Archivi del mese: gennaio 2012

Gli Autopubblicati #03: L’ombra dell’incantatrice

L'ombra dell'incantatriceAutore: Giacomo “Dr. Jack” Mariani
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Romanzo

Anno: 2010
Pagine: 330 ca.





Clarion è un ladro professionista, con un passato che vuole dimenticare e tanta noia di vivere. Mette a segno un colpo dopo l’altro, ma nessuno sembra riempire quel vuoto che sente dentro; finché una notte, durante un furto alla torre dei maghi della città di Alveria, si imbatte in Isial Sethal. Isial fa parte di una rete di ribelli che vogliono rovesciare Wylhelm, il tiranno che ha conquistato l’arcipelago di Emeral con l’aiuto occulto di potenze straniere.
Inizialmente avversari, poi costretti a collaborare per salvaguardare i reciproci interessi, Clarion e Isial si imbarcheranno in un viaggio rocambolesco attraverso le città di Nevaria e di Emeral, e le isole dell’arcipelago, lui per dare un senso alla propria vita, lei per restituire la libertà alla sua gente. Sulle loro tracce, un nobile offeso nell’onore e uno spietato assassino del Kleg che sembra conoscere Clarion molto bene…

L’ombra dell’incantatrice è l’opera prima del Dr. Jack. Il romanzo è ambientato in un mondo che ricorda l’Italia rinascimentale, con la sua moltitudine di staterelli e città-stato, un’atmosfera mediterranea e un livello tecnologico paragonabile; in realtà non ne sono sicuro, perché come vedremo l’ambientazione del Dr. Jack è quantomai anonima. E’ un fantasy, ma il ruolo tutto sommato modesto della magia e la totale assenza di ogni forma di “bizzarria” e di sense of wonder lo rendono in realtà più vicino a un romanzo d’avventura alla Salgari.
L’idea alla base del romanzo è di scrivere un fantasy che abbia come protagonista un ladro anziché un guerriero o un mago, e che ponga in primo piano non combattimenti, battaglie campali e destini eroici, ma intrighi politici e diplomazia. La trovata non fa gridare al miracolo, ma poteva ugualmente uscirne una storia carina. Purtroppo non è così.
Long story short: L’ombra dell’incantatrice è un romanzo insulso e noioso, che non vale il tempo della lettura. Se ho scelto di parlarne ugualmente, non è per sparare a zero su un’opera che comunque verrebbe giudicata dal tempo, ma perché credo che individuarne con precisione gli errori e le possibili soluzioni sarebbe utile all’autore e a chiunque sia interessato di scrittura. L’approfondimento che segue sarà orientato a questo.
Anche Bakakura ha dedicato una recensione a L’ombra dell’incantatrice, in termini anche meno lusinghieri dei miei. Il suo articolo, rispetto al mio, si concentra più su dettagli e scene specifiche, mentre nel mio ho cercato una maggiore visione d’insieme; comunque, sono d’accordo con un buon 90% delle critiche mosse da Bakakura.

Salgari

“Come osi paragonar la mia persona a cotal imbrattacarte?” ingiunse flemmaticamente lo scrittore, carezzandosi gli eterni baffi.

Uno sguardo approfondito
Per rendere interessante una storia incentrata sulle trame politiche, è essenziale prima di tutto che le fazioni in gioco siano riconoscibili ed interessanti, in modo tale che il lettore si appassioni alla trama politica che le vede competere. In altre parole, è necessario da parte del lettore un investimento emotivo iniziale, prima di gettarlo in mezzo agli intrighi. E questo investimento si ottiene mostrando le fazioni in gioco prima di assegnarle dei nomi e dei ruoli, affidando poi il più possibile di worldbuilding alle deduzioni del lettore e il meno possibile agli spiegoni politici. Esempio: iniziare il romanzo con la presa del potere da parte di Wylhelm, in una scena che renda evidente la partecipazione occulta della potenza straniera; mostrare le prime fasi della resistenza, il modo in cui mercanti come il padre di Isial vengono spogliati di tutto mentre altri cercano riparo nelle isole selvagge, eccetera.
Il Dr. Jack fa l’esatto contrario, iniziando la storia in una città lontana dal cuore dei conflitti e gettandoci addosso da subito una pioggia di nomi, organizzazioni, alleanze, trame politiche che non solo sono pressoché incomprensibili (essendo noi all’inizio della storia), ma ammazzano istantaneamente la nostra curiosità. Nevaria, Emeral, Algeron: sono solo etichette di cui il lettore non ha esperienza diretta (ossia: mostrato) né attaccamento emotivo. Ergo: noia a palate 1.

D’altronde, le cose non migliorano quando dal piano del raccontato ci si sposta a quello dell’effettivo mostrato. Durante il romanzo ci si sposta molto, ma le città sembrano tutte uguali: anonimi agglomerati di case, palazzi e piazze, sfondi di cartapesta su cui si muovono mercanti, cortigiani, marinai e soldati altrettanto anonimi; così come anonime e cliché sono le scene che li coinvolgono, dallo scambio di malignità tra i cortigiani di Alveria alla rissa in stile western nella locanda di Nuova Luce. Le poche differenze tra un posto e l’altro sono ancora una volta affidate al raccontato – sotto forma di dialogo o di infodumpone in stile guida turistica: così, per esempio, la città di Olinam si differenzia dalle altre per la maggiore influenza che vi ha la Chiesa di Acham. E un bel chissenefrega no?

