Archivi del mese: Maggio 2014

Sai che c’è di nuovo? (II)

Rientrato in patria, non ho ancora avuto molto tempo per mettermi seduto al computer. Ma in attesa che il blog ritorni al suo ritmo di articoli usuale, ecco una nuova carrellata di opere interessanti – uscite da poco o in uscita – in cui mi sono imbattuto nelle ultime settimane.

Southern Reach Trilogy
Annihilation VanderMeer La annunciava da tempo. Dopo cinque anni di silenzio narrativo (fatta eccezione per la collezione di racconti The Third Bear, pubblicata nel 2010), Jeff VanderMeer, decano del New Weird, esce quest’anno con una trilogia di romanzi intitolata Southern Reach Trilogy.
L’opera si presenta come un fantasy o fantascienza di esplorazione di terre bizzarre: un’equipe di scienziati dovrà penetrare nell’Area X, un territorio abbandonato e reclamato dalla natura in cui si verificano fenomeni inspiegabili, e scoprirne i suoi segreti. Ma tutte le spedizioni precedenti sono andate a finire male. Non mi è chiaro se l’ambientazione della trilogia appartenga allo stesso mondo del ciclo di Ambergris – quel che emerge dalla sinossi, è che VanderMeer sembrerebbe aver abbandonato le pretenziosità literary dei suoi primi romanzi per scrivere qualcosa più plot-oriented. Non posso che esserne felice.

Altro aspetto degno di nota è il modo in cui VanderMeer e la sua casa editrice (la FSG Originals) stanno gestendo le uscite. Il primo libro, Annihilation, è uscito a inizio Aprile; il secondo, Authority, a inizio Maggio, e il terzo, Acceptance, uscirà a Settembre. Insomma, nel giro di pochi mesi i fan di VanderMeer potranno leggere l’intera opera. Altro che i cicli senza fine alla Robert Jordan o alla Martin, costruiti sul feedback dei lettori e progettati per finire il più tardi possibile: questa è ciò che chiamo professionalità.
L’unico neo è il prezzo dell’edizione digitale, assurdamente alto – 9,55 Euro al momento in cui scrivo – e praticamente identico a quello del cartaceo. Un prezzo che sembra quasi gridare al cielo: “Piratatemi! Piratatemi!”. Ma cattive politiche editoriali a parte, la trilogia sembra molto interessante e penso che le darò una chance nelle settimane e mesi a venire. Mi piacerebbe poterci scrivere due righe a fine anno, quando sarà finita.

Monday Begins on Saturday
Monday Begins on SaturdayE dato che parliamo di esplorazioni di luoghi contaminati in cui accadono fenomeni paranormali, ricorderete il bellissimo romanzo Roadside Picnic dei fratelli Strugatsky, a cui avevo dedicato un Consiglio quasi un annetto fa. In quell’occasione avevo anche lamentato la scarsità di opere degli Strugatsky in circolazione in traduzione inglese (fatta eccezione per un po’ di loro opere reperibili su Library Genesis).
Ebbene, la Gollancz ha deciso di ripubblicare nella collana degli SF Masterworks il romanzo Monday Begins on Saturday. Il libro – che uscirà ad Agosto – è una satira in salsa fantascienfica degli ambienti accademici e di ricerca dell’Unione Sovietica. Insomma, se Roadside Picnic è un romanzo dal sapore internazionale, che – in teoria – avrebbe anche potuto essere scritto da un occidentale, questo Monday Begins on Saturday sembra decisamente radicato nell’URSS degli anni ’60. Ragione in più perché non me lo lasci sfuggire! E se dovesse piacermi vedrò di scaricarmi anche il seguito – Tale of the Troika – di cui Theodore Sturgeon diceva un gran bene. Vi terrò aggiornati.

The Tick People
The Tick PeopleParlando invece di libri già pubblicati, il mese scorso è uscita l’ultima fatica di Mellick, The Tick People. Perché ne parlo, dato che quel pazzo maniaco pubblica quattro nuove opere all’anno? Be’, è un caso particolare perché sul suo blog Mellick dichiara di essere ritornato allo sperimentalismo dei suoi primi libri:

Unlike my last few books, this is a short quick read and somewhat similar in tone to my early bizarro novellas like Teeth and Tongue Landscape, Steel Breakfast Era or Ugly Heaven.

Non significa che sia un bene. Nonostante le immagini vivide e le idee folli, i libri mellickiani del primo periodo assomigliano più ad accozzaglie di scene strane che a delle storie con un inizio, un centro e una fine; preferisco di gran lunga le opere più recenti come The Egg Man, Zombies and Shit o Quicksand House. Ma se – dopo anni passati a scrivere trame ben strutturate – Mellick fosse riuscito a trovare un equilibrio tra storie comprensibili e l’immaginario allucinato del primo periodo, il risultato potrebbe essere eccezionale. Quindi terrò d’occhio questo The Tick People, nella speranza che ne sia uscito qualcosa di buono.

Parlando di Mellick, piano piano mi sto aggiornando sulle cose che ha scritto negli ultimi anni. Ci sono molti titoli validi, alcuni dei quali potrebbero fare la gioia anche dei non amanti di Bizarro Fiction. Non mi spiacerebbe, in futuro, buttare giù un articolo di sintesi sulle sue opere più interessanti – data la quantità di cose che ha scritto e la qualità altalenante.
Ho anche per la testa un progetto di post riassuntivo di alcune delle sue opere sperimentali del primo periodo – tutta roba abbastanza ‘particolare’. Vedremo.

La Maschera di Bali
La Maschera di BaliE nel frattempo, è uscito su Vaporteppa il secondo dei racconti nati durante il concorso steampunk di Baionette Librarie. La Maschera di Bali, di Francesco Durigon, era un altro dei finalisti del concorso – altri due dovrebbero uscire nei mesi a venire.
All’epoca La Maschera di Bali non mi aveva detto molto – ma una terapia intensiva a base di Duca non potrà che avergli fatto del bene. Non l’ho ancora letto, ma intanto l’ho scaricato da Ultima Books e riposa nel mio reader. Vi farò sapere; ma intanto, dato che è gratis, vi consiglio di buttarci un occhio.

