è una persona istrionica, eccessiva, scorretta, nevrotica, che esordisce insultando un immaginario lettore/spettatore e prosegue prendendosela con il mondo intero e soprattutto con i fottuti orsi. Marv suscita nel lettore il fascino della persona spregevole, abituata a vincere nella vita, gettata in una situazione umiliante e in cui è completamente impotente. E man mano che il tempo passa e le sue condizioni diventano sempre più disperate, non si può fare a meno di sentire una crescente simpatia nei confronti di questo disgraziato.
Il tono, insomma, è quello della commedia nera, anche se non mancano un paio di momenti sinceramente inquietanti.

La narrazione procede su due livelli: il tempo presente, in cui Marv tenta di liberarsi o rimugina su una vasta batteria di argomenti – dall’elogio degli psicofarmaci all’inutilità dei boschi, dalla celebrazione del ranger a una disquisizione sui possibili vantaggi del non avere più i piedi – e i flashback, in cui Marv ripensa ai momenti salienti della sua vita e a quelli che precedono e spiegano il suo trovarsi schiacciato sotto un SUV in piena Alaska. Il continuo alternarsi di questi due livelli, il ritmo rapido e la voce querula del narratore fanno sì che, nonostante la staticità della situazione, il lettore non si annoi, anzi sia sempre invogliato ad andare avanti.
Il libro è breve e si legge in un pomeriggio. Ho notato un paio di momenti di stanca solo verso la fine; fossi stato Hansen, avrei accorciato parecchio i capitoli 11 e 12, in cui non si aggiunge quasi nulla di nuovo e in cui mi sembra che l’autore temporeggi in attesa del finale. L’ultimo capitolo, per contro, è molto carino.

Orsi laser

Stanno arrivando.

Data la trama sottile come una foglia di insalata, l’autore punta tutto sullo stile, e fortunatamente scrive molto bene. L’unico problema di HELP!, se vogliamo, è che offre esattamente quello che ci si aspetta, e nulla di più. Non ci sono sconvolgenti plot twist, non ci sono veri lampi di genialità, non c’è nulla di straordinario.
Rimane comunque una lettura molto piacevole.

Mykle Hansen è annoverato tra gli autori di Bizarro Fiction e il suo libro è ufficialmente nel catalogo di Bizarro Central, tuttavia, come giustamente sottolineava Gamberetta nel suo articolo, HELP! A Bear is Eating Me non può *in alcun modo* essere considerato Bizarro Fiction. La situazione è insolita e surreale, ma sempre nel range della normalità. Certo, man mano che la storia va avanti, il corpo e la mente di Marv si deteriorano, e prendono corpo allucinazioni e fantasie morbose – ma nulla di paragonabile ai voli di fantasia della Bizarro Fiction 1.

Dove si trova?
In lingua originale, il libro si trova su library.nu in due formati – pdf e Epub.
Il libro è stato anche tradotto in italiano dall’editore Meridiano Zero (chiunque egli sia) con l’insulso titolo “Missione in Alaska”; tuttavia, non saprei se valga la pena di leggerlo tradotto. Il libro si regge sullo stile, sulla cadenza e sui modi di esprimersi del protagonista: tutte cose che potrebbero andare perse o quantomeno compromesse nel passaggio all’italiano. Già il cambiamento di titolo non offre molte garanzie della professionalità della traduzione; inoltre ho dato un’occhiata all’incipit e mi sembra molto più scialbo dell’originale. 2
Il mio consiglio? Leggete l’originale o non leggetelo affatto.

Chi devo ringraziare?
In primis Gamberetta, che mi ha reso nota l’esistenza di libro e autore nell’articolo sopracitato. Ma soprattutto, devo ringraziare lui:

Awww! Non vi viene voglia di dargli un bacino sulla guancia?
E’ il booktrailer più fiko che abbia mai visto! Meriterebbe di essere letto solo per questo.
Prendete esempio, puzzoni scrittori di fantatrash.