Guida a Nevaria

Venite a visitare questo bellissimo Paese, fatto di così tante parole e nessuna immagine!

Trattandosi di un romanzo basato sugli intrighi, poi, ci si aspetterebbe una certa attenzione a gestire la diplomazia in modo credibile e appassionante. E’ vero il contrario.
L’arte della diplomazia è basata sulle allusioni e sul non detto, più sui silenzi che sulle parole; il buon diplomatico cerca di esporsi il meno possibile ed esporre il più possibile il suo interlocutore, di impegnarsi il meno possibile e impegnarlo il più possibile, non tocca un argomento e non fa una domanda se non è ragionevolmente sicuro della risposta. In poche parole, la diplomazia è l’arte della sottigliezza. Al contrario, i personaggi de L’ombra dell’incantatrice – da Lady Isial al governatore di Nuova Luce a Lord Maer – parlano un sacco, sbraitano, provocano, si espongono, rivelano accidentalmente informazioni importanti, si stupiscono, tornano sui propri passi, sono sempre goffi, sopra le righe. Sembrano più le caricature di uomini politici che veri politici, dei ragazzini che recitano una parte. Il lettore non ha mai l’impressione di trovarsi in una corte, in mezzo a capaci uomini di Stato2.
Del resto, la maggior parte dei dialoghi del romanzo, compresi gli scontri verbali tra Clarion e Isial, suona artificiosa e poco ispirata. Prendiamo una delle scene iniziali: i due coprotagonisti che devono scappare dalla torre dei maghi dopo che è scattato l’allarme. Ora, quanto è credibile che, in una simile circostanza, Clarion e Isial continuino a provocarsi a vicenda (con Clarion che trova anche il tempo e lo spirito per fare l’arguto)? I personaggi del romanzo dovrebbero apparire moralmente ambigui e politicamente scorretti, ma la verità è che suonano semplicemente infantili. C’è qualche scena carina – come il gergo usato nella contrattazione tra Clarion e il delatore, a Olinam – ma costituiscono l’eccezione e non la norma.

I personaggi sono piatti. Il Dr. Jack ha forse creato Clarion come reazione ai soliti eroi fantasy alla D&D, ma il risultato è l’archetipo del rogue d&desco: arrogante, dalla parlantina sciolta, falsamente amorale, vive di colpi gobbi, ed è in cerca di forti emozioni, con in più il bonus del passato oscuro dal quale vuole redimersi. La sua relazione con Belthar sembra presa di peso da quella tra Roxas e Axel di Kingdom Hearts II – e già quella non era il massimo dell’originalità. Isial è la tipica tsundere; nelle intenzioni dell’autore dovrebbe essere una “stronza manipolatrice”, ma quello che viene mostrato al lettore è una tredicenne primadonna inadatta al ruolo di grande rivoluzionaria. Belthar è il personaggio con maggior potenziale, ma il suo conflitto interiore – tra la fedeltà al Kleg e l’affetto per il vecchio compagno – rimane poco sfruttato.
Gli altri comprimari sono delle macchiette: Lord Maer è l’aristocratico sdegnoso con l’onore ferito, Wairel il pirata arguto, Davir il rivoltoso duro e puro, e così via. Ognuno di loro ha un ruolo e vi si attiene. E quasi tutti parlano con la stessa voce, cosa che si nota soprattutto nei dialoghi più serrati, quando l’autore omette i nomi dei parlanti: più di una volta mi è capitato di non capire più chi stesse dicendo cosa.

L'arte della diplomazia

La prosa è sciatta. L’unica cosa che il Dr. Jack sembra gestire bene è il pov, che rimane sempre ancorato a uno dei tre personaggi punto di vista – Clarion, Isial, Belthar – e si sposta dall’uno all’altro solo in caso di fine di capitolo o di paragrafo. In compenso, L’ombra dell’incantatrice ci regala aggettivi a pioggia, costruzioni sintattiche sballate (dall’uso di indicativi in luogo di congiuntivi a quello di una preposizione al posto di un’altra), metafore improbabili (gli alberi delle navi al tramonto come denti marci di squali), descrizioni vaghe, ed espressioni goffe, come uomini che cadono “producendo un tonfo”, gente che sente “il suono di un pianto”, “curatore” in luogo di “guaritore” o “dottore” e così via.
Altro esempio: scena romantica. “Clarion si avvicinò, un passo dopo l’altro, fino a trovarsi di fronte a lei. Isial non riuscì a dire nulla: si sentiva immobilizzata mentre un flusso di emozioni si contorceva dentro di lei, fino a mischiarsi in uno strano, scottante, sentimento“. Siamo dalle parti del troisiano ‘ponte gettato contro il suo intimo’, per intenderci.
Altre volte, ho avuto l’impressione che il Dr. Jack volesse mostrare ma gliene fosse mancato il coraggio. Per esempio la scena della prigionia di Isial. Scena potenzialmente interessante, perché Isial viene torturata e umiliata, le viene impedito di dormire e di lavarsi, eccetera. L’autore mostra diversi particolari, ma si nota una certa reticenza, una tendenza a soffermarsi poco sui particolari disgustosi, sicché la scena rimane annacquata. Posso capire che a uno scrittore possa fare troppo schifo una situazione del genere, per riuscire a soffermarsi più di tanto sugli umori corporei che impestano il corpo della bella piuttosto che sulla muffa e i vermi del cibo che è stata costretta a mangiare; ma se non ce la fai, non scriverla del tutto! Non accontentarti!
Completa la galleria del brutto una compilation impressionante di refusi, che accentuano l’impressione di un’opera poco curata.

