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Bonus Track Natalizia: Sausagey Santa

Sausagey SantaAutore: Carlton Mellick III
Titolo italiano:
Genere: Fantasy / Bizarro Fiction
Tipo: Novella

Anno: 2007
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 124

Difficoltà in inglese: **

La sapete la vera storia di Babbo Natale? Sapete che non era un vecchio bonario, ma un crudele tiranno con l’accento da pirata che odiava i bambini, e che li voleva tutti morti o in schiavitù, finché il buon Dio non decise di punirlo condannandolo a consegnare doni ai bambini per il resto dell’eternità? E sapete che ora Babbo Natale – a causa di un increscioso incidente – è fatto di salsicce legate insieme tra loro?
Questa, almeno, è la storia che si racconta a casa di Matthew “Sly Guy” Fry la notte della vigilia. Matt in realtà non vorrebbe che si raccontassero simili cose ai bambini, ma sua moglie Decapitron fa sempre di testa sua. A dire il vero Matt non è molto a suo agio con la sua famiglia, tra una moglie iperviolenta che sogna di diventare un Transformer malvagio, una figlia viziata con una disgustosa escrescenza sul lato della faccia, e un lavoro schifoso alla Nintendo. Ma l’incontro con Sausagey Santa – il Babbo Natale Salsiccia – nella notte di Natale darà una svolta alla sua vita…

Carlton Mellick non è uno degli autori più amati dai frequentatori di questo blog, ma dedicargli un breve post di Natale mi è parsa lo stesso un’idea carina. Sausagey Santaè una lettura breve e poco impegnativa, ideale per passare la sera dell’antevigilia o magari la mattina della vigilia o quando avete tempo. Un bel racconto – e anche abbastanza insolito – sul tema evergreen del “dobbiamo salvare il Natale!”.

Babbo Natale nudo

Un altro modo interessante per passare la vigilia.

Uno sguardo approfondito
Sausagey Santa ripropone tutti i pregi tradizionali della scrittura di Mellick, ossia una prosa semplice e veloce, in prima persona, interamente filtrata attraverso gli occhi e la mente del protagonista-pov. Tutti gli avvenimenti del libro passano attraverso i suoi commenti, le sue lamentele, le sue sensazioni. Il timbro caldo della voce di Matt Fry ci fa affezionare a lui e mantiene viva la curiosità di scoprire cosa succede dopo.
I personaggi sono vivi, credibili, e ciascuno di loro ha quelle piccole manie che ce li rendono subito riconoscibili: Fry, che pur essendo una persona coi piedi per terra, ha una venerazione per la sua pettinatura e ama fare il gesto della pistola ai passanti; Decapitron, amante dei piercing, del sesso strano e dei combattimenti all’ultimo sangue, che passa la vita a minacciare di morte il marito per fargli fare tutto quello che vuole; la figlia Nora, che comanda tutti a bacchetta, e l’altra figlia, Angelica, che se ne va in giro con legate dietro la schiena delle lame di motosega a forma di ali d’angelo; gli elfi con il fetish di D&D e il complesso di inferiorità nei confronti delle loro controparti gidierresche; e così via. E quando compare un nuovo personaggio, Mellick riesce in poche righe a immortalarlo in modo tale che ci ricorderemo di lui.
L’unico difetto che si potrebbe lamentare su questo punto, è il fatto che da un libro all’altro Mellick tende a riproporre sempre le stesse tipologie di personaggi e di rapporti tra personaggi. Abbiamo il personaggio femminile impulsivo e/o violento e in ogni caso dominante, il protagonista razionale ma sottomesso, abbiamo la scena di sesso inquietante: il pattern è lo stesso di The Haunted Vagina, di The Baby Jesus Butt Plug, di The Menstruating Mall, di Sea of the Patchwork Cats. Le situazioni sono abbastanza variate, e i kinkdi ogni personaggio abbastanza specifici, da rimanere interessanti, ma una certa sensazione di déjàvu e di pigrizia dell’autore rimane.

L’altro punto su cui Mellick va forte e non delude neanche questa volta, sta nella descrizione di tante, piccole bizzarrie. Essendo il tema il Natale, la maggior parte delle stranezze prende la forma di giochi o strani congegni – e si va dalle mutande iperdimensionali alla tuta a forma di cavolo, dalle bare fluttuanti sopra l’oceano alle renne imbottite di gasolio. I vermi-regalo, in particolare, sono una trovata fikissima.

Bear Grylls mangia una renna

Bear Grylls ci dimostra come sopravvivere al Polo Nord; e che odia il Natale.

Se le parti ambientate a casa di Fry o al Polo Nord sono le più interessanti, sono invece sottotono le scene d’azione. Da una parte seguono una struttura molto cliché, da film d’azione classico (primo scontro – fuga – riorganizzazione – sortita – scontro di massa – scontro col midboss – scontro finale); dall’altra, i cattivi sono perlopiù masse anonime di zombie e loro equivalenti, e come ho già detto recensendo Marstenheim, questo significa prevedibilità e noia assicurate.
In media i combattimenti sono più ispirati di quelli del romanzo di Angra – per le piccole trovate, per il fatto che crepa una marea di personaggi, ma anche perché sono più brevi – ma non è che Mellick si sia sforzato troppo; anzi, in un paio di punti mi è parso che lui stesso volesse concludere in fretta per passare alla scena successiva. Come se la scena d’azione fosse un passaggio obbligato.

In generale, possiamo dire che Sausagey Santa sia una variazione sul canone “racconto in cui si salva il Natale”. Mellick punteggia la trama di personaggi bizzarri e trovate creative, ma l’impianto narrativo rimane classico e abbastanza prevedibile, almeno nelle sue linee generali. Questo, unito al linguaggio semplice, lo rende un libro molto facile da leggere, quasi “da ombrellone” – anche se il finale tradisce in parte lo schema e mi è suonato sorprendentemente ‘sincero’.
Avrei preferito un lavoro più creativo; ma anche così, rimane una buona novella. Facendo un paragone con altri lavori di Mellick, lo collocherei a metà: meglio dei suoi lavori meno riusciti, come The Menstruating Mall o Sea of the Patchwork Cats, ma peggio di altre novellas come The Haunted Vagina o anche The Morbidly Obese Ninja.
Quindi, perché leggerlo? Beh, innanzitutto se volete prendere la mano con l’inglese, questo, come altre novellasdi Mellick, è un’ottima scuola. In secondo luogo, quelli che non sopportavano Mellick per l’eccessiva stramberia, qui troveranno un ambiente più “familiare”. E poi, beh, perché è Natale: a Natale si leggono cose di Natale ^-^

Alieni rubano Babbo Natale

Anche gli alieni vogliono rubare il Natale.

Dove si trova?
Anche Sausagey Santa è rintracciabile su library.nu; se poi vi piace, potreste premiare Mellick comprandoglielo su Amazon.
In italiano invece, come ho già detto, Mellick non è mai stato tradotto.

Qualche estratto
I due estratti che seguono sono tratti dal secondo capitolo, che è uno dei più carini. Il primo è un’istantanea sull’amorevole relazione tra Fry e sua moglie; il secondo, naturalmente, è la storia di Sausagey Santa…

1.
Our relationship was pretty much built on fear.
It started out as just a crazy sexual escapade. Me with my irresistible hairdo and super slick dance moves. Decapitron with her black makeup and tight leather outfits. […] But I made the mistake of bringing her back to my place. Once she knew where I lived, she kept coming back for more. Next thing I knew she was calling me her boyfriend and I didn’t know how to get her out of my life.
The day she presumed I was about to try to break up with her she decided to show me what she did for a living. I had no idea what her job was. She didn’t look like a fighter. She never had any scars. She was very tall and in great shape, but she wasn’t all that muscular. The next thing I knew she was beating the utter piss out of a 400 pound tank of a Russian. This guy was a behemoth of muscle and platinum chest hair. Bigger than any wrestler or football player I’ve ever seen. Bigger than any boxer.
If I saw him in the wild I’d think he was the abominable snowman.
But Decapitron made short work of him. Without ever getting touched, she broke his ribs, cracked open his ankle, crushed his liver, shattered his foot, ripped a tendon out of his arm, and then decapitated him with her toes.
After they dragged the corpse away, she told me, “If you ever leave me I will annihilate you.”
So instead of breaking up with her we got married and started making kids.

Megatron Transformers

Quale donna non desidererebbe di diventare così?

2.
Decapitron tells the story of Sausagey Santa.
She says it is the true story of Santa Claus. According to her, Santa was once a king of a small country who hated children and Jesus so much that he tried to outlaw both of them in his land.
King Kringle was a ruthless tyrant who sent his armies from village to village burning down their churches. All children under the age of twelve were rounded up and shipped overseas to be sold into slavery. And all men were forbidden to impregnate their wives under the penalty of death.
This went on for only eighteen months until the citizenry picked up arms and conquered Kringle’s armies. But he was not killed. His people instead left his punishment up to God.
The Almighty Lord decided to damn Kris Kringle to an immortal life. He would spend eternity spreading holy joy and cheer to the children of the world by delivering them presents every Christmas Eve. It was a living hell for the ex-king. He attempted suicide several times, but he just couldn’t die. Whenever he chopped off his head or got his reindeer to quarter him, the elves would just sew him back together and send him on his way. The elves were master craftsmen and there was no organ in Santa’s body that they couldn’t fix no matter how damaged it became.
For his final suicide attempt, he put his body through a meat grinder. This mulched him up into a thick paste that he was sure could never be put back together again. For a couple days, he thought he’d succeeded. The elves didn’t know how to reas-semble him. But then after much discussion, the elves just remade him into a new shape. They stuffed his meat goo into sausage casings and linked them all together until they formed a man.
Kringle never attempted suicide again after that.

Tabella riassuntiva

Personaggi, oggetti e situazioni bizzarre in quantità. Struttura convenzionale e spesso prevedibile.
Timbro caldo e stile vivace. Scene d’azione poco ispirate.
Si legge in fretta e senza fatica.

E con questo articolo, vi auguro Buon Natale ^^

I Consigli del Lunedì #07: The Iron Dream

The Iron DreamAutore: Norman Spinrad
Titolo italiano: Il signore della svastica
Genere:
 Science Fiction / Metafiction / Literary Fiction / Ucronia / Pulp-trash
Tipo: Romanzo

Anno: 1972
Nazione:
 USA
Lingua:
 Inglese
Pagine:
 260 ca.

