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I Consigli del Lunedì #12: Behold the Man

Behold the ManAutore: Micheal Moorcock
Titolo italiano: I.N.R.I.
Genere: Science-Fantasy / Literary Fiction / Slice of Life
Tipo: Romanzo

Anno: 1969
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 150 ca.

Difficoltà in inglese: **

Karl Glogauer è un uomo infelice. Complici una madre vittimista e melodrammatica, figure paterne abusive, un retaggio ebraico-tedesco, bulleggiamenti scolastici assortiti, e cattive frequentazioni postadolescenziali, ma anche una certa propensione congenita al vittimismo e all’autodistruzione, alla soglia dei trent’anni Glogauer è una perfetta nullità. Nulla di strano se nel frattempo ha sviluppato un morboso attaccamento verso la figura storica di Gesù Cristo. Così come non c’è nulla di strano nel fatto che, non appena ha potuto mettere le mani su una macchina nel tempo, abbia deciso di viaggiare nella Galilea del 29 d.C., un anno prima della Crocifissione.
Ma qualcosa non va, nel passato: nessuno ha mai sentito parlare di Gesù di Nazaret, e Giovanni Battista sembra convinto che Glogauer sia un profeta mandato da Dio per liberare il popolo ebraico dalla schiavitù. Che cosa è successo? Cristo è esistito realmente? E soprattutto, come farà Glogauer a rimettere a posto le cose?

Behold the Man è un piccolo gioiellino che non avrei mai scovato se non avessi condotto un controllo incrociato della bibliografia di Moorcock e della collana dei SF Masterworks. In Italia è praticamente sconosciuto, e questo perché – come già The Sirens of Titan di Vonnegut, di cui ho parlato qui – è uno strano ibrido, di quelli che mi piacciono tanto, tra la narrativa fantastica e un certo tipo di letteratura mainstream-psicologica.
La narrazione segue due timeline parallele: da una parte le avventure di Glogauer nel 29 d.C., dall’altra una serie di flashback sulla sua vita, dall’infanzia all’incontro con la macchina del tempo e il suo progettatore. E mentre seguendo la prima timeline scopriamo che le cose non sono andate proprio come ci dicono i Vangeli, la seconda ci svela a poco a poco lo strano mondo interiore di quel borderline dickiano che è Glogauer.
Nel complesso, l’elemento psicologico-intimista prevale su quello fantascientifico, ma non arriverei a dire, come nel caso di Vonnegut, che gli elementi fantastici abbiano uno scopo puramente funzionale; le peripezie ucroniche del protagonista sono in grado di regalare una certa dose di autentico sense of wonder fantastorico, soprattutto se ve ne frega qualcosa del Cristianesimo.

Gesù bukkake

Potrebbe essere andata così…

Uno sguardo approfondito
La struttura di Behold the Man assomiglia a quella dei romanzi di Mellick di cui mi sono già occupato: una successione di brevi paragrafi di una o poche pagine. Ogni paragrafo costituisce una scena in sé conclusa, oppure un certo lasso di tempo raccontato in modo più sbrigativo (per esempio, un paragrafo è dedicato al primo periodo di permanenza di Glogauer tra gli Esseni). Questa struttura – che, a quanto ho visto, è ottima per le novellas e per i romanzi brevi – dà a tutta la storia un ritmo rapido, incalzante, che mantiene viva la curiosità del lettore e quindi la voglia di andare avanti.
Spesso, ma non sempre, l’alternarsi dei paragrafi coincide con l’alternarsi delle timeline. Per due pagine seguiamo l’atterraggio della macchina del tempo nel 29 d.C. e il soccorso che viene prestato a Glogauer, poi bam!, flashback su un momento significativo dell’infanzia del protagonista, e poi bam!, Glogauer riprende conoscenza in una caverna che puzza di sudore e pelle di capra. E così via. Questo alternarsi non crea confusione – perché segue delle regole precise, che il lettore afferra in fretta e a cui quindi si abitua – anzi al contrario evita il sopraggiungere di momenti di stanca. Spesso, poi, la transizione è facilitata dal fatto che il flashback riprenda temi, idee, pensieri del paragrafo immediatamente precedente – cosicché, nonostante lo stacco, si ha una sensazione di continuità, e che la storia sia tenuta insieme da un unico filo conduttore.
Certo, non sempre a Moorcock il trucco riesce. Alcuni flashback non c’entrano niente con quello che ci sta intorno, e non si capisce perché non siano stati infilati in altri punti del romanzo, o addirittura eliminati. In linea di massima i flashback seguono anch’essi un andamento cronologico – ossia, dall’infanzia di Glogauer ai suoi trent’anni – ma ogni tanto fanno salti avanti o indietro francamente inutili. Con un po’ più di attenzione in fase di editing, si sarebbe potuto evitare questo problema.

Così come si sarebbe potuto evitare un problema strutturale più grave, ossia una certa sproporzione tra la prima metà del romanzo e la successiva: la maggior parte dei flashback si accumulano tutti nella prima, scomparendo gradualmente nella seconda metà; viceversa, la parte ambientata in Galilea procede abbastanza lentamente per le prime 70-80 pagine, per poi accelerare vertiginosamente. L’ultima parte del libro, che copre grossomodo i sei mesi precedenti la Crocifissione, e che per molti versi sarebbe la più interessante, è trattata in maniera troppo sbrigativa – troppo, soprattutto, se confrontato coi dilungamenti della prima parte, quando Glogauer dimora tra gli Esseni. Maggiore uniformità nel ritmo e nella giustapposizione delle due timeline avrebbe migliorato il romanzo.
Tra le sbavature tecniche minori, poi, c’è la tendenza di Moorcock a inserire, ogni tanto, tra un paragrafo e l’altro, qualche piccolo inserto criptico dal sapore molto literary (vale a dire: cacca). Se li poteva risparmiare, perché non aggiungono niente e anzi danno l’impressione dello scrittore di genere coi complessi di inferiorità che se la tira da autore impegnato. Altre volte, specie all’inizio di capitoli, ma anche tra un paragrafo e l’altro, Moorcock inserisce delle citazioni – spesso dalla Bibbia (specialmente dai Vangeli, ma non solo), talvolta da opere di Jung o di altri. La cosa non sarebbe neanche male, ma Moorcock ne abusa, e francamente le citazioni nel bel mezzo dei capitoli se le poteva risparmiare.

Gesù Sparta

…o potrebbe essere andata così!

Behold the Man è altalenante anche nello stile.
Alcune scene (come quella dell’incipit, che ho messo tra gli estratti in fondo all’articolo) sono realizzate alla perfezione: tutto mostrato, massima economia nella scelta delle parole, ritmo incalzante, pov ben saldo – in una parola, immersione totale. Altre volte, specialmente se deve descrivere lunghi periodi di tempo, o se si tratta di scene di minore importanza, il narratore si abbandona a lunghi raccontati infodumposi. Il grosso della permanenza di Glogauer tra gli Esseni, ad eccezione delle scene iniziali e di quelle finali, è narrato con questo stile trascurato e sbrigativo 1.
Altalenante è anche la gestione del pov. Per la maggior parte del tempo è ben fissato nella testa di Glogauer, ma ogni tanto, e specialmente a partire dalla seconda metà del romanzo, scivola verso il narratore onnisciente o verso una forma di pov collettivo della gente che circonda Glogauer. Così, nella seconda e terza parte, ci sono interi paragrafi in cui vediamo il protagonista attraverso gli occhi di un pugno di militi romani, o dei rabbini del tempio, o della folla di pellegrini che lo segue. Anche se ci sono delle motivazioni plausibili, e in accordo con la trama, per questa scelta2, essa ha lo svantaggio di far scemare nel lettore l’empatia verso Glogauer – perché allontanandoci dal suo pov ci allontaniamo da lui – dopo averla gradualmente accumulata nella prima parte.