Qualche estratto
Il primo estratto è l’incipit; e un ottimo incipit, aggiungerei. In poche righe vengono precisate: la situazione iniziale; i punti salienti del libro; il carattere del protagonista; il tono della narrazione. Ed è divertente! Aspiranti scrittori, leggete e imparate.
Il secondo estratto è tratto dal capitolo 4, e anticipa qualcosa dello strano rapporto che va instaurandosi tra Marv e l’orso…

1.
You think you have problems? I’m being eaten by a bear! Oh, but I’m sorry, forgive me, let’s hear about your problems. Mmm-hmm? So, your boss is mean to you? Is your car not running well? Perhaps you’re concerned about the environment. Boo, hoo! Your environment just ate my foot! I’m bleeding on your environment! And it’s a small consolation for the pain and the mess and the fear that I would be feeling — were I not so well-prepared for adverse excitement, were I not ingesting so many miraculous pain killing drugs — a small consolation that I can now say without fear of contradiction that MY PROBLEMS ARE WORSE THAN YOURS. So just shut up about your problems, okay? Okay.
If you were real, if you were here, and if you were a decent person, I’m sure you would be right now summoning HELP. Or maybe you’d be up a tree hiding from this bear, but after this bear finally quit chewing on me and wandered home, then you’d surely come down from your pansy perch and check my vital signs, make sure that I’m okay, or at least not dead yet, and upon finding me not-dead-yet you’d run off to fetch a Forest Ranger, or an off-road ambulance, or a Search & Rescue chopper with the range to reach us up here in this stupid fancy Alaskan wilderness, carrying within it a Rescue team to rescue me, and a Search team to find this god damn black bear and shoot him in his god damn black head! And also, ideally, some kind of off-road cargo transport system, to tow my Rover back to the dealership in Anchorage, there to invoke the oh-so-costly and oh-so-worth-it All Disaster Coverage clause of my insurance, and get my poor lovely road machine repaired, polished, tuned and refueled for my triumphant recovery. And then the two of us — that is, me and my car — would drive off together into the Al-Can Highway sunset, never again to venture north of Vancouver.
Yeah, I love my car.

Bear Grylls

LUI non si lascerebbe spaventare dall’orso.

2.
Oh … you want that?
Yes, of course, I forgot … you’re eating me.
Well all right, go ahead. I already wrote off everything south of the axle. Let’s just — OUCH! Let’s … let’s make a deal: I’m all yours from the knees down, but please, after that, at least try the Slim Jims. After that you’ve got to stop because the rest of me is not sitting under a car, and I suspect the pressure of the axle on my legs is acting like a really expensive luxury tourniquet, I think that’s why I haven’t yet bled to death. But if you eat me on this end I’ll bleed like crazy and not only will that be impossible to get out of my brand new suede hunting attire, but also I’ll die. And I’ll be dead and we won’t have this special relationship of ours any more. You’ll be all alone out here with no one to eat or talk to. And I’ll start to go bad and develop botulism, and then you’ll die from eating me after I’ve been left out too long.
We’re not so different, you and I. We both dominate. We both kick ass. We both have excellent taste. You are eating me, for instance, and I would eat you, too. I will eat you. Don’t forget, I’m still going to win. But you are a worthy opponent, Mister Bear. I salute you. In a different time and a different place I’m sure we would have been great friends.

Tabella riassuntiva

Il protagonista è un adorabile pezzo di merda. Verso la fine diventa un po’ ripetitivo.
…e sta venendo mangiato da un orso! …ma è tutto qui.
Tono spassoso e stile quasi impeccabile.

(1) E a proposito di Bizarro Fiction: sto preparando un paio di articoli a questo proposito, che dovrei riuscire a pubblicare nelle prossime settimane…Torna su
(2) Uno dei miei lettori mi ha mandato via mail una newsletter di Meridiano Zero in cui si spiega perché abbiano deciso di cambiare titolo nella traduzione italiana. Ecco cosa dice Marco Vicentini (in grassetto le parti più demenziali):