Difficoltà in inglese: **

Avete mai letto l’ultimo romanzo di Adolf Hitler, Lord of the Swastika? No? Ma se ha pure vinto il premio Hugo nel 1954! Se è nato un gigantesco movimento di fan del libro, e se le uniformi dei Sons of the Swastika sono tra le più cosplayate ai convegni di fantascienza…? Ah, no, scusate, errore mio: ho sbagliato realtà^^
Norman Spinrad immagina un mondo alternativo in cui Hitler non è mai diventato leader del partito nazionalsocialista. Dopo la Prima Guerra Mondiale, il nostro baffino preferito ha deciso di trasferirsi negli Stati Uniti, dove si è riciclato come disegnatore e scrittore di fantascienza pulp. I conoscenti lo ricordano come un tipo tranquillo, forse un po’ strano.
Il suo più grande successo, completato pochi giorni prima della morte, parla di un mondo decadente, corrotto dai meticci e dalle mutazioni genetiche. Heldon, l’ultimo baluardo della purezza genetica, è minacciato dalle orde dei Dominatori, creature spietate che piegano la volontà degli individui e delle nazioni con la forza della mente; solo un uomo di razza purissima e di volontà ferrea – il giovane Feric Jaggar – potrà, radunando attorno a sé un pugno di uomini devoti e pronti a tutto, salvare il genere umano dall’imbastardimento definitivo. Toccherà a Feric ricostruire a Heldon una legione di Veri Uomini e guidarli alla legittima riconquista del mondo – e dell’intero Universo!

The Iron Dream è uno strano e delizioso esperimento diviso in tre parti: la prima, brevissima, consiste di una nota biografica sull’Hitler ucronico e della sua bibliografia; la seconda, che occupa il libro quasi per intero, è Lord of the Swastika, il romanzo scritto da Hitler; la terza, una Postfazione (Afterword) di una quindicina di pagine in cui un immaginario accademico commenta e analizza il romanzo.
L’esperimento è questo: se Hitler scrivesse un romanzo di fantascienza, cosa scriverebbe e come lo scriverebbe? Esperimento sviluppato in oltre duecento pagine di disgustosi meticci, uniformi di pelle nera, parate militari, baldi giovini dai capelli biondi e gli occhi azzurri, massacri su larga scala e iNioranza in dosi massicce.

Hitler

Feric Jaggar è pronto a combattere per il futuro della razza umana! E TU?

Uno sguardo approfondito
In Lord of the Swastika confluiscono due anime.
Da una parte, la narrativa fantasy-fantascientifica di serie b (e in particolare l’heroic fantasy/sf) con i suoi cliché e le sue ingenuità. Feric Jaggar è il giovane predestinato che deve salvare il mondo; i cattivi sono cattivissimi, senza appello e senza motivazione; e mentre i buoni ce la fanno grazie all’intelligenza e all’organizzazione, i nemici sono orde senza cervello, che attaccano come zombie basando la loro forza sul numero. C’è anche l’arma leggendaria impugnabile soltanto da un eroe di stirpe regale, nella forma del Grande Manganello (Great Truncheon). Ci sono i balzi tecnologici improbabili. Soprattutto, è ripetuto e amplificato il wish-fulfillment nella sua forma più ingenua: tutto il romanzo non è che il susseguirsi di trionfi e di riconoscimenti della naturale superiorità dell’eroe su tutti i suoi avversari e su tutti i suoi discepoli 1.
Dall’altra parte, troviamo l’esasperazione della filosofia nazista e delle fissazioni private di Hitler. Per tutto il romanzo, il pov rimane saldamente ancorato sulle spalle di Feric: di conseguenza, noi vediamo il mondo filtrato dal suo tono di aristocratico esaltato, dal suo disgusto per le razze corrotte, dalla sua ossessione per la virilità, dall’eccitazione che gli provocano le uniformi e i bei giovani dai fieri occhi azzurri. Il disgusto di Feric per le “catastrofi genetiche” è palpabile. Ma non è solo questo. Tutto il mondo del romanzo si comporta in accordo con queste convinzioni: tutti i mutanti puzzano, e sono miserevoli; i Veri Uomini (Truemen) sono intelligenti, capaci e virtuosi quanto sono alti, biondi, con gli occhi azzurri e un fisico statuario.
Molti eventi del libro sono anche interpretabili come corrispettivi di alcune fasi storiche del Partito nazional-socialista 2.

Questi due elementi, messi insieme e portati all’eccesso, creano un romanzo grottesco-splatter che sfiora la parodia della bassa narrativa e in ogni caso è profondamente trash. La storia di Feric è un’escalation di violenza e di deliri di onnipotenza. Si va dal pestaggio di indifesi meticci fino ai genocidi, ma la violenza è talmente portata all’eccesso da essere cartoonesca più che gore.
The Iron Dream mi ha ricordato certi film di Rodriguez – Planet Terror, Machete, o anche il caro vecchio Dal tramonto all’alba – film che rifanno apposta il b-movie ma lo rifanno ridendoci sopra. The Iron Dream è un lungo b-movie.
Forse, come vedremo, troppo lungo.

Pikachu nazi

Un gerarca dei Sons of the Swastika.

L’esperimento di Spinrad si porta infatti dietro degli handicap; in parte inevitabile conseguenza della natura iNiorante del romanzo e del fatto che a scriverlo sia Hitler, in parte dovuti alla sua incapacità come scrittore.
A partire dallo stile. Un po’ per ricalcare le ingenuità della letteratura di genere, un po’ per insistere sul dilettantismo e le ossessioni di Hitler, Lord of the Swastika è scritto male apposta. Abbondano le ripetizioni, le descrizioni statiche, l’aggettivazione pesante, gli infodump, personaggi piatti come un asse da stiro, il raccontato – anche se, all’occorrenza, l’autore è capace di mostrare efficacemente i momenti splatter o le parate militari del Partito. Ma Spinrad non è scusato del tutto: leggendo un altro suo libro, ho ritrovato in parte questa tendenza alle ripetizioni e all’aggettivo facile. Lo stile di Spinrad è realmente mediocre – in The Iron Dream questo aspetto è semplicemente amplificato. E comunque, calcare troppo la mano sullo scrivere male apposta può essere una buona strategia per un racconto breve o per una novella, ma non per un intero romanzo di oltre duecento pagine.

Lord of the Swastika soffre di ripetitività anche sul piano dei contenuti, soprattutto nella seconda metà del romanzo. Ogni capitolo si svolge su un piano più “grande” del precedente, ma la formula rimane la stessa. Ci sono pagine e pagine dedicati alle parate militari, alle nuove fikissime uniformi che Feric disegna per questo o quel corpo del Partito, ai nuovi esperimenti eugenetici promossi dai suoi laboratori.
Spinrad lo fa per sottolineare il carattere ossessivo dell’Hitler-scrittore, ed è anche divertente vedere fino a che punto si spinga la sua immaginazione, ma alla lunga la formula annoia. Se vuoi parlare della noia, fai attenzione a dedicarci lo stretto spazio necessario, prima che il lettore stesso si annoi; allo stesso modo, va bene insistere sulle fissazioni del nazismo, ma almeno sii creativo nel mostrarle, varia, tieni il lettore sulla corda! Spinrad questo non l’ha capito 3. La seconda metà del romanzo è decisamente troppo ripetitiva – anche se viene riscattata dall’ultimo capitolo del romanzo, assolutamente geniale 😀

Sons of the Swastika

Un ultimo possibile difetto di The Iron Dream è implicato nella sua stessa natura di metafiction. Immergersi completamente nel romanzo hitleriano è impossibile, non tanto perché non si possa abbracciare il punto di vista di un meganazista (ho letto libri, come alcuni di Mellick, dove succedono cose più terribili e l’empatia scatta lo stesso), quanto perché il tono trash-grottesco della narrazione ci ricorda continuamente che stiamo leggendo un libro. Il fatto stesso che ci sia una finta Postfazione (che tra l’altro è stupenda) distrugge ogni possibilità di catarsi.
Il lettore si trova davanti più la mente dello scrittore-psicopatico che non il contenuto del romanzo. Momenti di immersione e partecipazione emotiva ci sono, ma sono rari.

L’idea complessiva che mi sono fatto di The Iron Dream, quindi, è di un esperimento interessante e divertente, ma non del tutto riuscito. Con più impegno e più consapevolezza tecnica, Spinrad avrebbe potuto farne un capolavoro; così com’è, rimane un libro unico nel suo genere, che vale la pena provare a leggere, ma con ampissimi margini di miglioramento. I numerosi momenti di stanca, del resto, sono inframezzati da lampi di genio che valgono la lettura.
Potrebbe essere il libro ideale per chi cerchi un po’ di sano trash ma abbia bisogno anche di un sottofondo un po’ intellettuale: The Iron Dream provvede a entrambi.

Dove si trova?
In Italia il libro è stato pubblicato con il titolo del romanzo-nel-romanzo, ossia Il signore della svastica. Nel 2005 è stato ristampato da Fanucci, ma per quanto ne so anche questa edizione è pressoché introvabile. Ci si può senza timore affidare al Mulo.
Su library.nu si trova invece l’edizione in lingua originale.

Hitler Think Different

Su Norman Spinrad
Spinrad non è un autore che mi convinca troppo. E’ uno di quegli scrittori che vuole sempre fare l’impegnato e lo sperimentale, ma che non ha un sufficiente bagaglio tecnico alle spalle per poterselo permettere. E’ il tipico autore che fa della fantascienza un trampolino di lancio per parlare d’altro, ma che non ha ancora capito troppo bene come funziona un romanzo.
Perciò, di Spinrad ho letto solo un altro libro:

Bug Jack Barron / Jack Barron e l'eternitàBug Jack Barron (Jack Barron e l’eternità) si può a malapena definire fantascienza; è più che altro uno slipstream. E’ la storia di un personaggio televisivo di successo che conduce infuocati programmi di denuncia sociale, fingendo di stare “dalla parte del popolo” mentre è colluso con la politica e col mondo degli affari; una serie di eventi lo costringeranno a una scelta e a rimettere in discussione il suo ruolo nel mondo. L’idea è interessante e il libro è abbastanza unico nel suo genere, ma diversi problemi stilistici ne minano la qualità. Penso comunque che gli dedicherò un Consiglio in futuro.