Tra le altre cose che, per inclinazione personale, potrebbero scoraggiare alla lettura, bisogna dire che il protagonista – con il suo vittimismo, il suo piagnucolio, la sua vigliaccheria, il suo farsi del male da solo e bruciarsi tutte le opportunità che gli si presentano – è un individuo estremamente sgradevole. La vicinanza del pov obbliga il lettore a uno stretto contatto con Glogauer: alcuni potrebbero sviluppare empatia nei suoi confronti, ma altri potrebbero trovarlo irritante fino all’orticaria. Per fare un paragone, immaginatevi uno Shinji Ikari adulto – solo che, a differenza di Evangelion, non ci sono dei personaggi più solari (Misato, Asuka, Kensuke, Kaworu) a fare da contraltare al protagonista.
Se si riesce a sopportare questo fiume di amarezza, bisogna ammettere che la caratterizzazione del protagonista e dei comprimari (la madre svenevole, la psichiatra acida e nichilista, Giovanni Battista, Giuseppe) è ottima. Non solo i loro caratteri sono credibili, ma Moorcock riesce a mostrarceli con poche pennellate e grande economia di parole – due battute di un dialogo, un gesto, una reazione fuori scala. Solo con un personaggio a mio avviso – Maria – l’autore si è lasciato andare alla macchietta grottesca e alle sottolineature inutili.

Shinji Ikari

“Il mondo è kattivo. Nessuno mi ama. Nessuno riconosce le mie buone qualità e mio padre mi skifa. E Asuka mi molesta emotivamente anche se sono buono. Ora scusate ma vado a masturbarmi sulla sua faccia mentre è in coma”.

E poi, c’è la rivisitazione della vita di Cristo; una rivisitazione cinica e amara, che mi ha molto affascinato. Chiunque abbia anche solo un minimo di interesse per la figura storica di Gesù e un’infarinatura del Vangelo (fatto catechismo da piccoli? O l’ora di religione alle elementari? Mai costretti ad andare a messa? Io sì, fino a 12 anni…^^’) dovrebbe provare almeno qualche scintilla di genuino sense of wonder.
In particolare, la scena della tentazione nel deserto è geniale, così come quella del tradimento di Giuda – ma il romanzo è pieno di crude reinterpretazioni di scene del Vangelo. Anche personaggi biblici come Giovanni Battista, Giuda 3 e Ponzio Pilato vengono rivisti in chiave più terra-terra, in modo più realistico e gretto. Fino ad arrivare al finale geniale. E, a questo proposito: fate attenzione alla pagina di Wikipedia su Behold the Man e in generale agli articoli su questo romanzo, molti hanno la sgradevole tendenza a spoilerare il finale – e così si perde metà del gusto.

Insomma, difetti strutturali e stilistici impediscono a Behold the Man di essere il capolavoro che avrebbe potuto essere. Ma rimane una lettura piacevolissima e inquietante. E’ un romanzo molto breve: dategli una possibilità.

Dove si trova?
Behold the Man si può trovare su Amazon a prezzi ragionevoli (10 Euro su amazon.it, scontati a 9.50 nel momento in cui scrivo). Su library.nu, in realtà, si trova una versione di Behold the Man che si spaccia per l’edizione degli SF Masterworks, ma *non lo è*; ho il sospetto che possa essere la novella originale, da cui Moorcock avrebbe tratto l’attuale romanzo, ma non ho indagato. In ogni caso, non fidatevi.
Roberto mi ha segnalato che il romanzo è stato edito in italiano nella collana Urania Collezione, No.102, nel luglio 2011, con il titolo I.N.R.I. Se qualcuno dovesse scoprire che questa edizione è disponibile nel vasto Internet, me lo faccia sapere!

Spoiler biblico

Su Moorcock
Moorcock, ahimè, è conosciuto soprattutto per le sue opere “giovanili” di Sword & Sorcery. Ora, io non ho niente contro la Sword & Sorcery, in teoria; ma è un palese dato di fatto che il 90% della produzione di questo sottogenere sia una porcheria orrenda. Neanche Moorcock si sottrae a questa tendenza. Ricordo di aver letto, a 14 o 15 anni, il primo libro della trilogia di Corum, Il cavaliere di spade; non so se rimasi più disgustato dall’oscenità della prosa, dalla piattezza dei personaggi o dalla banalità della storia, fatto sta che giurai disprezzo eterno per Moorcock e ne girai alla larga per tre anni buoni. E dire che a quell’età non ero neanche di gusti molto difficili: in quegli stessi anni ho letto i primi quattro volumi della Spada della Verità di Goodkind, e non mi erano dispiaciuti (almeno i primi due).
Elric di MelnibonéL’unica opera di Sword & Sorcery di Moorcock che mi senta di salvare è la famosa saga di Elric di Melniboné. Ambientata in un mondo tardomedievale di stampo mediterraneo, narra dell’ultimo principe dei Melniboneani, antico e perverso popolo di maghi superumani, e di come sarà causa della distruzione del suo stesso popolo e dell’inizio di una nuova era. Elric è un personaggio interessante: albino e di fragile costituzione, è costretto ad assumere droghe per sopravvivere; disprezza il suo stesso popolo; e ha un brutto rapporto con Tempestosa, la sua spada senziente assetata di sangue. La saga è rovinata da una prosa pessima e un andamento da romanzo di avventura per bambini; oltretutto Elric, che sarebbe progettato per essere un anti-eroe, finisce per fare tutte le cose tipiche degli eroi del fantasy epico. Salvano la saga l’ambientazione suggestiva e alcune idee carine, come la torre sull’orlo del mondo, la città-miraggio nel deserto, il regno dei mendicanti e la stessa isola di Melniboné.
La saga originale comprende sei libri scritti tra il 1963 e il 1977; negli ultimi vent’anni, Moorcock ha scritto una serie di midquel che però non ho letto.
Oltre alla sua sword & sorcery, ho letto altri due romanzi di Moorcock:
The Warlord of the AirThe Warlord of the Air, science-fantasy ucronico in cui un ufficiale britannico dei primi anni del Novecento, Oswald Banstable, si ritrova in seguito a uno strano incidente in un 1973 alternativo, in cui le guerre mondiali non ci sono mai state, il Commonwealth britannico sembra aver assicurato una pace eterna su tutto il globo e dirigibili giganti sono il principale mezzo di trasporto. Ma Banstable scoprirà che l’utopia è solo apparente. Il libro è scritto nello stile di un romanzo tardo-ottocentesco, e in particolare è un omaggio alla narrativa di Conrad – scelta non proprio felicissima. E’ un esempio di proto-steampunk – e il Duca lo ha citato nel suo articolo di introduzione al genere – e potreste volerlo leggere per il suo valore storico; ma è un romanzo insulso e piuttosto noioso, e questo nonostante si faccia un gran parlare di rivoluzione comunista e tra i personaggi ci sia addirittura un fikissimo Lenin ultranovantenne!
In seguito Moorcock ha scritto altri due romanzi con lo stesso protagonista, The Land Leviathan e The Steel Tsar, ma sono opere del tutto autonome, nelle quali Banstable visita altri futuri alternativi.
GlorianaGloriana è un fantasy politico ambientato in un’Inghilterra elisabettiana alternativa. Da dodici anni Gloriana regna su Albione, la più potente, ricca e splendente nazione del mondo, e i cupi giorni del regno di suo padre, il pazzo e sanguinario Hern IV, sono un lontano ricordo. Ma questa nuova età dell’oro poggia su fragili fondamenta, e una serie di eventi – complice lo sfrenato appetito sessuale della regina – rischiano di far precipitare Albione nel caos e il mondo intero in una guerra disastrosa. Nonostante i molti difetti di stile, Gloriana mi ha colpito molto e credo che ne parlerò in un futuro Consiglio.
In futuro ho intenzione di leggere qualcos’altro di Moorcock; in particolare, la stramba trilogia The Dancers at the End of Time, e forse The War Hound and the World’s Pain, primo libro della trilogia dei Von Bek. Ma accetto consigli e pareri in merito.