Che dire? L’annata promette bene. Devo trovare solo la forza per leggerla, tutta questa roba!

Una settimana di esilio

Spiderman memeNegli ultimi giorni, come avrete notato, la mia presenza sul blog è stata minimale. Solo nel weekend sono riuscito a rispondere ai commenti arrivatimi durante la settimana, e il povero Mikecas, preso di mira dal filtro anti-spam per troppa solerzia nel fornire link, ha visto i suoi interventi sistematicamente bloccati per tre giorni. Eh sì, lo ammetto: ero troppo impegnato a fare gli occhi a palla di fronte alla dichiarazione del governo cinese di essere intenzionato a costruire una linea ferroviaria che colleghi la Cina agli Stati Uniti passando per lo stretto di Bering (con un tunnel subacqueo) e toccando Siberia, Alaska e Canada. OMG. Il Consiglio del Lunedì #41, che era inizialmente previsto per lunedì scorso, è comprensibilmente slittato in avanti, e così tutti gli altri articoli che dovevano attaccarcisi.
Moreover, per tutta la settimana non sarò in Italia; e nel posto in cui vado non è nemmeno detto che riesca ad avere un accesso decente a Internet. Ho riflettuto se fosse il caso di provare a rispettare la scaletta di articoli iniziale, ma sarebbe folle perché non riuscirei a stare dietro ai commenti e tutto il resto. Perciò opto la soluzione pigra: sospendo la pubblicazione di articoli per una settimana. Ci si rivede, se tutto va bene, lunedì prossimo ^_^

In caso voleste sapere dove minchia vado, la risposta è banale: sarò in un luogo segreto in Kamchatka ad addestrare corpi d’élite in vista della rivoluzione imminente.
Have fun in mia assenza.

Mappa della Kamchatka

Cosa ne è stato dell’antologia steampunk

Antologia SteampunkEra il lontano 2010, e su Baionette Librarie il Duca lanciava il suo concorso di racconti a tema Steampunk. Le regole del concorso erano molto semplici:

Lunghezza dei racconti: tra le 2.000 e le 7.500 parole.
Tipo di racconto: Steampunk Tecnologico con o senza Fantasy.
Vincolo Conigliesco: nel racconto deve essere presente almeno un coniglio, non necessariamente in un ruolo importante e non necessariamente un coniglio in carne ed ossa. Trovate voi il modo di integrare l’elemento conigliesco nella storia. Non ci vuole niente, con un minimo di fantasia.

Scrivere steampunk non è affatto facile. Oltre a una passione per la cultura e l’estetica del Lungo XIX secolo, c’è un sacco di lavoro di documentazione da fare. Insomma, poteva risolversi in una mezza cagata, come tanti altri concorsi letterari di allora e di oggi – cough cough, Ucronie Impure, cough cough, Deinos. Invece andò discretamente bene. Arrivarono una trentina di racconti (senza contare i fuori concorso), che il Duca pubblicò gratuitamente così com’erano, senza editing, nella sua Raccolta dei Racconti Steampunk. Si andava dal “cavatemi gli occhi” al “ficcina con qualche speranza di diventare un giorno, con tanto impegno, qualcosa di decente” al racconto fatto bene.
Alla fine furono stabiliti quattro finalisti: L1L0, Piloti e Nobiltà, La Maschera di Bali e Il Colosso di Colorado Springs. Altri due racconti avevano la possibilità di entrare nella rosa, ma furono ritirati perché i rispettivi autori non riuscirono – o non trovarono il tempo – di editarli: Lunasil (dello stesso autore di Piloti e Nobiltà) e Photophantastes (di Alessandro Forlani, un nome che forse avete già sentito in questo blog: Forlani ha partecipato, infatti, a una gran quantità di altri concorsi, tra cui Ucronie Impure di Girola, e Deinos e Hydropunk di Giobblin). Tra i finalisti, comunque, gli unici ad avere davvero qualche possibilità di vittoria, per la qualità della scrittura, erano L1L0 e Piloti e Nobiltà. E alla fine, infatti, la spuntò proprio L1L0.

 

Steampunk useless junk

No Walter, non sei l’unico.

Poi per un paio d’anni non accadde più nulla. Il Duca cominciò a lavorare a un’antologia che raccogliesse i lavori migliori, editandoli ancora fino a raggiungere un livello soddisfacente, e sperando di riuscire a pubblicarla nel corso del 2012. Anch’io, che all’epoca avevo da poco aperto Tapirullanza, feci una piccola segnalazione della cosa. Ma per un motivo o per un altro, non se ne fece niente. Fino alla settimana scorsa.
Lo scorso 4 Maggio, il Duca ha pubblicato su Vaporteppa la nuova versione del racconto vincitore del concorso, L1L0: potete leggere qui l’annuncio su Baionette Librarie o andare direttamente alla scheda di Vaporteppa. Essendo lungo solo 5600 parole (una ventina di pagine circa), il racconto è distribuito gratuitamente. Pubblicare il vincitore del vecchio concorso a tema steampunk mi sembra un ottimo modo di inaugurare gli inediti italiani della collana. Non entrerò più di tanto nei dettagli del racconto nell’articolo di oggi – ma vediamo brevemente di che si tratta.

L1L0
Un bollitore con tre cervelli di scimmia, il muso allungato da coniglio, due camini dietro la testa che sembrano delle orecchie e una personalità costruita sul Witz, l’umorismo fatalista ebraico: questo è l’automa L1L0. Ma è anche una macchina per uccidere. Il suo scopo? Salvare la figlia del suo creatore da una caserma militare prima che sia troppo tardi.
L1L0 è un racconto d’azione di quegli ignoranti: poca filosofia, tante scazzottate tra robot, umorismo becero e ritmo rapido. Tutta la storia è raccontata in prima persona dall’automa, e questo è sicuramente l’aspetto più interessante del racconto: com’è vedere il mondo attraverso gli occhi di un buffo robot senziente meccanico attivato per la prima volta? Non troverete rivoluzioni concettuali o idee che vi tengano svegli la notte, e il canovaccio della trama è di quelli collaudati mille volte; ma è insolito quanto basta e si legge con divertimento. Inoltre, i paragrafi sono inframezzati da alcuni disegni dell’autore proprio carini (e sempre dell’autore è anche l’illustrazione di copertina!). Dateci un’occhiata.