Qualche estratto
Questa volta voglio proporre la bellezza di tre estratti. Il primo è preso dall’inizio del romanzo, dove facciamo la conoscenza di Feric e della sua strana visione del mondo, mentre il secondo descrive invece uno dei massacri indiscriminati che punteggiano allegramente il romanzo.
Il terzo, infine, è un breve e delizoso brano tratto dall’Afterword in coda al romanzo.

1.
Finally, there emerged from the cabin of the steamer a figure of startling and unexpected nobility: a tall, powerfully built true human in the prime of manhood. His hair was yellow, his skin was fair, his eyes were blue and brilliant. His musculature, skeletal structure, and carriage were letter-perfect, and his trim blue tunic was clean and in good repair.
Feric Jaggar looked every inch the genotypically pure human that he in fact was. It was all that made such prolonged close confinement with the dregs of Borgravia bearable; the quasi-men could not help but recognize his genetic purity. The sight of Feric put mutants and mongrels in their place, and for the most part they kept to it.
[…] With his heart filled with thoughts of his goal in fact and in spirit, Feric was almost able to ignore the sordid spectacle that assailed his eyes, ears, and nostrils as he loped up the bare earth boulevard toward the river.
[…] as Feric elbowed his way through the foul-smelling crowds, he spotted three Eggheads, their naked chitinous skulls gleaming redly in the warm sun, and brushed against a Parrotface. This creature whirled about at Feric’s touch, clacking its great bony beak at him indignantly for a moment until it recognized him for what he was. Then, of course, the Parrotface lowered its rheumy gaze, instantly gave off flapping its obscenely mutated teeth, and muttered a properly humble “Your pardon, Trueman.” For his part, Feric did not acknowledge the creature one way or the other, and quickly continued on up the street staring determinedly straight ahead.

Per ultima scese dalla corriera una figura di straordinaria e imprevedibile nobiltà: un uomo autentico, alto e forte, nel fiore della virilità. Capelli biondi, pelle chiara, occhi azzurri e vivaci. La muscolatura, la struttura ossea e il portamento erano perfetti, la tunica blu ben tagliata, pulita e in ottimo stato.
Feric Jaggar dimostrava di appartenere sotto tutti gli aspetti al genotipo dell’uomo puro. Questo lo aiutava a sopportare una vicinanza tanto prolungata con la feccia di Borgravia; gli umanoidi non potevano non riconoscere la sua purezza genetica. La vista di Feric rimetteva al loro posto mutanti e meticci, che per lo più ci rimanevano.
[…] Assorto nelle riflessioni sulle proprie mete materiali e spirituali, Feric riuscì quasi a ignorare il sordido spettacolo che assaliva occhi, orecchie e narici mentre percorreva a lunghe falcate lo squallido viale terroso che portava al fiume.
[…] mentre si faceva largo a gomitate tra la folla puzzolente, Feric individuò tre tested’uovo dai crani nudi e fiammeggianti al sole, e si scontrò con un pappagalloide. Quest’ultimo si girò di scatto indignatissimo, ticchettandogli contro il beccaccio osseo per un attimo, prima di rendersi conto di chi era. Allora, naturalmente, abbassò gli occhi lacrimosi, smise all’istante di far crocchiare gli osceni denti da ibrido, anzi mormorò con la dovuta umiltà: «Mi perdoni Verouomo». Feric, da parte sua, fece finta di non vederlo e tirò diritto per la sua strada senza guardarsi intorno.

Hitler Super Sayan

Hitler elogia la purezza genetica del suo alter-ego Feric durante una delle sue più celebri trasformazioni.

2.
Feric stood erect on the floor of the command car cabin bracing himself against the back of Best’s seat with his left hand; with his right, he pointed the shining steel fist that was the headpiece of the Great Truncheon at the heavens. “Hail Heldon!” he shouted, his mighty voice piercing the din. “Death to the Dominators and their Universalist slaves!” He brought the Steel Commander down in a great arc, and with an earthshaking roar of “Hail Jaggar,” the forces of the Swastika swept forward.
The line of motorcycles smashed into the leading edge of the horde in the park to the accompaniment of massed fire from squads of SS gunners. With great screams of fear and dismay, hundreds of the wild-eyed scum went down choking on their own blood while cold steel split skulls and wheels crushed the limbs of the fallen. Through the interstices in the forward line of motorcycles the Knights then charged, swinging their truncheons and swirling their chains, cracking limbs and smashing heads, consolidating the opening that the motorized SS had given them. Feric’s driver took the command car straight into the forefront of the battle. As Best and Render cut broad swathes through the panicked rabble with their submachine guns, Feric swung the Steel Commander in great arcs of destruction, smashing dozens of heads, crushing scores of limbs, cutting the torsos of the enemy in twain, wreaking incredible havoc with every blow. What a dashing sight this was to viewers all over Heldon, and what an inspiration to his men!

Feric era in piedi, dritto sul tettuccio della sua automobile, e mentre con la mano sinistra si teneva attaccato al sedile di Best, con la destra puntava verso il cielo il pugno d’acciaio scintillante che ornava il puntale della Gran Mazza. «Heil Heldon!» gridò con la voce possente che sovrastò il fragore. «Morte ai Dominatori e ai loro servi Universalisti!» Con un ampio movimento ad arco, riabbassò il Comandante d’Acciaio, e con un ruggito squassante di: «Heil Jaggar!» le forze della Svastica partirono all’attacco.
La prima linea di motociclisti si gettò contro l’avanguardia nemica sotto il fuoco di protezione di parecchi tiratori SS. Con grandi urla di terrore e sgomento, centinaia di miserabili dagli occhi allucinati caddero a terra nel loro stesso sangue mentre l’acciaio gelido disintegrava i crani e le ruote maciullavano le ossa di chi era al suolo. Lanciandosi negli spazi aperti dall’avanguardia di motociclisti, caricarono allora i Cavalieri, saettando i manganelli e facendo sibilare le catene, spezzando ossa e fracassando teste, e allargarono l’apertura che già le SS avevano creato per loro. L’autista di Feric portò la macchina proprio sul fronte principale degli scontri. Mentre Best e Remler decimavano la plebaglia stravolta a mitragliate, Feric descriveva con il Comandante d’Acciaio grandi archi di morte, maciullando dozzine di crani, spezzando decine di ossa, squarciando letteralmente a metà i nemici, per i quali ogni colpo rappresentava un’incredibile rovina. Che spettacolo eccitante per gli spettatori di Heldon, e che esempio per gli helder!

3.
As anyone with even a cursory layman’s knowledge of human psychology will realize, Lord of the Swastika is filled with the most blatant phallic symbolisms and allusions. A description of Feric Jaggar’s magic weapon, the so-called Great Truncheon of Held: “The shaft was a gleaming rod of … metal full four feet long and thick around as a man’s forearm … the oversize headball was a life-sized steel fist, and a hero’s fist at that.” If this is not a description of a fantasy penis, what is? Further, everything about the Great Truncheon points to a phallic identification between Hitler’s hero, Feric Jaggar, and his weapon. Not only is the truncheon fashioned in the shape of an enormous penis, but it is the source and symbol of Jaggar’s power. […] it is the phallus of maximum size, potency, and status, the sceptre of rule in more ways than one. When he forces Stag Stopa to kiss the head of his weapon as a gesture of fealty, the phallic symbolism of the’ Great Truncheon reaches a grotesque apex.

Come chiunque dotato di una conoscenza anche estremamente superficiale e profana di psicologia comprenderà, II Signore della Svastica trabocca di simbolismi e allusioni falliche incredibilmente trasparenti. Ecco una descrizione dell’arma magica di Feric Jaggar, la cosiddetta Gran Mazza di Held: «Lo stelo era una lastra scintillante di… metallo lungo almeno un metro e venti e spesso come il braccio di un uomo… la testa di dimensioni straordinarie era un pugno a grandezza naturale, il pugno di un eroe sicuramente». Cos’altro può essere se non la descrizione di un pene fantastico? Inoltre, ogni allusione alla Gran Mazza sottolinea un’identificazione tra l’eroe di Hitler, Feric Jaggar, e la sua arma. Non solo il manganello è modellato a forma di un enorme pene, ma è la fonte e il simbolo della potenza di Jaggar. […] è poi il fallo dotato di maggiori dimensioni, potenza e status, lo scettro del potere in molti sensi. Quando il protagonista obbliga Stag Stopa a baciare la punta della sua arma come dimostrazione di fedeltà, il simbolismo della Gran Mazza raggiunge un apice grottesco.

Tabella riassuntiva

Un romanzo che potrebbe essere stato scritto da Hitler! E’ scritto male apposta.
Talmente trash da essere delizioso, ma con un fondo di intelligenza. La formula del romanzo è ripetitiva e dopo un po’ viene a noia.
E’ bello avere a che fare, per una volta, con un protagonista così meganazi. E’ un libro che si legge con distacco.

(1) E’ interessante notare che comunque, pur essendo Feric truzzissimo e improbabile, è sempre meglio dei protagonisti del fantasy moderno. Feric vince sempre, ma effettivamente è meglio degli altri in tutto, e il rispetto dei suoi discepoli è perfettamente giustificato nel contesto del romanzo; Bella di Twilight (ed è solo un esempio) non sa fare niente, ma è un’eroina lo stesso.Torna su
(2) Questa mi è parsa una cattiva idea. L’esperimento di Spinrad sarebbe stato più interessante se Hitler avesse cercato vie alternative – più “fantastiche”, in accordo con la natura del genere – per far arrivare al potere il suo personaggio. Feric dovrebbe sembrare più una versione idealizzata di Hitler, che l’alter-ego dell’Hitler reale.Torna su
(3) Sulla ripetitività della formula di The Iron Dream si esprime pure Ursula K. LeGuin in questo articolo. Il suo giudizio sul romanzo è globalmente positivo, il suo giudizio sullo stile è “fai schifo”. In particolare:

Why should one read a book that isn’t interesting?
A short story, yes. Even a book of a hundred or a hundred and twenty pages. At that length, the idea would carry one through; the essential interest of the distancing effect, the strength of the irony, would have held up. And all that is said in 255 pages could have been said. Nobody would ask Spinrad to sacrifice such scenes as the winning of the Great Truncheon by the hero Feric and the subsequent kissing of the Great Truncheon by the Black Avengers, or the terrific final scene. These are magnificent. They are horribly funny. They are totally successful tours de force. But the long build-ups to them are not necessary, as they would be in a novel; rather they weaken the whole effect. Only the high points matter; only they support the ironic tension.