Cari lettori e lettrici,

questa volta approfitto della newsletter per fare due chiacchiere e parlare… della traduzione dei titoli dei libri. L’idea mi e’ venuta perche’ qualcuno di voi mi ha tirato le orecchie. Per un titolo italiano che e’ molto diverso dall’originale.
Il libro e’ “Missione in Alaska” di Mykle Hansen. Il titolo originale era “Help! A bear is eating me” (“Aiuto! Un orso mi sta mangiando!”).
Adesso vi spiego perche’ l’abbiamo cambiato, ma prima due notizie sul libro e sull’autore. L’autore fa parte di un gruppo che in USA scrive romanzi o racconti noti come ‘bizarro fiction’. Anche chi non sa l’inglese capisce immediatamente che se la chiamano ‘narrativa bizzarra’, non deve essere poi molto normale. E infatti la maggior parte di loro scrive storie particolari che sembrano un’incrocio tra il punk e l’underground, con una spruzzata abbondante di peperoncino rosso: cercano di andare contro le normali aspettative della lettura, di ‘sorprendere’ i lettori. Insomma qualcosa che se e’ una nicchia negli Stati Uniti, qui in Italia puo’ solo essere una nicchia ancora piu’ piccola. Ma il punto e’ che la maggior parte di questi scrittori ha una notevole qualita’, sono quasi tutti al di sopra della letteratura di genere, solo che sono piu’ interessati a fare qualcosa che va contro le aspettative, le convenzioni, le abitudini, che a raccontare storie ‘normali’. Tutto questo ve lo dico per farvi capire che le premesse sono un po’ pericolose: a pubblicare un romanzo ‘bizarro’, le prospettive di vendita sono basse, e la speranza che parecchi lettori prendano in mano un libro del genere e lo comprino e’ piuttosto debole.
Ma allora perche’ l’abbiamo fatto?
Semplicemente ogni tanto, nel campo della ‘bizarro fiction’ spunta un fiore anomalo, nasce un romanzo in cui l’elemento surreale o fantastico e’ perfettamente bilanciato con la narrazione e inserito in una storia in cui sono presenti tutti gli elementi di stile, trama e soprattutto fantasia, fondamentali per qualunque romanzo ‘normale’. E questo “Help!…” e’ proprio cosi’, e’ un romanzo che negli USA avrebbe sicuramente avuto successo se fosse stato pubblicato da una casa editrice conosciuta…

A questo punto ci e’ sembrato che un titolo come “Aiuto! Un orso mi sta mangiando” sembrasse troppo di rottura, desse l’idea di un’aggressivita’ verso la narrazione che non ti fa aspettare una storia divertente e da leggere con passione. Anche perche’ – ricordiamolo – nella ‘bizarro fiction’ anche i titoli spiazzanti fanno parte dell’operazione di dissacrazione ‘bizarro’. Se volevamo che “Help” fosse letto da un pubblico piu’ ampio ci voleva un titolo che potesse essere preso in mano anche da chi apprezza ad esempio Christopher Moore (che e’ un fan di Mykle Hansen, tra l’altro), oppure Stefano Benni o Daniel Pennac, insomma un titolo che non scoraggiasse. Ci abbiamo pensato per molto tempo, e… non l’abbiamo propriamente trovato.
Pero’… pero’… “Missione in Alaska” (il senso lo capisce chi ha letto il libro) non ci dispiaceva per niente: poteva funzionare. E’ ammiccante e ha comunque quell’indefinizione che fa prendere in mano il libro per leggere la quarta e capirne di piu’. Insomma, senza arrivare a un voto 10, pero’ “Missione in Alaska” rispondeva abbastanza bene a quello che cercavamo. Se avessimo voluto restare piu’ vicini al titolo originali, non avremmo vinto nessun premio fedelta’, ma avremmo incuriosito meno lettori.

Ora il libro e’ uscito con il titolo “Missione in Alaska” e ci sembra che chi lo legge ne sia entusiasta. Il che non e’ poco: tenete presente che negli USA e’ stato pubblicato da una casa editrice molto molto piccola. Siamo convinti che con il titolo originale avremmo vendute molte meno copie…

Voi che ne dite? Siete in genere favorevoli a tenere l’originale? Costi quello che costi? O siete d’accordo di cercare il titolo piu’ invogliante per un pubblico piu’ ampio di lettori? E magari sarete in grado di proporre seduta stante un titolo molto piu’ coinvolgente e perfetto, che ci fara’ mangiare le mani per non averci pensato…

Orso

“Voi che ne dite?”, domanda Vicentini. Io dico che Vicentini dovrebbe cambiare lavoro.
Il discorso è lo stesso che faceva Gamberetta: gli editori italiani sono dei pavidi all’ultimo stadio. Non solo, di tutto il catalogo Bizarro, vanno a pescare quello meno Bizarro di tutti; ma gli mettono un titolo meno aggressivo per farlo sembrare ancora più mainstream! Soprattutto, trovo che sostituire titoli frizzanti con titoli assolutamente scialbi (e poco attinenti alla trama: quale sarebbe la “missione” a cui allude il titolo?) sia un’idea eccellente per far venire voglia alla gente di leggerlo! Non sia mai che leggendo “Aiuto! Un orso mi sta mangiando!” si spaventino e fuggano via!