Tirando le somme, L’ombra dell’incantatrice è un’opera quasi del tutto fallata, e che del resto non ha nulla di geniale o meraviglioso da offrire. In realtà l’idea di fondo del romanzo -ossia le avventure di un ladro braccato a morte sullo sfondo di intrighi politici fra potenze – potrebbero anche essere interessanti. Ma ci vorrebbe una riscrittura completa, che tenesse conto di questi quattro elementi:
1. Fazioni subito riconoscibili e interessanti, che vengano introdotte al lettore prima delle complicate trame politiche che le vedono coinvolte;
2. Riduzione al minimo degli spiegoni (anche nei dialoghi), sostituiti da eventi che mostrino gli avvenimenti politici principali;
3. Battaglie diplomatiche condotte in modo credibile – gli uomini di Stato non dovrebbero sembrare dei tredicenni deficienti;
4. Personaggi complessi e affascinanti, in luogo del piattume attuale – il romanzo infatti si regge sui personaggi e sui loro rapporti reciproci;
oltre a un generale miglioramento del livello di scrittura.

Torture medievali

Anche gli antichi sapevano come divertirsi…

Dove si trova?
Il romanzo è scaricabile gratuitamente su questa pagina del suo blog, Fantasy Eydor, nelle versioni pdf, doc formato A4 e mobipocket. In alternativa, si trova anche nella Zwei-List.

Qualche estratto
Il primo estratto viene dal ridicolo battibecco tra Clarion e Isial nel primo capitolo cui ho accennato prima; il secondo è una delle poche scene che mi sia piaciuta, ossia lo scambio tra Clarion e il delatore a Olinam.

1.
La donna si avvicinò al corridoio guardando fuori. «Mi hai messa in un bel casino.»
«Ti ci sei ficcata da sola. Cosa pensavi di fare?»
«Il mio piano era perfetto. Hai rovinato tutto.» L’intrusa si sporse nel corridoio.
«Dilettante…» replicò Clarion, avvicinandosi alla porta; le passò di fianco. Sentì una mano che premeva sull’addome. Lanciò un’occhiata alla donna che lo bloccava.
«Non penserai di lasciarmi qua?»
«Il piano era di far saltare la parete e andarmene da lì» spiegò Clarion. «Ma non mi fidavo a portare più di una boccetta.»
«Quindi siamo fregati?» La donna sollevò le sopracciglia.
«Non so te, ma io avevo più di un piano per andarmene.»
«Se mi lasci qua giuro che lancerò l’allarme.»
«Secondo i miei calcoli arriveranno qua tra… trenta secondi. L’allarme suonerà lo stesso.» Clarion si allontanò.
Certo non posso esserne sicuro, ma è bello fingere di saperlo.
La donna corse verso di lui. Lo trattenne per il vestito. «È qua. L’intruso è qua.»
«Sta zitta, maledizione.» La spinse contro un muro, tappandole la bocca. Sentì il libro che divideva i loro corpi. Notò anche un alone quasi invisibile a pochi millimetri dalla sua pelle.
«D’accordo. Andiamo. Spegni quella luce.»
[…] «Cosa stai aspettando?» chiese la donna.
«Tra poco lo scoprirai, sta’ zitta e rimani nascosta.»
«E se invece ti denuncio?»
«Non lo farai se vuoi portarti fuori quel libro.»
La donna mugugnò una risposta con tono offeso. Dopo alcuni istanti di silenzio aggiunse. «Senti… forse possiamo aiutarci a vicenda. Ma voglio sapere il tuo nome.»
«Perdonami. Non mi fido di chi si fa sbattere da un mago per fottergli la chiave di un laboratorio.»

2.
Il delatore serrò le labbra e sospirò. Dopo alcuni istanti riaprì i bottoni, ma mantenne l’espressione guardinga mentre lanciava uno sguardo nel punto dove aveva visto lo smeraldo. Gli occhi dell’uomo scintillavano di avidità.
«Devo tagliare la pietra del rosticciere» riprese Clarion.
«Serve un amico papero?» Gli occhi del delatore si aprirono, brillando di curiosità. «Pelli di nottola?»
«Percorsi dei nottola, ma rimani sull’argomento.» Clarion controllò di nuovo Jalmur: sembrava essersi calmato. «Devo solo tagliare e salutare.»
«Avrai bisogno di un battezzatore bravo dopo, e un cravattaio.»
«Rimani sull’argomento. Tagliare e salutare.»
Il delatore annuì, conciliante. «Quindi i nottola?»
Clarion si grattò il mento. Stavolta senza secondi fini, il delatore sembrò capirlo. «Anche i drizzi, e non riprovare a imbarcarmi con le tue domande.»
«Ci vuole fregare?» L’espressione di Jalmur si fece più dura.
«Mi ha chiesto quali guardie mi interessano per capire quando voglio fare il colpo. Ma sa che non sono fatti suoi. »
Jalmur aprì la bocca per parlare.
«Noi parliamo dopo.» Clarion tornò a fissare il delatore. «Puoi appiattirla o farmi avere il rotolo?»
«Ho un rotolo, proprio qua. Ma non posso dartelo.»
«Posso copiarlo?»
Il delatore annuì.
«Chi lo ha appiattito?»
«Qualcuno che porta solo le sue orecchie nel giro.» Il delatore mise una mano nella borsa e srotolò un foglio sul tavolo. Linee nere, e frecce. Una mappa.