Qualche estratto
Questa volta, invece che due estratti, ne ho scelti tre – ma sono brevi. Il primo è l’incipit, e mi sembra un bell’esempio di economia narrativa. Gli altri due sono un dialogo, ambientato nel passato, con Giovanni Battista, e un flashback di Glogauer (completo di flusso di coscienza) che dà un’idea del suo terribile carattere. Insieme, questi ultimi due estratti danno un’idea della doppia anima del romanzo.

1.
The time machine is a sphere full of milky fluid in which the traveller floats enclosed in a rubber suit, breathing through a mask attached to a hose leading into the wall of the machine.
The sphere cracks as it lands and the spilled fluid is soaked up by the dust. The sphere begins to roll, bumping over barren soil and rocks.

Oh, Jesus! Oh, God!
Oh, Jesus! Oh, God!
Oh, Jesus! Oh, God!
Christ! What’s happening to me?
I’m fucked. I’m finished.
The bloody thing doesn’t work.
Oh, Jesus! Oh, God! When will the bastard stop thumping!

Karl Glogauer curls himself into a ball as the level of the liquid falls and he sinks to the yielding plastic of the machine’s inner lining.
The instruments, cryptographic, unconventional, make no sound, do not move. The sphere stops, shifts and roll again as the last of the liquid drips from the wide split in its side.

Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it? Why did I do it?

2.
“And what is your name?” Glogauer asked the squatting man.
He straightened up, looking broodingly down on Glogauer.
“You do not know me?”
Glogauer shook his head.
“You have not heard of John, called the Baptist?”
Glogauer tried to hide his surprise, but evidently John the Baptist saw that his name was familiar. He nodded his shaggy head.
“You do know me, I see”.
A sense of relief swept through him then. According to the New Testament, the Baptist had been killed some time before Christ’s crucifixion. It was strange, however, that John, of all people, had not heard of Jesus of Nazareth. Did this mean, after all, that Christ had not existed?
The Baptist combed at his beard with his fingers. “Well, magus, now I must decide, eh?”
Glogauer, concerned with his own thoughts, looked up at him absently. “What must you decide?”
“If you be the friend of the prophecies or the false one we have warned against by Adonai”.
Glogauer became nervous. “I have made no claims. I am merely a stranger, a traveller…”
The Baptist laughed. “Aye – a traveller in a magic chariot. My brothers tell me they saw it arrive. There was a sound like thunder, a flash like lightning – and all at once your chariot was there, rolling across the wilderness. They have seen many wonders, my brothers, but none so marvellous as the appearance of your chariot”.

Gatto Giovanni Battista

3.
The first time he had tried to commit suicide he had been fifteen. He had tied a string round a hook half-way up the wall in the locker room at school. He had placed the noose around his neck and jumped off the bench.
The hook had been torn away from the wall, bringing with it a shower of plaster. His neck had felt sore for the rest of the day.
[…]
“You must try to concentrate on your work, Glogauer”.
“You’re too dreamy, Glogauer. Your head’s always in the clouds. Now…”
“You’ll stay behind after school, Glogauer…”
“Why did you try to run away, Glogauer? Why arent’ you happy here?”
“Really, you must meet me half-way if we’re going to…”
“I think I shall have to ask your mother to take you away from the school…”
“Perhaps you are trying – but you must try harder. I expected a great deal of you, Glogauer, when you first came here. Last term you were doing wonderfully, and now…”
“How many school were you at before you came here? Good heavens!”
“it’s my belief that you were led into this, Glogauer, so I shan’t be too hard on you this time…”
“Don’t look so miserable, my son – you can do it”.
“Listen to me, Glogauer. Pay attention, for heaven’s sake…”
“You’ve got the brains, young man, but you don’t seem to have the application…”
“Sorry? It’s not good enough to be sorry. You must listen…”
“We expect you to try much harder next time”.

Tabella riassuntiva

La vita di Cristo rivista in chiave fantascientifica e disincantata. Gestione dei flashback approssimativa.
Unisce paradossi temporali e introspezione psicologica. Glogauer è un protagonista sgradevole, forse troppo.
Alcune scene sono perfette. Brutti pezzi raccontati e pov ballerino.

(1) Ho una teoria in proposito. Il Behold the Man che oggi possiamo leggere è – come si usava all’epoca, e come in parte si usa ancora – la versione espansa di un racconto. E’ possibile che le scene migliori, più “dense” del romanzo appartenessero al racconto originale; e che per la versione estesa Moorcock abbia allungato il brodo con brani più raccontati e meno ispirati. C’è infatti una certa tendenza tra gli autori di genere, nel processo di trasformazione di un racconto in un romanzo, ad annacquare l’opera originale.Torna su
Ma la mia rimane una teoria, perché non ho letto il Behold the Man originale.

(2) Ho trovato due motivazioni plausibili e complementari per questa scelta di pov:
1. Moorcock vuole mostrare la progressiva depersonalizzazione, alienazione da sé di Glogauer, ma avrebbe difficoltà a farlo rimanendo *dentro* il pov di Glogauer.
2. Moorcock è interessato a farci vedere come gli abitanti della Galilea cominciano a vedere Glogauer.
Per quanto concerne il primo punto, posso obiettare che il protagonista non perde mai del tutto – ma solo a sprazzi – coscienza di sé. Anche nelle ultime fasi della sua vita, ci sono molte scene in cui Glogauer riflette su sé stesso e su quello che sta facendo.
Avrei risolto il problema alternando brevi paragrafi col pov collettivo di altre persone (quando Glogauer non è lucido), a paragrafi più lunghi in cui Glogauer è cosciente e il pov rimane ancorato su di lui. In questo modo si mantengono i vantaggi dei punti 1 e 2 senza allentare troppo il legame empatico col protagonista e la coerenza di pov del romanzo.Torna su

(3) A proposito. Se la figura di Giuda vi affascina, provate a leggere il “racconto” di Borges Tre versioni di Giuda, compreso nella giustamente celebre raccolta Finzioni.Torna su

I Consigli del Lunedì #07: The Iron Dream

The Iron DreamAutore: Norman Spinrad
Titolo italiano: Il signore della svastica
Genere:
 Science Fiction / Metafiction / Literary Fiction / Ucronia / Pulp-trash
Tipo: Romanzo

Anno: 1972
Nazione:
 USA
Lingua:
 Inglese
Pagine:
 260 ca.

Difficoltà in inglese: **

Avete mai letto l’ultimo romanzo di Adolf Hitler, Lord of the Swastika? No? Ma se ha pure vinto il premio Hugo nel 1954! Se è nato un gigantesco movimento di fan del libro, e se le uniformi dei Sons of the Swastika sono tra le più cosplayate ai convegni di fantascienza…? Ah, no, scusate, errore mio: ho sbagliato realtà^^
Norman Spinrad immagina un mondo alternativo in cui Hitler non è mai diventato leader del partito nazionalsocialista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il nostro baffino preferito ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti, dove si è riciclato come disegnatore e scrittore di fantascienza pulp. I conoscenti lo ricordano come un tipo tranquillo, forse un po’ strano.
Il suo più grande successo, completato pochi giorni prima della morte, parla di un mondo decadente, corrotto dai meticci e dalle mutazioni genetiche. Heldon, l’ultimo baluardo della purezza genetica, è minacciato dalle orde dei Dominatori, creature spietate che piegano la volontà degli individui e delle nazioni con la forza della mente; solo un uomo di razza purissima e di volontà ferrea – il giovane Feric Jaggar – potrà, radunando attorno a sé un pugno di uomini devoti e pronti a tutto, salvare il genere umano dall’imbastardimento definitivo. Toccherà a Feric ricostruire a Heldon una legione di Veri Uomini e guidarli alla legittima riconquista del mondo – e dell’intero Universo!