L1L0

La copertina di L1L0

E gli altri racconti?
La pubblicazione di L1L0 è solo la punta dell’iceberg: dal cilindro di Vaporteppa, il Duca sembra stare tirando fuori ad uno ad uno gli altri finalisti del concorso steampunk. Nel corso di maggio dovrebbe uscire la nuova versione di La Maschera di Bali – racconto che non mi era piaciuto granché ai tempi dell’antologia, ma che potrebbe essere migliorato sotto i ferri del Duca. Next in line ci sarà poi Piloti e Nobiltà. La cosa mi fa particolarmente felice: non solo era il mio preferito, ma già come si presentava ai tempi del concorso era forse l’unico racconto che si sarebbe potuto pubblicare in un’antologia seria, di quelle a pagamento, senza sembrare fuori posto. Voglio vedere come questi due anni lo abbiano ulteriormente migliorato.
Un quarto racconto, dice il Duca nell’articolo, potrebbe invece uscire a pagamento: segno, immagino, che supererà il tetto delle 7500 parole minime stabilite da Vaporteppa per le pubblicazioni non gratuite. Non so di quale dei finalisti si tratti. Personalmente spero in Lunasil: lo ricordo come un racconto promettente, e l’autore è lo stesso di Piloti e Nobiltà, quindi ci sono buone speranze che venga qualcosa di figo. Ma sarei felice anche se, prima o poi, fuori dal cilindro rispuntasse RabbiT – un racconto folle scritto come un’inedito d’annunziano, e poi finito come “speciale fuori concorso” nella raccolta. Inizialmente era previsto che il racconto, anch’esso scritto da Forlani, finisse nell’antologia steampunk del 2012. Se Forlani e il Duca sono rimasti in contatto in questo lasso di tempo, potrebbe esserci un futuro per questo racconto. E del resto Forlani ha dimostrato che, quando vuole, sa lavorare bene: il suo Tlaloc verrà era il migliore tra i racconti di Ucronie Impure.

Non è ancora finita.
Alla gara steampunk del 2010 aveva partecipato anche un racconto intitolato Caligo. Era arrivato come fuori concorso, e quindi era rimasto fuori dalla prima raccolta di racconti pubblicata dal Duca: ergo non ho mai potuto leggerlo. Nei tre anni trascorsi da quella prima versione, il racconto è diventato un romanzo, e se tutto andrà bene dovrebbe uscire a giugno. Sarà il primo romanzo italiano pubblicato da Vaporteppa.
Ma la notizia più interessante è un’altra. L’autore è Angra (al secolo Alessandro Scalzo), che già aveva scritto anni addietro e poi autopubblicato, sotto la supervisione editoriale di Gamberetta, il romanzo Marstenheim. Ho già dedicato un articolo a Marstenheim agli albori del blog; a tutt’oggi, rimane il miglior autopubblicato italiano che abbia mai letto, nonché uno dei pochi ad aver ricevuto una valutazione positiva. Quindi sono molto curioso di mettere le mani sulla sua nuova fatica.

Motoruota

Una motoruota. Potrebbe avere a che fare col romanzo.

Dopo un inizio con Swanwick, insomma, Vaporteppa si sta decisamente orientando verso gli inediti italiani. Questa è un’ottima cosa: in fondo i romanzi anglosassoni posso sempre leggermeli in lingua originale, mentre questi sono roba nuova. E se gli aspiranti scrittori italiani vedranno che con Vaporteppa, con un po’ di olio di gomito, si guadagna visibilità e magari anche qualche soldino, forse ci sarà più gente in futuro disposta a sbattersi per imparare a scrivere bene, invece di cantare la morale del “non è bello ciò che è bello, è bello ciò che piace”.
Caligo a parte – trattandosi di un romanzo – non mi dispiacerebbe in futuro, una volta che saranno tutti usciti, mettere insieme i vari racconti a tema steampunk e farci un articolo di commento. Sarebbe un bel modo per chiudere questa parentesi steampunk durata quattro anni.

Bonus Track: The Alchemist / The Executioness

The AlchemistAutore: Paolo Bacigalupi
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 90

Difficoltà in inglese: **

 

The ExecutionessAutore: Tobias S. Buckell
Titolo italiano: –
Genere: Fantasy / Sword & Sorcery
Tipo: Novella

Anno: 2011
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 100

Difficoltà in inglese: **

A chiunque sia scoperto a usare la magia, sarà tagliata la testa sulla pubblica piazza: così ha deciso il Sindaco di Khaim. Ma non è una pena troppo dura, perché in gioco è la sopravvivenza stessa della città. Ogni volta che viene lanciato un incantesimo, da qualche parte nasce un rovo. E i rovi crescono, soffocano le piante, i campi, le case; e pungersi con le loro spine significa cadere in un sonno che può portare alla morte. E per quanto li tagli, sempre ricrescono. Così è caduto il grande impero di Jhandpara, un tempo governato da potentissimi maghi simili a dei: stretto nell’abbraccio mortale dei rovi. Ora i rovi circondano Khaim. Eppure i suoi abitanti, nel cuore della notte o nel segreto delle loro cantine, continuano a lanciare magie per i propri scopi privati: e i rovi continuano a crescere.
Tana è la figlia del boia. Il mestiere di suo padre è la principale fonte di sostentamento della famiglia. Ma ormai suo padre è vecchio, e malato, e non riesce più a sollevare quell’ascia così pesante. Così, quando la chiamata arriva, Tana non può fare altro che indossare quel cappuccio che nasconde il volto, fingersi suo padre e diventare lei stessa boia. Ancora non sa che, quello stesso giorno, tutto a Khaim sta per cambiare – e la vita della sua famiglia sarà sconvolta per sempre.
Jaoz è un alchimista. Un tempo uno dei più facoltosi e ricercati orafi di Khaim, da più di dieci anni si è messo in testa di salvare la sua città e trovare un metodo alchemico per distruggere i rovi una volta per tutte. Ma tutti i suoi tentativi sono falliti. Oppresso dai debiti e dalla malattia della figlioletta Jiala, sa di non avere più molto tempo a disposizione, e metterà tutte le sue energie in un ultimo, disperato tentativo. Quello che non sa, è che anche se riuscisse, la sua scoperta potrebbe essere utilizzata in modi che non immagina…