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Trittico per niubbi sul mondo feudale europeo

Battaglia di San RomanoCirca un anno e mezzo fa, complici alcune letture e una tutto sommato bella esperienza con i beceri Forgotten Realms, mi prese un’insana passione per una cosa che fino ad allora non mi aveva granché incuriosito: il medioevo e il rinascimento europeo. Volevo sia leggerne, che scriverne.
E’ così che ho cominciato, metodicamente, a leggere una serie di saggi sull’argomento.

In questo articolo, vorrei trasmettere qualcosa dell’esperienza che ho maturato in un anno e mezzo di letture sul Medioevo europeo. Un articolo per niubbi.
Non è facile cominciare a studiare un argomento che non si conosce per niente; per questo ho pensato di consigliare alcuni libri che mi hanno aiutato a darmi una prima immagine della società medievale. Ho scelto un argomento circoscritto, ossia il mondo feudale dei signori, delle curtes, dei cavalieri, lasciando da parte il mondo cittadino e borghese, a cui magari dedicherò un altro articolo in futuro.
Persone ben più esperte di me – nella fattispecie il Duca e Zwei – hanno steso delle pagine di bibliografia minima sul Medioevo, pagine a cui io stesso ho attinto. Se non l’avete già fatto, dateci un’occhiata:

La pagina del Duca è dedicata ai niubbi come la mia, mentre la bibliografia di Zwei è più ad ampio spettro, e più specialistica (oltre che in inglese). Va da sé che, se in qualche punto dovessi dire qualcosa sull’argomento che entra in contraddizione con quanto detto dal Duca o da Zwei, dovrete prendere per buono che io ho torto e loro ragione. ^-^’

Bloch, La società feudaleTitolo: La società feudale
Autore: Marc Bloch
Editore: Einaudi
Collana: Piccola Biblioteca Einaudi / Storia

Anno: 1939
Pagine: 551

Il libro di Bloch è la bibbia del mondo feudale.
Lo si potrebbe definire un libro di “sociologia storica”: suo argomento è infatti l’organizzazione del mondo feudale del Basso Medioevo, dall’epoca delle ultime grandi invasioni (Vichinghi, Ungari, Saraceni) fino alla nascita dei moderni stati nazionali. Dai rapporti vassallatici alle forme di sottomissione del contado, dalla frammentazione politica alla formazione della “nobiltà” come classe sociale, da quel che succedeva quando una castellana rimaneva vedova ai sistemi di spartizione dell’eredità tra i figli del signore, Bloch tocca pressoché tutti gli argomenti che possono venirvi in mente. Fa incursioni nell’economia – il signore feudale come mantiene sé stesso e la sua corte? – nell’antropologia – come vede il mondo il signorotto feudale? – nel diritto – come venivano regolati legalmente i rapporti tra un monastero e il suo protettore, o tra una famiglia contadina e il suo signore bannale? – nella politica – come fa un sovrano o un principe territoriale a riprendere il controllo dei signorotti minori che infestano il suo territorio e fanno il cazzo che gli pare?

Fight Club medievale

Su alcuni punti il modello di Bloch è stato rivisto e corretto dalla storiografia successiva (per esempio, Bloch avrebbe dato troppa importanza alle invasioni del IX-X secolo come causa della frammentazione feudale), ma nelle linee generali, a tre quarti di secolo dalla pubblicazione, è ancora un’ottima risorsa sul Medioevo. Soprattutto per uno scrittore che volesse creare ex novo la propria ambientazione medievale, La società feudale è un ottimo punto di partenza per il worldbuilding.

Titolo: La guerra nel MedioevoContamine, La guerra nel Medioevo
Autore: Philippe Contamine
Editore: Il Mulino
Collana: Storica Paperbacks

Anno: 1980
Pagine: 435

Mille anni di storia militare – dalla caduta dell’Impero Romano alla nascita dei primi eserciti permanenti europei agli albori del Rinascimento – in poco più di 400 pagine: questo l’ambizioso obiettivo del libro di Contamine. La prima parte dell’opera si occupa, con un andamento cronologico, dell’evoluzione del servizio militare e della composizione degli eserciti medievali, mentre la seconda approfondisce una serie di argomenti secondari, dalle armi da fuoco tardomedievali al rapporto tra uomini d’arme e Chiesa.
Il limite principale di La guerra nel Medioevo è intrinseco al suo carattere compendiario: trattando moltissimi argomenti in poco spazio, molti argomenti rimangono poco approfonditi. In particolare, tutta la parte dedicata al tardo impero e all’Alto Medioevo mi sembra poco spendibile, mentre ho trovato molto ben fatte le parti sulle tecniche di assedio, sul ruolo dell’artiglieria a partire dal Trecento, e in generale tutta la parte dedicata al servizio militare e agli eserciti del Tardo Medioevo; l’esempio di battaglia campale quattrocentesca riportato nel capitolo sull’arte della guerra è stupendo.

Thou art performing yon task incorrectly!

Ma non si può pretendere che il libro di Contamine sia ciò che non è, e che non può essere. La guerra nel Medioevo serve da base per chi è a digiuno dell’argomento, per dargli un quadro minimo e dei punti di riferimento, affinché poi possa approfondire su libri più specializzati gli argomenti che più gli interessano. Dopo aver letto il libro di Contamine, si può per esempio passare agli Osprey (qui la sezione dedicata al Medioevo) o spulciarsi la sua ricca bibliografia.
Ah: ho scoperto questo libro grazie alla bibliografia minima del Duca, per cui ne approfitto per ringraziarlo ^-^

Flori, Cavalieri e cavalleria del MedioevoTitolo: Cavalieri e cavalleria del Medioevo
Autore: Jean Flori
Editore: Einaudi
Collana: Piccola Biblioteca Einaudi / Storia

Anno: 1998
Pagine: 286

I primi due libri consigliati erano dei grossi compendioni sul mondo medievale; questo invece tratta un argomento più specifico della società feudale. E mentre i primi si possono leggere indipendentemente, questo vi consiglio di considerarlo come una chiosa a Bloch e Contamine, un ponte tra i due libri.
Flori parte da una domanda: cos’è esattamente un “cavaliere”? E’ definito dalla sua classe sociale (il cavaliere è un nobile?) o dal suo mestiere (il cavaliere è colui che combatte a cavallo)? Ricordo una discussione che si era avuta l’estate scorsa sul blog di Zwei, in cui il Guardiano domandava se fosse possibile per un plebeo, un uomo qualsiasi, diventare cavaliere. La risposta si trova in questo libro. Da quando il miles era semplicemente l’uomo che possedeva un equipaggiamento da cavaliere e l’addestramento necessario a usarlo, magari al servizio di un potente, a quando la cavalleria divenne un’istituzione sociale, con la sua deontologia, i suoi valori, il suo prestigio, e un sistema di controllo che decidesse chi poteva entrarvi e chi doveva rimanere fuori; fino a che divenne il simbolo dell’élite europea, un costoso rituale privilegio di principi e pochi notabili – Flori ripercorre tutte le tappe di questa trasformazione. E ci fa capire cosa significhi, negli occhi di un uomo dell’epoca, cosa significhi essere un uomo d’arme.
Il libro di Flori studia sia la storia della mentalità, che quella sociale, che quella militare, mostrandoci il ruolo della cavalleria nell’esercito medievale, ma anche il costo per mantenere l’equipaggiamento da cavaliere – che non permetteva a tutti di accedervi e costringeva molti a decadere di condizione – come il cavaliere vedesse la guerra, la caccia, i tornei, come i cavalieri si mitizzavano nell’epica cavalleresca e nelle canzoni dell’amor cortese, e quanto questi ideali corrispondessero alla realtà, e così via. Questo recupera gli argomenti di Bloch e Contamine, e ne approfondisce e sviluppa alcuni punti, e per questo mi sembra un ottimo corollario alla lettura dei precedenti.

In conclusione
La lettura di questi libri – o quantomeno dei primi due – è utile soprattutto se si è tentati di scrivere qualcosa ad ambientazione medievale. Leggerli mi ha permesso:

1. Di capire che ero davvero interessato a un setting medievale, e non solamente al “colore” medievaleggiante fatto di armature piene di spunzoni, draghi cromati e altre minchiate D&Desche.
2. Di crearmi una prima impressione su come potesse essere una storia ambientata in un setting medievale: che tipi di personaggi potessero esistervi, che problemi avrei incontrato, di che argomenti avrei potuto parlare.
3. Di capire quali aspetti del Medioevo volevo approfondire, come cercarli, e come strutturare le ricerche successive.

Potreste optare per un’ambientazione monastica sul modello de Il nome della Rosa e, forti delle conoscenze preliminari sui rapporti tra monasteri e società feudale acquisiti con il libro di Bloch, leggere un libro un po’ più specialistico come I monaci di Cluny di Cantarella; o magari vi intriga l’idea di un pugno di cavalieri isolati in una zona di frontiera, dal clima estremo, circondati da indigeni ostili, e allora potreste dare un’occhiata a Le crociate del Nord di Christiansen; o ancora, alla noiosa nobiltà campagnola del Medioevo nordico potreste preferire una vivace ambientazione cittadina sul modello dell’Italia comunale (che io adoro), e provare l’ottimo Cavalieri e cittadini di Maire-Vigueur; oppure, spostando l’orologio in avanti di uno o due secoli, Signori e mercenari di Michael Mallett. E non dimentichiamo che la buona vecchia library.nu ci apre le porte allo sterminato mercato di lingua anglosassone, e che numerosi Osprey vi si possono trovare…
Insomma, sperimentate, ma per carità, state alla larga da quell’insulsa menata di Monaci e religiosi nel Medioevo di Marcel Pacaut!