The Iron Dream è uno strano e delizioso esperimento diviso in tre parti: la prima, brevissima, consiste di una nota biografica sull’Hitler ucronico e della sua bibliografia; la seconda, che occupa il libro quasi per intero, è Lord of the Swastika, il romanzo scritto da Hitler; la terza, una Postfazione (Afterword) di una quindicina di pagine in cui un immaginario accademico commenta e analizza il romanzo.
L’esperimento è questo: se Hitler scrivesse un romanzo di fantascienza, cosa scriverebbe e come lo scriverebbe? Esperimento sviluppato in oltre duecento pagine di disgustosi meticci, uniformi di pelle nera, parate militari, baldi giovini dai capelli biondi e gli occhi azzurri, massacri su larga scala e iNioranza in dosi massicce.

Hitler

Feric Jaggar è pronto a combattere per il futuro della razza umana! E TU?

Uno sguardo approfondito
In Lord of the Swastika confluiscono due anime.
Da una parte, la narrativa fantasy-fantascientifica di serie b (e in particolare l’heroic fantasy/sf) con i suoi cliché e le sue ingenuità. Feric Jaggar è il giovane predestinato che deve salvare il mondo; i cattivi sono cattivissimi, senza appello e senza motivazione; e mentre i buoni ce la fanno grazie all’intelligenza e all’organizzazione, i nemici sono orde senza cervello, che attaccano come zombie basando la loro forza sul numero. C’è anche l’arma leggendaria impugnabile soltanto da un eroe di stirpe regale, nella forma del Grande Manganello (Great Truncheon). Ci sono i balzi tecnologici improbabili. Soprattutto, è ripetuto e amplificato il wish-fulfillment nella sua forma più ingenua: tutto il romanzo non è che il susseguirsi di trionfi e di riconoscimenti della naturale superiorità dell’eroe su tutti i suoi avversari e su tutti i suoi discepoli 1.
Dall’altra parte, troviamo l’esasperazione della filosofia nazista e delle fissazioni private di Hitler. Per tutto il romanzo, il pov rimane saldamente ancorato sulle spalle di Feric: di conseguenza, noi vediamo il mondo filtrato dal suo tono di aristocratico esaltato, dal suo disgusto per le razze corrotte, dalla sua ossessione per la virilità, dall’eccitazione che gli provocano le uniformi e i bei giovani dai fieri occhi azzurri. Il disgusto di Feric per le “catastrofi genetiche” è palpabile. Ma non è solo questo. Tutto il mondo del romanzo si comporta in accordo con queste convinzioni: tutti i mutanti puzzano, e sono miserevoli; i Veri Uomini (Truemen) sono intelligenti, capaci e virtuosi quanto sono alti, biondi, con gli occhi azzurri e un fisico statuario.
Molti eventi del libro sono anche interpretabili come corrispettivi di alcune fasi storiche del Partito nazional-socialista 2.

Questi due elementi, messi insieme e portati all’eccesso, creano un romanzo grottesco-splatter che sfiora la parodia della bassa narrativa e in ogni caso è profondamente trash. La storia di Feric è un’escalation di violenza e di deliri di onnipotenza. Si va dal pestaggio di indifesi meticci fino ai genocidi, ma la violenza è talmente portata all’eccesso da essere cartoonesca più che gore.
The Iron Dream mi ha ricordato certi film di Rodriguez – Planet Terror, Machete, o anche il caro vecchio Dal tramonto all’alba – film che rifanno apposta il b-movie ma lo rifanno ridendoci sopra. The Iron Dream è un lungo b-movie.
Forse, come vedremo, troppo lungo.

Pikachu nazi

Un gerarca dei Sons of the Swastika.

L’esperimento di Spinrad si porta infatti dietro degli handicap; in parte inevitabile conseguenza della natura iNiorante del romanzo e del fatto che a scriverlo sia Hitler, in parte dovuti alla sua incapacità come scrittore.
A partire dallo stile. Un po’ per ricalcare le ingenuità della letteratura di genere, un po’ per insistere sul dilettantismo e le ossessioni di Hitler, Lord of the Swastika è scritto male apposta. Abbondano le ripetizioni, le descrizioni statiche, l’aggettivazione pesante, gli infodump, personaggi piatti come un asse da stiro, il raccontato – anche se, all’occorrenza, l’autore è capace di mostrare efficacemente i momenti splatter o le parate militari del Partito. Ma Spinrad non è scusato del tutto: leggendo un altro suo libro, ho ritrovato in parte questa tendenza alle ripetizioni e all’aggettivo facile. Lo stile di Spinrad è realmente mediocre – in The Iron Dream questo aspetto è semplicemente amplificato. E comunque, calcare troppo la mano sullo scrivere male apposta può essere una buona strategia per un racconto breve o per una novella, ma non per un intero romanzo di oltre duecento pagine.

Lord of the Swastika soffre di ripetitività anche sul piano dei contenuti, soprattutto nella seconda metà del romanzo. Ogni capitolo si svolge su un piano più “grande” del precedente, ma la formula rimane la stessa. Ci sono pagine e pagine dedicati alle parate militari, alle nuove fikissime uniformi che Feric disegna per questo o quel corpo del Partito, ai nuovi esperimenti eugenetici promossi dai suoi laboratori.
Spinrad lo fa per sottolineare il carattere ossessivo dell’Hitler-scrittore, ed è anche divertente vedere fino a che punto si spinga la sua immaginazione, ma alla lunga la formula annoia. Se vuoi parlare della noia, fai attenzione a dedicarci lo stretto spazio necessario, prima che il lettore stesso si annoi; allo stesso modo, va bene insistere sulle fissazioni del nazismo, ma almeno sii creativo nel mostrarle, varia, tieni il lettore sulla corda! Spinrad questo non l’ha capito 3. La seconda metà del romanzo è decisamente troppo ripetitiva – anche se viene riscattata dall’ultimo capitolo del romanzo, assolutamente geniale 😀

Sons of the Swastika

Un ultimo possibile difetto di The Iron Dream è implicato nella sua stessa natura di metafiction. Immergersi completamente nel romanzo hitleriano è impossibile, non tanto perché non si possa abbracciare il punto di vista di un meganazista (ho letto libri, come alcuni di Mellick, dove succedono cose più terribili e l’empatia scatta lo stesso), quanto perché il tono trash-grottesco della narrazione ci ricorda continuamente che stiamo leggendo un libro. Il fatto stesso che ci sia una finta Postfazione (che tra l’altro è stupenda) distrugge ogni possibilità di catarsi.
Il lettore si trova davanti più la mente dello scrittore-psicopatico che non il contenuto del romanzo. Momenti di immersione e partecipazione emotiva ci sono, ma sono rari.

L’idea complessiva che mi sono fatto di The Iron Dream, quindi, è di un esperimento interessante e divertente, ma non del tutto riuscito. Con più impegno e più consapevolezza tecnica, Spinrad avrebbe potuto farne un capolavoro; così com’è, rimane un libro unico nel suo genere, che vale la pena provare a leggere, ma con ampissimi margini di miglioramento. I numerosi momenti di stanca, del resto, sono inframezzati da lampi di genio che valgono la lettura.
Potrebbe essere il libro ideale per chi cerchi un po’ di sano trash ma abbia bisogno anche di un sottofondo un po’ intellettuale: The Iron Dream provvede a entrambi.

Dove si trova?
In Italia il libro è stato pubblicato con il titolo del romanzo-nel-romanzo, ossia Il signore della svastica. Nel 2005 è stato ristampato da Fanucci, ma per quanto ne so anche questa edizione è pressoché introvabile. Ci si può senza timore affidare al Mulo.
Su library.nu si trova invece l’edizione in lingua originale.