Ogni volta che viene castato un incantesimo, da qualche parte nel mondo un coniglietto muore sbocciano rovi mortali: questa è la premessa dell’ambientazione condivisa di The Alchemist e The Executioness, due novellas scritte rispettivamente da Paolo Bacigalupi e Tobias Buckell in questo progetto collaborativo orchestrato da Subterranean Press. Entrambe le storie prendono le mosse da due persone normali, due abitanti della città di Khaim – la figlia del boia e l’alchimista – quando la loro vita e quella dei loro cari viene completamente sconvolta. Nonostante qualche richiamo reciproco, i due libri sono del tutto indipendenti, e possono quindi essere letti in qualunque ordine si voglia.
Di solito sono scettico delle collaborazioni, e me ne tengo alla larga. Cosa mi ha fatto cambiare idea questa volta? Primo, la presenza di Bacigalupi, uno scrittore davvero bravo che ho amato per The Windup Girl (mentre non posso dire lo stesso di Buckell, un tizio ignoto che è famoso soprattutto per i suoi libri sul franchise di Halo); secondo, e più importante, questa ambientazione condivisa sembrava offrire una visione della magia diversa dal solito. Se molti autori di fantasy medievaleggiante cercano di limitare lo strapotere della magia circoscrivendone l’uso a pochi individui e poche occasioni, in The Alchemist e The Executioness la logica è quella opposta: proprio perché la magia è diffusa e alla portata di tutti, e quindi tutti ne abusano, la civiltà rischia di essere spazzata via.
Ai fini della mia ricerca sui sistemi magici, di cui vi ho parlato nello scorso articolo, in questa Bonus Track mi concentrerò in primo luogo sul modo in cui è concepita la magia e solo in seconda battuta sulla qualità complessiva dei romanzi.

Magic Bramble Creeper

Le infestazioni di rovi magici possono essere davvero terribili.

Uno sguardo approfondito
Abbiamo visto nello scorso articolo che la magia, pur avendo sempre un ruolo fondamentale per il worldbuilding (nelle storie in cui esiste), può avere diversi gradi di importanza per le storie particolari che andiamo a raccontare – per il destino dei nostri protagonisti e personaggi pov. Nel caso di queste due novellas, non soltanto la magia è il motore della storia – Tana è la figlia del boia incaricato di giustiziare chi viene scoperto a usare la magia, Jaoz ha dedicato alla sua vita a combattere i rovi magici – ma è anche il fulcro di un affascinante moral play. Lanciare magie è sbagliato, certo. Ma se tua figlia sta male? Se quando tossisce sputa sangue? Se fosse in pericolo di vita, e un piccolo incantesimo potesse regalarle mesi di vita, non sareste disposti a farlo, anche se questo dovesse significare che da qualche parte – nel cortile del vostro vicino, nei campi della città o persino in una contrada lontano – spunta qualche nuovo rovo?
E’ ciò che si chiede Jaoz in uno dei primi capitoli di The Alchemist, quando guarda la sua figlioletta peggiorare di giorno in giorno:

I avoided using magic for as long as possible, but Jiala’s cough worsened, digging deeper into her lungs. And it was only a small magic. Just enough spelling to keep her alive. To close the rents in her little lungs, and stop the blood from spackling her lips. Perhaps a sprig of bramble would sprout in some farmer’s field as a result, fertilized by the power released into the air, but really it was such a small magic, and Jiala’s need was too great to ignore.

Ricordate però cosa vi dicevano da piccoli, quando buttavate una cartaccia per terra? “Certo, quella carta non è niente, ma se tutti facessero così…”. E questa è proprio l’impasse che vivono gli abitanti di Khaim. Tutti sanno che non si può fare a meno della magia, ma che al tempo stesso non si può lasciare impunito chi sia scoperto a farlo. Dov’è il punto in cui bisogna sacrificare il bene individuale per quello comune? Chi ha ragione, e chi ha torto?

La magia è integrata in modo elegante nell’ambientazione. Mentre va alla sua prima esecuzione, Tana si imbatte in una sorta di pompieri al contrario: uomini del Sindaco che, vestiti di pelle da capo a piedi – per evitare di entrare in contatto con le letali spine dei rovi – vanno in giro bruciando le radici che ogni giorno spuntano nei giardini o nelle crepe della strada. Ma quando un rovo brucia, delle piccole sacche contenute nella corteccia esplodono, liberando piogge di nuovi semi che finiscono ovunque e presto germoglieranno nuovi rovi. Per questo i bambini di strada, e i poveri che non hanno più niente – e tra questi Jiala, la figlia di Jaoz – possono essere visti passare le giornate a prendere i semi e metterle in appositi sacchetti. Ogni cento semi raccolti, il comune darà loro una moneta di rame.
Ma questo continuo bruciare e raccogliere della povera gente è come il mito di Sisifo: una fatica inutile e frustrante. Perché ogni giorni i rovi rispuntano, più robusti e più ramificati di prima, resi più forti dalle tante piccole magie che, con l’odore speziato che liberano nell’aria, vengono lanciate ogni giorno nel buio delle cantine o in mezzo ai campi nelle notti senza luna. I rovi stessi sono mostrati con efficacia e suscitano angoscia: in un passaggio, Bacigalupi indugia sulle minuscole spine attaccate a ogni singolo ramo, spine vive che si contorcono come vermi, e sono pronte ad attaccartisi alla pelle al minimo contatto e a liberare il loro veleno mortale. Il risultato è uno strana mescolanza di atmosfere alla Jack Vance – con queste città dal sapore mediterraneo e rinascimentale, la magia alla portata di tutti, l’indulgere sulla vita urbana e dei mercanti piuttosto che sul mondo feudale – e di una sottile angoscia sovrannaturale.