Tabella riassuntiva

L’idea originale poteva essere interessante. Intrighi e battaglie diplomatiche infantili.
E’ gratuito! Ambientazione anonima, nomi che non dicono niente.
Personaggi piatti e cliché.
Stile goffo e infarcito di refusi.

In conclusione: BOCCIATO CON RISERVA No

Nottola

Esempio di nottola. Che simpatico animaletto.

(1) Questo, tra l’altro, è lo stesso problema che si riscontra nel secondo capitolo di Zodd. Problema che non può essere aggirato in nessun modo: l’unica soluzione, è ripensare la storia in modo tale da mostrare al lettore i gruppi politici del romanzo in azione prima di inserirli in uno schema politico.Torna su
(2) A proposito di buoni esempi di diplomazia mostrati in un romanzo, consiglio due libri di Swanwick che ho letto di recente: Vacuum Flowers e Stations of the Tide. In particolare il secondo; i dialoghi tra il burocrate, Korda e Philippe sono un ottimo esempio di gioco di potere diplomatico, non suonano mai infantili e, al contrario, possono mettere il lettore a disagio.Torna su

Oops! Abbiamo un problema!

OopsIeri sarebbero dovuti riprendere regolarmente i Consigli del Lunedì.
Purtroppo negli ultimi due-tre giorni sono subentrati dei problemi che mi hanno impedito di finire il post. Dopo averci pensato su, e piuttosto che postare un lavoro fatto di fretta per rispettare scadenze autoimposte, ho deciso di rimandare il nono Consiglio a settimana prossima. La qualità degli articoli deve sempre avere la precedenza sulla regolarità.
Cercherò comunque di pubblicare un post infrasettimanale (che ho già cominciato a scrivere da un po’).

Speriamo che le cose nei prossimi giorni vadano meglio ^_^

Saggistica: Il processo di civilizzazione

La civiltà delle buone maniereTitolo: La civiltà delle buone maniere (Il processo di civilizzazione Vol.1)
Autore: Norbert Elias
Editore: Il Mulino
Collana: Biblioteca Paperbacks

Anno: 1939 / 1969
Pagine: 387



Potere e civiltà

Titolo: Potere e civiltà (Il processo di civilizzazione Vol.2)
Autore: Norbert Elias
Editore: Il Mulino
Collana: Biblioteca Paperbacks

Anno: 1939 / 1969
Pagine: 429

Non soltanto l’educazione, il tatto, la diplomazia, l’attenzione ai sentimenti altrui, le buone maniere a tavola, non sono un istinto naturale ma un’acquisizione sociale appresa nel corso del tempo; ma c’è una stretta correlazione tra l’evoluzione delle “buone maniere” e l’evoluzione della forma politica e sociale di una società. Il passaggio dal signorotto feudale autarchico al vassallo tardomedievale, e dal vassallo al cortigiano, e dal cortigiano al dandy ottocentesco, segnano altrettante tappe della trasformazione dei modi del singolo di stare con gli altri e del modo in cui la società viene amministrata.
E’ questa la tesi di Norbert Elias, sociologo e storico che applica la sociologia alla storia.

La civiltà delle buone maniere e Potere e civiltà sono le due parti, pubblicate separatamente, di un’unica opera – Il processo di civilizzazione – in cui Elias si propone di studiare l’evoluzione della società dal Basso Medioevo alla fine dell’ancien régime (con qualche piccolo excursus nell’Ottocento e nella belle epoque).
Possono essere lette separatamente, ma insieme creano un’unico quadro coerente. Inoltre, seguire il discorso che Elias sviluppa in Potere e civiltà è più semplice se prima si è letto l’altro tomo.

Uno sguardo approfondito
In La civiltà delle buone maniere, Elias studia com’è cambiata nel corso dei secoli l’etichetta dello stare a tavola, dello sputare, del fare i propri bisogni, del controllo della rabbia, e soprattutto il modo in cui queste regole vengono progressivamente assimilate dagli uomini dell’epoca. Elias muove da esempi concreti, e passa molte pagine a citare stralci di galatei d’epoca sui più svariati argomenti: dal consiglio di un autore medievale di non scaccolarsi con le mani sporche di cibo, di sputare il cibo addosso agli altri commensali e di non sdraiarsi sulla tavola durante il pranzo, a raccomandazioni, datate alla fine del Cinquecento, di non fare la cacca in presenza di altre persone e soprattutto di non farla negli androni o davanti alla stanza delle donne, ma in un luogo appositamente predisposto. Usanze che trovano conferma in altre letture che ho fatto: per esempio Cipolla, in Storia economica dell’Europa preindustriale, ricorda come, ancora alla fine del Cinquecento, i palazzi di molti lord inglesi avessero spesso i pavimenti insozzati di escrementi, non solo animali.