Hitler Think Different

Su Norman Spinrad
Spinrad non è un autore che mi convinca troppo. E’ uno di quegli scrittori che vuole sempre fare l’impegnato e lo sperimentale, ma che non ha un sufficiente bagaglio tecnico alle spalle per poterselo permettere. E’ il tipico autore che fa della fantascienza un trampolino di lancio per parlare d’altro, ma che non ha ancora capito troppo bene come funziona un romanzo.
Perciò, di Spinrad ho letto solo un altro libro:

Bug Jack Barron / Jack Barron e l'eternitàBug Jack Barron (Jack Barron e l’eternità) si può a malapena definire fantascienza; è più che altro uno slipstream. E’ la storia di un personaggio televisivo di successo che conduce infuocati programmi di denuncia sociale, fingendo di stare “dalla parte del popolo” mentre è colluso con la politica e col mondo degli affari; una serie di eventi lo costringeranno a una scelta e a rimettere in discussione il suo ruolo nel mondo. L’idea è interessante e il libro è abbastanza unico nel suo genere, ma diversi problemi stilistici ne minano la qualità. Penso comunque che gli dedicherò un Consiglio in futuro.

Qualche estratto
Questa volta voglio proporre la bellezza di tre estratti. Il primo è preso dall’inizio del romanzo, dove facciamo la conoscenza di Feric e della sua strana visione del mondo, mentre il secondo descrive invece uno dei massacri indiscriminati che punteggiano allegramente il romanzo.
Il terzo, infine, è un breve e delizoso brano tratto dall’Afterword in coda al romanzo.

1.
Finally, there emerged from the cabin of the steamer a figure of startling and unexpected nobility: a tall, powerfully built true human in the prime of manhood. His hair was yellow, his skin was fair, his eyes were blue and brilliant. His musculature, skeletal structure, and carriage were letter-perfect, and his trim blue tunic was clean and in good repair.
Feric Jaggar looked every inch the genotypically pure human that he in fact was. It was all that made such prolonged close confinement with the dregs of Borgravia bearable; the quasi-men could not help but recognize his genetic purity. The sight of Feric put mutants and mongrels in their place, and for the most part they kept to it.
[…] With his heart filled with thoughts of his goal in fact and in spirit, Feric was almost able to ignore the sordid spectacle that assailed his eyes, ears, and nostrils as he loped up the bare earth boulevard toward the river.
[…] as Feric elbowed his way through the foul-smelling crowds, he spotted three Eggheads, their naked chitinous skulls gleaming redly in the warm sun, and brushed against a Parrotface. This creature whirled about at Feric’s touch, clacking its great bony beak at him indignantly for a moment until it recognized him for what he was. Then, of course, the Parrotface lowered its rheumy gaze, instantly gave off flapping its obscenely mutated teeth, and muttered a properly humble “Your pardon, Trueman.” For his part, Feric did not acknowledge the creature one way or the other, and quickly continued on up the street staring determinedly straight ahead.

Per ultima scese dalla corriera una figura di straordinaria e imprevedibile nobiltà: un uomo autentico, alto e forte, nel fiore della virilità. Capelli biondi, pelle chiara, occhi azzurri e vivaci. La muscolatura, la struttura ossea e il portamento erano perfetti, la tunica blu ben tagliata, pulita e in ottimo stato.
Feric Jaggar dimostrava di appartenere sotto tutti gli aspetti al genotipo dell’uomo puro. Questo lo aiutava a sopportare una vicinanza tanto prolungata con la feccia di Borgravia; gli umanoidi non potevano non riconoscere la sua purezza genetica. La vista di Feric rimetteva al loro posto mutanti e meticci, che per lo più ci rimanevano.
[…] Assorto nelle riflessioni sulle proprie mete materiali e spirituali, Feric riuscì quasi a ignorare il sordido spettacolo che assaliva occhi, orecchie e narici mentre percorreva a lunghe falcate lo squallido viale terroso che portava al fiume.
[…] mentre si faceva largo a gomitate tra la folla puzzolente, Feric individuò tre tested’uovo dai crani nudi e fiammeggianti al sole, e si scontrò con un pappagalloide. Quest’ultimo si girò di scatto indignatissimo, ticchettandogli contro il beccaccio osseo per un attimo, prima di rendersi conto di chi era. Allora, naturalmente, abbassò gli occhi lacrimosi, smise all’istante di far crocchiare gli osceni denti da ibrido, anzi mormorò con la dovuta umiltà: «Mi perdoni Verouomo». Feric, da parte sua, fece finta di non vederlo e tirò diritto per la sua strada senza guardarsi intorno.

Hitler Super Sayan

Hitler elogia la purezza genetica del suo alter-ego Feric durante una delle sue più celebri trasformazioni.

2.
Feric stood erect on the floor of the command car cabin bracing himself against the back of Best’s seat with his left hand; with his right, he pointed the shining steel fist that was the headpiece of the Great Truncheon at the heavens. “Hail Heldon!” he shouted, his mighty voice piercing the din. “Death to the Dominators and their Universalist slaves!” He brought the Steel Commander down in a great arc, and with an earthshaking roar of “Hail Jaggar,” the forces of the Swastika swept forward.
The line of motorcycles smashed into the leading edge of the horde in the park to the accompaniment of massed fire from squads of SS gunners. With great screams of fear and dismay, hundreds of the wild-eyed scum went down choking on their own blood while cold steel split skulls and wheels crushed the limbs of the fallen. Through the interstices in the forward line of motorcycles the Knights then charged, swinging their truncheons and swirling their chains, cracking limbs and smashing heads, consolidating the opening that the motorized SS had given them. Feric’s driver took the command car straight into the forefront of the battle. As Best and Render cut broad swathes through the panicked rabble with their submachine guns, Feric swung the Steel Commander in great arcs of destruction, smashing dozens of heads, crushing scores of limbs, cutting the torsos of the enemy in twain, wreaking incredible havoc with every blow. What a dashing sight this was to viewers all over Heldon, and what an inspiration to his men!

Feric era in piedi, dritto sul tettuccio della sua automobile, e mentre con la mano sinistra si teneva attaccato al sedile di Best, con la destra puntava verso il cielo il pugno d’acciaio scintillante che ornava il puntale della Gran Mazza. «Heil Heldon!» gridò con la voce possente che sovrastò il fragore. «Morte ai Dominatori e ai loro servi Universalisti!» Con un ampio movimento ad arco, riabbassò il Comandante d’Acciaio, e con un ruggito squassante di: «Heil Jaggar!» le forze della Svastica partirono all’attacco.
La prima linea di motociclisti si gettò contro l’avanguardia nemica sotto il fuoco di protezione di parecchi tiratori SS. Con grandi urla di terrore e sgomento, centinaia di miserabili dagli occhi allucinati caddero a terra nel loro stesso sangue mentre l’acciaio gelido disintegrava i crani e le ruote maciullavano le ossa di chi era al suolo. Lanciandosi negli spazi aperti dall’avanguardia di motociclisti, caricarono allora i Cavalieri, saettando i manganelli e facendo sibilare le catene, spezzando ossa e fracassando teste, e allargarono l’apertura che già le SS avevano creato per loro. L’autista di Feric portò la macchina proprio sul fronte principale degli scontri. Mentre Best e Remler decimavano la plebaglia stravolta a mitragliate, Feric descriveva con il Comandante d’Acciaio grandi archi di morte, maciullando dozzine di crani, spezzando decine di ossa, squarciando letteralmente a metà i nemici, per i quali ogni colpo rappresentava un’incredibile rovina. Che spettacolo eccitante per gli spettatori di Heldon, e che esempio per gli helder!

3.
As anyone with even a cursory layman’s knowledge of human psychology will realize, Lord of the Swastika is filled with the most blatant phallic symbolisms and allusions. A description of Feric Jaggar’s magic weapon, the so-called Great Truncheon of Held: “The shaft was a gleaming rod of … metal full four feet long and thick around as a man’s forearm … the oversize headball was a life-sized steel fist, and a hero’s fist at that.” If this is not a description of a fantasy penis, what is? Further, everything about the Great Truncheon points to a phallic identification between Hitler’s hero, Feric Jaggar, and his weapon. Not only is the truncheon fashioned in the shape of an enormous penis, but it is the source and symbol of Jaggar’s power. […] it is the phallus of maximum size, potency, and status, the sceptre of rule in more ways than one. When he forces Stag Stopa to kiss the head of his weapon as a gesture of fealty, the phallic symbolism of the’ Great Truncheon reaches a grotesque apex.