2 girls 1 cup medievale

I Consigli del Lunedì #06: A Canticle for Leibowitz

Copertina di Un cantico per LeibowitzAutore: Walter M. Miller
Titolo italiano: Un cantico per Leibowitz
Genere: Science Fiction / Post-Apocalyptic SF / Social SF
Tipo: Romanzo

Anno: 1959
Nazione: USA
Lingua: Inglese
Pagine: 320
Difficoltà in inglese: **

“A spiritu fornicationis,
Domine, libera nos.
From the rain of the cobalt,
O Lord, deliver us.
From the rain of the strontium,
O Lord, deliver us.
From the fall of the cesium,
O Lord, deliver us”

In un’America devastata da un’apocalisse nucleare e precipitata, tecnologicamente e culturalmente, in un nuovo Medioevo, la custodia del sapere dell’antica civiltà è affidata a quel che rimane della Chiesa cattolica. In particolare, al neonato Ordine Albertiano del beato Leibowitz, ordine monastico istituito dopo il fallout da un ingegnere ebreo convertito – Isaac Leibowitz – con il preciso scopo di salvare dalla distruzione i prodotti della civiltà moderna. L’abbazia dell’ordine, isolata nel mezzo di un deserto popolato solo di avvoltoi, banditi, mutanti, e macerie, si assume il compito di proteggere e copiare all’infinito, alla vecchia maniera degli amanuensi, i Memorabilia, brandelli di pagine scritte il cui significato non sono più capaci di comprendere. Copiando e memorizzando, i monaci attendono un futuro in cui questi frammenti saranno di nuovo comprensibili e permetteranno la rifondazione della civiltà.
E mentre l’abate dell’ordine si preoccupa di trovare il modo di far canonizzare il beato Leibowitz dalla Santa Sede di Nuova Roma, il novizio Fratello Francis assiste a un’apparizione nel deserto che cambierà il destino dell’abbazia…

La maggior parte dei romanzi ad ambientazione post-apocalittica sono storie di sopravvivenza: il protagonista deve cavarsela in un mondo ostile e trovare un porto sicuro. Il libro di Miller adotta una prospettiva del tutto diversa.
Il romanzo è diviso in tre parti, ciascuna delle quali è collocata 600 anni nel futuro rispetto alla precedente. Se la prima è ambientata in un nuovo Alto Medioevo, dove piccole comunità religiose che comunicano attraverso messi costituiscono gli unici bastioni di civiltà e sicurezza in un mondo desertificato, la seconda si colloca agli albori di un nuovo Rinascimento, un’epoca in cui sono sorte nuove nazioni che si contendono il controllo del continente; e la terza in un’epoca futuristica, in cui l’essere umano ha cominciato la colonizzazione dello spazio e si avvia all’esplorazione di nuovi sistemi solari.
Al centro, sempre l’abbazia e i suoi abitanti, eternamente immutabile (o quasi) mentre attorno ad essa il mondo si trasforma e torna alla civiltà. Ciascuno dei tre archi narrativi ha una propria trama principale e un sub-plot per ognuno dei personaggi; inoltre, i tre archi formano un’unica grande storia, quella dell’abbazia: attraverso 1800 anni di storia dell’abbazia, Canticle ci racconta il destino dell’intera umanità post-olocausto nucleare.

Abbazia di Cluny

L’abbazia di Cluny ai tempi del suo massimo splendore. I monaci di Leibowitz una roba così se la sognano. Sfigati.

Uno sguardo dettagliato
E’ incredibile come, nonostante che a ciascun arco narrativo sia dedicato in media un centinaio di pagine, i personaggi principali siano tutti ottimamente caratterizzati: il pavido Francis, paradigma del monaco umile e ubbidiente; il bizzoso e pratico abate Arkos; e poi il Thon Taddeo, fisico geniale e arrogante, l’abate Paulo con i suoi problemi di stomaco e le sue incertezze, il monaco Kornhoer, combattuto tra la tecnologia e la preghiera, il Poeta schizofrenico, e l’abate Zerchi, il monaco Joseph, il razionale dottor Cors, l’ebreo errante Benjamin. Sono persone vive, ciascuna con le proprie idiosincrasie, il proprio modo di parlare e di muoversi, i propri obiettivi.
Allo stesso modo Miller ha saputo ricreare l’atmosfera di ciascuna epoca storica. In particolare, la prima parte ha qualcosa di magico: i salmi e le formule in latino; i monaci dello scriptorium che pazientemente copiano e miniano libri di cui non capiscono quasi più niente, trasformando disegni tecnici in allegorie religiose; i racconti di miracoli; la corte papale, distante tre mesi di cammino; l’impressione di isolamento completo e di silenzio. Ed è bello vedere come, in ogni epoca, cambi il rapporto tra l’abbazia e il mondo circostante.
Il ritmo (tranne che negli ultimissimi capitoli) non è mai frenetico; al contrario, pur succedendo molte cose, e nonostante le varie sottotrame continuino a intrecciarsi, gli eventi sembrano svilupparsi poco a poco. Soprattutto all’inizio, prevale un’atmosfera di grande calma.

San Bernardino

A San Bernardino piace questo elemento.

La scrittura di Miller non è certo priva di difetti. Il controllo del pov è approssimativo: spesso nel mezzo di una scena la telecamera salta da un personaggio all’altro, e senza nemmeno che ce ne sia bisogno; altre volte, la telecamera scivola nelle mani del narratore onnisciente, che già che c’è fa un bell’infodump sull’ambientazione.
Infodump del tutto superflui: alcuni, perché non fanno che esplicitare elementi che si erano già intuiti in modo implicito; altri, perché avrebbero potuto essere mostrati attraverso il dialogo tra i personaggi, guadagnando in immersività senza sacrificare in chiarezza. Inoltre, spiegando dettagli dell’ambientazione attraverso le parole dei personaggi, si ottiene il doppio vantaggio di dire contemporaneamente qualcosa dei personaggi stessi: il punto di vista dei personaggi mostra la loro psicologia e il loro modo di vedere la realtà.
Non che Miller non sia in grado di farlo. Faccio un esempio (talmente bello che ne riporto un brano in fondo all’articolo): a un certo punto della storia, un monaco legge un racconto allegorico della guerra nucleare e delle sue cause, mischiando fatti storici e mitologia cristiana. In un colpo solo, Miller ci fa capire cos’è successo e come filtrano la realtà gli uomini religiosi dell’epoca: due piccioni con una fava! Sarebbe perfetto; ma che bisogno c’era, allora, di scrivere 50 pagine prima un enorme infodump del narratore onnisciente sullo stesso argomento? La verità è che, purtroppo, Miller non sembra affatto curarsi di questi problemi tecnici.

Altre volte, in genere all’inizio e alla fine di ogni arco narrativo, la narrazione si stacca dai personaggi e offre una panoramica a volo d’uccello dell’intera epoca storica. Tecnicamente sarebbe un’errore, ma trattandosi di aperture e chiusure di archi temporali così vasti, l’impressione generale è piacevole: quindi approvo.
Quello che invece proprio non digerisco sono gli occasionali lampi di lirismo dell’autore, che si lancia in bizzarrie verbali da literary fiction col solo risultato di confondere e nauseare il lettore. In particolare uno di questi lampi, in apertura della terza parte, è osceno. Ma per fortuna sono pochissimi.

Santa Caterina da Siena

Appestati guariti col potere della preghiera? Check. Tendenza ad attacchi isterici-epilettici in corrispondenza con visioni mirabolanti del Paradiso? Check. Orrore atavico del cazzo? Check. Cori angelici visti sul letto di morte? Check. OK bella: sei santa!

Per il resto, lo stile di Miller fa il suo lavoro, e in alcuni momenti è davvero eccellente nel trasmettere la psicologia e i valori dei personaggi. Alcuni dei conflitti tra i personaggi sono davvero stupendi (in particolare, quello tra Paulo e Thon Taddeo alla fine della seconda parte, e quello tra Zerchi, il dottor Cors e i poliziotti verso la fine della terza).
Questo in parte è dovuto anche all’importanza ‘etica’ degli argomenti che sono motivo di conflitto. Il rapporto tra scienza e fede, e tra scienza e potere; il ruolo della religione nella civiltà moderna; il conflitto tra eutanasia e morale cristiana: sono argomenti interessanti di per sé, e Miller riesce a evitare la trappola del giudizio morale imposto dall’alto, senza dividere “buoni” e “cattivi” e senza offrire una risposta definitiva alle antitesi. Capisco la bravura dell’autore anche dal fatto che riesco a provare empatia anche per personaggi che difendono posizioni per me orribili.
Gli elementi fantastici sono ridotti al minimo, e quelli che ci sono, sono perlopiù funzionali alla trama. La cosa non mi è dispiaciuta: se c’è una cosa che preferisco alla fantasia selvaggia, è la fantasia disciplinata alle esigenze della trama, e Miller ci riesce alla grande 1.
A Canticle for Leibowitz è entrato nella classifica dei miei 10 libri preferiti in assoluto. Oggi è ritenuto da alcuni critici americani la migliore opera di fantascienza mai scritta; mi sembra un giudizio esagerato, ma non incomprensibile.

Dove si trova?
In italiano, Un cantico per Leibowitz è stato tradotto di recente nell’Urania Collezione N.84. Su Emule si trova comodamente.
Su library.nu si trovano due file in lingua originale, un pdf e un e-pub. L’e-pub è comodo, ma ha un problema: non vengono visualizzati i caratteri ebraici che Miller ha scritto in alcuni punti del testo, e sono sostituiti da asterischi. Nulla di trascendentale, i caratteri ebraici hanno un ruolo marginale e se ne può fare a meno – però capisco che la cosa possa dare fastidio.

Su Walter M. Miller
Miller è uno di quegli scrittori da opera unica. Leibowitz è l’unico romanzo completa che abbia mai scritto. Oltre al romanzo, abbiamo alcuni racconti – alcuni dei quali sono stati di recente raccolti nell’antologia Dark Benediction, edita nella collana SF Masterworks – e un midquel di LeibowitzSaint Leibowitz and the Wild Horse Woman – che però lasciò incompiuto e che fu finito dopo la sua morte da un altro scrittore basandosi sui suoi appunti.
Non penso che leggerò mai questo seguito. Aldilà della mia naturale ostilità verso i seguiti, il fatto che Miller abbia intrapreso l’opera su commissione, e dopo aver temporeggiato per 30 anni, e che poi si sia suicidato prima di averla finita, mi lasciano pensare che non avesse troppa voglia di completarla.
Non ho letto nemmeno l’antologia; ma visto quanto m’è piaciuto Leibowitz, può darsi che in futuro lo faccia.