Sleeping beauty hipster

Delle due storie, quella che davvero si focalizza sul funzionamento della magia (pur non scendendo mai troppo nel dettaglio) e lo scontro con i rovi è The Alchemist. The Executioness, purtroppo, dopo un inizio molto promettente, centrato sul senso di colpa della protagonista nell’essere costretta a uccidere persone per crimini che hanno compiuto senza avere altra scelta, prende una via completamente diversa – diventando una quest di vendetta abbastanza classica. Con la scusa di avere una protagonista femminile che si trova a maneggiare un’ascia, la novella di Buckell diventa una storia – anche interessante – sul ruolo delle donne nella guerra.
La figlia del boia è una donna forte, abituata nella vita a sporcarsi le mani, a sgozzare maiali e a non piangere mai, ma Buckell riesce a evitare di cadere nei cliché del genere: a differenza della Nihal della Troisi, Tana sa di non poter vincere in un normale scontro fisico con un uomo, e quindi fonderà le sue strategie sugli attacchi a sorpresa, sui bluff, sul costruirsi una reputazione sovrannaturale. Alcune battaglie, e soprattutto gli scontri campali, mi sono suonati un po’ inverosimili, ma non sono abbastanza esperto sull’argomento per giudicare, e in ogni caso questi momenti sono raccontati da Buckell con troppa fretta, e troppo poco mostrato, per poterli visualizzare bene. In ogni caso, pur non essendo priva di punti di interesse, la direzione presa da The Executioness la allontana dal tema centrale, ossia il moral play magico. Il problema dei rovi è presente ma distante, se ne parla molto ma lo si vede poco – in definitiva, mi pare un’occasione sprecata.

Più interessante è The Alchemist. In poche pagine riesce a mostrare con efficacia i rapporti tra i personaggi principali, e come questi siano determinati dalla lotta ai rovi: la disperazione dell’alchimista, costretto a vendere i suoi ultimi lussuosi mobili per finanziare un progetto che sembra sempre più votato al fallimento; il disprezzo di Pila, l’ultima delle sue serve, nel vederlo cadere ogni giorno di più nella povertà; il misto di affetto e rancore della piccola Jiala.
Bacigalupi è anche il migliore dei due nella prosa. Entrambe le storie sono scritte in prima persona col pov del protagonista – il che è un bene, considerate le dimensioni ridotte delle due novellas – ma se per Buckell questo diventa occasione (soprattutto nelle prime pagine) per una sfilza di infodump sull’ambientazione e il background dei suoi personaggi, Bacigalupi riesce a tenerli al minimo, e questi pochi a filtrarli in modo più naturale attraverso la voce del pov. Bacigalupi mostra molto di più, soprattutto nel mostrare il lancio di incantesimi o il funzionamento del suo balanthast alchemico, mentre Buckell si abbandona facilmente al raccontato e ai riassuntini di avvenimenti, specie nell’ultimo (e cruciale) capitolo. Anche nei momenti drammatici, lo stile del Jaoz di The Alchemist è venato di rassegnato umorismo, laddove tutto The Executioness è scritto in modo grave, serio, monocorde.
Purtroppo anche The Alchemist è ben lontano dalla perfezione. Pur essendo più focalizzato sul tema centrale dell’ambientazione, anche la storia di Jaoz prende nel tempo un’altra direzione – cosa succederebbe se la sua invenzione finisse nelle mani sbagliate? – e diventa una parabola sull’avidità umana, sull’ipocrisia e sui sogni (forse) spezzati. Tutta la sua storyline, inoltre, si fonda sul concetto di trovare una via d’uscita rispetto allo “scambio equivalente” tra magia e maledizione dei rovi: un meccanismo che by definition vanificherebbe il conflitto centrale della storia. Perché, Bacigalupi? Perché?

Nihal della Terra del Vento

The Executioness: still better than Nihal.

Questa collaborazione Buckell / Bacigalupi mi lascia dunque due sapori contrastanti in bocca. Da una parte, riescono nell’intento di creare un mondo vasto e credibile, che sembra molto più grande della singola storia raccontata e pare vivere di vita propria oltre le pagine. Dall’altro, in queste due storie non accade niente di memorabile, non ci sono personaggi particolarmente memorabili, un conceptual breakthrough o un’epicità di fondo; entrambe le storie sanno di incompiuto, di potenziale sprecato, di inconcludenza. Quasi come se queste due novellas fossero un teaser da esibire su Kickstarter: “guardate di cosa siamo capaci, se volete il resto finanziate il nostro progetto”. Peccato che i due libri siano stati pubblicati nel 2011, e non si sia più visto niente: il progetto sembra, per il momento, concluso così.
Stando così le cose, non si chiude nessuno dei due libri davvero soddisfatti. Benché costino poco, non mi sento di consigliare nessuna delle due come lettura di puro piacere. Possono, però, essere interessanti come fonte di idee. Il meccanismo della magia e i conflitti morali che genera è affascinante e reso molto bene, e soprattutto si apre a decine e decine di possibilità non sfruttate. In caso siate interessati, ovviamente il mio consiglio è di partire da The Alchemist, ed eventualmente – in caso rimaniate piacevolmente colpiti – provare anche The Executioness. Posso solo sperare che da questo worldbuilding nasca un giorno qualcosa di più corposo.

Dove si trovano?
Entrambe le novellas possono essere scaricate in lingua originale da Library Genesis (qui il link per il download diretto dell’ePub di The Alchemist, qui invece l’ePub di The Executioness): ringrazio Mikecas per questa informazione.
In alternativa, e se volete premiare gli autori, potete comprarli su Amazon – il prezzo è davvero da fame: 1,99 Euro sia per The Alchemist che per The Executioness. Esiste anche un’audio-book che raccoglie entrambe le storie, ma costa un’enormità e non ha veramente senso per noi italiani.

Full Metal Alchemist meme

Alchimia: non funziona proprio così.

Qualche estratto
Ho scelto un brano per ciascuna delle due novellas, in momenti di conflitto all’inizio delle rispettive storie. In The Executioness, vedremo la protagonista Tana, camuffata nella divisa di suo padre, alle prese con la sua prima esecuzione. L’estratto da The Alchemist ci mostrerà invece l’alchimista Jaoz nel momento in cui sarà costretto a fare la cosa che più odia al mondo: lanciare una magia per salvare la vita della figlia.