Galateo di Tannhauser

Commentando questi galatei, Elias fa alcune osservazioni più generali: per esempio, che oltre al tipo di raccomandazioni, nel corso dei secoli cambia anche il registro degli autori di galatei, passando dall’ammonizione formale (“non fare così”, “chi fa così è schifoso”, “quello sarebbe meglio non farlo” ecc.) a un tipo di ammonizione che tiene conto dello sguardo degli altri (“se farai così sarai disprezzato”, “fai così e cosà o il biasimo ricadrà su di te”, “per non doverti vergognare fai così”, ecc.); e dal rivolgersi agli adulti, al rivolgersi ai bambini (perché si presuppone che gli adulti abbiano già imparato come comportarsi). Questa analisi porta Elias a concludere che, aldilà degli specifici divieti e obblighi che i galatei via via impongono, l’evoluzione delle buone maniere va in un’unica direzione: quella dell’aumento dell’autocontrollo, del tenere a bada i propri istinti e le proprie emozioni per non urtare gli altri, dell’imparare a osservare gli altri. Come mai?
Perché, dal Medioevo a oggi, ciò che è andato sempre aumentando è l’interconnessione tra le persone, e quindi la necessità di relazione e collaborazione tra individui aldilà dell’uso della forza bruta. Il signorotto bannale del XII secolo vive in relativa autonomia; i suoi obblighi sociali non vanno aldilà del rispetto e del riconoscimento della superiorità del suo signore (posto che ne abbia uno e il suo potere non sia del tutto autarchico), e una certa dose di cameratismo nei confronti dei suoi uomini. Soprattutto, ciò che gli dà potere e autorità è la forza militare di cui dispone. Non deve essere particolarmente educato. Un cortigiano francese nell’età del Re Sole, al contrario, non dispone più di alcun potere militare, deve il mantenimento della sua posizione al suo rapporto personale col sovrano e con la corte: è quindi essenziale, perché mantenga intatto il suo prestigio, che sia bene educato, che si comporti bene; e quindi, che impari a controllare il proprio comportamento.
Contemporaneamente, la buona educazione diventa uno strumento di potere e di distinzione. I nobili si fanno forti delle loro buone maniere e del loro buon gusto per distinguersi dalla plebe, e soprattutto da quella parte della borghesia (come la nobiltà di toga francese) che minaccia il suo status politico; al contempo la cerchia più vicina al re, quella dei Grandi aristocratici, elabora arbitrariamente maniere sempre più raffinate per creare una distanza tra sé e il resto della nobiltà; e allo stesso modo, la borghesia si affanna per distinguersi dal popolino, copiando il galateo della nobiltà e ostentando atteggiamenti aristocratici.
Questo processo di raffinazione del comportamento porterà in certi ambienti a degli eccessi, soprattutto alla fine dell’ancien régime e nell’Ottocento, come la negazione dei bisogni corporali, di cui non si deve far parola, o l’esagerato pudore sessuale (ricorda Elias che ancora nel Cinquecento era cosa assolutamente normale parlare di sesso, puttane and the like, anche ad un bambino; il problema di “cosa rispondere se tuo figlio ti chiede come nascono i bambini?” non esiste prima dell’Ottocento).

Galateo di Erasmo da Rotterdam

Potere e civiltà assume una prospettiva più ampia. Qui Elias parla delle trasformazioni socio-politiche avvenute in Europa tra il Mille e la fine del Medioevo, muovendosi su due piani: quello macropolitico, in cui spiega l’evoluzione dei rapporti tra il potere centrale del monarca e i poteri locali dell’aristocrazia feudale; e quello microsociale, dell’evoluzione dello stile di vita e dei vincoli sociali del signore medievale.
Per esempio, Elias nota un meccanismo costante delle società premoderne: a un periodo di forte centralizzazione del potere (per esempio sotto un grande condottiero, e/o sotto la pressione di pericoli esterni) subentrano sempre periodi di disgregazione, in cui i subordinati del sovrano si rendono sempre più autonomi dall’autorità centrale. Questo perché, in una società con scarsa circolazione monetaria, il favore del sovrano nei confronti dei suoi fedeli deve prendere perlopiù la forma dell’assegnazione di terre, sotto forma di donazione, o trasformando il fedele in un funzionario col compito di amministrare un territorio. Ma l’assegnazione di terre, per sua natura, fa sì che il fedele si allontani dal sovrano e diventi sempre più autonomo, un piccolo re nelle terre che ha ricevuto.
Periodi di forte minaccia dall’esterno possono rinsaldare i principi territoriali sotto l’egida del sovrano, come accadde tra i principi germanici sotto Enrico l’Uccellatore e Ottone I, ai tempi della rivincita contro gli invasori Ungari; al contrario, periodi di calma alimentano i conflitti interni e le spinte disgregative dei signori feudali minori. Il meccanismo può spezzarsi solo quando, grazie a all’aumento del traffico commerciale (e quindi della circolazione della moneta) e al progresso tecnologico, il sovrano può progressivamente fare a meno dell’aiuto dei suoi vassalli (per esempio convertendo il servizio militare che gli devono in un prelievo di denaro, con cui il re pagherà propri mercenari). Sul lungo periodo, questo permetterà ai sovrani più accorti di appropriarsi delle prerogative militari della milizia feudale, fino a esautorarli completamente di qualsiasi potere e di fare della forza bruta un monopolio dello Stato. Elias sfrutta questo modello per spiegare il diverso destino della Germania e della Francia nel corso del Medioevo.