Montecassino distrutta

L’antichissima abbazia di Montecassino dopo la visita di Miller e dei suoi amici americani. Lievissimo senso di colpa?

Chi devo ringraziare?
In primo luogo Gamberetta, che me lo fece conoscere nominandolo in un commento. Il titolo mi incuriosì da subito, la descrizione su Wikipedia pure; tanto che una settimana dopo l’avevo già scaricato sul lettore. Ma per un motivo o per un altro continuai a posticiparne la lettura, finché me ne scordai.
In secondo luogo devo quindi ringraziare il Duca, che me l’ha riportato alla mente parlandone quest’estate nei commenti sul suo blog, e in termini assai elogiativi.

Qualche estratto
Ho scelto due estratti per questo libro. Il primo è tratto dal primo capitolo, e secondo me dà un’idea molto carina della psicologia neomedievale della prima parte. Il terzo estratto si colloca a metà libro, ma non fa spoiler su cose che non abbia già detto io, ed è una figata.

1.
He had never seen a “Fallout,” and he hoped he’d never see one. A consistent description of the monster had not survived, but Francis had heard the legends. He crossed himself and backed away from the hole. Tradition told that the Beatus Leibowitz himself had encountered a Fallout, and had been possessed by it for many months before the exorcism which accompanied his Baptism drove the fiend away.
Brother Francis visualized a Fallout as half-salamander, because, according to tradition, the thing was born in the Flame Deluge, and as halfincubus who despoiled virgins in their sleep, for, were not the monsters of the world still called “children of the Fallout”? That the demon was capable of inflicting all the woes which descended upon Job was recorded fact, if not an article of creed.

Non aveva mai visto un “Fallout”, e sperava di non vederne mai uno. Una descrizione precisa del mostro non era sopravvissuta, ma Francis aveva udito le leggende. Si segnò e indietreggiò dal buco. La tradizione diceva che il Beato Leibowitz in persona aveva incontrato un Fallout, e ne era stato posseduto per diversi mesi prima che l’esorcismo che accompagnò il suo Battesimo cacciasse via il maligno.
Fratello Francis visualizzava il Fallout come mezzo-salamandra, perché, secondo la tradizione, quella cosa era nata nel Diluvio di Fuoco, e come mezzo-incubus che possedeva le vergini nel sonno, perché i mostri del mondo non erano forse ancora chiamati “figli del Fallout”? Che il demone fosse capace di infliggere tutti i mali che caddero su Giobbe era un fatto documentato, se non un articolo di fede.

Cintura di castità anti-fallout

Cinture di castità: proteggete le vostre figlie dal fallout.

2.
“And so it was in those days,” said Brother Reader: “that the princes of Earth had hardened their hearts against the Law of the Lord, and of their pride there was no end. And each of them thought within himself that it was better for all to be destroyed than for the will of other princes to prevail over his. For the mighty of the Earth did contend among themselves for supreme power over all; by stealth, treachery, and deceit they did seek to rule, and of war they feared greatly and did tremble; for the Lord God had suffered the wise men of those times to learn the means by which the world itself might be destroyed, and into their hands was given the sword of the Archangel wherewith Lucifer had been cast down, that men and princes might fear God and humble themselves before the Most High. But they were not humbled.
“And Satan spoke unto a certain prince, saying: ‘Fear not to use the sword, for the wise men have deceived you in saying that the world would be destroyed thereby. Listen not to the counsel of weaklings, for they fear you exceedingly, and they serve your enemies by staying your hand against them. Strike, and know that you shall be king over all.’
“And the prince did heed the word of Satan, and he summoned all of the wise men of that realm and called upon them to give him counsel as to the ways in which the enemy might be destroyed without bringing down the wrath upon his own kingdom. But most of the wise men said, ‘Lord, it is not possible, for your enemies also have the sword which we have given you, and the fieriness of it is as the flame of Hell and as the fury of the sunstar from whence it was kindled.’
“‘Then thou shalt make me yet another which is yet seven times hotter than Hell itself,’ commanded the prince, whose arrogance had come to surpass that of Pharaoh”.

“E così fu in quei giorni” disse il Frate Lettore: “che i prìncipi della Terra avevano indurito i loro cuori contro la legge del Signore, e al loro orgoglio non era fine. E ciascheduno di essi pensava entro di sé che era cosa molto migliore essere distrutto che permettere alla volontà di altri prìncipi di prevalere sulla sua. Perché i potenti della Terra contendevano fra loro per il supremo potere sopra ogni cosa: per inganno, violenza e tradimento essi cercavano di dominare, e temevano grandemente la guerra e ne tremavano; imperocché il Signore Iddio aveva permesso che gli uomini sapienti di quei tempi imparassero i modi per cui il mondo medesimo poteva essere distrutto, e nelle loro mani era affidata la spada dell’Arcangelo con la quale Lucifero era stato abbattuto, e per cui gli uomini e i prìncipi potessero temere Iddio ed umiliarsi davanti all’Onnipotente. Ma essi non si erano umiliati.
“E Satana parlò a un principe, e disse: ‘Non temere di usare la spada, perché gli uomini sapienti ti hanno ingannato dicendoti che il mondo sarebbe distrutto. Non ascoltare il consiglio dei deboli, imperocché essi grandemente ti temono, e servono ai tuoi nemici
fermando la tua mano contro di quelli. Colpisci, e sappi che tu sa-rai il sovrano di tutto'”.
“E il prìncipe ascoltò la parola di Satana, e chiamò a sé tutti gli uomini sapienti di quel reame e comandò loro di dargli consiglio dei modi in cui il nemico poteva essere distrutto senza attirare la collera sopra il suo regno. Ma molti degli uomini sapienti dissero: ‘Signore, questo non è possibile, imperocché anche i tuoi nemici possiedono la spada che noi ti abbiamo data, e la terribilità di essa è come la fiamma dell’Inferno, e come il furore della stella-sole, alla quale un giorno fu accesa’.
” ‘E allora tu me ne foggerai un’altra che sia ancora sette volte più ardente dell’Inferno stesso’, comandò il principe, la cui arroganza era giunta a superare quella di Faraone”.

Tabella riassuntiva

Millecinquecento anni di storia post-apocalittica. La divisione in tre parti può ostacolare l’affezione ai personaggi.
Il post-apocalisse nucleare visto attraverso gli occhi di un pugno di monaci! Qualche svarione stilistico.
Un romanzo sulla preservazione della conoscenza, sulla Storia, e molto altro.

Bonus: La santità nel Medioevo
E’ bello vedere scrittori che si documentano. Un’altra delle ragioni della bellezza del libro di Miller, sta nel fatto che si capisce che si è documentato. Prendiamo la faccenda della santificazione.
Molti credono che nel Medioevo la Chiesa spammasse santi a destra e a manca. Niente di più lontano dal vero. Erano le comunità locali, quasi sempre, a richiedere che la Chiesa si interessasse a questo o a quel beato del posto e avviasse un processo di canonizzazione. E questi processi erano molto lunghi e complicati, segno che la Chiesa voleva mantenere un controllo serrato di cosa fosse la santità e di chi ne fosse degno.
Come so queste cose? Il merito è di un libro che, in maniera del tutto accidentale, ho letto nello stesso periodo in cui ho letto Leibowitz:

La santità nel MedioevoTitolo: La santità nel Medioevo
Autore: André Vauchez
Editore: Il Mulino – Storica Paperbacks

Anno: 1981
Pagine: 685

In questo saggio, l’autore mette a confronto come la santità fosse percepita dal popolo e come dalla Chiesa, come funzionavano i processi di canonizzazione, quali erano gli attributi riconosciuti della santità, e quale modello di santo la Chiesa cercasse di propagandare presso i suoi fedeli. E’ un testo molto specialistico, nel senso che spacca il capello in quattro e redige una caterva di tabelle (adoro le tabelle), e un lettore poco interessato all’argomento potrebbe annoiarsi. Per chi fosse realmente affascinato dal problema, invece, la consiglio come una lettura eccellente e precisa.

Nel periodo 1198-1431 (che è quello preso in esame dal libro), ossia quasi 250 anni, solo 33 processi di canonizzazione si conclusero con la santificazione del beato. 33 santi in quasi 250 anni, in pieno Basso Medioevo.
Alla luce di questi fatti, l’atteggiamento cauto dell’abate Arkos nel processo di canonizzazione del beato Leibowitz non sembra più tanto strano, eh? Nel libro di Miller, mi sembra di trovare una esemplificazione pratica di tutti quei problemi di cui parla (anzi: parlerà trent’anni più tardi) il libro di Vauchez. Il che significa che ha fatto un ottimo lavoro; e che chi chiude il suo libro, si ritrova un po’ più colto di prima.
Questo è trattare il lettore con rispetto!

Santa Fina

Santa Fina: uno dei santi più insulsi della storia. Il suo merito? Avere passato gli ultimi anni della sua giovane vita a gemere in silenzio su una tavola di legno mentre il suo corpo si riempiva di piaghe e i topi la mangiavano viva. Proprio una prediletta del Signore.

(1) In realtà ci sono un paio di elementi che mi lasciano perplesso. Mi riferisco alla storia dell’occhio del Poeta e alla storia dell’ebreo errante: di per sé sono affascinanti, ma entrambe sfumano senza una conclusione, e la prima in particolare non mi sembra avere un ruolo sensibile nella trama.Torna su

I Consigli del Lunedì #05: High Rise

High RiseAutore: James G. Ballard
Titolo italiano: Il condominio / Condominium
Genere: Horror / Slipstream
Tipo: Romanzo

Anno: 1975
Nazione: UK
Lingua: Inglese
Pagine: 200 ca.