Come chiunque dotato di una conoscenza anche estremamente superficiale e profana di psicologia comprenderà, II Signore della Svastica trabocca di simbolismi e allusioni falliche incredibilmente trasparenti. Ecco una descrizione dell’arma magica di Feric Jaggar, la cosiddetta Gran Mazza di Held: «Lo stelo era una lastra scintillante di… metallo lungo almeno un metro e venti e spesso come il braccio di un uomo… la testa di dimensioni straordinarie era un pugno a grandezza naturale, il pugno di un eroe sicuramente». Cos’altro può essere se non la descrizione di un pene fantastico? Inoltre, ogni allusione alla Gran Mazza sottolinea un’identificazione tra l’eroe di Hitler, Feric Jaggar, e la sua arma. Non solo il manganello è modellato a forma di un enorme pene, ma è la fonte e il simbolo della potenza di Jaggar. […] è poi il fallo dotato di maggiori dimensioni, potenza e status, lo scettro del potere in molti sensi. Quando il protagonista obbliga Stag Stopa a baciare la punta della sua arma come dimostrazione di fedeltà, il simbolismo della Gran Mazza raggiunge un apice grottesco.

Tabella riassuntiva

Un romanzo che potrebbe essere stato scritto da Hitler! E’ scritto male apposta.
Talmente trash da essere delizioso, ma con un fondo di intelligenza. La formula del romanzo è ripetitiva e dopo un po’ viene a noia.
E’ bello avere a che fare, per una volta, con un protagonista così meganazi. E’ un libro che si legge con distacco.

(1) E’ interessante notare che comunque, pur essendo Feric truzzissimo e improbabile, è sempre meglio dei protagonisti del fantasy moderno. Feric vince sempre, ma effettivamente è meglio degli altri in tutto, e il rispetto dei suoi discepoli è perfettamente giustificato nel contesto del romanzo; Bella di Twilight (ed è solo un esempio) non sa fare niente, ma è un’eroina lo stesso.Torna su
(2) Questa mi è parsa una cattiva idea. L’esperimento di Spinrad sarebbe stato più interessante se Hitler avesse cercato vie alternative – più “fantastiche”, in accordo con la natura del genere – per far arrivare al potere il suo personaggio. Feric dovrebbe sembrare più una versione idealizzata di Hitler, che l’alter-ego dell’Hitler reale.Torna su
(3) Sulla ripetitività della formula di The Iron Dream si esprime pure Ursula K. LeGuin in questo articolo. Il suo giudizio sul romanzo è globalmente positivo, il suo giudizio sullo stile è “fai schifo”. In particolare:

Why should one read a book that isn’t interesting?
A short story, yes. Even a book of a hundred or a hundred and twenty pages. At that length, the idea would carry one through; the essential interest of the distancing effect, the strength of the irony, would have held up. And all that is said in 255 pages could have been said. Nobody would ask Spinrad to sacrifice such scenes as the winning of the Great Truncheon by the hero Feric and the subsequent kissing of the Great Truncheon by the Black Avengers, or the terrific final scene. These are magnificent. They are horribly funny. They are totally successful tours de force. But the long build-ups to them are not necessary, as they would be in a novel; rather they weaken the whole effect. Only the high points matter; only they support the ironic tension.

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I Consigli del Lunedì #02: The Sirens of Titan

The Sirens of Titan / Le Sirene di TitanoAutore: Kurt Vonnegut
Titolo italiano: Le Sirene di Titano
Genere: Science Fiction / Literary Fiction / Social SF
Tipo: Romanzo

Anno: 1959
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 320 ca.

Difficoltà in inglese: **

Winston Niles Rumfoord è un nobile d’antico stampo. Ed è anche piuttosto ricco, dato che si è costruito una navicella spaziale privata ed è partito per lo spazio con il suo cane Kazak. Ma qualcosa è andato storto: sulla rotta per Marte, la navicella si è infilata in un infundibolo cronosinclastico, quel luogo dove lo spazio e il tempo perdono di significato e tutte le verità possibili sono contemporaneamente vere.
Ora Rumfoord e il suo cane Kazak esistono contemporaneamente lungo tutta una spirale che va dal Sole a Betelgeuse, intrappolati in eterno. Poiché inoltre tutti i momenti della sua esistenza ora esistono contemporaneamente, Rumfoord ha acquisito la capacità di vedere il futuro. Due volte all’anno, quando la Terra entra nel raggio della spirale, Rumfoord e Kazak compaiono nella sontuosa villa di famiglia. La gente vorrebbe vederli, gli scienziati studiarli, i giornalisti intervistarli, ma Beatrice Rumfoord, la gelida e nevrotica moglie di Winston, non ammette mai nessuno. Per lei la situazione di suo marito è solo una vergogna che vorrebbe dimenticare.
Per un solo ospite si fa eccezione: Malachi Constant, giovane debosciato e arrogante, con l’insolita caratteristica di essere l’uomo più ricco del mondo. E di non aver mai fatto assolutamente nulla nella vita per diventarlo. Perché Rumfoord ha un piano per Malachi Constant. E ha un piano per Beatrice. A ben pensarci, ha un piano per l’intera umanità. E i poteri per realizzarlo…

Chi conosce già Vonnegut sa che solo con difficoltà lo si può catalogare come un autore di fantascienza. Diversi suoi romanzi sono in realtà mainstream con qualche elemento strano; e anche negli altri, l’elemento fantastico è sempre subordinato alla voglia di parlare (in modo più o meno dissacrante, e più o meno bizzarro) della realtà, della nostra società, della stupidità umana. Eh già, non siamo molto lontani dallo “specchio distorcente” che Gamberetta giustamente odia… Inoltre il suo modo di scrivere lo avvicina più alla literary fiction che alla narrativa di genere.
The Sirens of Titan è una parziale eccezione. Ed è sicuramente il più fantascientifico e il più bizzarro tra i romanzi di Vonnegut. “La sua destinazione è Titano” dice Rumfoord a Malachi Constant, “ma prima di arrivare là visiterà Marte, Mercurio e anche la Terra”. Assisteremo agli involontari viaggi di Constant attraverso lo spazio e ai suoi tentativi di sottrarsi a un futuro che sembra già scritto negli infundiboli cronosinclastici.

Titan, Titano

Titano, il più grande satellite di Saturno. Non proprio il luogo più adatto a una villeggiatura.

Uno sguardo approfondito
Lo stile di Vonnegut viola i più basilari principi della narrativa del genere; ma lo fa apposta.
La storia è vista dal punto di vista di un narratore onnisciente, che il più delle volte se ne sta appollaiato sulle spalle o nella testa di Malachi Constant, il protagonista, ma che non si fa problemi, durante una pausa nella narrazione, a lanciarsi in commenti, digressioni, a riportare stralci di giornali o libri inventati.
Qualche esempio. All’inizio del libro, Malachi Constant sta entrando nella villa Rumfoord. Gli viene da pensare a Rumfoord e al fatto che è entrato nell’infundibolo. Tac, digressione: Vonnegut interrompe la storia per riportarci la (spassosa) voce “infundibolo cronosinclastico” di un’Enciclopedia per Bambini. Più tardi, Constant incontra Rumfoord: tac, nuova digressione, in cui Vonnegut parla dell’ “autentica aristocrazia americana” e delle differenze di “stile” tra un Rumfoord e un Constant. Ancora dopo, un’altra digressione sul rapporto tra l’esplorazione spaziale e la Chiesa. Un paio di capitoli dopo, un’altra lunga digressione racconta di come il padre di Constant, umile commesso viaggiatore, riuscì a diventare l’uomo più ricco del mondo speculando in borsa col solo aiuto del libro della Genesi. E così via.
Le digressioni e i commenti del narratore si collocano tra umorismo e satira. Sarebbero insopportabili, se non fosse per il fatto che molte sono divertenti, e alcune (in particolare la prima e l’ultima che ho citato) semplicemente geniali. Inoltre diverse di queste digressioni, apparentemente gratuite e inutili, in realtà trovano modo di collegarsi ad altri elementi presentati successivamente nella storia, venendo così a formare un unico coerente arazzo. Alcune ahimé sono proprio inutili.