Galateo tedesco del Cinquecento

I cambiamenti politici si riflettono in un cambiamento dello stile di vita del nobile. Mano a mano che perde potere militare e che la sua corte e il suo castello diventano nient’altro che una “provincia” del monarca o del principe territoriale, il nobile deve scegliere tra una vita oscura e in povertà nelle sue terre, o l’andare alla corte del re e mettersi nelle sue mani. Poiché il potere militare è concentrato nelle mani dello Stato, l’unico modo per un nobile di fare carriera, è quello di conquistarsi il favore del re, salire di rango attraverso buoni matrimoni, intessere alleanze con altri nobili.
Come il cavaliere medievale si faceva strada dimostrando capacità e valore militare, distinguendosi ai tornei e nella caccia, ora che la forza bruta è inutile il cortigiano deve imparare l’arte del ben parlare, l’arte di fare buona impressione in tutte le occasioni sociali – quindi a tavola, nella conversazione, ai ricevimenti, eccetera – insomma, le buone maniere. Per capire se si sta comportando bene, se è rispettato, se è stimato, per capire chi sono i suoi potenziali amici e i suoi potenziali nemici, per capire quali sono i sistemi di alleanze a corte, per capire tutto questo, insomma, il cortigiano deve imparare a studiare gli altri, intuire quello che pensano osservando il loro comportamento esteriore, e deve imparare a osservare sé stesso per capire se e dove sbaglia, se si sta comportando in modo elegante, eccetera.
Il duca di Saint-Simon si vantava di poter capire da un solo gesto o dal tono della voce di un interlocutore, se presso quella persona era ancora in favore o era caduto in disgrazia. Chi non ci riesce, chi non ne è in grado, viene allontanato, perde la partita – così come nel Medioevo un cattivo condottiero o un nobile incapace di andare a cavallo diventavano oggetto di scherno e fonte di disonore per la propria famiglia.

Stans puer ad mensam

Educazione, galateo, autocontrollo, analisi di sé e degli altri, sono dunque tutte acquisizioni dettate da condizioni materiali. E’ questa la lezione di Elias.
Ed è solo la punta dell’iceberg. I due libri di cui ho parlato sono densissimi di informazioni e teorie, dalla moltiplicazione del numero di posate a tavola a come le costrizioni sociali nel tempo diventino autocostrizioni dell’individuo, da come nel Basso Medioevo i cavalieri si siano espansi fuori dall’Europa per accasare i figli senza dilapidare le proprie terre alla strategia dei primi Capetingi per sottomettere i signori feudali confinanti. Io ho riassunto soltanto alcune delle idee più importanti, quel tanto che potesse bastare a farvi venire l’acquolina in bocca.

Non c’è bisogno di particolari conoscenze pregresse per leggere i libri di Elias, anche se un’infarinatura di storia medievale non farebbe male. Per quanto leggere le cose schifose che nel Medioevo facevano anche i principi sia spassoso, poi, bisogna ammettere che la lettura non è facilissima. Ad ostacolarla c’è innanzitutto una certa pesantezza tedesca, unita alla tendenza – altrettanto tedesca – di infarcire il testo di termini inutilmente tecnici e di frasi contorte. Inoltre, il fluire delle idee di Elias non è sempre limpido; e nonostante i due libri siano strutturati in capitoli, gli capita stesso di saltare da un argomento all’altro, di riprendere un tema di cui aveva già parlato pagine prima e poi di mollarlo di nuovo, e così via. Di conseguenza, capita spesso di dover rileggere più volte una frase o un periodo mentre si pensa: “Ma che cazzo sta dicendo?”.
Questa macchinosità è compensata dalla tendenza di Elias a fare spesso il punto, a ricapitolare la situazione, e a ripetere i punti cardine del suo pensiero sino all’ossessività. Anche se non capite un passaggio, andate avanti, resistete: sicuramente dopo cinque, dieci o venti pagine ne parlerà di nuovo, possibilmente in modo più chiaro. A forza di ripetizioni anche il lettore più scemo assimilerà il grosso delle informazioni; e vi troverete facilmente a dire: “Sì, ho capito, basta! Passiamo al prossimo argomento, ti prego!“.
Se deciderete di leggerli, saltate la Prefazione de La civiltà delle buone maniere e cominciate dall’Introduzione a pag.101. La Prefazione è stata pensata per gli addetti ai lavori, parte dal presupposto che si conosca già il resto dell’opera ed è un’occasione per Elias per rispondere alle critiche mossegli da alcuni colleghi. Leggerla è faticoso e inutile.