Difficoltà in inglese: **

Era trascorso qualche tempo e, seduto sul balcone a mangiare il cane, il dottor Robert Laing rifletteva sui singolari avvenimenti verificatisi in quell’immenso condominio nei tre mesi precedenti. Ora che tutto era tornato alla normalità, si rendeva conto con sorpresa che non c’era stato un inizio evidente, un momento aldilà del quale le loro vite erano entrate in una dimensione più sinistra…

Nella periferia di Londra hanno edificato un nuovissimo supercondominio. Si compone di cinque grattacieli di quaranta piani l’uno, ciascuno un microcosmo autosufficiente: al loro interno ci sono supermercati, parrucchieri, negozi, centri ricreativi, piscine. I piani sono ordinati gerarchicamente secondo le fasce di reddito: dal primo al decimo, i più modesti appartamenti della working class (piccoli reporter freelance, piloti di linea del vicino aeroporto, etc.); dall’undicesimo al trentesimo, gli appartamenti della middle class (dentisti, psichiatri, e altri professionisti); dal trentunesimo al quarantesimo, l’alta borghesia londinese, composta di star televisive, ricchi commercianti e top manager.
Inizialmente le cose vanno bene. Ci sono piccoli screzi, litigi per futili motivi, dispetti; il disprezzo degli abitanti dei piani alti per gli inquilini dei piani bassi, e l’invidia di questi ultimi per i primi; ordinaria amministrazione. Ma quando cominciano i primi guasti all’impianto elettrico, quando le cose smettono di andare come dovrebbero, le inibizioni degli abitanti del condominio si abbassano, gli istinti dormienti iniziano a risvegliarsi… e la violenza esplode.

La storia segue le vicende di tre abitanti del grattacielo, ciascuno collocato a un differente livello gerarchico: Richard Wilder, piccolo produttore televisivo che abita al secondo piano con moglie e figli; il Dr. Laing, un pacioso psichiatra del venticinquesimo piano; e Anthony Royal, ricchissimo architetto nonché progettatore del supercondominio, che dall’alto del suo atelier su due piani in cima al grattacielo guarda in basso alla sua creatura. Attraverso le loro vicende personali, Ballard ci mette di fronte a una surreale ma fikissima escalation di violenza e follia collettiva.

High Rise

I sonnacchiosi palazzoni di periferia potrebbero rivelare delle sorprese…

Uno sguardo approfondito
Adoro la prosa di Ballard.
E’ una prosa gelida, distaccata, quasi giornalistica. Sta agli esatti antipodi dell’altro tipo di prosa che mi piace molto, quello di Mellick o di Gamberetta, dove tutta la storia è filtrata attraverso la voce querula e molto caratterizzata del protagonista. Qui il punto di vista è una via di mezzo tra la terza persona fotografica e la terza persona nella testa del personaggio: cogliamo frammenti dei pensieri e degli stati d’animo dei protagonisti, ma la loro psiche non ci è mai squadernata davanti agli occhi, permane sempre una zona di oscurità. Inoltre, anche quando la distanza tra la telecamera e la testa del personaggio si riduce al minimo, rimane sempre una sorta di distanza tra la voce narrante e il personaggio in questione. Quando i pensieri del personaggio-pov vengono riportati, è sempre in discorso indiretto, mai in quello diretto come accade ad esempio in King.
Ballard è anche un buon mostratore. I personaggi (in particolar modo Wilder) sono definiti soprattutto dalle loro azioni, anche se in alcuni casi il narratore indulge in lunghi raccontati su cosa passa per la loro testa (per esempio quando, all’inizio del capitolo 7, Ballard ci parla delle ambizioni deluse di Anthony). Non ci vengono fatte delle lunghe sbrodolate sull’oscenità e la crudeltà raggiunta dagli abitanti del condominio, come un certo autore di nostra conoscenza; Ballard ci mostra un gioielliere scaraventato fuori da una finestra, uno psichiatra che si cucina un cane, una piscina, dove prima facevano il bagno i bambini, gonfia di sangue, pezzi di cadaveri in decomposizione e umori assortiti.

A parte qualche rarissimo e breve scivolamento verso il narratore onnisciente, la telecamera rimane sempre ancorata al suo personaggio-pov. Nonostante questi siano tre, non c’è mai confusione: i salti di pov avvengono solo da un capitolo all’altro o, nei capitoli più concitati, da un paragrafo all’altro. L’idea di utilizzare più pov, e che i tre personaggi-pov ricoprano tre ruoli molto diversi all’interno della gerarchia del condominio, è stata una scelta molto felice. Come dice un commento al romanzo, infatti, “where you live in this structure will soon take on an importance beyond life itself”; possiamo così vedere il degenerare della convivenza tra gli abitanti del condominio da punti di osservazione molto diversi.
Wilder è in fondo alla gerarchia, ma è anche un innato arrampicatore sociale, aggressivo, furbo, dominatore per istinto, bigger than life, e il suo obiettivo è quello di arrivare in cima; Laing è il borghesotto educato, colto e soddisfatto di sé, desideroso soltanto di mantenere il proprio status e farsi coinvolgere il meno possibile dalla destabilizzazione; Royal è il wanna-be filantropo, il despota illuminato, desideroso di costruirsi un “feudo” di fedelissimi e di farsi amare dai suoi “sudditi”, ma impreparato alla vera violenza.

Defenestrazione di Praga

Defenestrazione di Praga. Gettare dalla finestra le persone antipatiche è un’antica e onorata tradizione.

Il fatto che la narrazione slitti fra tre personaggi che perseguono obiettivi diversi e sono l’uno contro l’altro, e l’assenza di un querulo narratore che faccia piovere dall’alto i suoi giudizi etici, creano un piacevolissimo clima di ambiguità morale. Il pericolo non viene dall’esterno: il “mostro” qui è costituito da quella rete di rapporti sociali di cui i protagonisti stessi fanno parte, e che contribuiscono ad alimentare. Non ci sono i Buoni e i Cattivi; tutti i personaggi-pov compiono, ad un certo punto, azioni molto discutibili.
A differenza di molti romanzi di King, in cui ci viene mostrata una progressiva crisi di follia collettiva dal punto di vista di individui che rimangono sani, in High Rise gli stessi personaggi-pov diventano sempre più mostruosi e “primordiali”. E’ una cosa che crea un certo disagio; ma al contempo, è difficile che non scatti una certa empatia per tutti loro o almeno alcuni di loro (vuoi perché la storia è filtrata attraverso i loro occhi, vuoi per il senso di pericolo che grava su di loro). Il lettore si trova a non sapere per chi debba “parteggiare”, o se sia anche solo il caso di parteggiare per qualcuno di loro.

In High Rise non c’è nulla di davvero “sovrannaturale”. Il condominio supermoderno del titolo è la versione esagerata dei quartieri autosufficienti che si è cominciati a costruire ai margini delle grandi metropoli dagli anni ’70 ad oggi, ma non c’è nulla di futuristico, di fantascientifico. Si può etichettare come romanzo horror, ma non c’è il Male, neanche nelle sue forme più sottili (come ad esempio in Shining). Come molti romanzi di Ballard, ha più l’aspetto di un esperimento sociale estremo, sulla scia di libri come Il signore delle mosche o, paragonandolo ad avvenimenti reali, il famoso esperimento carcerario di Stanford. Il gelido narratore osserva la vicenda come uno scienziato di fronte alle sue cavie, riportandola con fedeltà ma senza commentarla.
Non è nemmeno una violenza che indulga granché nello splatter o nel gore. E’ una violenza che punta su quel disagio nato dal fatto di vedere persone normali compiere gesti sempre più anormali; e dal fatto che non ci sia all’orizzonte nessun personaggio rimasto abbastanza sano a cui appigliarsi. Questo dà ad High Rise un’atmosfera molto surreale, anche se non sempre convincente. Alcuni passaggi da un grado di violenza al successivo sono troppo bruschi e non del tutto verosimili – ti fanno pensare: “Ma com’è che si è arrivati dal vandalismo all’omicidio multiplo?”. In più occasioni i condomini avrebbero l’occasione di interrompere il ‘gioco’, ma non lo fanno mai. L’impressione globale che ho avuto di High Rise è quindi più di un’esagerazione che di uno scenario possibile.
Anche se non c’è molto spazio per queste razionalizzazioni durante la lettura: il ritmo è serrato, la “situazione” del condominio evolve molto velocemente. E il finale è insolito e geniale (anche se ad alcuni potrebbe non piacere), tutto il contrario delle risoluzioni strascicate e banali alla King.

Exit

Nessuno pensa mai alla soluzione più semplice.

In definitiva, un’ottima lettura che mi ha colpito sia alla pancia che al cervello. Non escludo che un lettore di ultraviolenza più scafato di me – come il buon vecchio Zwei – possa rimanere indifferente o anche dire a Ballard “sftu n00b!”; riporterò come unica altra testimonianza quella di Siobhàn, che l’ha divorato in un giorno e mezzo ma dopo si è sentita fisicamente male. Evvai ^-^

Dove si trova?
Su library.nu si può trovare sia l’epub di High Rise in lingua originale, sia il pdf di un’edizione italiana, intitolata Il condominio. Purtroppo questa traduzione lascia un po’ a desiderare; e, nonostante la copertina ingannevole, non è la traduzione Feltrinelli, che è molto migliore.
A proposito: la maggior parte dei romanzi di Ballard sono editi da Feltrinelli in edizione economica, il che li rende facilmente reperibili e a prezzi abbordabili. Quando, un paio d’anni fa, ho comprato Il condominio, l’ho pagato solo 7,50 Euro. Un solo romanzo – L’allegra compagnia del sogno – e le raccolte di racconti sono edite da Fanucci.

Su Ballard
Ballard è un bravo scrittore, e ha delle ottime idee; il problema è che ne ha poche. Per tutta la sua carriera ha girato intorno a una manciata di intuizioni fondamentali, tornandoci sopra ancora e ancora: di conseguenza, se si arriva a leggere tre o quattro suoi libri comincia a farsi strada uno sgradevole senso di déjà vu. Altri suoi libri sono semplicemente noiosi.
Il grosso dei romanzi di Ballard si può dividere in due filoni, quelli in cui i protagonisti vengono trasformati da un ambiente o condizioni climatiche estreme, e quelli in cui i protagonisti vengono trasformati dall’interazione con le tecnologie e lo stile di vita moderno. Al primo filone appartengono, tra gli altri, The Drowned World (Il mondo sommerso), che forse è il più famoso, The Burning World (Terra bruciata), The Crystal World (Foresta di cristallo), The Day of Creation (Il giorno della creazione) e Rushing to Paradise (Il paradiso del diavolo). Al secondo filone, oltre a High Rise, Crash, Concrete Island (Isola di cemento) e la novella Running Wild (Un gioco da bambini).
Di questi, mi viene da suggerirne quattro, due per “tipo”:

Foresta di cristalloThe Crystal World (Foresta di cristallo). Un medico missionario si reca in Gabon, nell’Africa centrale, per raggiungere dei colleghi che lavorano in un lebbrosario locale. Ma la giungla è stata contaminata da una strana malattia, che cristallizza la terra e le piante, fermandole nel tempo, e ha uno strano effetto sulla psiche umana… La storia è inquietante al punto giusto, ma il protagonista è un po’ insulso e la pletora di personaggi secondari non approfondita come dovrebbe.