The Sirens of Titan è un banco di prova eccellente per mettere alla prova le teorie sulla catarsi. Quanto più la presenza del narratore si fa insistente, tanto meno ci sentiamo coinvolti in prima persona dalla narrazione. Il nostro sguardo si fa più critico, più freddo; perché un velo è stato calato tra noi e Constant.
Simili distacchi però sono traumatici. Allora, una digressione ci sarà gradita quanto più saprà sopperire al “trauma” solleticandoci, divertendoci con il tono, stupendoci con idee e accostamenti bizzarri (come il prete che nella digressione sulla Crociata dell’Amore dice: “Sapete qual’è l’elenco dei controlli sulla verde, rotonda astronave di Dio? Volete sentire il countdown di Dio?“). Se un intervento dell’autore fallisce in questo, ci risulterà invece tanto più odioso e gratuito (a Dimitri fischieranno le orecchie?). Alcuni momenti del romanzo di Vonnegut danno proprio questa impressione sgradevole.
Ma è importante ricordare una cosa: in ogni caso, ci siamo distanziati dalla storia, l’immedesimazione è rotta, sentiamo di avere in mano un libro e che stiamo leggendo finzione. Un lettore che non accetti questo in partenza dovrebbe tenersi alla larga da Vonnegut.

Vonnegut comunque non è un incapace. Quando la storia raggiunge un momento cruciale, il narratore è in grado di farsi da parte e allora siamo proiettati vicinissimi al protagonista. Ai personaggi principali succederanno cose molto crudeli; e Vonnegut è in grado di farci sentire empatia per loro, di farci immedesimare in loro.
Da questo punto di vista, The Sirens of Titan è come una partita a ping-pong: un colpo, e la telecamera si allontana e siamo distanti e ci divertiamo o ci annoiamo di fronte all’estro di Vonnegut; un altro colpo, e la telecamera si avvicina e ci mordiamo le labbra e spalanchiamo gli occhi osservando quello che succede ai nostri eroi. Forse sta in questo il succo del “grottesco”, dell'”agrodolce”: di una stessa cosa, sentirne ora il lato comico, ora il lato tragico. Il romanzo di Vonnegut è estremamente agrodolce1.

Swwt and sour

Lo stile di Vonnegut.

Il che non significa nemmeno che Vonnegut sia un maestro della tecnica – anzi. Se alcune delle sue scelte sono volute, altre sono chiaramente degli errori che non attribuirei ad altro che a carenza di tecnica. Il pov è capace di saltare per alcune righe da un personaggio all’altro senza che ce ne sia bisogno; le frasi sono piene di aggettivi inutili, avverbi inutili, infodump inutili, e anche inutili sottolineature dell’ovvio. I suoi incipit sono celebri per stare tra il mediocre e lo schifo: ne ho letti cinque e ho dovuto riconfermare cinque volte l’impressione. Lo stile di Vonnegut è sovraccarico, e ricoperto da una patina di trascuratezza e di ignoranza stilistica.
Compensano l’estro creativo e la capacità di creare personaggi vivi e dalla psicologia affascinante. Il libro di Vonnegut è infatti completo di una vasta galleria di roba strana: uno scalcinato esercito marziano che progetta la conquista della Terra; creaturine ameboidi amanti della musica che vivono nel sottosuolo di Mercurio; una navicella venuta dal lontanissimo pianeta Tralfamadore con un guasto al motore; la Chiesa di Dio Assolutamente Indifferente; e via dicendo. Non siamo nel territorio delle bizzarrie estreme da Bizarro Fiction, ma comunque non c’è male.
Rumfoord è un personaggio titanico come il Lord Asriel di Pullman, il Palmer Eldritch di Dick, O’Brien di 1984. E tutto questo è trampolino di lancio per parlare della stupidità umana, della crudele indifferenza dell’universo, di religione, di predeterminazione. Risparmiandoci le solite banalità sull’argomento.

Bill O'Reilly

Se cercate opinioni sulla religione più elaborate di quella di Vonnegut, potete sempre chiedere a Bill O’Reilly.

Su Kurt Vonnegut
Di Vonnegut ho letto fino ad ora altri quattro romanzi, nessuno dei quali può essere considerata vera e propria sf.

Vonnegut Player Piano Player Piano (Piano meccanico) è il suo romanzo d’esordio ed è un libro mediocre, anche se alcune idee sono proprio carine. Parla di una società in cui le macchine sono diventate così brave a fare tutto, che gli uomini non servono più a nulla e ne sono frustrati.

Vonnegut Mother NightMother Night (Madre notte) non ha alcun elemento fantastico, ma è comunque una storia interessante. E’ la finta autobiografia di una ex-spia americana che ai tempi della WWII si finse nazista e divenne la voce radiofonica del Partito per trasmettere messaggi in codice agli Alleati.

Vonnegut Cat's Cradle Cat’s Cradle (Ghiaccio-nove) è uno strano esperimento. Racconta le storie intrecciate di uno scienziato che ha inventato un’arma ancora più terribile della bomba atomica, e dei suoi figli disfunzionali, che l’hanno ereditata; e la storia di un improbabile staterello indipendente e dittatoriale nei Caraibi diventata culla di una nuova, stranissima religione. Non è male, ma non sempre la storia scorre come dovrebbe.

Vonnegut Slaughterhouse-Five Slaughterhouse-Five (Mattatoio N.5) è piuttosto famoso e non ne parlerò qui. Il primo capitolo è terribile, ma per il resto è un titolo molto valido. Gli amanti della narrativa di genere potrebbero sentirsi a disagio. Vonnegut scrive cose a metà tra la satira e il romanzo filosofico, e quello gli interessa.

Dove si trova?
In Italia Vonnegut è edito da Feltrinelli. Alcuni suoi libri – Madre notte, Ghiaccio-nove, Mattatoio N.5 – si trovano in edizione economica, ma purtroppo Le Sirene di Titano non è tra questi. L’ultima volta che l’ho visto mi pare costasse 15 Euro. Comunque la stessa edizione si trova anche su Emule. Su library.nu si trova un e-pub in lingua originale che è fatto piuttosto bene.

Chi devo ringraziare?
Conoscevo Vonnegut di fama, ma se ho cominciato a leggerlo è per il merito di un mio compagno di università che ne andava pazzo. Tipo strano: adorava i libri sulle cospirazioni e sulle logge massoniche – specialmente se comprendevano i Templari -, leggeva con lo stesso gusto Dan Brown, i Wu Ming e Il pendolo di Foucault di Eco (probabilmente solleticato dall’idea che Shakespeare possa essere Bacone che è anche Cervantes che è anche il conte di Cagliostro che è anche Giacomo Casanova che è anche il conte di Saint-Germain che è anche Bismarck ed è ovviamente immortale. O qualcosa del genere). Aveva un debole per i carteggi segreti tra grandi personaggi della Seconda Guerra Mondiale e per l’operazione Gladio. I suoi film preferiti erano La classe operaia va in paradiso e un truzzissimo film di propaganda sovietica degli anni ’50 – La caduta di Berlino o qualcosa del genere – dove babbo Stalin premia il protagonista perché è stato il miglior lavoratore della sua fabbrica e già che c’era ha salvato l’URSS dai nazisti.
Sì, c’era un che di inquietante nei suoi gusti, ciononostante su Vonnegut mi ha convinto e aveva ragione. Chissà che non abbia ragione anche su qualcos’altro… <.<” ”>.>

La classe operaia va in paradiso

Neorealismo socialista. Vonnegut approverebbe.