Galateo di Giovanni Della Casa

Il processo di civilizzazione è un’opera tanto interessante per i curiosi di storia e sociologia, quanto utile per uno scrittore. Intanto perché dà una serie di informazioni pratiche sui costumi dell’epoca, dal modo di mangiare al livello (piuttosto basso) di pudori corporali e sessuali del periodo medievale e rinascimentale. Il che non significa che ogni civiltà medievaleggiante debba avere quel preciso livello di pulizia ed educazione e pudori: sappiamo che, nella stessa epoca e con una simile organizzazione sociale, i giapponesi erano molto più puliti degli europei. Significa però che lo scrittore deve sempre tenere a mente il rapporto tra costumi e condizioni materiali e sociali di vita; e in ogni caso, presentare il protagonista (o magari una bella donna) che fa la cacca nella sala comune mentre discute amabilmente col resto del party potrebbe aggiungere un tocco di realismo alla storia ^-^
Soprattutto, opere come questa sono utili perché danno all’aspirante scrittore una serie di nozioni teoriche di base, diciamo un’infrastrutturale mentale, che facilita il lavoro di worldbuilding e può renderlo più credibile. Certo, non sempre le elaborazioni teoriche di Elias sembrano discendere in modo convincente dalle informazioni empiriche, e il suo modello non riesce a spiegare tutto (per esempio non spiega, se non in modo imperfetto, l’allentamento dei costumi e della morale sessuale nel Novecento né la rivoluzione sessuale della fine degli anni Sessanta – d’altronde quest’opera è stata scritta trent’anni prima del ’69!); ma molti capisaldi del suo pensiero sono difficilmente discutibili.
Quindi, dateci un’occhiata!

Bonus Track: La società di corte
La società di corteAutore: Norbert Elias
Editore: Il Mulino
Collana: Biblioteca Paperbacks

Anno: 1969
Pagine: 377

Di Elias ho anche letto quest’altro libro, che in sostanza riprende teoria e impostazione generale de Il processo di civilizzazione per applicarla a un caso concreto: la vita di corte francese sotto il regno di Luigi XIV e dei suoi due successori. Dall’architettura delle case di città dell’aristocrazia parigina al rituale mattutino della vestizione del Re a Versailles, dall’evoluzione dell’etichetta di corte nei due secoli dell’ancien régime alle conseguenze politiche della Fronda, Elias inserisce tutto nel suo quadro teorico. Scopriamo così come un rituale, creato da Luigi XIV per assicurarsi il controllo della nobiltà di corte e la distruzione in loro di qualsiasi forma di autonomia, si trasformi nel tempo in una macchina che vive di vita propria, ormai odiosa a tutti e agli stessi Re successivi a Luigi XIV, ma che nessuno è più in grado di fermare.
Il libro ha gli stessi pregi e difetti stilistici delle altre opere di Elias. A chi interessasse l’argomento della corte francese del Seicento, o in generale del funzionamento di una corte assolutistica, consiglio di leggerlo in aggiunta agli altri.

Tabella riassuntiva

Unisce una visione di ampio respiro con l’attenzione ai dettagli concreti. A volte le teorie generali schiacciano i dati specifici.
Una teoria che mette insieme evoluzione dei costumi ed evoluzione politica. Stile pesante, termini tecnici inutili.
Leggere le schifezze che facevano nel Medioevo è divertente!

Abitudini di lettura

AnobiiApprofitto del perdurare delle vacanze natalizie (benché ormai avviate alla conclusione) per un altro piccolo post autoreferenziale. Intanto, una notizia che farà gola ai miei fan (ammesso e non concesso che ce ne siano):

Ho linkato su Tapirullanza la mia libreria di Anobii!

Il link in questione è nel box “Tapiroulant su Anobii” della colonna destra, sotto il box dedicato alla mia persona. A sua volta, la mia libreria su Anobii linka questo blog, così da creare un affascinante flusso di informazioni e utenza. Nell’ultimo mese alcuni di voi si erano già accorti della mia esistenza su Anobii, tanto che le 5 visite al mese di media alla mia libreria (che non è neanche una brutta stastistica, trattandosi di una libreria in completo abbandono) a Dicembre sono passate a 40. Ma adesso è ufficiale! Evviva!
Avevo intenzione di linkare la mia libreria fin da quando ho aperto il blog, ma ho posticipato a lungo perché per tutto il 2011 avevo disertato Anobii e i miei libri erano aggiornati a, tipo, il dicembre scorso. Come potrete vedere non ho ancora finito di aggiornarla, ma quantomeno sono a buon punto, e tra pochi giorni avrò inserito tutti i libri.
Per converso, ho la tendenza a segnarmi in giro le cose che faccio, e anche le date in cui inizio e finisco i libri, per cui posso riprodurre in modo quasi infallibile la quasi totalità delle mie letture durante il 2011. Una cosa che mi piace fare, infatti, è analizzare le mie abitudini, ivi comprese le mie abitudini di lettura. Ecco cos’è venuto fuori.
Dei 101 libri che ho registrato di aver letto quest’anno, il 72% è narrativa e il 28% saggistica:

Primo grafico

Entrando più nello specifico, ecco la ripartizione tra narrativa fantastica e non fantastica, saggistica storica e non-storica, e manuali di scrittura:

Secondo grafico

La narrativa fantastica è di gran lunga la voce maggioritaria, e questo mi sorprende perché fino all’anno scorso leggevo molti più mainstream e classici. Penso di riconoscere quattro cause di questo cambiamento:

  1. L’influenza di Gamberetta (e, secondariamente, del Duca e di Zwei).
  2. L’acquisto e l’uso massiccio di un e-reader.
  3. La scoperta di library.nu
  4. La gestione di Tapirullanza.