E visto che Vicentini chiede a noialtri di proporre dei titoli migliori, ne propongo uno io: “Romanzo Qualsiasi #546”. Non sentite il vibrare della passione? Sono sicuro che piacerà tantissimo.
Dementi. Torna su

I Consigli del Lunedì #03: Ringworld

RingworldAutore: Larry Niven
Titolo italiano: I burattinai
Genere: Science Fiction / Hard SF / Space Opera / Big Dumb Object
Tipo: Romanzo

Anno: 1970
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 290 ca.

Difficoltà in inglese: ***

Giunto al suo duecentesimo compleanno, Louis Wu, che ne dimostra ancora venti, è annoiato dalla vita: ne ha viste troppe, niente sulla Terra sembra più in grado di regalargli un’emozione, e sta meditando di prendersi un nuovo anno sabbatico in giro per lo spazio. Perciò è davvero una fortuna per lui imbattersi in Nessus, un Burattinaio di Pierson che sta reclutando una ciurma per una missione segreta di esplorazione nello spazio. L’unica informazione che il Burattinaio è disposto a fornire sullo scopo della missione, è una fotografia che mostra una stella attorno a cui ruota una specie di enorme anello circonfuso di azzurro…
Assieme a Nessus, al violento micione Speaker-to-Animals e a Teela Brown, la ragazza con una predisposizione genetica alla fortuna, Louis Wu si imbarcherà alla volta del Ringworld, un artefatto di tale complessità da intimidire persino le più avanzate tra le civiltà aliene dello Spazio Conosciuto. Ma chi sono i costruttori di Ringworld, e che fine hanno fatto?

Ero un po’ in imbarazzo quando ho dovuto decidere se catalogare quest’opera come Hard SF. La fantascienza hard pretende il massimo possibile di verosimiglianza scientifica; la speculazione sulle future tecnologie deve essere il più possibile ancorata alle nostre conoscenze attuali, e pertanto il setting di questo tipo di fiction non è quasi mai troppo spostato nel futuro.
Ringworld invece è ambientato a quasi un millennio di distanza da noi, e contempla: astronavi in grado di superare la velocità della luce; campi di stasi che bloccano il tempo in una regione dello spazio; una profusione di bizzarre civiltà aliene, una delle quali talmente evoluta da poter spostare artificialmente interi sistemi planetari; e così via. Ciononostante, Niven cerca di dare plausibilità scientifica ad ogni sua invenzione, e dedica molto spazio alla fisica del suo mondo1 – insomma, siamo lontani dal menefreghismo scientifico della Soft SF.
Diciamo allora che Ringworld è un’opera di confine tra la fantascienza hard e la minchiata divertente. Ha quindi le potenzialità per piacere a entrambi i tipi di pubblico – o a nessuno.

Ringworld

Come ogni BDO che si rispetti, la superficie dell’anello esterno potrebbe comodamente contenere milioni di pianeti Terra.

Uno sguardo approfondito
La prima cosa che salta all’occhio, in Ringworld, è la ricchezza dell’ambientazione. Non mi sto riferendo soltanto al mondo-anello, ma a tutto l’universo che lo circonda: la specie dei Burattinai, erbivori da gregge superevoluti con tre zampe, due teste, una codardia congenita che sfiora la paranoia e la mania del controllo; gli Outsiders, mercanti di tecnologie e informazioni che vengono non si sa da dove e viaggiano nello spazio seguendo la scia dei “semi stellari”; le esplosioni a catena di supernove nel cuore della Galassia, e le sue conseguenze per le specie senzienti; i tasp, aggeggi in grado di stimolare i centri cerebrali del piacere, e la dipendenza che possono creare;  girasoli che catturano l’energia solare per poi spararla in tutte le direzioni e annichilire ogni altra forma di vita; le guerre tra l’Uomo e gli Kzinti; la Lotteria della Fertilità; e così via.
Le idee e le piccole trovate che attraversano il romanzo sono talmente tante, e alcune talmente bizzarre, che mi verrebbe da accostare Ringworld al New Weird. L’effetto complessivo è simile a quello che mi provocò anni fa l’universo della Fondazione di Asimov: quello di un mondo che si dilata oltre la pagina scritta, di un universo molto più vasto di quello che rimane catturato nel romanzo. Un mondo vivo, sul quale si potrebbero raccontare decine di altre storie.