1.
 I let the axe fall.
It swung toward the vulnerable nape of the man’s neck as if the blade knew what it was doing.
And then the man shifted, ever so slightly.
I twisted the handle to compensate, just a twitch to guide the blade, and the curving edge of the axe buried itself in the man’s back at an angle on the right. It sank into shoulder meat and fetched up against bone with a sickening crunch.
It had all gone wrong.
Blood flew back up the handle, across my hands, and splattered against my leather apron.
The man screamed. He thrashed in the chains, a tortured animal, almost jerking the axe out of my blood-slippery hands.
“Gods, gods, gods,” I said, terrified and sick. I yanked the axe free. Blood gushed down the man’s back and he screamed even louder.
The crowd stared. Anonymous oval faces, hardly blinking.
I raised the axe quickly, and brought it right back down on him. It bit deep into his upper left arm, and I had to push against his body with my foot to lever it free. He screamed like a dying animal, and I was crying as I raised the axe yet again.
“Borzai will surely consider this before he sends you to your hall,” I said, my voice scratchy and loud inside the hood. I took a deep breath and counted to three.
I would not miss again. I would not torture this dying man any more.
I must imagine I am only chopping wood, I thought.
I let the axe fall once again. I let it guide itself, looking at where it needed to be at the end of the stroke.
The blade struck the man’s neck, cleaved right through it, and buried itself in the wooden platform below.
The screaming stopped.
My breath tasted of sick. I was panting, and terrified as the Mayor approached me. He leaned close, and I braced for some form of punishment for doing such a horrible thing.
“Well done!” the Mayor said. “Well done indeed. What a show, what a piece of butchery! The point has well been made!”

2.
Jiala and I sat in the corner of my workshop, amidst the blankets where she now slept near the fire, the only warm room I had left, and I used the scribbled notes from the book of Majister Arun to make magic.
His pen was clear, even if he was long gone to the Executioner’s axe. His ideas on vellum. His hand reaching across time. His past carrying into our future through the wonders of ink. Rosemary and pkana flower and licorice root, and the deep soothing cream of goat’s milk. Powdered together, the yellow pkana flower’s petals all crackling like fire as they touched the milk. Sending up a smoke of dreams.
And then with my ring finger, long missing all three gold rings of marriage, I touched the paste to Jiala’s forehead, between the thick dark hairs of her eyebrows. And then, pulling down her blouse, another at her sternum, at the center of her lungs. The pkana’s yellow mark pulsed on her skin, seeming wont to ignite.
As we worked this little magic, I imagined the great majisters of Jhandpara healing crowds from their arched balconies. It was said that people came for miles to be healed. They used the stuff of magic wildly, then.
“Papa, you mustn’t.” Jiala whispered. Another cough caught her, jerking her forward and reaching deep, squeezing her lungs as the strongman squeezes a pomegranate to watch red blood run between his fingers.
“Of course I must,” I answered. “Now be quiet.”
“They will catch you, though. The smell of it—”
“Shhhh.”
And then I read the ancient words of Majister Arun, sounding out the language that could never be recalled after it was spoken. Consonants burned my tongue as it tapped those words of power. The power of ancients. The dream of Jhandpara.
The sulphur smell of magic filled the room, and now round vowels of healing tumbled from my lips, spinning like pin wheels, finding their targets in the yellow paste of my fingerprints.
The magic burrowed into Jiala, and then it was gone. The pkana flower paste took on a greenish tinge as it was used up, and the room filled completely with the smoke of power unleashed. Astonishing power, all around, and only a little effort and a few words to bind it to us. Magic. The power to do anything. Destroy an empire, even.
I cracked open the shutters, and peered out onto the black cobbled streets. No one was outside, and I fanned the room quickly, clearing the stench of magic.
“Papa. What if they catch you?”
“They won’t.” I smiled. “This is a small magic. Not some great bridge-building project. Not even a spell of fertility. Your lungs hold small wounds. No one will ever know. And I will perfect the balanthast soon. And then no one will ever have to hold back with these small magics ever again. All will be well.”

Tabella riassuntiva

Il sistema magico è semplice ed elegante. Entrambe le storie tendono ad andare fuori tema.
Angoscioso moral play tra bene individuale e bene comune. Infodump e raccontato a pioggia, specie in The Executioness.
Ambientazione vasta, viva e coerente. Il progetto lascia un senso di incompiutezza.
Spunti interessanti ma niente di memorabile.

Il prezzo della magia

Spongebob magicIo ho un problema col fantasy. Il mio problema è la magia.
Messa nelle mani di uno scrittore inesperto, la magia è come una pistola carica data a un bambino: poco poco finisce che si spara nei piedi. Benché sia l’elemento caratterizzante del genere, ciò che lo distingue dai generi limitrofi del fantastico, ha una natura così indefinita che diventa molto difficile da manipolare per lo scrittore. La magia può essere qualsiasi cosa si voglia. Per questo, una delle prime cose che è necessario fare quando si inventa il proprio mondo fantasy (o anche quando solo si crea una storia fantasy nel nostro mondo) è definire quali saranno le regole del nostro sistema magico.
Se non ci chiariamo bene questo punto, se non facciamo emergere nel corso della storia le limitazioni della magia, e se non manteniamo una coerenza interna nell’uso della magia, tutto il nostro bel mondo sembrerà una costruzione arbitraria e finta. Cadremo nel “perché sì, perché è fantasy!”. Persa la sospensione dell’incredulità, il lettore si rende conto che sta solo leggendo un libro, non vivendo una storia; l’immersione viene meno a si rimette il libro nello scaffale (o si chiude il reader).