Il paradiso del diavoloRushing to Paradise (Il paradiso del diavolo). Un gruppo di ambientalisti prende il controllo di un’isoletta del Pacifico, che il governo francese utilizzava per gli esperimenti nucleare. Gli ambientalisti sognano di creare una comune autosufficiente, capace di vivere in armonia con la natura, ma l’avventura prende una strana piega e la nuova società degenera verso organizzazioni sempre più primordiali… Uno dei miei preferiti.

CrashCrash è un romanzo morboso che si potrebbe mettere sia nello scaffale della literary fiction che in quello del romanzo erotico, che in quello del mainstream un po’ strano. I protagonisti di Crash vengono eccitati dagli incidenti automobilistici, dalla carne che si mescola alle lamiere, dai corpi delle star del cinema deturpati e mutilati. C’è un sacco di sesso: sesso etero, sesso lesbo, sesso omo, sesso di gruppo, scambi di coppia, sesso in macchine accartocciate, sesso con protesi artificiali, incidenti stradali causati volontariamente per eccitarsi, eccetera. Le idee di base sono ottime, peccato per una certa ripetitività e il ritmo lento. Comunque è breve, meno di 200 pagine.

Un gioco da bambiniRunning Wild (Un gioco da bambini), breve novella investigativa in forma di diario. Uno psichiatra lavora al caso di un condominio della high class i cui abitanti sono stati tutti massacrati, tranne i bambini e i ragazzi, che sono scomparsi (rapiti?). La risoluzione è prevedibile e il finale “politico” non mi è piaciuto, ma la storia non è affatto male e ricorda l’atmosfera di High Rise. Ideale per chi voglia approcciare Ballard con qualcosa di breve e più semplice.

Chi devo ringraziare?
Ballard fu portato alla mia attenzione dal professore di fisica del liceo di un mio amico, che era suo grande fan. Ma a convincermi definitivamente a leggerlo è stato Crash di Cronenberg, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo ballardiano. La pellicola di Cronenberg è uno di quei rari film che riescono a cogliere in pieno lo spirito dell’opera originale, a tratti riuscendo anche a migliorarla.
Se siete incerti sul fatto che Ballard sia il vostro uomo, vi consiglio di scaricare il film e darci un occhio – anzi, dateci un occhio in ogni caso: sono sicuro che non avete mai visto niente del genere. Attenzione però a non confondervi: c’è una caterva di film intitolata “Crash”, ahimé.

Crash Cronenberg

Una delle immagini più soft del film.

A proposito di trasposizioni cinematografiche: Vincenzo Natali, il regista dell’ottimo Cube, ha in cantiere di girare un film ispirato proprio ad High Rise. Come scritto su questo articolo, “non c’è una data d’uscita ufficiale, ma il film è in lista per il 2012 su IMDb”.

Qualche estratto
Il primo estratto viene dal secondo capitolo, e offre un accenno dell’escalation di violenza e della regressione infantile dei condominio; il secondo, sempre nella prima metà del libro, dà un assaggio di scontro tra due personaggi-pov.

1.
As Laing waited to be served, what resembled a punitive expedition from the upper floors caused a fracas in the swimming-pool. A party of residents from the top three floors arrived in a belligerent mood. Among them was the actress whose Afghan hound had drowned in the pool. She and her companions began by fooling about in the water, drinking champagne on a rubber raft against the swimming-pool rules and splashing people leaving the changing cubicles. […]
The elevators were full of aggressive pushing and heaving. The signal buttons behaved erratically, and the elevator shafts drummed as people pounded impatiently on the doors. On their way to a party on the 27th floor Laing and Charlotte were jostled when their elevator was carried down to the 3rd floor by a trio of drunken pilots. Bottles in hand, they had been trying for half an hour to reach the 10th floor. Seizing Charlotte good-humouredly around the waist, one of the pilots almost dragged her off to the small projection theatre beside the school which had previously been used for showing children’s films. The theatre was now screening a private programme of blue movies, including one apparently made on the premises with locally recruited performers.
At the party on the 27th floor, given by Adrian Talbot, an effeminate but likeable psychiatrist at the medical school, Laing began to relax for the first time that day. He noticed immediately that all the guests were drawn from the apartments nearby. Their faces and voices were reassuringly familiar. In a sense, as he remarked to Talbot, they constituted the members of a village.
“Perhaps a clan would be more exact,” Talbot commented. “The population of this apartment block is nowhere near so homogeneous as it looks at first sight. We’ll soon be refusing to speak to anyone outside our own enclave.”

Mentre Laing attendeva di essere servito, quella che sembrava una spedizione punitiva dei piani superiori provocò un gran trambusto in piscina. Un gruppo di inquilini degli ultimi tre piani era sceso in atteggiamento bellicoso. Fra loro c’era anche l’attrice il cui levriero afghano era stato annegato nella vasca. Lei e i suoi compagni cominciarono a fare gli stupidi in acqua, bevendo champagne su un canotto di gomma contro le norme della piscina e schizzando la gente che usciva dalle cabine. […]
Gli ascensori erano pieni di gente aggressiva che spingeva e si faceva largo a gomitate. Le spie dei piani continuavano ad accendersi e spegnersi e i vani degli ascensori risuonavano dei colpi insistenti degli inquilini in attesa davanti ai cancelli. Laing e Charlotte si stavano recando a un party al ventisettesimo piano, quando il loro ascensore fu fatto scendere bruscamente al terzo da un terzetto di piloti ubriachi, che, bottiglie alla mano, tentavano da mezz’ora di salire al decimo. Afferrando Charlotte per la vita, uno dei tre cercò di trascinarla verso la piccola sala di proiezione posta dietro la scuola e, in precedenza, era stata usata per proiettare film per i bambini. Nella sala adesso si stava svolgendo una proiezione privata di film pornografici, uno dei quali, a quanto sembrava, era stato girato in loco con protagonisti reclutati nel grattacielo.
Laing cominciò finalmente a rilassarsi per la prima volta durante quella giornata al party del ventisettesimo piano offerto da Adrian Talbot, uno psichiatra effeminato ma simpatico, suo collega di facoltà. Notò subito che gli invitati venivano tutti dagli appartamenti vicini. Facce e voci erano rassicuranti nella loro familiarità. In un certo senso, come fece notare a Talbot, erano come gli abitanti di un villaggio.
“Forse sarebbe più esatto dire clan” commentò Talbot. “Gli abitanti di questo condominio non formano un insieme omogeneo come potrebbe sembrare a prima vista, Tra poco ci rifiuteremo perfino di rivolgere la parola a chi non fa parte della nostra enclave.”

2.
Two young women, Royal’s wife and Jane Sheridan, were crouching behind an overturned desk. Like children caught red-handed in some mischief, they watched Wilder as he beckoned theatrically towards them.
Holding the alsatian on a short leash, Royal pushed back the glass doors. He strode through the residents in the lobby, who were now happily breaking up the children’s desks.
“It’s all right, Wilder,” he called out in a firm but casual voice. “I’ll take over.”
He stepped past Wilder and entered the classroom. He lifted Anne to her feet. “I’ll get you out of here-don’t worry about Wilder.”
“I’m not…” For all her ordeal, Anne was remarkably unruffled. She gazed at Wilder with evident admiration. “My God, he’s rather insane…”
Royal waited for Wilder to attack him. Despite the twenty years between them, he felt calm and self-controlled ready for the physical confrontation. But Wilder made no attempt to move. He watched Royal with interest, patting one armpit in an almost animal way, as if glad to see Royal here on the lower levels, directly involved at last in the struggle for territory and womenfolk. His shirt was open to the waist, exposing a barrel-like chest that he showed off with some pride. He held the cine-camera against his cheek as if he were visualizing the setting and choreography of a complex duel to be fought at some more convenient time on a stage higher in the building.

Due giovani donne, la moglie di Royal e Jane Sheridan, si erano acquattate dietro un banco rovesciato. Come bambine prese con le mani nel sacco, fissavano Wilder che le indicava con gesti teatrali.
“Va bene, Wilder” gridò con voce ferma ma in tono noncurante. “Ci penso io”.
Passò davanti a Wilder ed entrò nella classe. Aiutò Anne ad alzarsi. “Vi porto via di qui… non preoccuparti per Wilder”.
“Io non sono…” Nonostante quello che aveva passato, Anne era incredibilmente serena. Fissava Wilder con evidente ammirazione. “Mio dio, è proprio matto…”.
Royal aspettava l’attacco di Wilder. A dispetto dei vent’anni che li separavano, si sentiva calmo e padrone di sé, pronto per lo scontro fisico. Ma Wilder non accennò a muoversi. Studiava Royal con interesse, battendosi sotto l’ascella in modo quasi animale, come se fosse contento di vederlo ai piani bassi, finalmente impegnato anche lui nella lotta per il territorio e le donne. Aveva la camicia aperta fino alla vita e metteva in mostra con un certo orgoglio un torace grande come una botte. Teneva la macchina da presa contro la guancia, come per visualizzare il set e la coreografia di un complicato duello, che si sarebbe dovuto combattere in un’occasione più propizia, su un palcoscenico più in alto nell’edificio.

Tabella riassuntiva

Una cruda storia di barbarie collettiva! Non c’è nulla di realmente “sovrannaturale” o “fantastico”.
Atmosfera ansiogena e disturbante, senza appigli di sanità mentale. I passaggi da un grado di violenza al successivo non sono sempre convincenti.
Scrittura gelida e priva di giudizio morale.