Niven ottiene quest’effetto in due modi.
Innanzitutto, con le digressioni, che sono frequentissime. I primi incontri tra Louis Wu e lo kzin Speaker-to-Animals diventano uno spunto per parlare delle passate guerre tra Uomini e Kzinti; una breve tappa nel mondo dei Burattinai un’occasione per mostrarci qualcosa della loro tecnologia e della loro società. A volte queste parentesi nascono dal dialogo tra i personaggi; altre volte sono riflessioni private di Louis; altre, dei brutali e sgradevoli infodump. Inoltre, questi spunti non vengono quasi mai esauriti, in modo da lasciare nel lettore un fondo di curiosità.
In secondo luogo, con un uso smodato di termini e concetti esotici – come le ramships, i motori hyperdrive, il boosterspice, il Punto Cieco – che non vengono affatto spiegati ma solo “lasciati intuire”. Questo, da un lato, ha senso: i personaggi conoscono già il loro mondo, non hanno bisogno di spiegarselo, e almeno Niven ci risparmia gli As you know, Bob che infestano la fantascienza. Dall’altro, però, mi sono spesso trovato spaesato a non capire cosa facesse una cosa e cosa fosse un’altra.
Niven però fa un abuso di queste tecniche. Soprattutto nel primo terzo del libro, quando non si è ancora arrivati su Ringworld e quindi non c’è ancora la sua esplorazione a fare da catalizzatore della trama, l’autore continua a passare con nonchalance da un argomento all’altro, aprendo finestre su finestre su storia, società, tecnologia, fisica del suo mondo. Niven sembra avere il difetto di chi è troppo innamorato della sua ambientazione. In un paio di occasioni è capace di aprire delle digressioni nel bel mezzo di una scena d’azione!
Viene solo in parte scusato per la mole di buone idee e per il senso di vastità che riesce a generare. Inoltre molte di queste finestre muovono davvero la trama (alcune solo in un secondo tempo); sono poche le trovate davvero gratuite.

Too many windows

Aprire troppe finestre può creare problemi.

Le stesse croci e delizie riguardano i personaggi principali. La “ciurma” di Louis Wu è una collezione di weirdos: Nessus, con i suoi cicli alterni di euforia e di depressione, combattuto tra l’esigenza di fare il capo e la tendenza naturale della sua specie di rintanarsi in un angolo e far fare tutti agli altri; Speaker-to-Animals, enorme micio inquietante con un esagerato senso dell’onore, costretto a collaborare con altre specie nonostante il motto della sua razza sia qualcosa del tipo: “schiavizza e/o divora tutti coloro che non sono tuoi simili”; Teela Brown, sexy e svampita ventenne che non riesce a capire cosa sia questa cosa chiamata “dolore”. Non voglio dire di più su Teela: non voglio rovinarvi la sorpresa. ^-^
I personaggi di Niven, quindi, sono lontani mille miglia dai manichini funzionali e insulsi tipici dell’Hard SF. E tuttavia, anche loro dimostrano molto di rado una vera profondità psicologica. Niven riesce a farli agire bene nell’emergenza del momento, e anche nell’interazione (spesso ruvida) tra loro; ma mancano di motivazioni profonde. La loro scarsa complessità psicologica è mascherata dando a ciascuno di loro uno o due tratti forti, che funzionano per la maggior parte del tempo, ma che quando vengono meno, ti lasciano con l’amaro in bocca.
Un esempio lampante è il modo in cui nel primo capitolo vengono reclutati Louis e Speaker. In sintesi: “Ehi, sto organizzando una missione fikissima e potenzialmente mortale. Vuoi venire? Sarai ben ricompensato”. “Mmmh, ‘kay”. Questi passaggi sono del tutto privi di credibilità, fanno sembrare la storia una farsa; come se Niven ci stesse dicendo: “Okay, diciamoci la verità, non mi frega un cazzo del plot; voglio solo prendere della gente strana e scaraventarla in un mondo strano”.
Anzi: a volte Ringworld mi è sembrato la cronaca di una campagna di un gioco di ruolo. Intendiamoci: il Master è bravissimo e i personaggi sono di quindicesimo livello; però è pur sempre una sessione di gioco di ruolo. Un giocattolone colorato. Difficilmente ci si sente davvero in ansia per i personaggi: si capisce che in qualche modo se la caveranno sempre.

RPG Ringworld

Da sinistra a destra: il DM, Louis Wu, Teela Brown e Speaker-to-Animals. Nessus è andato in bagno.