Delle tre, la più importante è sicuramente l’acquisto del reader. Non sono il primo a dirlo, ma la mia esperienza va ad aggiungersi a quella degli altri: il possesso di un reader cambia il modo che ha il lettore di approcciarsi ai libri. Prima di averne uno (e prima anche di quando lo mendicavo a Siobhàn), la mia mentalità era pressappoco: “Vediamo cosa mi mette a disposizione l’editoria italiana”.
Se in un anno mi sono letto una trentina di romanzi di Philip K. Dick – era il 2009 – devo ringraziare quella disgraziata della Fanucci, che in occasione del 25° anniversario dalla morte dello scrittore aveva ripubblicato quasi tutti i suoi libri. Io ero andato in libreria, li avevo visti, e mi ci ero buttato a pesce. Allo stesso modo ho conosciuto Ballard e Vonnegut, ripubblicati in modo sistematico da Feltrinelli, o Asimov e Bradbury, diffusi dalla Mondadori.
Ma, come ormai tutti si sono accorti, il grosso della narrativa fantastica pubblicata dalle nostre lungimiranti case editrici non è buona nemmeno come carta igienica. Di conseguenza, invece che buttare 20 Euro per una menata della Troisi, con la stessa cifra mi compravo due o tre libri di Hemingway o di Gogol’ o di Balzac.

Nikolaj Gogol' e Licia Troisi

Mmm, quale dei due leggere? Un dubbio amletico.

Ma da quando ho il reader, non mi devo più accontentare. La Rete è grande e ho solo l’imbarazzo della scelta. Ho potuto leggere libri che non hanno mai toccato il suolo italico (la Bizarro Fiction), libri che non sono editi in Italia da quarant’anni (tutti i romanzi di Stapledon, per esempio), autori italiani autopubblicati le cui opere esistono solo in formato digitale.
E il blog è stato per me quello che speravo che fosse: uno sprone a sperimentare nuovi autori, nuovi sottogeneri, a cercare libri i più diversi possibili tra loro. Cosa strana: nonostante il tempo che mi porta via, da quando gestisco Tapirullanza leggo di più – anche se a volte a orari strani (ho finito Vacuum Flowers alle tre del mattino).
Comunque, le mie letture mainstream sono state erose anche dalla saggistica e soprattutto da quella storica, che quest’anno ho letto molto di più rispetto al passato. Dei 16 che ho letto, la gran parte è saggistica sul Medioevo, quella che rimane è sulla cosiddetta Prima Età Moderna (Early Modern Age): anche in questa mia nuova abitudine, quindi, l’influenza di Zwei e del Duca è cospicua. E poi, tutta questa saggistica mi fa sentire così intelligente!

Vediamo adesso un’altra cosa che mi affascina sempre moltissimo (in modo lievemente patologico), ossia la distribuzione temporale dei libri che ho letto quest’anno:

Terzo grafico

In blu ho segnato, di nuovo, tutti i libri letti nel 2011; in rosso i libri consigliati su Tapirullanza, sia nei Consigli del Lunedì che nelle Bonus Tracks. Come immaginavo, il periodo 1930-2011 è il più denso, con un primo picco nel periodo 1960-1990 (che coincide con l’apogeo della fantascienza sociale, uno dei miei sottogeneri preferiti), e un secondo picco, che inizialmente non mi aspettavo, nell’ultima decade. Quest’ultimo è dovuto soprattutto ai libri di Bizarro Fiction che ho letto negli ultimi quattro mesi (13 libri, di cui 10 solo di Mellick) e agli autopubblicati italiani (4 libri quest’anno). La cosa è curiosa, perché in passato se leggevo 2 o 3 libri di scrittori ancora viventi era già tanto.
Rispetto agli anni scorsi, molto trascurato l’Ottocento: a parte Stendhal e Tocqueville, poco altro (ma forse val la pena di menzionare Frankenstein di Mary Shelley, che non avevo mai letto, e che ho trovato carino benché troppo appesantito dal lirismo romantico). Soprattutto, ne esce con le ossa rotte il periodo 1861-1930. Ma non temete, amanti dell’epoca vittoriana e/o del primo dopoguerra, sono in cantiere un paio di Consigli su libri proprio di quel periodo! Ma che figata!

Piovra metropoli

Esempio di figata.

Trovare il tempo per leggere non è sempre facile, ma sono felice di farlo se poi posso spammarlo in giro per il Web ^-^
Conto che questo 2012 mi porti un’altra vagonata di libri fikissimi, almeno finché i Maya non distruggeranno il mondo a cavallo di fotoni (questa nuova misteriosissima particella) cantando 666 the Number of the Beast.