Che la magia sia più spesso una seccatura piuttosto che un interessante power-up da aggiungere alla nostra ambientazione, si capisce dal fatto che molti decani della narrativa fantasy abbiano cercato di arginarla in tutti i modi, limitandone la presenza nel mondo e il numero di persone in grado di usarla. Nel Signore degli Anelli troviamo una serie (ridotta) di artefatti e creature magiche, ma la quasi totalità dei personaggi non è in grado di usare la magia e non la usa; e chi è in grado di usarla è ove possibile allontanato dal party in modo tale da non sbilanciare gli incontri. Nella saga di Martin, il sovrannaturale è un elemento di cornice che viene rigorosamente tenuto il più lontano possibile dalla storia principale, e sembra quasi messo solo perché il reparto marketing possa pubblicizzarlo come Fantasy invece che come Beautiful fanta-storico di ambientazione medievale.
Altri autori hanno scelto una strada diametralmente opposta. Swanwick, nei suoi due romanzi più dichiaratamente fantasy (The Iron Dragon’s Daughter e The Dragons of Babel), ha creato un mondo volutamente impossibile. Qui la magia permea ogni cosa, ogni abitante, viola esplicitamente ogni logica. Ma Swanwick ambienta le sue storie a Faerie, il mondo sovrannaturale del folklore; e le regole della sua magia sono tutte meta-narrative: si ispirano più o meno fedelmente a leggende e miti delle tradizioni di questo o quel popolo terrestre. Benché l’effetto sia molto colorato e affascinante, e questi romanzi trasudino sense of wonder a palate, non è una scelta che mi piaccia troppo: è tutto molto meta-, tutto ha senso solo se si concepisce il mondo dei romanzi come uno specchio rovesciato del nostro. Si riesce a godere appieno i due romanzi a patto di concentrarsi sul percorso di crescita del protagonista e non tanto su come funzioni il mondo che lo circonda. Di fatto, la Faerie di Swanwick è tutta un grande (e consapevole) “perché sì, perché è fantasy!”.

Ratzinger magic

Quando bisogna decidere cosa sarà la “magia” nel nostro libro, si presentano due domande, una interna al mondo della narrazione, l’altra esterna. La prima è: “Che cos’è la magia nel mio mondo?”. E’ un potere interiore, una forza fisica, un patto con gli déi o degli spiriti sovrannaturali? Si acquisisce con lo studio, la meditazione, la preghiera, la masturbazione? La seconda è: “Qual’è il prezzo per lanciare una magia?” O in altre parole: quali sono le limitazioni all’uso della magia nella mia storia?
Che la magia richieda un costo è d’obbligo: se non ci fosse un prezzo da pagare, cosa impedirebbe a chiunque nell’ambientazione di utilizzarla di continuo? Se lanciare un incantesimo fosse facile come starnutire, come fanno gli abitanti del tuo mondo a coesistere in società più o meno ordinate, invece di essere ciascuno un dio immortale all’interno del proprio sistema solare personale? Alcuni scrittori hanno risolto facendo della magia una prerogativa di alcuni individui, persone speciali che hanno un “dono”. Ma in realtà, il problema è solo spostato: perché anche queste persone, non vivono lanciando magie continuamente. Per dirla con Orson Scott Card:

First, you don’t want your readers to think that anything can happen. Second, the more carefully you work out the rules, the more you know about the limitations on magic, the more possibilities you open up in the story.

Si può partire da qualsiasi delle due domande, per decidere come funzioni il proprio sistema magico – ma trovo più interessante e utile partire dalla seconda. E’ partendo da quale sia il prezzo della magia, che si definisce chi potrà essere un mago e chi no, cosa sia possibile fare con la magia e cosa no, che ruolo ricopriranno i maghi all’interno della società, e quale livello di sviluppo tecnologico (o dovrei dire tecnomagico?) la suddetta società potrà avere.

Se la magia è accessibile a pochi, ma per questi pochi lanciare il singolo incantesimo è poco costoso, cosa impedisce questi pochi fortunati di essere i governanti, la cima della piramide sociale del nostro mondo? Se viceversa la magia è accessibile a tutti, ma il singolo incantesimo ha un costo elevato (ad esempio: ogni volta che lanciamo un incantesimo perdiamo un anno di vita), i maghi non governeranno la società ma saranno probabilmente dei subordinati. Una volta deciso quale sarà il costo, insomma, si può a ritroso definire tutte le regole del nostro sistema, e infine stabilire che cosa sia più in generale la magia nel nostro mondo, quale ne sia l’origine. Insomma, partire da ciò che serve effettivamente alla trama che vogliamo sviluppare per arrivare a definire, alla fine, i massimi sistemi della nostra ambientazione.

Oppure fai come la Rowling e scrivi la prima cosa che ti viene in mente. A lei è andata bene no?

Più facile a dirsi che a farsi. Ma proprio perché è difficile chiarirsi le idee sulla magia, ho sempre cercato romanzi fantasy che mi offrissero un approccio nuovo all’argomento. Il mese scorso abbiamo visto ad esempio la bilogia Dark Fantasy di James Blish, composta da Black Easter e The Day After Judgement. Come per la Faerie di Swanwick, anche in questi due romanzi il sistema magico non è inventata di sana pianta ma è ripresa dal nostro folklore – nel caso di Blish, dalla demonologia dei grimori medievali e rinascimentali.  E come le fiabe, anche i grimori non sembrano essere mai stati troppo precisi nel definire le regole della magia.  Diversa però è l’ottica dei due autori. Blish infatti, benché sia sempre stato affascinato dalla religione cristiana, dalla teodicea e dalla magia nera, non ha mai abbandonato il suo approccio razionalista alle cose.
In Black Easter, c’è un passaggio in cui il mago nero Theron Ware cerca di spiegare la sua arte all’ingegnere Rudolf Hess, uno degli uomini del magnate Baines. Nell’ambientazione di Blish, chiunque può imparare a usare la magia – benché poi ci siano individui più talentuosi e altri meno, come in tutte le arti. Se non tutti lo sono, però, è perché imparare a usare la magia è un’attività molto dispendiosa, in termini di tempo ed energie. Bisogna forgiare da sé tutti gli oggetti che si impiegheranno nei rituali. Bisogna sottoporsi a pratiche di purificazioni complicate ed estenuanti, come digiunare o meditare perfettamente immobili per giorni.