Dai personaggi passiamo alla gestione del punto di vista. La cosa più esatta che si può dire sul pov di Ringworld, è che sta “nei pressi di Louis”. Il più delle volte la telecamera è dentro la sua testa, la descrizione di quello che vede si confonde coi suoi pensieri e i suoi giudizi (ma è mantenuta la terza persona). Altre volte, retrocede verso il narratore onnisciente; alcuni degli infodump più sgradevoli non si possono attribuire ad altri che al narratore.
Non ci sarebbe stato bisogno di questi scivolamenti: con un po’ d’attenzione, tutta la storia poteva essere raccontata stando ben ancorati alla spalla di Louis. Il tono della narrazione, disincantato e un po’ ironico, funziona bene col personaggio di Louis e con l’andamento un po’ buffonesco di tutto il romanzo.
Ma a Niven piace creare della suspence inutile, anche a costo di far venire la nausea al lettore o di fargli perdere il filo del discorso. Esempio: il narratore ci avverte che Louis ha notato qualcosa di strano, poi lo vediamo andare a chiamare un altro membro dell’equipaggio; i due tornano sul luogo della scoperta, vediamo loro che guardano la cosa misteriosa, poi cominciano a commentarla e a quel punto capiamo di che si tratta. Niven lo fa di continuo. E’ un modo stupido per creare suspence, non solo perché ci sbalza di pov, ma anche perché in una scena concitata il lettore rischia di non capire se la cosa è stata detta e lui se l’è persa o se non è ancora stata detta, torna alla pagina prima, scorre la pagina in cerca delle informazioni mancanti, non le trova, torna a dov’era rimasto, si confonde di nuovo, e insomma, cazzo – non si fa così!

Ciò detto, Ringworld è assolutamente all’altezza di romanzi BDO come 2001: Odissea nello Spazio o Incontro con Rama di Clarke, e pure meglio di un romanzo come Orbitsville di Bob Shaw 2. La dose di meraviglia è paragonabile, lo stile è migliore, e i personaggi pure; l’unica cosa che viene meno, è il senso di piccolezza e impotenza umana che pervade la Hard SF più seria.
Altro vantaggio non trascurabile, a lettura conclusa la soddisfazione è maggiore rispetto a quella che lasciano i romanzi di Clarke; si ha l’impressione che a tutte le domande principali si sia data una risposta o almeno un’ipotesi di risposta.
Ma rimane anche la giusta dose di mistero.

Ringworld

Un’immagine credibile del Ringworld visto dal suolo. In realtà, data la distanza e la densità dell’aria, non sono sicuro che di giorno l’arco si veda così bene.

Dove si trova?
Se volete leggere Ringworld, dovrete affidarvi a Internet. L’ultima edizione in italiano (col titolo I burattinai) è della Nord (collana Cosmo Oro, N.94) e risale a più di venti anni fa. Sul Mulo si trova senza problemi.
La traduzione italiana che ho trovato su Internet però non mi esalta; solo leggendo un paio di brani per prendere gli estratti, ho notato tagli e riscritture di frasi. E poi si è perso il tanj ç_ç Ma niente paura: il pdf in lingua originale si trova tranquillamente su library.nu.

Su Larry Niven
Proprio come Odissea nello Spazio (3 seguiti), Incontro con Rama (3 seguiti, fondamentalmente scritti da un altro), e pure Orbitsville (2 seguiti), anche Ringworld ha sfornato uno dopo l’altro altri tre libri che continuano la storia del mondo-anello, e poi altri quattro libri che fanno da prequel (anche questi scritti in sostanza da un altro). Ora, nutro una certa antipatia verso questi libri scritti perlopiù su commissione per sfruttare un’ambientazione cara ai fan, per cui non penso li leggerò mai. Potrei fare un eccezione per The Ringworld Engineers, ma si tratta comunque di un’evenienza remota.

Ringworld fans

Fans di Ringworld.

Niven ha ambientato altri romanzi nel suo universo del Known Space, ma non li ho ancora letti. Mi ispira Protector, ma non so quando proverò a leggerlo.

Chi devo ringraziare?
Il fatto che esistesse un romanzo di sf ambientato su un mondo a forma di anello fluttuava sulla soglia della mia coscienza chissà da quanto; ma il primo riferimento preciso a Ringworld, se non ricordo male, lo trovai in un articolo di Dr.Jack sul bolognium3.
Man mano che approfondivo la mia conoscenza della fantascienza, comunque, i riferimenti a Ringworld (specialmente come pietra di paragone di altre space operas o di altre storie BDO) si moltiplicavano, finché alla fine mi son deciso e l’ho letto.