Qualche estratto
Il primo estratto è la voce dell’Enciclopedia per Bambini di Meraviglie e Cose da Fare sull’infundibolo cronosinclastico, e dà un’idea delle strane digressioni un po’ literary di Vonnegut. Il secondo è più tradizionale, mostra l’incontro tra Malachi Constant e Rumfoord in un momento, uhm, delicato.

1.
CHRONO-SYNCLASTIC INFUNDIBULA — Just imagine that your Daddy is the smartest man who ever lived on Earth, and he knows everything there is to find out, and he is exactly right about everything, and he can prove he is right about everything.
Now imagine another little child on some nice world a million light years away, and that little child’s Daddy is the smartest man who ever lived on that nice world so far away. And he is just as smart and just as right as your Daddy is. Both Daddies are smart, and both Daddies are right. Only if they ever met each other they would get into a terrible argument, because they wouldn’t agree on anything. Now, you can say that your Daddy is right and the other little child’s Daddy is wrong, but the Universe is an awfully big place. There is room enough for an awful lot of people to be right about things and still not agree. The reason both Daddies can be right and still get into terrible fights is because there are so many different ways of being right.
There are places in the Universe, though, where each Daddy could finally catch on to what the other Daddy was talking about. These places are where all the different kinds of truths fit together as nicely as the parts in your Daddy’s solar watch. We call these places chrono-synclastic infundibula.
The Solar System seems to be full of chrono-synclastic infundibula. There is one great big one we are sure of that likes to stay between Earth and Mars. We know about that one because an Earth man and his Earth dog ran right into it. You might think it would be nice to go to a chrono-synclastic infundibulum and see all the different ways to be absolutely right, but it is a very dangerous thing to do. The poor man and his poor dog are scattered far and wide, not just through space, but through time, too.
Chrono (kroh-no) means time. Synclastic (sin-class-tick) means curved toward the same side in all directions, like the skin of an orange. Infundibulum (in-fun-dib-u-lum) is what the ancient Romans like Julius Caesar and Nero called a funnel. If you don’t know what a funnel is, get Mommy to show you one.

INFUNDIBOLI CRONOSINCLASTICI — Immagina che il tuo Papà sia l’uomo piú in gamba mai vissuto sulla Terra e che sappia tutto quello che si può sapere e che abbia esattamente ragione in tutto, e possa dimostrare di avere ragione in tutto.
Adesso immagina un altro bambino su qualche simpatico mondo lontano un milione di anni-luce, e che il Papà di quel bambino sia l’uomo piú in gamba che sia mai vissuto su quel simpatico mondo così lontano. Ed è in gamba, ed ha ragione come il tuo Papà. Tutti e due i Papà sono in gamba, e tutti e due hanno ragione. Solo, se si incontrassero, comincerebbero una terribile discussione, perché non si troverebbero d’accordo su niente. Ora, tu puoi dire che il tuo Papà ha ragione e il Papà dell ‘altro bambino ha torto, ma l’Universo è un posto spaventosamente grande. C’è abbastanza posto perché tanta gente abbia ragione su certe cose eppure non si trovi d’accordo. La ragione per cui tutti e due i Papà possono avere ragione e nello stesso tempo possono avere una terribile discussione è che vi sono molti modi diversi di avere ragione.
Ma vi sono posti nell’Universo in cui tutti e due i Papà potrebbero finalmente capire di che cosa stava parlando l’altro Papà. Questi posti si trovano dove tutte le diverse specie di verità collimano perfettamente come i pezzi dell’orologio solare del tuo Papà. Noi chiamiamo questi posti infundiboli cronosinclastici. Sembra che il Sistema Solare sia pieno di infundiboli cronosinclastici. Ce n’è uno, di cui siamo certi, che sembra stia tra la Terra e Marte. Ne conosciamo l’esistenza perché un uomo terrestre e il suo cane terrestre vi sono finiti dentro.
Forse penserai che sarebbe bello andare in un infundibolo cronosinclastico e vedere tutti i modi diversi di avere assolutamente ragione, ma è una cosa molto pericolosa da farsi. Quel pover’uomo e il suo povero cane sono ora sparsi qua e là, non solo attraverso lo spazio ma anche attraverso il tempo.
Crono significa tempo. Sinclastico significa incurvato nello stesso modo verso tutte le direzioni, come la buccia di un’ arancia. Infundibolo (infundibulum) è il nome con cui gli antichi romani come Giulio Cesare e Nerone chiamavano un imbuto. Se non sai che cosa è un imbuto, di’ alla Mamma di mostrartene uno.

Infundibolo cronosinclastico

Un infundibolo cronosinclastico?

2.
“You — you really can see into the future?” said Constant. The skin of his face tightened, felt parched. His palms perspired.
“In a punctual way of speaking — yes,” said Rumfoord. “When I ran my space ship into the chrono-synclastic infundibulum, it came to me in a flash that everything that ever has been always will be, and everything that ever will be always has been.”
He chuckled again. “Knowing that rather takes the glamour out of fortunetelling — makes it the simplest, most obvious thing imaginable.”
“You told your wife everything that was going to happen to her?” said Constant. This was a glancing question. Constant had no interest in what was going to happen to Rumfoord’s wife. He was ravenous for news of himself. In asking about Rumfoord’s wife, he was being coy.
“Well — not everything,” said Rumfoord. “She wouldn’t let me tell her everything. What little I did tell her quite spoiled her appetite for more.”
“I — I see,” said Constant, not seeing at all.
“Yes,” said Rumfoord genially, “I told her that you and she were to be married on Mars.” He shrugged. “Not married exactly — ” he said, “but bred by the Martians — like farm animals”.

— Può… può veramente vedere nel futuro? — domandò Constant. Si sentì la pelle del viso tirarsi, incartapecorirsi. Le palme gli sudavano.
— In un modo puntuale di parlare… sì — rispose Rumfoord. — Quando lanciai la mia astronave nell’infundibolo cronosinclastico, seppi in un lampo che tutto ciò che è stato sarà sempre, e tutto ciò che sarà è sempre stato. — Ridacchiò di nuovo. — Sapere questo toglie fascino alla predizione… ne fa la cosa piú semplice e piú ovvia che si possa immaginare.
— Lei ha detto a sua moglie tutto ciò che stava per accaderle? — chiese ancora Constant. Era una domanda allusiva. A Constant non interessava ciò che sarebbe accaduto alla moglie di Rumfoord. Era affamato di notizie che riguardassero lui stesso. Si sentì intimidito, quando chiese della moglie di Rumfoord.
— Ecco… non tutto — rispose Rumfoord. — Mia moglie non mi ha lasciato finire. Quel po’ che le ho detto le ha fatto passare la voglia di sentire il resto.
— Ca… capisco — disse Constant, che non capiva affatto.
— Sì — disse Rumford allegramente. — Le ho detto che voi due vi sareste sposati, su Marte. — E scrollò le spalle. — Non proprio sposati… — continuò, — ma fatti accoppiare dai marziani… come animali in una fattoria.

Tabella riassuntiva

Idea fikissima  sviluppata benissimo. Stile da literary fiction che fa un po’ a pugni col concetto classico di ‘narrativa di genere’.
 Alcune digressioni sono divertenti e geniali. Alcune digressioni sono inutili e fastidiose.
Pieno di stranezze e sense of wonder, ma senza andare fuori controllo. Sul lato tecnico Vonnegut è piuttosto debole.
Rumfoord è delizioso e terribile.

(1) La questione dello stile di Vonnegut e delle contaminazioni stilistiche tra narrativa di genere e literary fiction è stata anche oggetto di una fikissima discussione tra me e il Duca, che potete leggere qui. I commenti utili vanno dal #16 al #23; anche quelli dopo sono interessanti, perché il Duca continua a dare consigli di bei romanzi.
Riprendere le fila di quella discussione è anche uno dei tanti motivi per cui ho deciso di dedicare uno dei primi Consigli a Le sirene di Titano.Torna su