Il potere magico, inoltre, non è in possesso degli uomini, ma deriva direttamente dai demoni: fare una magia significa indurre un demone a fare qualcosa per noi. L’attività principale del mago nero è dunque quella di convocare il debole e piegarne la volontà, per farsi offrire una prestazione. E’ un’attività che logora il fisico e la psiche, perché il demone non aspetta altro che commettiate un passo falso per divorarvi l’anima. Un’unica evocazione – che servirà a chiamare un solo demone per un unico compito – richiede giorni di preparazione, uno sforzo terribile durante il rituale, e altri giorni per purificarsi a rito finito.
Non sorprende che ci siano così pochi maghi in circolazione, allora, in un’epoca in cui la maggior parte delle azioni che si possono compiere con la magia possono essere più facilmente eseguite senza (un omicidio? Si può usare un sicario. Soldi a palate? Qualche speculazione azzeccata in Borsa). Né sorprende che anche un mago eviti volentieri la magia quando può. In questo caso, la magia è a portata di tutti ma il costo per ogni singolo incantesimo è elevato. Per dirla con Theron Ware:

One thing you must understand is that magic is hard work. I don’t use it out of laziness, I am not a lazy man, but by the same token I do take the easier ways of getting what I want if easier ways are available.

Demon's Souls

I demoni sono crudeli. Chi ha giocato a Demon’s Souls lo sa.

Riflettere sul costo della magia è interessante anche perché può diventare il fulcro di tutta una serie di problemi morali. In Final Fantasy VII, la magia è ricavata estraendo e raffinando l’energia vitale stessa del pianeta. Questo significa che ogni volta che si crea e si usa magia, si sta a poco a poco distruggendo il mondo in cui viviamo. Un simile problema etico, se ben gestito, può diventare il cuore stesso della storia.
L’argomento è ben illustrato da Orson Scott Card nel suo manuale How To Write Science Fiction & Fantasy (di cui vi avevo già parlato in un vecchio articolo). Al tema della magia Scott Card dedica due misere paginette, ben lontane dall’esaurire l’argomento; tuttavia, le idee che menziona sono abbastanza suggestive da meritare di essere riportate:

The price of magic might be the loss of parts from the human body. It’s simple, it’s painful, and it’s grotesque to imagine—sounds like a great idea to me. And there are as many variations here as there were with time travel. Here are several different ways you might turn this idea into a useful magic system:

1. When the magic user casts a spell, he loses bits off his own body, always starting with the extremities. He’s never sure quite how much he’s going to lose. Inevitably, however, missing fingers or hands or feet or limbs begin to be taken in society as a sign of great power—so that young people who wish to seem formidable pay to have fingers and, sometimes, limbs removed, with scars artfully arranged to look like those that magicians have. It’s hard to tell who really has power and who only seems to. (Your story might be about somebody who refuses to mutilate himself; he’s universally regarded as a powerless coward. Which, in fact, he is—until there comes a time when a spell is needed to save his city, a spell so powerful that only a person with his entire body intact can cast it—and the spell will use up all his limbs at once. Does he do it? If so, why?)

2. The magic user must actually cut off a part of his own body, or have it cut off, casting the spell while the bone is being incised. The longer he endures the pain and the larger the section of his body being removed, the more power he obtains. A whole profession of Removers would spring up, people skilled at the excruciatingly slow removal of limbs, using drugs that, while they don’t dull the pain, do allow the magician to remain lucid enough to perform the spell. (Here’s a chance for an interesting twist on a science fiction staple: a future society devoted to “harmless” recreational drugs. Why not have a Remover who goes into the underground apothecary trade, selling the drugs to people who just want the heightened mental effects? What will the magicians do to him then?)

Harry Potter junkie

3. The magic user does not have to cut off his own body part; he can cut off somebody else’s. Thus magicians keep herds of human beings—social rejects, mental defectives, and so on—to harvest their limbs for power. In most places this practice would be illegal, of course, so that their victims would be concealed or masquerade as something else. (A good horror story using this magic system might be set in our contemporary world, as we discover people living among us who are secretly harvesting other people’s limbs.)

4. The magic user can only obtain power when someone else voluntarily removes a body part. Thus magic is only rarely used, perhaps only at times of great need. If a private person wishes to hire a spell done, he must provide not only payment to the wizard, but also a part of his body. And at a time of great public need, the hero is not the wizard, but the volunteer who gives up part of his body so the
spell can be cast to save the town. (How about a psychological study of a pair of lovers, one a magician, the other a voluntary donor, as we come to understand why the one is willing to give up his or her body parts for the other’s use?)

5. When the magician casts a spell, someone loses part of his body, but he can’t predict who. It has to be someone known to him, however, someone connected to him in some way. And, while wizards all know this dark secret of their craft, they have never told anyone, so that nobody realizes that what causes limbs to wither up and fall off is really not a disease, but rather the wizard up the street or off there in the woods or up in the castle tower. (And here’s the obvious variation: What if some common but nasty disease in our world is really the work of secret magicians? That’s why certain diseases go in waves: twenty years ago it was bleeding ulcers; now it’s colon cancer. And the hero of our story is a wizard who is trying to stop the suffering he and others like him are causing.)

6. When a wizard casts a spell, body parts wither and fall off the person he loves the most. The love can’t be faked; if he loves himself most, it is himself who loses body parts. The greater the love, the greater the power—but also the greater the suffering of the wizard when he sees what has happened to the person he loves. This makes the most loving and compassionate people the ones with the most potential power and yet they’re the ones least likely to use it. (Here’s a monstrous story idea: The child of loving parents who wakes up one morning without a limb and, seeing her devoted father getting paid, begins to suspect the connection between her maiming and his wealth.)

You get the idea. There are at least this many permutations possible with every other source of magic I’ve ever heard of. And the stories you tell, the world you create, will in many ways be dependent on the decisions you make about the rules of magic.

La magia è un’arma a doppio taglio. E’ un concetto così nebuloso che se non lo trattiamo con la cura dovuta (ma solo come power-up per i nostri personaggi maghi) rischia di non avere senso e vanificare la credibilità del nostro mondo; ma al tempo stesso sono possibili talmente tante combinazioni, che può diventare un’infinita fonte di idee e conflitti e ambiguità morali per le nostre storie.
E’ mia intenzione presentarvi, nelle prossime settimane e mesi, altri autori e storie che hanno fatto un uso creativo e intelligente della magia – proprio come ho fatto con le due novellas di James Blish. Storie in cui la magia non è un elemento di contorno ma il cuore stesso del worldbuilding e dei conflitti che vi si svolgono. Ne vedremo un piccolo esempio – se tutto va bene – lunedì prossimo. Intanto, se avete degli spunti creativi che volete condividere, sono tutti bene accetti.

Magic trick