Qualche estratto
Come estratti, ho scelto un pezzo che desse risalto ai personaggi e alla voce narrante – l’incontro iniziale tra Louis Wu e Nessus (un po’ tagliato) – e uno più fantascientifico – l’avvicinamento della navicella Lying Bastard a Ringworld. Noterete che la traduzione italiana si prende qualche libertà, inoltre per qualche motivo le ultime due frasi di Louis alla fine del secondo brano sono del tutto assenti.

1.
He emerged in a sunlit room.
“What the tanj?” he wondered, blinking. The transfer booth must have blown its zap. In Sevilla there should have been no sunlight. Louis Wu turned to dial again, then turned back and stared.
[…] Facing him from the middle of the room was something neither human nor humanoid. It stood on three legs, and it regarded Louis Wu from two directions, from two flat heads mounted on flexible, slender necks. Over most of its startling frame, the skin was white and glovesoft; but a thick, coarse brown mane ran from between the beasts necks, back along its spine, to cover the complex-looking hip joint of the hind leg. The two forelegs were set wide apart, so that the beast’s small, clawed hooves formed almost an equilateral triangle.
Louis guessed that the thing was an alien animal. In those flat heads there would be no room for brains. But he noticed the hump that rose between the bases of the necks, where the mane became a thick protective mop… and a memory floated up from eighteen decades behind him.
This was a puppeteer, a Pierson’s puppeteer.
[…] Louis said, “Can I help you?”
“You can,” said the alien…
… in a voice to spark adolescent dreams. Had Louis visualized a woman to go with that voice, she would have been Cleopatra, Helen of Troy, Marilyn Monroe, and Lorelei Huntz, rolled into one.
“Tanj!” The curse seemed more than usually appropriate. There Ain’t No Justice! That such a voice should belong to a two-headed alien of indeterminate sex!

 — Che diavolo? — si chiese sbattendo le palpebre. La cabina trasfert doveva avere sballato. Non avrebbe dovuto esserci il sole a Teheran. Louis Wu si girò per ricomporre il numero, e rimase allibito.
[…] Di fronte a lui, al centro della stanza, c’era qualcosa che non aveva nulla di umano né di umanoide. La cosa stava ritta su tre gambe e osservava Louis Wu da due direzioni, per mezzo di due teste piatte poste su colli esili e flessibili. Quasi tutta la pelle che ricopriva il suo incredibile corpo era chiara e morbida come quella di un guanto; ma dai due colli una scura criniera, folta e ruvida, scendeva lungo la spina dorsale fino a coprire la complessa attaccatura dell’anca con la gamba posteriore. Le due gambe anteriori, molto divaricate, formavano quasi un triangolo equilatero con i minuscoli zoccoli artigliati.
Louis immaginò trattarsi di un animale alieno. Non poteva esserci posto per un cervello, in quelle teste piatte. Tuttavia notò la gibbosità che spun-tava tra la base dei colli, dove la criniera diventava una specie di folta zazzera protettiva… e un ricordo vecchio di centottant’anni gli fluttuò nella memoria.
Quella creatura era un burattinaio. Un burattinaio di Pierson.
[…] — Posso aiutarti? — disse Louis.
— Sì! — rispose l’alieno…
… con una voce che suscitava i sogni dell’adolescenza. Se avesse immaginato una donna con una voce simile sarebbe stata la somma di Cleopatra, Elena di Troia, Marilyn Monroe e Lorelei Huntz.
— Maledizione! — L’imprecazione era quanto mai appropriata. Non c’è giustizia! Una simile voce appartenere a un alieno con due teste e di sesso indefinito!

2.
 That evening, in the space of half an hour, the ringed star came out from behind the sternward block of living-sleeping cabins. The star was small and white, a shade less intense than Sol, and it nestled in a shallow pencil-line of arc blue.
They stood looking over Speaker’s shoulder as Speaker activated the scope screen.
He found the arc-blue line of the Ringworld’s inner surface, touched the expansion button. One question answered itself amost immediately.
“Something at the edge,” said Louis.
“Keep the scope centered on the rim,” Nessus ordered.
The rim of the ring expanded in their view. It was a wall, rising inward toward the star. They could see its black, space-exposed outer side silhouetted against the sunlit blue landscape. A low rim wall, but low only in comparison to the ring itself.
“If the ring is a million miles across,” Louis estimated, “The rim wall must be at least a thousand miles high. Well, now we know. That’s what holds the air in.”
“Would it work?”
“It should. The ring’s spinning for about a gravity. A little air might leak over the edges over the thousands of years, but they could replace it. To build the ring at all, they must have had cheap transmutation–a few tenth-stars per kiloton–not to mention a dozen other impossibilities.”

 Quella sera, la stella con l’Anello sbucò fuori al di là della poppa, dove si trovavano le cabine e la stanza di soggiorno. L’astro era luminoso quasi quanto il Sole. Si annidava dentro un alone azzurro, sottile come un segno di matita.
Speaker accese lo schermoscopio. Si avvicinarono tutti alle sue spalle per osservare insieme a lui. Lo kzin centrò la linea azzurra della superficie interna dell’Anello e girò la manopola dell’ingrandimento…
Uno dei tanti interrogativi si risolse da sé quasi immediatamente.
— C’è qualcosa sul bordo — disse Louis.
— Centra il telescopio — ordinò Nessus.
L’orlo dell’Anello s’ingrandì. Una parete dell’Anello era rivolta verso l’astro. Quella esterna, che guardava verso lo spazio, risaltava nera in confronto all’azzurro del cielo, illuminato dai raggi della stella. La superficie del bordo era bassa, ma solo in paragone alla grandezza dell’Anello.
— Se l’Anello è largo un milione di miglia — calcolò Louis, — il bordo deve essere alto perlomeno un migliaio. Ora lo sappiamo. È quello che trattiene l’aria all’interno.
— E funziona?
— Credo di sì. L’Anello ruota a gravità. Ci deve essere una leggera dispersione ogni mille anni, ma può essere sostituita.

Tabella riassuntiva

L’ambientazione, dal Ringworld allo Spazio Conosciuto, è fikissima. Niven indulge troppo negli infodump e nelle divagazioni.
 I personaggi principali sono brillanti e fantasiosi. A volte sembra più una sessione di gdr che una storia vera.
Unisce la speculazione scientifica dell’hard sf con una fantasia scatenata. Forse si prende troppe libertà per i puristi dell’hard sf.
Tanj!, What the tanj, You’re tanj right, Sure as tanj: non mi stancherei mai di dirlo!

(1) Addirittura, stando a Niven, una delle ragioni principali per cui dieci anni dopo avrebbe scritto un segito, The Ringworld Engineers, sarebbe quella di risolvere alcuni problemi tecnici del Ringworld che gli erano stati fatti notare.
Cito dalla voce di Wikipedia:

“A major problem being that the Ringworld, being a rigid structure, was not actually in orbit around the star it encircled and would eventually drift, resulting in the entire structure colliding with its sun and disintegrating. In the novel’s introduction, Niven says that MIT students attending the 1971 World Science Fiction Convention chanted, “The Ringworld is unstable! The Ringworld is unstable!” Niven says that one reason he wrote The Ringworld Engineers was to address these engineering problems”.Torna su

(2) Come in Ringworld, anche al centro di Orbitsville c’è l’esplorazione di una sfera di Dyson. Invece di un anello, in questo caso si tratta di una sfera cava di dimensioni analoghe all’orbita terrestre, che racchiude il suo sole, è riempita di aria respirabile e attraverso speciali campi gravitazionali permette di camminare lungo la superficie interna.
Inizialmente avevo intenzione di recensire questo romanzo invece di Ringworld, dato che è meno conosciuto; ma rendendomi conto che Ringworld lo batte praticamente sotto ogni aspetto, ho lasciato perdere. Forse potrei dedicargli un Consiglio in futuro. Non saprei. Che ne dite?Torna su

Sfera di Dyson

Le sfere di Dyson sono utili e divertenti!

(3) Non sono sicuro che la definizione di bolognium utilizzata da Dr.Jack sia appropriata per il Ringworld. Il fatto che per costruirlo ci voglia un livello tecnologico e risorse del tutto fuori dalla nostra portata non implica che sia un oggetto “impossibile” (come lo sarebbe un oggetto che viola apertamente le leggi della fisica). Niven cerca infatti di dare la maggiore plausibilità fisica possibile al Ringworld; il fatto che abbia scritto un seguito apposta per risolvere i buchi tecnici che gli erano sfuggiti nel primo libro la dice lunga sulle sue intenzioni.Torna su